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L' ILIADE
Maria Cristina Lanzano
Created on March 12, 2025
POEMA EPICO L'ILIADE
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Transcript
L' ILIADE
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Indice
I PROTAGONISTI DELLA STORIA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
L' IRA DI ACHILLE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
TETI LA DèA DEL MARE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
IL BANCHETTO DEGLI DèI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14
IL SOGNO DEL RE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
LA SFIDA PER ELENA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
L'IMBATTIBILE DIOMEDE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .28
ETTORE E ANDROMACA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
DUELLO TRA CAMPIONI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
OMBRE NELLA NOTTE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
L'INGANNO DI ERA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
IL CORAGGIO DI PATROCLO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .50
NELLA FUCINA DEL DIO EFESTO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
UN CAVALLO PARLANTE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .60
IL DIO DEL FIUME . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .64
ETTORE E ACHILLE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
LE LACRIME DI PRIAMO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
I PROTAGONISTI DELLA STORIA
I TROIANI
I GRECI 0 ACHEI
Achille - semidio, figlio di Peleo, re di Ftia e della ninfa Teti Agamennone - re di Micene, capo della spedizione Aiace Telamonio - guerriero di statura gigantesca Diomede - re di Argo Elena - originaria di Sparta, moglie di Melenao e poi di Paride Menelao - re di Sparta e fratello di Agamennone Nestrone - sovrano di Pilo, noto per la sua saggezza Patroclo - miglior amico di Achille Ulisse (Odissea) - re di Itaca
Anromaca - moglie di Ettore Astianatte - figlio di Ettore e Andromeca Briscide - prigioniera dei Greci, protetta da Achille Crise e Criseide - sacerdote del dio Apollo e sua figlia Ecuba - regina. moglie del re di Troia Priamo Enea - capo dei Dardani, alleati dei Troiani Ettore - figlio maggiore di Priamo Paride - fratello di Ettore, si innamora di Elena Priamo - re di Troia, ha più di 50 figli
I PROTAGONISTI DELLA STORIA
GLI IMMORTALI
Ade - dio dell'oltretomba, fratello di Zeus Afrodite - dea dell'amore Artemide - dea della caccia Apollo - dio del sole, della musica e della medicina Ares - dio della guerra Atena - dea della guerra e della sapienza
Efesto - dio del fuoco Era - dea del matrimonio e del parto, moglie di Zeus Ipnos - dio del sonno Iris - messaggera degli dèi Le Muse - dee della scienza e delle arti Poseidone - dio del mare, fratello di Zeus
L'IRA DI ACHILLE
Tra le tende dell'accampamento in molti sostenevano che Apollo, dio del sole e della salute, fosse arrabbiato con i Greci e avesse seminato il flagello della peste tra i soldati. Ma perchè? Quale era il motivo della sua rabbia divina? Per capire l'origine di questa disgrazia dobbiamo fare un salto indietro nel tempo
Era l'epoca in cui gli uomini credevano nel potere degli dèi, un'era di guerrieri dagli elmi sfolgoranti, armati di scudi e di spade di bronzo. Nove lunghi anni erano passati da quando gli Achei, i Greci dei tempi antichi, erano sbarcati davanti alla città di Troia.
"Libera Criseide, lascia che riparta con me, sono pronto a pagare un ricco riscatto"
Un giorno di sole e di vento, davanti all'accampamento era comparsa una nave carica di doni. A bordo viaggiava Crise, sacerdote di Apollo e padre di Criseide, che era sceso sulla spiaggia e si era recato da Agamennone per implorarlo di restituirgli la figlia.
"Non ci penso nemmeno, tua figlia resterà con me e invecchierà al mio fianco. E ora vattene e non farti vedere mai più!"
Agamennone, il re degli Achei aveva squadrato Crise dall'alto in basso e gli aveva risposto con parole minacciose:
Con la testa bassa e le spalle curve, l'anziano sacerdote si era allontanato in silenzio. Con il volto solcato dalle lacrime aveva invocato l'interevento di Apollo.
Crise era sempre stato un sacerdote devoto, così il dio gli aveva subito dato ascolto. Era sceso dal monte Olimpo, dimora degli dèi, e aveva teso l'arco splendente scagliando le sue terribili frecce. I dardi avvelenati avevano solcato il buio della notte, sibilando con un fischio inquietante, e si erano abbattuti prima sugli animali, poi sugli uomini. E cosi, sotto quella pioggia di colpi mortali, si era propagata la peste.
"Aiutami, dio dall'arco d'argento. Punisci i Greci con le tue terribiloi frecce."
"Vi siete dimenticati di Crise, il sacerdote che era venuto da noi per chiedere indietro la figlia? Dobbiamo restituire Criseide al padre è la nostra unica possibilità."
