"Vita di Galileo" è un dramma di Bertold Brecht che segue le vicende biografiche dello scienziato toscano offrendo importanti spunti, in particolare sul rapporto tra scienza e potere. L'opera vanta diverse redazioni nel periodo concomitante e successivo alla seconda guerra mondiale.
Vita di Galileo
Galileo lavora al servizio della repubblica veneziana che non pone limiti alla sperimentazione scientifica a differenza della chiesa. Nonostante ciò la repubblica lo sostiene solamente per invenzioni proficue e di utilità concreta. Per loro realizza il telescopio e, dopo alcune osservazioni con lo strumento, decide di recarsi a Firenze per proseguire i suoi studi sulla scia delle teorie di Copernico, intenzionato a sedurre gli uomini e condurli alla verità attraverso la ragione della scienza.
Le teorie galileiane sono, infine, condannate dall'inquisizione.
Ma a Firenze, Galileo non trova l'accoglienza sperata; gli intellettuali di corte rifiutano di staccarsi dai cardini astronomici e filosofici che regolano gli equilibri teologico-sociali per guardare oltre. Si nota il contrasto tra l'aderenza cieca ai dogmi tradizionali e la forte apertura di Galileo che ricerca la verità attraverso la sperimentazione e l'osservazione, mettendo tutto costantemente in dubbio.
Dopo otto anni di silenzio, Galileo decide di riprendere le ricerche e di diffondere le proprie idee tra la gente scrivendo la prosa scientifica in volgare. La chiesa non può tollerare il dilagare del dubbio e lo scuotimento dell'ordine politico, teologico, sociale. In risposta a "Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" Papa Urbano VIII approva l'intervento dell'inquisizione per mezzo della tortura e Galileo abiura.
Inizialmente Galileo incarna l'intellettuale soggetto all'autorità, ma che, con fiducia nella ragione e nei sensi, continua con tenacia e convinzione a perseguire la ricerca della verità. Nel finale si assiste alla sconfitta di Galileo che si arrende alla chiesa, ma d’altra parte Andrea suggerisce che il maestro possa aver abiurato per sfuggire alla morte e continuare segretamente a contribuire alla scienza. In realtà Galileo smentisce queste affermazioni, dichiarando di aver ceduto solo a causa della paura.
Galileo definisce il lavoro dello scienziato: egli deve alleviare la fatica dell’esistenza umana; se non reagisce all’intimidazione dei potenti e degli egoisti e si limita ad accumulare sapere per sapere, ogni nuova macchina sarà solo fonte di dolore per l’uomo. Inoltre afferma di aver tradito la propria professione con ciò che ha fatto e che la sua presenza non può essere più tollerata nei ranghi della scienza.
Filosofo: Se qui ci si propone di trascinare nel fango Aristotele, l'autorità riconosciuta non solo da tutta l'antica sapienza, ma anche dai grandi Padri della Chiesa, ritengo superfluo continuare la discussione. Non mi presto a dispute prive di scopo concreto. Ho detto. Galileo: La verità è figlia del tempo e non dell'autorità. [Vita di Galileo, scena quarta]
Galileo: Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento di Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo. […] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini.
Filosofo: Se qui ci si propone di trascinare nel fango Aristotele, l'autorità riconosciuta non solo da tutta l'antica sapienza, ma anche dai grandi Padri della Chiesa, ritengo superfluo continuare la discussione. Non mi presto a dispute prive di scopo concreto. Ho detto. Galileo: La verità è figlia del tempo e non dell'autorità. [Vita di Galileo, scena quarta]