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ANTIQUE ROME PRESENTATION

Luca Demishaga

Created on March 19, 2024

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luca demishaga

L'impero Romano

12. fine

11. mappa

10. L’impero da Caligola a Nerone

09. L’impero da Caligola a Nerone

06. L’immagine del principe e la propaganda

05. L’immagine del principe e la propaganda

08. La nascita della dinastia Giulio-Claudia

07. La nascita della dinastia Giulio-Claudia

04.Il governo dell’impero

03. Il governo dell’impero

02. Il principato augusteo

01. Il principato augusteo

Augusto e la dinastia Giulio‐Claudia

Map

La vittoria di Ottaviano su Marco Antonio nella battaglia di Azio (31 a.C.) portò alla conquista dell’Egitto e segnò la conclusione di un lungo periodo di conflitti. Ottaviano era ormai privo di avversari: rientrato a Roma nel 29 a.C., nell’arco di pochi anni as- sunse un potere pressoché assoluto, lo gestì in forme nuove (pur riuscen- do, a differenza di Cesare, a non inimicarsi il senato e il popolo romano) e lo conservò sino alla sua morte, avvenuta nel 14 d.C.

Il principato augusteo

Ottaviano, agendo con grande intelligenza, evitò di dare al proprio potere una chiara connotazione monarchica. Da un punto di vista forma- le, anzi, egli restaurò gli antichi ordinamenti repubblicani, che erano sta- ti compromessi nell’età delle guerre civili. Ma questa restaurazione fu più che altro una finzione giuridica: Ottaviano infatti svuotò le istituzioni del- la repubblica dei loro poteri decisionali, e ricoprì personalmente le prin- cipali magistrature.

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Il principato augusteo

Il governo dell’impero

Il programma politico di Augusto prevedeva una radicale riorganizzazione dello Stato: mise quindi in atto una serie di riforme che resero più efficienti l’amministrazione dell’impero, sia a livello centrale sia a livello locale.Il compito di amministrare Roma, la capitale, fu affidato a un funzionario di nomina imperiale, il praefectus Urbi, cioè il prefetto alla città, che coordinava le attività dei magistrati cittadini alle sue dipendenze. Fra essi c’era il prefetto dell’annona, che doveva assicurare alla città i rifornimenti alimentari e sovrintendere alle distribuzioni gratuite di grano; il suo era un compito particolarmente delicato, dal momento che le distribuzioni venivano utilizzate per ingraziarsi la plebe urbana e mantenere così la pace sociale.

Il governo dell’impero

Augusto riformò profonda mente anchel’amministrazione delle province. Per prima cosa, esse fu rono suddivise in due gruppi. Le province senatorie come la Sicilia, la Macedonia, la Grecia (o Acaia) e l’Africa erano le più antiche e pacificate: come nella tarda età repubblicana, continuarono a essere governate da proconsoli scelti dal senato fra gli ex consoli e gli ex pretori. Le province imperiali, invece, erano quelle di più recente acquisizione o disposte lungo i confini: lì, la facilità con cui scoppiavano rivolte e la possibilità di attacchi dall’esterno rendevano necessaria la presenza di una legione agli ordini di un governatore (il legato) che veniva scelto da Augusto fra i membri del senato.

Augusto cerca di restaurare l’antica purezza di costumi, ispirata ai valori della tradizione romana. Nasce un culto ufficiale dell’impero, anche se il princeps non viene divinizzato finché è ancora in vita. Utilizza la propaganda in modo abile per legittimare il proprio potere presso i sudditi. Anche le numerose guerre da lui promosse sono presentate come guerre giuste, che mirano a difendere la pax romana.

L’immagine del principe e la propaganda

La battaglia di Teutoburgo costituì un punto di svolta nella storia del nostro conti- nente, perché portò all’arresto dell’espansionismo di Roma in Europa centrale. Gli storici del tempo imputarono la sconfitta all’incapacità del comandante romano Quintilio Varo e all’inganno di Arminio che, dopo essersi alleato con i Romani, li attirò in una trappola. Secondo l’antropologo e archeologo Peter S. Wells, in realtà la causa prima della disfatta fu dovuta ai pregiudizi di Augusto e dei Romani che, considerando i Germani un popolo barbaro, avevano sottovalutato la loro capacità di evolversi e le loro abilità belliche.