Un giorno venne indetta un'assemblea tra i principi e i capi dell'esercito.
"Così non possiamo andare avanti. Dobbiamo scoprire perche Apollo è arrabbiato con noi!"
"Scordatelo. Non rinuncerò alla fanciulla che mi è stata data in premio;,a meno che non mi venga data una ragazza altrettanto bella. La schiava di Achille, l'affascinante Briseide."
Calcante:
Achille:
Agamennone:
Il semidio, sforzandosi di dominare i suoi sentimenti, giurò che da quel momento non avrebbe più combattuto e che lo avrebbero rimpiano amaramente quando sarebbero stati sconfitti.
"Tu sei una vergogna, Agamennone. Ti ricordo che da anni combatto per te e per dfendere l'onore di tuo fratello Menelao. Ho distrutto città e villaggi insieme ai miei guerrieri e ho dichiarato guerra ai Troiani per voi e tu così mi ripaghi? sottraendomi l'amata Briseide?
Achille:
Intanto, sulla riva del mare venne allestita una nave che riportò Criseide da suo padre. Stringendo finalmente tra le braccia la figlia, il vecchio Crise pregò di nuovo il divino Apollo e gli chiese di liberare i Greci dal flagello della peste. Quando l'aurora rischiarò l'orizzonte tingendo il cielo di rosa, i Greci si svegliarono, uscirono dalle tende e respirarono l'aria fresca del mattino. Non c'erano dubbi: la pestilenza si era fermata.
Il mare era calmo e trasparente, un'infinita distesa azzurra che si perdeva all'orizzonte. Seduto su uno scoglio, un po' distante dall'accampamento, con i capelli biondi che brillavano sotto i raggi del sole, Achille,detto “pie' veloce”, il guerriero più potente di tutta la Grecia, piangeva lacrime di rabbia. Il suo sguardo vagava lontano, gli occhi verdi erano velati dal pianto. L'eroe tese in avanti le mani e pronunciò una supplica disperata. "Madre gridò. Madre, vieni ad aiutarmi!"
"Lo sai perché. Tu sai tutto, sei una dea, mi hai sempre detto che il Fato mi ha riservato una vita breve, ma piena di gloria, invece sono stato offeso e umiliato da Agamennone, che mi ha trattato come se fossi l'ultimo degli uomini, portandomi via la mia amata Briseide."
"Perchè piangi?" "Mi recherò sulla cima del monte Olimpo e chiederò a Zeus di ascoltarmi. Tu, figlio mio, resta sempre accanto alle tue navi, conserva l'ira verso gli Achei e non tornare a combattere per loro."
Achille:
Teti:
"Vendicami, madre mia. Zeus, il signore dei tuoni, padre degli dèi, ha un debito con te. Chiedigli di intervenire in favore dei Troiani, così da sconfiggere gli Achei e ricacciarli in mare. Senza di me non potranno mai vincere: si accorgeranno del grande errore che ha fatto il loro capo recandomi offesa."
Achille:
"Mio signore, tu che tutto puoi, rendi giustizia a mio figlio. Fa' che i Troiani abbiano la meglio in battaglia; gli Achei capiranno che hanno bisogno di Achille per vincere e, per farlo tornare a combattere, saranno costretti a colmarlo di onori."
Teti:
"Gran brutta faccenda, la tua richiesta mi farà litigare con Era, la mia sposa, che parteggia per gli Achei e trova sempre tutte le scuse per darmi contro. Prometto di aiutarti e te lo confermerò con un cenno del capo; tu, però, torna negli abissi, guai se Era dovesse trovarti qui!"
Zeus:
"A quanto pare hai tramato con Teti, quella specie di pesce. Vuoi aiutare i Troiani e, per rendere onore ad Achille, non esiterai a far morire gli Achei!"
Il padre degli dèi ci aveva visto giusto. Non appena raggiunse la sala dei banchetti, un'affascinante dea dalle braccia candide e dai meravigliosi occhi screziati d'oro, così ipnotici da rimanerne incantati, si avvicinò al suo trono.
"Era, non farmi adirare! Sono stufo dei tuoi sospetti. Io faccio quello che voglio e non devo renderne conto a nessuno, nemmeno a te che sei la mia sposa."
Era:
Zeus:
"Madre, non vorrete litigare con mio padre per colpa di semplici mortali?"
Efesto:
Un dio un pò gobbo e zoppo da una gamba le si avvicinò e le offrì una coppa di dolce nettare, facendole tornare il buonumore. Era Efesto, il fabbro degli dei. Appena nato, vedendolo deforme, la madre l'aveva scagliato giù dall'Olimpo e da allora era stato allevato dalle ninfe del mare. Crescendo, era diventato un abile artigiano che realizzava oggetti, armi e gioielli preziosi...
