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LUIGI PIRANDELLO

Presentazione A Cura Di Marika E Martia Narciso

Marta Abba

-07

La Follia

-14

Teatro

-15

Primo Successo

La Morte

-13

Il Pensiero

-03

-08

Il Relativismo Psicologico O Conoscitivo

-11

Indice

Ligi Pirandello

Biografia

-01

Matrimonio

-02

Pirandello E Il Fascismo

-04

Adesione Fascismo

-05

La censura

-06

Umorismo

-09

La Crisi Dell'Io

-10

Incomunicabilità

-12

biografia

La sua infanzia

Chi Era ?

Luigi Pirandello è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, i temi affrontati e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo.

Luigi nasce il 28 giugno del 1867 ad Agrigento. La sua infanzia fu serena ma, come lui stesso avrebbe raccontato nel 1935, fu caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi geitori, in modo particolare con il padre. Questo lo stimolò ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio.

A soli undici anni scrisse la sua prima opera, Barbaro, andata perduta.

Per un breve periodo, nel 1886, aiutò il padre nel commercio dello zolfo, e poté conoscere direttamente il mondo degli operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.

Nel 1892 Pirandello si trasferì a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre.

Qui conobbe Luigi Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici.

Nel 1894, a Girgenti, Pirandello sposò Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre e cugina di secondo grado. Questo matrimonio concordato soddisfaceva soprattutto gli interessi economici della famiglia di Pirandello. Nonostante ciò tra i due coniugi nacque veramente l'amore e la passione. Grazie alla dote della moglie, la coppia godeva di una situazione molto agiata, che permise ai due di trasferirsi a Roma.

IL MATRIMONIO

Nel 1895 nacque il primo figlio Stefano (1895-1972)

Due anni dopo, Rosalia Caterina (1897-1971)

Dopo altri due anni, Fausto Calogero (1899-1975).

Questo ferì moltissimo l'amor proprio di Pirandello, che se la prese, in varie occasioni, con coloro che riteneva ingiustamente celebrati dalla critica, tra cui D'Annunzio e Pascoli.

All'uscita de Canti di Castelvecchio e delle Laudi, confessò di detestarli nel modo più assoluto. Perché Pirandello arrivasse al successo definitivo si dovette aspettare il 1922, quando si dedicò totalmente al teatro

Il libro fu pubblicato nel 1904 e immediatamente tradotto in diverse lingue. La critica non diede subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non colsero il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre opere di Pirandello.

IL PRIMO SUCCESSO

Il suo primo grande successo fu merito del romanzo "Il fu Mattia Pascal", scritto, secondo la leggenda, nelle notti di veglia alla moglie paralizzata alle gambe, circostanza che in realtà manca di riscontri effettivi.

Il 17 settembre 1924 Pirandello chiese l'iscrizione al PNF, inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato subito dall'agenzia Stefani.

PIRANDELLO E IL FASCISMO

Nella prima guerra mondiale fu un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece Stefano fece, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che fu estremamente angosciosa per lo scrittore. Nel primo dopoguerra, non aderì subito ai Fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo rese esplicita l'adesione al fascismo. Il 28 ottobre 1923 fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi.

«Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera.»

- Telegramma di Pirandello a Mussolini-

L'ADESIONE AL FASCISMO

Pirandello ha avuto un rapporto controverso con il Fascismo. Luigi Pirandello visse il Fascismo da quando aveva 55 anni fino alla data della sua morte nel 1936, dunque per un periodo di quattordici anni. Con astuzia Mussolini gratificherà lo scrittore Pirandello convocandolo poi più volte nel suo studio: voleva sfruttare la fama mondiale di Pirandello e lusingare le speranze di Pirandello di ricevere aiuto per i suoi progetti.

Un'altra motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo riconduceva a quegli ideali patriottici e risorgimentali di cui Pirandello era convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine del padre. Secondo questa tesi, Pirandello vedeva nel Fascismo la prima idea originale post-risorgimentale, che doveva rappresentare la "forma" nuova dell'Italia destinata a divenire modello per l'Europa

L’iscrizione di Pirandello al Partito fascista fu inaspettata e molto criticata. Fu insolita anche perché Pirandello era sempre stato lontano dalla politica e aveva sempre mostrato distacco dalla politica, forse per prudenza oppure per un autentico disinteresse suo e sorprese anche i suoi più stretti amici.