Fino al 9 d.C., l’impero romano aveva riportato una serie di stupefacenti vittorie militari, in Europa e altrove. Certo, aveva subito anche battute d’arresto, ma la pro- paganda ufficiale si limitava a enfatizzare i successi. In effetti, Augusto si dava da fa- re per regalare al popolo romano magnifici monumenti, elaborate iscrizioni e splen- dide monete per glorificare i successi delle legioni. Al contempo, egli minimizzava e sviliva le sconfitte. [...] L’atteggiamento rispetto alle tribù germaniche rifletteva questo concetto di superiorità, infatti non venivano mai rappresentate come nemi- ci in grado di opporsi alla potenza imperiale. Dalle prime menzioni di Cesare, che sviliva i Germani a paragone dei Celti (i quali vivevano in comunità molto più com- plesse), non ci sono testi latini in cui vengano considerati come forza militare. [...] I reperti archeologici non dimostrano soltanto che le tribù germaniche erano molto più abili, in senso tecnico-organizzativo, di quanto pensassero i Romani, ma anche che furono in grado di apportare, nei decenni antecedenti alla battaglia del 9 d.C., dei cambiamenti nella loro economia, nel loro armamentario e negli atteggiamenti di fronte all’invasore. Era errata anche l’idea che si era fatta Cesare delle popolazioni transrenane. L’archeologia attesta infatti, dal tempo di quest’ultimo in poi, un incre- mento notevole nella produzione di armi e strumenti bellici, e nelle comunicazio- ni interne fra i gruppi stanziati in quelle regioni che Roma cercava di conquistare. Questi mutamenti avrebbero dovuto essere facilmente compresi dai Romani. Le im- portazioni imperiali di numerosissimi beni indicano l’esistenza di frequenti rappor- ti tra mondo romano e regioni settentrionali. I mercanti e gli altri viaggiatori avreb- bero potuto riferire ai funzionari le loro osservazioni sui mutamenti in atto nelle società indigene dell’Età del ferro. Senonché, le prove esistenti a Roma suggerisco- no che Augusto e i suoi consiglieri non sarebbero stati ricettivi nei confronti di tali informazioni. I Romani consideravano i barbari come gente immutabile. Questo è stato l’errore fatale dei Romani. Il mondo del Nord Europa si stava trasformando, in gran parte a causa dei processi messi in moto dalle stesse invasioni latine in Gallia, ma nella capitale dell’impero non se ne accorsero.”

Augusto non aveva figli maschi, ma voleva ugualmente assicurare la continuità del potere imperia le e mantenerlo nella propria famiglia. Così adottò e indicò come proprio successore il figliastro Tiberio, che sua moglie Livia aveva avuto da un precedente matrimonio. Con questo gesto, Augusto diede origine a una dinastia che si chiamò Giulio-Claudia (dal nome delle due gentes alle quali appartenevano rispettivamente Augusto e Tiberio). Tiberio aveva seguito da vicino le scelte di governo di Augusto e, quando questi morì nel 14 d.C., la transizione si svolse senza alcun problema. Il fatto che nessuno osasse contestare la successione costituisce una prova di come i Romani avessero ormai accettato la nascita di una monarchia ereditaria.

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La nascita della dinastia Giulio-Claudia

Prima di morire Augusto designa come suo successore Tiberio, dando al potere imperiale una dimensione ereditaria. Nel primo periodo del suo regno, Tiberio è un buon principe, ma in seguito si attira l’ostilità del senato. Si allontana da Roma e la lascia amministrare da Seiano, il prefetto del pretorio; quando costui inizia a rappresentare una minaccia per il suo potere, Tiberio lo fa uccidere, ma non rientra in città.

Tiberio aveva sempre avuto un carattere introverso, ma la morte di Germanico e i sospetti che ne derivarono lo resero ancora più ombroso, segnando un punto di svolta nel suo principato. Nel 26 d.C., probabilmente per sottrarsi al clima di tensione che gravava sulla capitale, Tiberio si allontanò da Roma per trasferirsi a Capri. Il governo della città fu affidato a Lucio Elio Seiano, il prefetto del pretorio, che in breve tempo concentrò un enorme potere nelle sue mani e avviò una feroce repressione contro i senatori, instaurando un regime di violenza e di soprusi.