IL SOGNO DEL RE
" Agamennone, ascoltami, devi destarti. Fai armare i tuoi guerrieri e attaccate subito la città di Troia. Il gran giorno è arrivato, la vittoria è tua. I Troiani non avranno scampo. È Zeus che lo vuole. Svegliati, su. È l'ora."
Ipnos:
Dormivano gli uomini nell'accampamento, dormivano i cavalli, gli asini, i cani, si cullavano sotto le onde i pesci e nel cielo sonnecchiavano gli uccelli... sembravano assopite persino le onde che scivolavano lentamente sulla riva. Nella sua tenda, avvolto in una spessa coperta di lana, riposava Agamennone, il volto disteso, l'aria beata. Una folata di vento gli scompigliò i lunghi capelli, ma il re degli Achei andò avanti a russare, girandosi dall'altra parte. Proprio in quel momento, svolazzando di qua e di là, leggero come un ricciolo di fumo, gli si avvicinò il dio del sonno, che gli sussurrò all'orecchio quanto gli aveva ordinato Zeus.
Il Re, con un ghigno decise di mettere prima alla prova i suoi uomini, disse a tutti che la guerra era finita e che sarebbero dovuti tornare in Grecia, curioso di vedere la loro reazione.
"Amici miei, ascoltate, il dio del sonno mi ha rivelato che vinceremo! dobbiamo prepararci allo scontro finale.
Agamennone:
Si fece avanti Ulisse, uomo di grande intelligenza e saggezza. Fino a quel momento il re di Itaca era rimasto a guardare quelli che si affannavano a tirare verso il mare le navi in secca. Non si era mosso, meditava qualcosa, finché, invisibile a tutti tranne che a lui, apparve la figura gigantesca di Atena che lo fissò con i suoi gelidi occhi celesti e lo spronò a intervenire.
"Non potete andarvene proprio ora devi convincerli a tornare indietro. Va', Ulisse, te lo ordino."
Atena:
"Siete impazziti? Non avete capito che Agamennone vuole soltanto mettervi alla prova? Non siete dei codardi, ma guerrieri valorosi, fermatevi! Resteremo qui fino alla vittoria. "
E così, incoraggiati da quelle parole, gli Achei levarono in alto le loro grida, pronti a schierarsi in battaglia. La terra rimbombava al passaggio dei cavalli. Elmi, lance e scudi sfavillavano sotto i raggi del sole, sembrava che i prati prendessero fuoco. In lontananza, di fronte all'esercito greco, svettavano le gigantesche mura della città di Troia.
Era giunta l'ora della battaglia. Schierato di fronte alle bianche mura di Troia, che risplendevano superbe nella luce del mattino, l'esercito troiano levava al cielo urla d'incitamento, battendole lance sugli scudi. Dal lato opposto, i guerrieri Achei giunti da ogni parte della Grecia, avanzavano in silenzio, mentre sotto i loro piedi si alzava una tempesta di polvere. A capo dell'esercito troiano c'era Ettore, un guerriero possente e valoroso, figlio maggiore di Priamo, l'anziano e saggio re di Troia, ma fu suo fratello Paride, con una pelle di pantera sulle spalle e l'arco ricurvo puntato in avanti, che si gettò per primo verso l'esercito nemico.
C'era un'incredibile storia nel passato del giovane Paride. Prima che nascesse, sua madre Ecuba aveva avuto un sogno premonitore: una volta diventato grande, il suo bambino avrebbe causato la distruzione di Troia. Così, appena nato, Paride era stato abbandonato in un bosco, dove un pastore l'aveva trovato e cresciuto come un figlio suo.
Un giorno, proprio in quel bosco, il ragazzo incontrò tre dee che stavano litigando su chi fosse la più bella tra loro. Erano Atena, dea della saggezza, Era, moglie di Zeus, e Afrodite, dea della bellezza, e avevano deciso che sarebbe stato un mortale a stabilirlo, consegnando una mela alla più bella. Paride scelse Afrodite e, per ringraziarlo, la dea lo rese affascinante come un dio. Bello e irresistibile, il ragazzo riuscì a conquistare Elena, regina di Sparta, che lo seguì fino a Troia e per lui lasciò il marito.
"Sciagurato, vuoi farci prendere in giro da tutti? È a causa tua se si sta combattendo questa guerra e tu fuggi? La tua grande bellezza ti fa sembrare un valoroso guerriero, invece sei un codardo!"
