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sara aouini

lucrezia

Della vicenda che ritrae Lucrezia come protagonista non si hanno prove certe che sia successa; ma abbiamo antiche fonti, in particolare quelle di Tito Livio che la descrivono, e descrivono la sua storia.

Possiamo dire che Lucrezia divenne l’incarnazione della pudicitia nella morale e nell’etica romana, una donna che rappresentò tutto quello che una della sua condizione sociale, e soprattutto del suo sesso, doveva essere e fare. La donna, come i Latini usavano dire, avrebbe dovuto avere queste precise caratteristiche: essere in grado di filare, rimanere sempre fedele al proprio marito senza cadere nell’adulterio, essere particolarmente umile, sobria in tutto ciò che diceva o faceva, oltre che essere un’ottima padrona di casa, capace di gestire ogni singolo aspetto della vita domestica. Tutte queste virtù parevano essersi incarnate in Lucrezia, moglie di Collatino e figlia di Lucrezio Tricipitino.

Lucrezia immagine della perfezione femminile.

Siamo nella Roma dell’inizio del VI secolo a.C., L’esercito romano era alle porte di Ardea in stato d’assedio. Durante la guerra capitava che ci potesse essere un rilassamento generale, proprio come accadde in quelle giornate del VI secolo a.C. In particolare Sesto Tarquinio, figlio del sovrano tiranno, una sera si trovò con gli altri massimi reggenti e capi militari dell’Urbe, a conversare nel corso di una cena; dove "il discorso cadde per caso sulle mogli e ciascuno prese a dire qualità della propria”, scrisse Tito Livio. E qui entra in gioco Lucrezia e la sua incredibile virtù.

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Secondo Tito Livio, qualche giorno, Sesto Tarquinio tornò nella casa di Collatino, a insaputa dell’uomo. Sesto Tarquinio la desiderava talmente tanto che entrò nella casa di Collatino, in piena notte, sorprendendo nel sonno Lucrezia, puntandole un pugnale alla gola e rivelandole il proprio amore. “Tarquinio cominciò a dichiarare il suo amore, ad alternare suppliche a minacce e a tentarle tutte per far cedere il suo animo di donna”. Ma Lucrezia, anche davanti alla possibilità di morire, rifiutò, non volendo violare il suo corpo con un altro uomo che non fosse suo marito. Davanti al rifiuto, Sesto Tarquinio, minacciò Lucrezia di sgozzare un servo e di portare il suo cadavere sul letto coniugale. Minacciò poi che “glielo avrebbe messo nudo accanto in modo che si dicesse che era stata uccisa nel degrado più basso dell’adulterio”. Di fronte a questa minaccia, Lucrezia si concese contro voglia a Sesto Tarquinio.

Nella giurisdizione romana era contemplato il reato di stuprum, che era inteso come un rapporto sessuale, consenziente o meno, commesso al di fuori del matrimonio; al tempo dei Romani esso era una cicatrice sull’onore e la dignità della donna che era andata contro il matrimonio. Rompere il patto matrimoniale con un altro uomo all’infuori del proprio marito era una violazione anche giuridica, tanto che le donne accusate di stuprum (di adulterio) erano esiliate o multate (se non uccise nell’ambito famigliare). Tutto questo era inconcepibile per una donna giusta come Lucrezia, che però, non si arrese e dopo la violenza fece immediatamente chiamare suo marito e gli uomini a lui vicini.

Al loro ritorno, del marito e degli uomini, Lucrezia mise subito le cose in chiaro, raccontando l’accaduto e dicendo che aveva perduto il proprio onore. Anche se frutto di violenza lei non era più casta, né pudica, né onorata ed onorevole. Lucrezia, che è una figura, forse mitologica, che però personifica la virtù romana fece giurare tutti i presenti, in particolare Collatino e Giunio Bruto, che la vendetta sarebbe dovuta essere l’unico obiettivo per loro. “Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui”, così si espresse Lucrezia, secondo Tito Livio.

Lucrezia

Per lei la cosa più importante era, quasi, recuperare l’onore comunque perduto. Il gesto finale di Lucrezia, “Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime”. Il suicidio era considerato, in epoca romana, non una vigliaccheria ma una fine onorevole. Poco prima di uccidersi, la donna disse: “Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!”.

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grazie dell'attenzione

Lucrezia si sacrificò per la patria, sacrificò sé stessa per ricordare ai suoi uomini che era giunto il momento di combattere, di prendere le armi e di far finire la tirannia che era nel regno. Giunio Bruto giurò che la violenza subita da Lucrezia sarebbe stata vendicata, come lei stessa aveva chiesto prima di suicidarsi. E, in un certo senso, secondo la storiografia imperiale, possiamo dire che dobbiamo proprio a lei e al giuramento che fece fare a Bruto e agli altri, il fatto che Roma si ribellò al suo tiranno.

Collatino, convintissimo di quanto diceva, affermò che nessuna donna o moglie poteva essere migliore della sua Lucrezia. Invitò tutti gli uomini a tornare in fretta a Roma, passando nella casa di ciascuno e vedendo cosa stavano facendo le mogli. La maggior parte fù trovata in atteggiamenti poco lusinghieri. Ma quando, a Collatia, il gruppo di uomini arrivò nella casa di Collatino; e nonostante fosse notte fonda, Lucrezia era seduta nel centro dell’atrio e stava filando a lana insieme alle serve. Il classico esempio di donna lanifica, la personificazione della moglie devota che, tra le altre cose, è sempre affaccendata in lavori domestici.