I Promessi sposi
NICOLO PULEO
Created on January 11, 2024
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Transcript
I promessi sposi
I personaggi
La Trama
Alessandro Manzoni
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ALESSANDRO MANZONI Alessandro Manzoni nato a Milano nel 1785 fu uno tra gli autori massimi della letteratura italiana, con I promessi sposi diventò popolarissimo e conosciuto in tutti i posti italiani, anche per l'uso di una lingua nazionale fu un modello fondamentale per la successiva letteratura italiana che costituì inoltre l'esito supremo della parabola iniziale del romanzo in Italia.
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La trama e il video
I PROMESSI SPOSI
I PERSONAGGI
RENZO
LUCIA
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DON ABBONDIO
DON RODRIGO
Perpetua
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Agnese
Renzo Tramaglino Il Giovane filatore di seta, Renzo Tramaglino è, fin dall'adolescenza, rimasto privo dei parenti; ha ereditato la loro professione che gli permette di mantenersi. Quando ha tempo lavora anche in un piccolo podere. Appare, dunque, come un uomo laborioso e onesto. Diventa, però, ribelle e impetuoso quando riceve ingiustizie e soprusi. Questo tratto più vigoroso del carattere è sempre tenuto a bada con dolcezza da Lucia. Dal cap. XI, l'impulsività diventa il motore delle azioni di questo personaggio. Renzo si trova a Milano per consegnare una lettera a Padre Bonaventura, ma il cappuccino non è in convento. In quel giorno le vie di Milano sono accese dalla Rivolta di San Martino. Renzo, attratto dal tumulto, decide di curiosare. Spinto dalla propria impulsività fa un discorso sulla giustizia alla folla. Così facendo, attira le attenzioni di uno sconosciuto che si offre di accompagnarlo in un'osteria. Senza prestare troppa attenzione, Renzo lo segue. Nell'osteria, finisce a ubriacarsi e dice il suo nome allo sconosciuto che è un poliziotto in borghese. Il mattino seguente viene arrestato. Mentre lo stanno portando via, però, Renzo attira l'attenzione della folla, riesce a divincolarsi e scappa. La sua propensione alla bontà, le sue ribellioni improvvise, lo rendono un personaggio positivo. Lo potremmo definire una 'campione del mondo popolare'.
Lucia Mondella Lucia è la giovane promessa sposa di Renzo, della quale si incapriccia il signorotto locale, don Rodrigo, che scommette con il proprio cugino, don Attilio, che la conquisterà; ne impedisce, quindi, il matrimonio, minacciando il curato, don Abbondio. Lucia è costretta, quindi, a fuggire con la madre Agnese a Monza, ma viene rapita dall'Innominato che vorrebbe aiutare don Rodrigo; durante la prigionia, nel terrore per la propria sorte, Lucia fa voto di rinunciare alle nozze per sempre. Liberata, si ammala di peste, ma ne guarisce. Riesce a ricongiungersi con Renzo e a sposarlo, dopo essere stata sciolta dal voto da fra Cristoforo. Lucia reagisce alle numerose traversie con il sostegno di una fede tanto profonda quanto ignara di sottigliezze e senza perdere il candore dei suoi sentimenti.
Don Abbondio Personaggio letterario dei promessi sposi di Manzoni: un parroco debole e inetto, che per l'ingiunzione del potente e prepotente don Rodrigo rifiuta di unire in matrimonio Renzo e Lucia. Carattere pavido e gretto, ma verso il quale il Manzoni, specie dopo i gravi rimproveri che don Abbondio riceve dal cardinale Federigo Borromeo, prova, e fa provare, una sorridente indulgenza.
Don Rodrigo Personaggio letterario dei promessi sposi di Manzoni; è il prepotente signorotto che, incapricciatosi di Lucia, tenta con tutti i mezzi d'impedirne il matrimonio con Renzo; muore di peste, abbandonato dai suoi bravi tra cui il suo fidato Griso.