Ettore:
Quando Menelao, il marito di Elena, scorse Paride che avanzava sul campo di battaglia, fu preso da una rabbia feroce: in un attimo saltò giù dal suo carro e gli corse incontro, ruggendo come un leone pronto a sbranare un cervo. Alla vista di quel guerriero così temibile che correva verso di lui, Paride ebbe paura, indietreggiò e si andò a nascondere tra i compagni.
"Non ho chiesto io di essere bello, lo sai che non siamo noi a scegliere quali doni ci riservano gli dèi. Non tutti possiamo essere valorosi come te, che hai un cuore più saldo di un'ascia conficcata in un tronco, ma io mi batterò comunque in duello. Fa' che gli Achei e i Troiani si fermino, ci sfideremo solo Menelao e io. Chi vincerà, resterà con Elena."
Paride:
Appena venne a sapere del duello tra il suo amato Paride e il marito Menelao, anche Elena accorse all'esterno. Non era un caso che venisse considerata la donna più bella del mondo. Avanzava con la stessa grazia di una ninfa, le sue vesti leggere fluttuavano morbide, parevano tessute d'aria e intrecciate di raggi di sole, i suoi capelli brillavano come oro zecchino, gli occhi avevano il colore di due preziosi smeraldi. Ma il suo sguardo era triste e il suo cuore a pezzi: Elena era consapevole di essere stata la causa di quella guerra cruenta.
Nel frattempo, i due contendenti avevano indossato le armature e tirato a sorte per decidere chi avrebbe dato inizio al duello. Toccò a Paride, che subito scagliò con forza la sua lancia, colpendo lo scudo rotondo dell'avversario. Poi fu la volta di Menelao, che con un fendente riuscì a squarciare la tunica del giovane principe e iniziò a trascinarlo, tirandolo per il laccio dell'elmo.
Dall'alto dell'Olimpo, quando la dea Afrodite si rese conto che Paride rischiava di morire soffocato, immediatamente planò a terra e spezzò il laccio. Poi alzò una nuvola di polvere che avvolse completamente il suo protetto, nascondendolo agli occhi degli altri.
Il principe troiano sembrava essersi volatilizzato. Ben protetto dalla nube, Afrodite l'aveva trasportato fin dentro il palazzo di Troia e l'aveva adagiato al sicuro, tra i cuscini della camera nuziale.
Riuniti sull'Olimpo, gli dèi facevano tintinnare le loro coppe d'oro, mentre osservavano curiosi quello che stava accadendo sulla Terra. Videro Paride scomparire, la rabbia di Menelao che proclamava a gran voce la sua vittoria, la delusione degli eserciti che speravano nella fine del conflitto.
Sua moglie Era la pensava diversamente. Aveva faticato a lungo per convincere gli Achei a formare il loro grande esercito e non voleva che la guerra finisse prima della totale distruzione di Troia. Tuttavia non aveva voglia di litigare, così, per quieto vivere, accettò il volere della dea mandando sulla terra sua figlia Atena, affinchè gli eserciti tornassero a combattere.
Tra i Troiani c'era Enea, capo dei Dardani, figlio della dea Afrodite. Quando Diomede uccise un suo compagno, Enea fece di tutto per impedire agli Achei di portarne via il corpo. Riparandosi con lo scudo, cominciò a girare intorno all'amico.
Diomede, allora, alzò un enorme masso che nessun mortale sarebbe stato in grado di sollevare, se lo fece palleggiare tra le mani neanche fosse un sassolino e lo scagliò dritto contro Enea, colpendolo a una gamba.
Nella pianura davanti a Troia infuriava la battaglia. Col viso impolverato, le braccia solcate da tagli e ferite, l'armatura segnata dai colpi di spada e il mantello strappato, Ettore entrò a grandi passi nelle sale dell'immenso palazzo di re Priamo. Attraversò gli ampi saloni di pietra bianca e si mise a cercare sua moglie Andromaca. Voleva salutarla prima di rigettarsi nella mischia insieme ai suoi soldati.
Preoccupato, il principe troiano varcò altri saloni e passò dagli appartamenti di Elena, dove sorprese Paride che stava lucidando le sue armi, comodamente adagiato sui cuscini. Ettore lanciò al fratello uno sguardo di rimprovero, lo incitò a unirsi agli altri guerrieri che stavano combattendo per salvare la città e proseguì, sempre più corrucciato. Superò corridoi e portici, finché non si trovò all'aperto, sui camminamenti, delle mura che si innalzavano imponenti.
"Marito mio, non tornare in mezzo ai soldati. Gli Achei ti uccideranno. Ti prego, non ti dico di non combattere, ma fallo restando qui, sulla torre, e richiama l'esercito vicino al fico selvatico sotto le mura, dove più volte i Greci hanno cercato di entrare. Abbi pietà, non posso perderti, fallo per me e per tuo figlio."