La stampa suggerì la possibilità che Pirandello avesse preso la tessera del partito per dare una svolta alla propria carriera per acchiapparsi quella celebrità che per troppi anni gli era stata negata. Fu duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici italiani, fra cui il deputato liberale Giovanni Amendola che in un articolo dava dell’accattone a Pirandello, accusandolo di cercare finanziamenti.

Il telegramma arrivava in un momento di grande difficoltà per il presidente del Consiglio, dopo il ritrovamento il 16 agosto del corpo dell'onorevole Giacomo Matteotti

Nel 1925 Pirandello fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile. furono frequenti i suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di apoliticità:

LA CENSURA

La censura al fascismo influenzò la produzione letteraria di quel tempo, infatti, non c'era libertà di stampa perché il governo fascista voleva controllare la pubblica opinione. I funzionari del Ministero dovevano leggere preventivamente ogni opera letteraria prima di autorizzarne la pubblicazione, ma Pirandello non si lasciò influenzare dalla censura e fu sempre lontano da un compromesso con il governo fascista. La sua presa di distanza dalla censura della libertà di stampa, non fu gradita da Mussolini che mostrò irritazione per il fatto che Pirandello continuava a negare “un opera fascista” come atto di fede al fascismo

«Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco; se vuole potrei aggiungere casto...»

intervista con tanto di foglio autografo dell’ autore stampato in prima pagina:

Clamoroso fu il gesto del 1927, narrato da Corrado Alvaro, in cui Pirandello a Roma strappò la sua tessera del partito davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non si consumò mai. Anzi, quello stesso anno sul quotidiano "L'Impero" del 12 marzo, apparve una sua

«MUSSOLINI NON TROVA PARAGONI NELLA STORIA, MAI ESISTITO UN CONDOTTIERO CHE ABBIA SAPUTO DARE AL SUO POPOLO UNA COSI' VIVA IMPRONTA DELLA SUA PERSONALITA'».

LA CENSURA

Nel 1928 si concluse senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro d'Arte cominciata quattro anni prima; dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, Pirandello si ritirò per qualche mese a Berlino insieme a Marta Abba, primadonna della compagnia. Forse a parziale compensazione di questo mancato sostegno, nel 1929 Pirandello fu uno dei primi 30 accademici, nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia d'Italia. Nel 1935, in nome dei suoi ideali patriottici, partecipò alla raccolta dell'"oro per la patria" donando la medaglia del premio Nobel ricevuto l'anno prima, gesto compiuto, tra gli altri, anche dall'antifascista Benedetto Croce, che donò la medaglia da senatore.

Aveva deciso di scritturarla senza neanche incontrarla, fidandosi del giudizio di uno dei critici teatrali più esigenti del periodo. Marta arrivò accompagnata dalla madre e da lontano, nel teatro buio, scorse sul palco un uomo curvo con capelli e pizzetto bianco, che

si alzò e le andò incontro abbagliato da questa ragazza con “occhi di mare, liquidi, pieni di luce.” Lei, capelli fulvi e ricci “pettinati alla greca” era destinata a stravolgere tutti gli equilibri della compagnia. Ne divenne la stella con un forte ascendente sul Maestro – come lo chiamerà tutta la vita – e suscitò non pochi malumori tra gli altri attori

MARTA ABBA

Si incontrarono per la prima volta in un giorno di Febbraio del 1925. Marta Abba, milanese, aveva 24 anni e un talento sulle scene giunto all’orecchio di Luigi Pirandello, già celebre scrittore siciliano che andava per i 58 anni e dirigeva a Roma la compagnia del Teatro d’Arte.

scene italiane da tempo per dedicarsi alla carriera internazionale. Quasi profeticamente le scriveva:

“SE PENSO ALLA DISTANZA, MI SENTO SUBITO PIOMBARENELL'ATROCE MIA SOLITUDINE, COME IN UN ABISSO DI DISIPERAZIONE"

Il 7 Febbraio Luigi Pirandello le scriveva già la prima lettera. Sono solo poche righe ma ne verranno molte altre: le manderà 560 lettere in poco più di 10 anni, fino a una settimana prima della morte nel 1936. L’ultima giungerà a Marta 4 giorni dopo la sua morte, in un teatro di Broadway. Aveva lasciato le

sono le lettere da cui emerge un Luigi appassionato o addirittura disperato e una Marta distaccata, sempre gentile, persino affettuosa, incantata dal pensiero e dall’arte del Maestro, ma innamorata no.

Speculazioni sulla loro vera relazione se ne sono fatte tante ma le uniche prove

Marta Abba rispose meno della metà delle volte e quasi sempre sviando il discorso per parlar d’altro: di teatro, viaggi, abiti di scena, attori e faccenduole pratiche, mai d’amore. Gli diede sempre del lei.

"MARTA MIA... SE TU POTSSI SENTIRE QUANTO SOFFRO, SON SICURO CHE AVRESTI UN PO' DI PIETA' PER ME"

Scrisse da Berlino nel 1929. Da lei ormai dipendeva, in lei trovava la sua arte, per lei scrisse alcuni dei suoi drammi che poi le lasciò in eredità alla sua morte. E quando lei non rispondeva subito, oppure del tutto:

"SCRIVIMI, FATTI VIVA, HO TUTTA LA MIA VITA IN TE, LA MIA ARTE SEI TU;SENZA IL TUO RESPIRO MUORE"

E lei, soffocata da tanta insistenza:

"SPAZI, MAESTRO, SPAZI, LARGO, LARGO... NON SI STANCHI TROPPO SCRIVENDOMI... NON SI SCOMODI A FARMI DEI TELEGRAMMI... SI RIPOSI, NON FACCIA SMANIE"

Lei gli rimase fedele, per tutti gli anni in cui collaborarono non recitò che i suoi drammi e non si legò sentimentalmente a nessun uomo. Ma non concesse nulla di più. Sul piano professionale dava tutta se stessa, solo su quello però. Non le interessava essere una seduttrice, né una diva, solo per il teatro viveva.

"MARTA NON M'ABBANDONARE - NON E' POSSIBILE CHE TU NON SIA, COME AUTRICE VERA E SOLA, IN TUTTO QUELLO CHE ANCORA FACCIO. MA IO SONO LA MANO. QUELLA CHE IN DETTA DENTRO, SEI TU"

“TE BEATA, E VERAMENTE DA INVIDIARE, MARTA MIA, CHE HAI VOLTATO LE SPALLE A TUTTA QUETA PUTREDINE MARCIA. HO RINGRAZIATO DIO, CHE TE NE SEI LIBERATA. ANDRAIINCONTRO A TANTE DIFFICOLTA'; CAMMINERAI IN PRINCIPIO SUI SASSI E TRA LE SPINE; MA ALLA FINE, RESPIRERAI, AL PIENO E GRANDE RICONOSCIMENTO, ALLA VERA RICCHEZZA E ALLA VERA GLORIA, FUORI E LONTANA DA QUESTA LUSSURIA, DA SPORCHI IMBROGLI.”

Luigi si aspettava di trovarla ad attenderlo in stazione al ritorno da Stoccolma con il Nobel nel 1934, ma Marta non c’era. E non c’era quando tornò trionfante dal Sud America. Ma era lì per lei quando si imbarcò per gli Stati Uniti sapendo che più l’avrebbe rivista:

E poi lui era già sposato, benché infelicemente: la moglie dal 1919 era in un manicomio, folle di gelosia fino ad arrivare ad accusarlo di incesto con la figlia Lietta. Marta invece aveva già voglia di volare in altri cieli tanto che nel 1928 lasciò il Teatro d’Arte per fondare una propria compagnia e ampliare il repertorio. Ora non recitava più solo Pirandello ma anche Goldoni, D’Annuncio, Shaw.