Perpetua è descritta come la "serva di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l'occasione". Di fronte alle paure del parroco, rappresentava talvolta il buon senso popolare.
Agnese La figura di Agnese, la madre di Lucia Mondella, è quella di una donna del popolo, poco istruita ma decisa e sempre pronta a sostenere l'amore della ragazza per il suo promesso sposo, Renzo Tramaglino.
I PERSONAGGI
Il Griso
Fra Cristoforo
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Tonio e Gervaso
L'Innominato
Gertrude
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Egidio
Il Griso È il capo dei bravi di don Rodrigo, al quale il signorotto affida incarichi delicati e commissiona imprese rischiose, come quella di rapire Lucia nella prima parte del romanzo, si intrufola in casa di Lucia e Agnese travestito da mendicante per guardare in giro e curiosare, senza che venga svelata la sua identità in seguito l'autore spiegherà con un flashback che l'uomo ha effettuato il "sopralluogo" in vista del tentativo di rapimento che si svolgerà la sera stessa. Di lui non c'è una precisa descrizione fisica e del suo passato ci viene spiegato che, dopo aver assassinato un uomo in pieno giorno, si era messo sotto la protezione di don Rodrigo e aveva guadagnato l'impunità grazie alle aderenze del nobile, per cui è diventato l'esecutore di tutte le malefatte che gli vengono commissionate "Griso" è certamente un soprannome e in dialetto lombardo significa "grigio", con probabile allusione al carattere sinistro e tetro del personaggio. Viene presentato come uno dei personaggi più odiosi del romanzo, pieno di untuoso servilismo nei confronti del suo padrone e di una certa sicumera che però, alla prova dei fatti, non sempre corrisponde alle sue reali capacità; infatti fallisce l'impresa di rapire Lucia la "notte degli imbrogli" e in seguito torna dal padrone con la coda tra le zampe , venendo rimproverato per non aver mantenuto quanto aveva promesso con tanta saccenteria.
Fra Cristoforo È uno dei frati cappuccini del convento di Pescarenico, padre confessore di Lucia e impegnato ad aiutare i due promessi contro i soprusi di Don Rodrigo, non sempre con successo: è descritto come un uomo di circa sessant'anni, con una lunga barba bianca e un aspetto che reca i segni dell'astinenza e delle privazioni monastiche, anche se conserva qualcosa della passata dignità e fierezza. Si conosce codesto personaggi grazie a Lucia che gli spiega di aver subito le molestie di don Rodrigo, e in seguito la giovane chiederà a fra Gladino di avvertire il padre di raggiungere lei e la madre prima possibile. Il personaggio compare direttamente nel capitolo 4, attraverso un lungo flashback che racconta la vita precedente di Cristoforo e le circostanze che lo indussero a farsi frate: si chiamava Lodovico ed era figlio di un ricco mercante ritiratosi dagli affari, che viveva come un nobile e aveva allevato il figlio con modi signorili il cognome del personaggio e la città non sono menzionati dall'anonimo, secondo la finzione dell'autore. Il giovane Lodovico, non accettato dagli aristocratici della sua città, era in cattivi rapporti con loro e a poco a poco era divenuto un difensore di deboli e oppressi, circondandosi di sgherri e bravacci coi quali compiva talvolta azioni inclini alla violenza. In seguito a un duello nato per futili motivi cavallereschi con un nobile noto per la sua prepotenza, Lodovico aveva ucciso il suo avversario ed era rimasto ferito egli stesso nello scontro era morto un suo fedele servitore di nome Cristoforo; portato dalla folla in un convento di cappuccini per salvarlo dalla giustizia e dalla vendetta dei parenti del morto, Lodovico aveva maturato la decisione di farsi frate e aveva poi chiesto perdono al fratello dell'ucciso, scegliendo come nome quello di Cristoforo per espiare la morte del servitore da lui indirettamente provocata il nome significa, etimologicamente, "portatore di Cristo".