Andromaca:
Comprendo, mia adorata, ma non posso sottrarmi al mio dovere. Là fuori i giovani troiani stanno morendo a uno a uno e io devo stare al fianco dei miei soldati. Sono un guerriero, non un vile, non voglio fuggire di fronte al pericolo."
Poi, Ettore allungò le braccia muscolose verso il piccolo Astianatte, ma il bambino affondò il volto nel petto della madre ed emise un gridolino, evidentemente intimidito da quell'omone dall'aria un po'truce. Con un tenero sorriso sulle labbra, Ettore si sfilò lo splendente elmo di bronzo sormontato da un gran pennacchio e lo posò a terra. Ora il piccolo sembrava più tranquillo. Lo prese in braccio e, sollevando lo sguardo verso il cielo, rivolse una preghiera agli dèi.
Ettore:
Detto questo, l'eroe restituì il piccolo Astianatte alla madre. Andromaca aveva il viso solcato dalle lacrime e il marito le accarezzò i capelli lucenti. "Non piangere, vita mia: se il mio destino è quello di restare vivo, nessuno potrà gettarmi nell'Oltretomba. Ma alla sorte non si può sfuggire, lo sai." E, mentre Andromaca stringeva a sé il piccolo erede al trono, Ettore si chinò a raccogliere l'elmo di bronzo. Se lo calzò in testa e si allontanò senza voltarsi indietro, con il lungo cimiero che ondeggiava al vento.
Pronti alla lotta, Ettore e Paride varcarono le Porte Scee. Appena videro i due guerrieri figli di Priamo, i Troiani ricominciarono a combattere, più agguerriti che mai. Colpi di spade, sferragliare di scudi, le lunghe lance puntate nella mischia... Lo scontro fu durissimo, tanto che, sotto l'onda impetuosa dell'esercito nemico, i Greci furono costretti a ripiegare verso la spiaggia.
Scostando un ricciolo di nuvole, dall'alto dell'Olimpo la dea Atena osservò preoccupata quanto stava accadendo e tornò a terra con un balzo. Davanti a lei, con il volto smagliante e il fisico perfetto, avvolto nella sua tunica color porpora, comparve il dio Apollo.
"Anche tu, vedo, fratellino" ribatté Atena, rigida nella sua armatura. I figli di Zeus erano tanti e tutti rivali tra loro, da sempre. "Forse hai ragione. Dimmi quello che hai in mente" lo incalzò la dea. "D'accordo, la tua proposta non mi dispiace" concluse la dea, con la schiena dritta e gli occhi che saettavano lampi abbaglianti.
Poco dopo, seguendo il consiglio degli dèi, Ettore si presentò davanti allo schieramento avversario. Vedendo il famoso eroe avvicinarsi con la lancia abbassata, i Greci smisero di combattere e si fermarono ad ascoltare.
"Achei, mi rivolgo a voi tutti. Sono qui per proporre una sfida tra me e chi di voi vorrà provare a battermi. A un patto, però: il vincitore restituirà alla famiglia il corpo di colui che perde, così che si possa organizzare un funerale degno di un eroe. Chi si fa avanti?"
Ettore:
Alla proposta seguì un silenzio imbarazzato. Gli Achei si guardavano I'un l'altro occhieggiando sotto gli elmi... A quanto pareva, nessuno voleva affrontare un rivale tanto temibile. Alla fine, dopo essere stati rimproverati dal vecchio Nestore, ben nove principi greci si offrirono volontari. Non restava che tirare a sorte. Alla fine la scelta cadde, con grande sollievo di molti, sul più colossale e possente tra quei guerrieri: Aiace Telamonio.
Un vento gelido soffiava dal mare, le onde scure gettavano grovigli di alghe sulla riva e i soldati cercavano riposo chiusi nelle loro tende. Agamennone, invece, non riusciva a chiudere occhio: si sentiva inquieto e la vittoria non gli era mai sembrata così lontana.
L'esercito greco aveva subito perdite pesantissime e, dopo nove anni di guerra, i Troiani sembravano più forti che mai. Durante una riunione tumultuosa, i capi spedizione ricordarono ad Agamennone quale fosse l'origine delle loro sciagure. "Stiamo combattendo senza Achille, il nostro guerriero più forte: per questo perdiamo!"
Agamennone rimase in silenzio, gli occhi fissi a terra, pensieroso e pieno di sensi di colpa. "E va bene, mi avete convinto, non avrei dovuto offendere Achille. Mandate una delegazione a trattare con lui." Poco dopo, Nestore, Aiace e Ulisse si recarono dal Pelide.