IL PENSIERO

Pirandello si occupò di questioni teoriche fin da giovane nonostante fosse convinto che qualunque filosofia sarebbe fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la "bestia", l'aspetto animalesco e irrazionale.Si avvicinò alle teorie dello psicologo Alfred Binet sulla pluralità dell'io.

L'UMORISMO

Nel 1908 Pirandello scrive L'umorismo, un saggio dove confluiscono idee, brani di scritti e appunti precedenti. Nel succitato saggio Pirandello distingue il comico dall'umoristico. Il primo, definito come "avvertimento del contrario", nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Nel saggio Pirandello ce ne fornisce un esempio:

«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario"»

-L. Pirandello, L'umorismo, Parte seconda-
L'umorismo, il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della situazione:

«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico»

-L. Pirandello, L'umorismo, Parte seconda-

«non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere.»

-Luigi Pirandello-
Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.

La poetica pirandelliana dell'umorismo nasce in realtà già nel 1904, quando vengono pubblicate le due premesse de Il fu Mattia Pascal,

LA CRISI DELL'IO

L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la «teoria della crisi dell'io». In un articolo del 1900 scrisse:

««Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, essi si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. [...] Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto.»

LA CRISI DELL'IO

Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la "follia", tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale Pirandello inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porterà presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia.

IL RELATIVISMO PSICOLOGICO O CONOSCITIVO

Dialogo finale di Così è (se vi pare)

«La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola - Ah! - E la seconda moglie del signor Ponza - Oh! E come? - Sì; e per me nessuna! nessuna! - Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! - Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. (...) Ed ecco, o signori, come parla la verità.»

L'uomo nasce in una società precostituita dove a ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una "forma" per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.

Dal contrasto tra la "vita" e la "forma" nasce quel "relativismo psicologico" che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con sé stessa.

L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.

Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa il pensiero di Pirandello si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra gli uomini: poiché ogni persona ha un proprio modo di vedere la realtà, non esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono le persone che credono di possederla e dunque ognuno ha una propria "verità". L'incomunicabilità produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da sé stessi, poiché proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea diversi io discordanti

INCOMUNICABILITA'

Prima fase - Il teatro siciliano Seconda fase - Il teatro umoristico/grottescoTerza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)Quarta fase - Il teatro dei miti Generalmente si attribuisce l'interesse di Pirandello per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione: in gioventù, infatti, Pirandello compose alcuni lavori teatrali, andati perduti poiché da lui stesso bruciati

Pirandello divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama "teatro dello specchio", perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. le sue opere vengono divise in base alla fase di maturazione dell'autore:

TEATRO

dalla maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità

LA FOLLIA

Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra "vita" e "forma", accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il "folle", che pure è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi

Il fascismo capì la sua grandezza e ne utilizzò la fama per fini di prestigio internazionale. Secondo Mussolini:

«Pirandello fa, in sostanza e senza volerlo, del teatro fascista: il mondo è come vogliamo che sia, è la nostra creazione» .

LA MORTE

LA MORTE

«Carro di infima classe, bruciatemi e le mie ceneri siano disperse o, al più, conservate in un'urna greca». E così è stato.

Ecco perché avrebbe voluto fargli un funerale di Stato, ma ne fu impedito dalle disposizioni testamentarie di Pirandello, uomo lontano da ogni retorica:

Pirandello non era D'Annunzio. Due grandissimi scrittori il fascismo ha avuto nelle sue file, ma difficile trovare due personalità più contrapposte. Morì di broncopolmonite la mattina del 10 dicembre 1936 nella sua casa di via Antonio Bosio 15, ora sede dell’istituto di studi pirandelliani.

FINE

Il conflitto immanente tra la vita e la forma è condizione inesorabile non solo dell'ordine spirituale, ma anche di quello naturale. la vita che se fissata per essere nella nostra forma corporale, a poco a poco uccide la sua forma

-Voce di Pirandello mentre legge un suo prologo a sei personaggi in cerca d'autore-