Tonio e Gervaso Tonio e Gervaso sono 2 fratelli che sono stati scelti da Renzo per fare i testimoni. Tonio è il più intelligente e ha una moglie e dei figli e Gervaso è suo fratello che è un po' ignorante e poco sveglio ma una brava persona.
L'Innominato È il potente bandito cui si rivolge don Rodrigo perché faccia rapire Lucia dal convento di Monza in cui è rifugiata, cosa che l'uomo ottiene grazie all'aiuto di Egidio, suo complice e amante della monaca Gertrude: in seguito a una crisi di coscienza e all'incontro decisivo col cardinal Borromeo giunge a un clamoroso pentimento, decidendo così di liberare la ragazza prigioniera nel suo castello e di mandare a monte i piani del signorotto, che dovrà successivamente lasciare il paese e andare a Milano. L'autore non fa mai il suo nome e infatti lo indica sempre col termine "innominato", dichiarando di non aver trovato documenti dell'epoca che lo citino in maniera esplicita, tuttavia la sua figura è chiaramente ispirata al personaggio storico di Francesco Bernardino Visconti, noto bandito vissuto tra XVI e XVII secolo e passato alla storia per la sua vita turbolenta e criminosa, salvo poi convertirsi ad opera proprio del cardinal Federigo.
Gertrude la monaca di Monza È la monaca del convento di Monza dove si rifugiano Agnese e Lucia in seguito alla fuga dal paese e al fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo: detta anche la "Signora" è presentata come la figlia di un ricco ed influente principe di Milano, la quale grazie alle sue nobili origini gode di grande prestigio e di una certa libertà all'interno del convento (è il padre guardiano del convento dei cappuccini di Monza, cui le due donne si sono rivolte su suggerimento di padre Cristoforo, a condurre Agnese e Lucia da lei e a ottenere per loro la protezione della "Signora".
Egidio È il giovane scapestrato che vive a Monza in una casa attigua al convento di Gertrude, dedito a varie azioni criminali grazie anche all'appoggio di amici potenti e che intreccia con la monaca una torbida relazione clandestina, quando vede la giovane suora che passeggia in un cortile interno del chiostro e, allettato anziché intimorito dalla malvagità dell'impresa, ha il coraggio di rivolgerle il discorso. In seguito l'autore ci fa capire, in termini molto reticenti, che i due uccidono una conversa che aveva scoperto la tresca amorosa e ne seppelliscono il corpo nel convento facendo credere che sia fuggita attraverso una breccia nel muro dell'orto il fatto era narrato con maggiori particolari, anche macabri, nel Fermo e Lucia: cfr. i brani Geltrude ed Egidio, L'uccisione della suora. Apprendiamo che Egidio è compagno di scelleratezze dell'innominato, che si rivolge a lui per sapere come realizzare il rapimento di Lucia dopo che ha ricevuto l'infame incarico da don Rodrigo: il giovinastro chiede a Gertrude di fare uscire con un pretesto la giovane dal monastero e la monaca, pur riluttante e inorridita da tale richiesta, accetta di compiacerlo. Un suo sgherro segue Lucia dalla casa del suo padrone, dopo che la giovane è uscita dal monastero, precedendola sulla via dove poi finge di chiederle la strada per Monza per consentire ai bravi dell'innominato di rapirla.