Mentre i messaggeri cercavano invano di convincere Achille, dall'altra parte della pianura anche i Troiani erano svegli.
Sottotitolo
"Ascoltatemi Ho seguito Agamennone fin qui e ho combattuto per lui per anni, aveva tutta la mia fiducia, ma ormai l'ha perduta. Non mi vedrete mai più in battaglia. Anzi, tornerò a casa, in Grecia, dove condurrò una vita tranquilla."
Achille:
Le sentinelle camminavano avanti e indietro e il valoroso Ettore scrutava preoccupato il bastione che gli avversari avevano costruito tanto in fretta. Così decise di mandare un suo soldato per vedere cosa stavano tramandogli Achei. Poco dopo, scivolando furtiva nel buio, un'ombra attraversò l'accampamento greco. Dolone, così si chiamava la spia, sapeva correre veloce come il vento e si era travestito con una folta pelle di lupo grigio. Tutto, però, poteva accadere in quella strana notte, tanto che Dolone si imbatté in altre due spie, ma dello schieramento avverso: erano Ulisse e Diomede, inviati da Agamennone a controllare i movimenti dei nemici.
"Guarda guarda, un lupacchiotto. Chi sei? Dicci tutto! Ora sei nostro prigioniero".
Diomede:
Poco dopo, i due Greci si avvicinarono al campo dei Tracie si fecero largo tra i soldati addormentati poi, dopo aver scavalcato un recinto, saltarono su degli splendidi cavalli dal manto bianco. "Forza, amico mio, tra poco sarà l'alba, andiamocene da qui" incalzò Ulisse. I due guerrieri spronarono i cavalli al galoppo. Intanto, i raggi d'oro del sole spuntavano dietro le montagne, annunciando l'inizio di un nuovo giorno.
L'INGANNO DI ERA
Zeus era soddisfatto. Una volta tanto le divinità dell'Olimpo avevano ubbidito al suo volere e si erano tenute lontane dalla guerra. Nel frattempo, i Troiani erano riusciti a sfondare il muro costruito dagli Achei a difesa dell'accampamento e stavano minacciando le loro navi. Non c'era soldato greco che non rimpiangesse Achille e non desiderasse vederlo tornare a combattere, proprio come la ninfa Teti si era augurata.
"Non arrendetevi di fronte all'avanzata dei Troiani! Siete forti abbastanza per poterli sconfiggere!"
Poseidone:
Veloce come il vento, quasi volasse, il carro viaggiava sopra le onde, mentre da ogni nascondiglio sbucavano i mostri marini, accorsi a celebrare il passaggio del loro sovrano. Poseidone legò i cavalli in una grotta e lasciò loro del cibo divino. Infine, si recò presso gli Achei, ormai stremati dallo sforzo di difendere le navi, avvicinandosi ad Aiace Telamonio e ad Aiace d'Oileo, due valorosi guerrieri.
Poi toccò entrambi con il suo bastone, infondendo loro una forza straordinaria e una voglia irrefrenabile di tornare a combattere.
Quando i Troiani provarono ad attaccare, gli Achei riuscirono a respingerli e lo scontro ricomincio. Le lunghe lance ripresero a volare attraverso il campo di battaglia, gli elmi a splendere tra la polvere, le armature a cozzare, le grida dei soldati a squarciare l'aria. Dall'alto, Era osservava il combattimento, felice che Poseidone parteggiasse per gli Achei, suoi protetti. Ma, seduto sulla cima di un monte, intravide Zeus. Finché suo marito avesse favorito i Troiani, per i Greci non ci sarebbe stata nessuna possibilità di vittoria.
"In questa cinta sono racchiusi tutti i miei incantesimi mettila sul petto e vedrai che neanche mio padre, Zeus, potrà resisterti."
Dea dell'amore:
E così fu. Non appena il capo degli dèi vide arrivare la bellissima Era che indossava la cinta di Afrodite, rimase completamente incantato e accolse la moglie tra le braccia. Poi, sopra la coppia divina crebbe una capanna di rami, foglie e fiori intrecciati, Zeus si distese sull'erba e cadde profondamente addormentato.
Poseidone sapeva che non c'era tempo da perdere: quello era il momento giusto per far vincere gli Achei. Gli eroi rivali si ritrovarono di nuovo uno contro l'altro. Quando Ettore attaccò il colossale Aiace Telamonio, il guerriero greco, spronato dal dio del mare, rispose lanciandogli contro un enorme masso, che lo colpì quasi a morte. I suoi compagni si affrettarono a portare via Ettore dal campo di battaglia, ma sarebbe sicuramente morto, se Zeus non si fosse svegliato e non lo avesse visto agonizzante in riva a un fiume.