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Appena salito al potere, Caligola che in gioventù aveva soggiornato presso le corti dei regni ellenistici iniziò a governare in maniera assoluta secondo il modello orientale. Così, per esempio, introdusse a Roma i culti e le cerimonie egizie, e pretese onori divini per sé e per alcuni membri della sua famiglia. Queste scelte provocarono una decisa opposizione da parte del senato.L’imperatore reagì con estrema durezza: chiunque osasse contrastarlo ve- niva accusato di lesa maestà e sottoposto a processi che si chiudevano in- variabilmente con la condanna a morte e la confisca dei beni; in alternati- va, il sovrano offriva ai suoi oppositori la possibilità di suicidarsi. Violen- ze e intimidazioni erano all’ordine del giorno, e nessuno poteva davvero sentirsi al sicuro.

L’impero da Caligola a Nerone

Tiberio muore nel 37 d.C. e gli succede Caligola, il cui breve principato sarà ricordato soprattutto per gli eccessi. Nel 41 d.C., dopo l’assassinio di Caligola sale sul trono imperiale Claudio, che si di mostrerà più equilibrato: rimette in sesto le finanze statali, avvia importanti opere pubbliche, conquista la Britannia meridionale. Claudio muore (forse avvelenato) nel 54 d.C. e gli succede Nerone, che invece governa in modo più disordinato, scontrandosi ripetutamente con il senato e finendo ucciso in una congiura.

L’impero da Caligola a Nerone

GRAZIE!

Augusto sovrappose al vecchio ordine delle istituzioni repubblicane un ordinamento nuovo, incentrato sul suo po- tere personale. Mostrando un apparente rispetto per la tradizione, scelse di non ricoprire (né creare) alcuna carica che non fosse già prevista nella costituzione di Roma: ma, una dopo l’altra, assommò nelle proprie mani cariche che non avrebbero potuto essere accumulate. Nel 23 a.C. si fece attribuire la potestà tribunizia, ossia i poteri dei tri- buni della plebe, grazie ai quali divenne inviolabile, poté presentare pro- poste di legge ai comizi e porre il veto a eventuali provvedimenti non di suo gradimento. Ricoprì per ben otto anni consecutivi la carica di console: ben sapendo di non poter avere il consolato a vita, sempre nel 23 a.C. ottenne l’imperio proconsolare, cioè la nomina – con un incarico illimitato – a proconsole per tutte le province dell’impero; ciò gli garantiva anche di conservare il comando militare assoluto sull’esercito.Le nomine ottenute nel 23 a.C., dunque, rinsaldarono le basi costituzio- nali del principato. Ma il potere di Augusto assunse anche connotazioni religiose quando, nel 12 a.C., egli divenne pontefice massimo; infine, nel 2 a.C., il senato e il popolo gli attribuirono l’appellativo di «padre della patria». Apparentemente Roma continuò a essere definita come una repubblica, ma di fatto divenne una monarchia. Nonostante questo, Augusto insistette nel presentarsi non come un sovrano, ma come un princeps, un primus inter pares(«primo tra i pari»): un normale cittadino, superiore agli altri solo per le qualità personali che lo rendevano in grado di governare.

Come abbiamo visto, duran- te il principato di Augusto l’equilibrio di compromesso tra il principe (che governava) e il senato (che formalmente manteneva la sua centralità) non era stato messo in discussione. Con i successori di Augusto, tale equilibrio entrò in crisi. Alcuni imperatori tentarono di governare come sovrani as- soluti e caratterizzarono il proprio potere definendolo di origine sacra, e quindi pretendendo di essere adorati come divinità. I senatori contrastaro- no questa politica assolutistica, talvolta semplicemente protestando, altre volte organizzando congiure per favorire un cambio di potere.

Tiberio aveva sempre avuto un carattere introverso, ma la morte di Germanico e i sospetti che ne derivarono lo resero ancora più ombroso, segnando un punto di svolta nel suo principato. Nel 26 d.C., probabilmente per sottrarsi al clima di tensione che gravava sulla capitale, Tiberio si allontanò da Roma per trasferirsi a Capri. Il governo della città fu affidato a Lucio Elio Seiano, il prefetto del pretorio, che in breve tempo concentrò un enorme potere nelle sue mani e avviò una feroce repressione contro i senatori, instaurando un regime di violenza e di soprusi.