I PERSONAGGI
La madre di cecilia
nibbio
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conte attilio
Azecca-garbugli
cardinalefederigo borromeo
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Pag. XX
Donna Prassede e Don Ferrante
La Madre di Cecilia è protagonista di uno dei momenti più lirici e commoventi dell'intero romanzo, durante il viaggio di Renzo a Milano sconvolta dalla peste del 1630 il giovane sta cercando di raggiungere la casa di don Ferrante e donna Prassede dove spera di trovare Lucia, che apprenderà in seguito trovarsi al lazzaretto: Renzo, da poco entrato in città, è giunto al carrobbio di Porta Nuova e si dirige verso quella che oggi è via Montenapoleone, quando vede una giovane donna uscire dall'uscio di una casa e dirigersi verso il carro dei monatti, portando in braccio il cadavere di una bambina di circa nove anni. L'aspetto della donna lascia trasparire "una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale", poiché risulta evidente che essa ha versato molte lacrime e che ha già su di sé i segni del contagio della peste; la bambina morta che porta in braccio è ben pettinata coi capelli divisi sulla fronte e indossa un vestitino bianco e lindo, come se fosse agghindata per una festa, mentre la madre la tiene col capo eretto e appoggiato a sé come se fosse ancor viva, anche se un braccio che le cade abbandonato è un chiaro indizio che la bambina è ormai spirata. Un "turpe monatto" si avvicina alla donna per prendere il corpicino della figlia, sia pure con una esitazione e una forma di rispetto inusuale per un simile figuro, ma la donna si ritrae e chiede all'uomo di poter adagiare la bambina sul carro con le proprie mani, mettendo poi una borsa con del denaro nelle mani del monatto e facendosi promettere che la bambina verrà posta sottoterra così com'è vestita, senza "levarle un filo d'intorno".
Nibbio È uno dei bravi al servizio dell'innominato, suo luogotenente e l'elemento più valido al quale il bandito affida gli incarichi più delicati dopo che il suo padrone ha accettato, sia pure con qualche remora, di aiutare don Rodrigo a rapire Lucia dal convento di Monza in cui è rifugiata sotto la protezione di Gertrude l'innominato gli ordina di andare in quella città e contattare Egidio, suo compagno di scelleratezze dal quale spera di avere sostegno. Poco tempo dopo il Nibbio torna con la risposta di Egidio, che promette che l'impresa sarà "facile e sicura" e fornisce le istruzioni per portare a termine il rapimento della ragazza, quindi l'innominato incarica il Nibbio di occuparsene e disporre tutto secondo le indicazioni del giovinastro amante della "Signora"
Conte Attilio È un aristocratico cugino di don Rodrigo, che risiede abitualmente a Milano, trascorre un periodo di villeggiatura ospite nel palazzo del signorotto: viene descritto come un nobile ozioso, che vive di rendita come il cugino e che si diverte a passare il tempo tra scherzi, sciocche dispute cavalleresche e comportamenti frivoli per approfondire: G. Barberi Squarotti, Il conte Attilio, ritratto di un'anima frivola. Di lui si parla già nel cap. III, quando Lucia racconta di averlo visto insieme a don Rodrigo allorché quest'ultimo l'ha importunata per strada e di averlo sentito ridere insieme al cugino parlando di una scommessa dunque il signorotto ha scommesso con lui che riuscirà a sedurre la giovane popolana e apprenderemo in seguito, che il termine fissato è il giorno di San Martino, l'11 novembre. Compare direttamente per la prima volta nel capitolo 5, quando padre Cristoforo va al palazzo di don Rodrigo per parlargli e lo trova a tavola con i suoi commensali, fra cui appunto il cugino: questi chiama subito a gran voce il frate quando il religioso si affaccia timidamente alla porta della sala, obbligando Rodrigo ad accoglierlo benché ne avrebbe fatto volentieri a meno, e Cristoforo verrà poi trascinato nell'insulsa disputa cavalleresca che oppone Attilio al podestà di Lecco, riguardante una sfida a duello. Il cappuccino risponderà che per lui non dovrebbero mai esservi sfide o duelli, al che il conte ribatterà che un mondo senza il "punto d'onore" sarebbe inimmaginabile nonostante la sua frivolezza, infatti, Attilio si mostra molto attaccato ai suoi privilegi nobiliari e particolarmente geloso dell'onore della propria famiglia.