"E così mi hai ingannato?
Zeus:
"Chiama Apollo, digli di far tornare le forze a Ettore, e manda Iris, messaggera degli dèi, ad avvisare Poseidone. Se non vuole incorrere nella mia ira, mio fratello deve smettere di aiutare i Greci. ho promesso a Teti di portare gli Achei a un passo dalla sconfitta, devono capire una volta per tutte che senza Achille non vinceranno mai."
Zeus:
Era si affrettò a eseguire quello che le era stato chiesto. Iris si precipitò da Poseidone, mentre Apollo, imbracciandolo scudo di Zeus ornato di mostri, serpenti e pendagli d'oro che emettevano dei suoni spaventosi, volò sul campo di battaglia. Spaventati, gli Achei si ritirarono, mentre il dio infuse nuovamente le forze a Ettore, che subito si rialzò, pronto a combattere.
Patroclo era amico di Achille ed era stato sempre al suo fianco tanto che, dopo la durissima lite con Agamennone, aveva sostenuto la decisione del Pelide e aveva abbandonato la guerra insieme a lui. Eppure, quel giorno il giovane principe entrò nella tenda di Achille con lo sguardo cupo, piangendo. Sembrava una fonte d'acqua scura che scende a cascata lungo un dirupo.
"Figlio di Peleo, i Troiani sono arrivati alla spiaggia, hanno cercato di dar fuoco alle nostre navi, vogliono annientarci. Tanti valorosi eroi sono morti e molti sono feriti gravemente. Una lancia ha raggiunto Agamennone, anche Ulisse e Diomede sono sanguinanti, i nostri medici si affannano per curare le loro ferite, ma siamo sull'orlo del disastro. Torna a combattere, ti prego."
Patroclo:
"Perché piangi? Forse hai ricevuto qualche cattiva notizia dalla Grecia?"
Achille:
"E sia, amico mio, prendi le mie armi e conduci i Mirmidoni in battaglia. Allontana i nostri nemici dalle navi: se riuscissero a bruciarle, non potremo mai più tornare in Grecia. Ma ricorda: non spingerti verso Troia, non metterti in pericolo, resta sulla spiaggia e, quando le navi saranno al sicuro, torna indietro."
Sottotitolo
Achille:
Tra urla, fragore di spade e di scudi, frecce che sibilavano nel cielo, lance che scintillavano sotto i raggi del sole con la forza di un fiume in piena, i Mirmidoni, guidati da Patroclo, riuscirono ad allontanare i Troiani dalle navi. Indossare l'armatura di Achille infondeva in Patroclo un coraggio straordinario, tanto che il giovane combatteva con una forza mai vista prima. Inseguiva i Troiani ovunque, respingendoli con rabbia, in una tempesta di polvere e sangue.
Purtroppo, preso dall'euforia del combattimento, finì per dimenticarsi delle raccomandazioni di Achille e, invece di ripiegare verso l'accampamento, continuò a spronare i cavalli sempre più in là. Quando giunse sotto le mura di Troia, scese dal carro con la spada sguainata e si lanciò contro i nemici, lanciando urla spaventose. In quel momento, quando ormai Patroclo sembrava imbattibile, un Troiano lo colpì alle spalle con la punta di una lancia. Il giovane barcollò e cadde all'indietro con un tonfo.
Poi, Ettore si chinò sul ragazzo e cominciò a spogliarlo completamente. Gli tolse la corazza, lo scudo, la lancia e la bellissima spada. Quelli non erano oggetti qualsiasi, erano le armi di Achille. Desiderava da tempo un bottino così prezioso. L'anima di Patroclo, intanto, era volata via e si era messa in viaggio verso il regno dell'Oltretomba.
In preda a una grande agitazione, Achille andava avanti e indietro nella sua tenda, oppresso da un funesto presagio. In lontananza sentiva l'eco della battaglia e non riusciva a capire perché i Troiani non si fossero già ritirati, ma soprattutto: come mai Patroclo non tornava? Era sicuro che fosse successo qualcosa di brutto.
Dalle profondità marine, sua madre Teti sentì il suo grido disperato e subito risalì in superficie.
"Figlio mio, che cosa ti rattrista? Eppure Zeus ha fatto quello che gli avevamo chiesto, farti rimpiangere dagli Achei..."