Azzecca-Garbugli È un avvocato che vive a Lecco ed è intimo amico di don Rodrigo, nonché suo compagno di bagordi e complice delle sue prepotenze a cui trova spesso delle scappatoie legali: è un personaggio secondario ed è descritto come un uomo alto, magro, con la testa pelata, il naso rosso ciò è dovuto probabilmente al vizio del bere e una voglia di lampone sulla guancia. Viene introdotto quando Agnese consiglia a Renzo di recarsi da lui per chiedere un parere legale circa il sopruso subìto da parte di don Rodrigo, che ha minacciato don Abbondio perché non celebrasse il matrimonio: la donna spiega al giovane che quello di "Azzecca-garbugli" è un soprannome allude alla presunta capacità di sbrogliare le questioni giudiziarie, mentre il vero nome dell'avvocato non viene mai fatto.
Cardinale Federigo Borromeo È il cardinale arcivescovo di Milano che raccoglie la confessione dell'innominato e ne favorisce la clamorosa conversione, consentendo in tal modo la liberazione di Lucia prigioniera nel castello del bandito e una positiva svolta nella vicenda dei due promessi: la sua figura è dichiaratamente ispirata al personaggio storico di Federigo Borromeo , il patriarca milanese cugino di S. Carlo e venerato nel XVII secolo come un santo egli stesso, di cui Manzoni traccia una biografia. e per molti interpreti è sembrata una pagina di forte sapore agiografico è innegabile che il romanziere ne offra un ritratto positivo in cui prevalgono le luci, per quanto le ombre non vengano del tutto sottaciute. Divenuto sacerdote nel 1580, il Borromeo fu creato cardinale a Roma nel 1587 e usò i larghi proventi della sua casata per opere di elemosina, fino a diventare arcivescovo di Milano dove, peraltro, poté recarsi solo nel 1623 a causa dell'ostilità della Spagna. Difese il rito ambrosiano e promosse la riforma del Conclave, mentre coltivò vari interessi culturali e produsse molti scritti, nessuno dei quali significativo la sua creazione più importante fu la Biblioteca Ambrosiana, con l'annessa Pinacoteca. Durante la peste del 1630 si segnalò per il suo zelo in favore dei malati, anche se credette agli untori e promosse alcuni processi per stregoneria, fatti che contribuiscono a macchiare almeno in parte la sua biografia la sua figura è stata recentemente oggetto di nuovi studi storici.
Donna Prassede È la nobildonna milanese moglie di don Ferrante che accoglie nella propria casa Lucia dopo la sua liberazione dal castello dell'innominato, in seguito alla conversione del bandito dopo il suo incontro col cardinale Borromeo. ci viene detto che lei e il marito soggiornano in un paesetto vicino a quello dove Lucia e la madre Agnese sono ospiti in casa del sarto, proprio nei giorni successivi alla liberazione della ragazza. Il casato cui appartiene la nobildonna non viene citato col consueto espediente della reticenza dell'anonimo e l'autore la presenta come una persona estremamente bigotta, convinta di dover fare del bene al prossimo ma per puntiglio personale e senza una vera inclinazione caritatevole, per cui molto spesso si intestardisce a voler intervenire in faccende che non la riguardano, usa mezzi che non sono opportuni o leciti e talvolta impone le sue decisioni a persone che non lo richiedono e che ne farebbero volentieri a meno la sua figura risulta a tratti decisamente grottesca. Don Ferrante È il nobiluomo milanese che accoglie nella propria casa Lucia dopo la sua liberazione dal castello dell'innominato, in seguito alla conversione del bandito dopo il suo incontro col cardinal Borromeo: e la moglie donna Prassede lo incarica di scrivere una lettera al cardinale per informarlo della decisione di ospitare la ragazza, compito che l'aristocratico svolge con la consueta maestria egli è descritto fin dall'inizio come un uomo dotto e letterato, infatti nella lettera egli inserisce molti "fiori", ovvero sottigliezze retoriche da cui il Borromeo dovrà ricavare "il sugo". Il casato del personaggio non viene nominato e tale omissione è come al solito imputata alla reticenza dell'anonimo, anche se il cardinale approva la decisione di mandare Lucia nella sua casa dove, è certo, sarà al sicuro dalle insidie di don Rodrigo, benché il prelato conosca donna Prassede per essere una persona non proprio adatta all'ufficio di proteggere la ragazza, per via del suo eccessivo zelo nei confronti del prossimo. Don Ferrante viene poi descritto come un uomo che passa per essere molto dotto, anche se attraverso di lui l'autore svolge una sottile quanto corrosiva critica della cultura del Seicento, frivola e priva di profondi significati: in casa il nobile non vuole comandare né ubbidire, quindi si sottrae alla "tirannia" esercitata dalla moglie e la compiace solo quando si tratta di scrivere per lei una lettera indirizzata a un gran personaggio, per quanto anche in questo rifiuti talvolta di darle il suo aiuto. Possiede una biblioteca che conta circa trecento volumi un numero considerevole per l'epoca e nella quale l'uomo trascorre molto tempo sprofondato nelle sue letture, gloriandosi di essere esperto in vari campi del sapere: l'autore passa in rassegna le opere più significative di questa raccolta in cui emerge il carattere insulso della cultura dell'epoca, dal momento che don Ferrante risulta particolarmente versato nell'astrologia, nella filosofia antica Aristotele è ovviamente la sua autorità indiscussa, per quanto sia presente fra gli scrittori anche il contemporaneo Cardano, autore di scarsissimo peso, nella naturalistica grande spazio hanno i descrittori di mirabilia antichi e moderni, nella magia e nella stregoneria, nella storia, nella politica qui viene esaltato Valeriano Castiglione, scrittore del XVII sec. di nessun valore e soprattutto nella scienza cavalleresca, dove il personaggio viene considerato una specie di autorità è evidente la polemica del Manzoni contro la concezione distorta dell'onore e della cavalleria, fonte di tanti soprusi e ingiustizie all'epoca del romanzo. e Donna Prassede e Don Ferrante sono morti entrambi di peste.
Grazie per l'attenzione
Realizzato da Lo galbo Giulia, Elisa Restivo, Ferrante Giusepe, Puleo Nicolò e Lazzara Davide.
La Trama
La vicenda si svolge in Lombardia tra il 1628 e il 1630, al tempo della dominazione spagnola.A don Abbondio, curato di un piccolo paese posto sul lago di Como, viene imposto di non celebrare il matrimonio di Renzo Tramaglino con Lucia Mondella, della quale si è invaghito Don Rodrigo, il signorotto del luogo.Costretti dall'arroganza dei potenti a lasciare il paese natale con l'aiuto del buon frate Cristoforo, Lucia e la madre Agnese si rifugiano in un convento di Monza, mentre Renzo si reca a Milano con il vago proposito di ottenere in qualche modo giustizia.Don Rodrigo fa rapire Lucia dall'Innominato, un altro signore prepotente e rotto a tutti i delitti, ma la vista della fanciulla così ingiustamente tormentata e l'arrivo del cardinale Borromeo provocano al losco sicario una crisi di coscienza: invece di consegnare la fanciulla a Don Rodrigo, l'Innominato la libera. Intanto Renzo è arrivato a Milano mentre il popolo tumultua per la carestia e, scambiato per uno dei capintesta della sommossa, è costretto a fuggire a Bergamo.La Lombardia è straziata dalla guerra e dalla peste, ma Renzo torna a Milano per cercare la sua promessa sposa. Ritrova Lucia in un lazzaretto insieme a frate Cristoforo che cura gli infermi tra i quali, abbandonato da tutti, c'è Don Rodrigo morente.Placata la peste, dopo tante vicissitudini Renzo e Lucia possono finalmente diventare marito e moglie.