Teti:
Achille:
" È giusto, ma il mio amatissimo amico Patroclo è morto per mano di Ettore, che gli ha anche portato via le mie armi"
La sua alta figura si avviò veloce verso l'Olimpo, facendo risplendere il lungo abito argentato sotto i raggi della luna. Distrutto dal dolore, mentre sul campo di battaglia i guerrieri rivali si contendevano il corpo di Patroclo, Achille salì in cima a un terrapieno, in modo che tutti lo potessero vedere, e iniziò a gridare con quanto fiato aveva in gola. Per tre volte urlò la sua rabbia e la sua disperazione. Sentendo la voce dell'eroe dal piè veloce, la battaglia si fermò improvvisamente, e tutti si voltarono verso di lui. Achille era tornato a combattere? Si girarono a guardarlo i cavalli, ancora attaccati ai carri, si bloccarono i guerrieri achei, si impietrirono spaventati i Troiani, che si ritirarono in tutta fretta, abbandonando al nemico il corpo di Patroclo.
Intanto, Teti era arrivata alla fucina di Efesto. Non appenala vide, il dio si deterse il sudore dal volto e dal petto ricoperto di peli, indossò una tunica e si affrettò zoppicando verso la dea. Non aveva dimenticato che era stata lei a salvargli la vita, quando l'aveva scagliato giù dall'Olimpo, appena nato.
"Che cosa posso fare per te, mia amatissima dea? Farò qualsiasi cosa tu desideri."
Per primo creò uno scudo grande e massiccio, composto da cinque fasce sovrapposte, dove raffigurò il mondo intero. C'erano la terra, il cielo e il mare, il sole, la luna e tutte le costellazioni. Ci scolpì le immagini di due città, una in tempo di pace con scene di feste e banchetti, l'altra in tempo di guerra, con due eserciti contrapposti e poi campi coltivati, vigneti, mandrie di vacche dalle lunghe corna e scene di danze tradizionali.
Achille stava ancora piangendo riverso sul corpo di Patroclo, quando l'alba tinse di viola il cielo e finalmente giunse Teti, portando con sé le nuove armi forgiate da Efesto. Al solo vederle, i soldati Mirmidoni rabbrividirono, tanto apparivano minacciose, mentre in Achille si fece sempre più forte la voglia di vendetta. Prima, però, c'era una cosa che doveva fare.
Achille si avviò sulla spiaggia chiamando a gran voce gli Achei che accorsero tutti, felici che il Pelide fosse tornato tra loro. La pace con Agamennone fu presto fatta, il re riempì l'eroe di doni e diede un grande banchetto in suo onore. Inoltre, l'esercito era stanco, aveva bisogno di buon cibo e vino in abbondanza, per tornare su campo di battaglia. Ma l'animo di Achille era troppo addolorato per festeggiare, il giovane rimase in disparte, senza mangiare e senza bere, fino a quando non lo vide Zeus. Il padre degli dèi non era contento: per quanto potente, l'eroe aveva bisogno di forze per affrontare il nemico, perciò mandò sua figlia Atena sulla Terra, con il compito di infondergli il vigore necessario per il combattimento.
Quando gli Achei cominciarono a prepararsi per lo scontro, anche Achille era pronto a indossare le sue nuove armi. Si allacciò i gambali, mise la corazza, calcò sulla testa l'elmo dall'alto cimiero, imbracciò l'immenso scudo e brandì la lancia di suo padre, così pesante che nessun altro uomo riusciva a sollevarla. Al carro furono attaccati i due cavalli divini, figli dell'Arpia Podarge e di Zefiro, il più veloce dei venti: Xanto, dal manto fulvo, e Balio, dal manto pezzato. Velocissimi, erano stati donati da Zeus a Peleo, il padre di Achille, che a sua volta li aveva lasciati al figlio. Patroclo in persona si era occupato di loro e alla sua morte i due animali erano così addolorati che avevano versato fiumi di lacrime.
"Imbattibile Achille, ancora una volta ti salveremo, ma ricorda che è destino che tu venga ucciso da un uomo mortale e da un dio; neanche correndo veloci come il vento potremo evitarlo."
Cavalli:
"Xanto, Balio. Quando ne avremo abbastanza della battaglia, ricordatevi di riportarmi indietro, non lasciatemi lì, come avete fatto con Patroclo!"
Achille:
Achille, replicò in preda alla rabbia e alla malinconia, che non era compito loro ricordarglielo. Poi emise un grido potentissimo e spronò i cavalli all'attacco.
Mentre Troiani e Achei si preparavano per lo scontro, Zeus aveva convocato sull'Olimpo tutti gli dèi, le ninfe e i fiumi.
Era, Atena, Poseidone ed Efesto volarono immediatamente giù dall'Olimpo per sostenere i Greci; Ares, Apollo, sua sorella Artemide, dea della caccia, e Afrodite affiancarono i Troiani. Appena gli dèi scesero in campo, la battaglia scoppiò in tuttala sua violenza: Atena gridava, incitando l'esercito acheo, Ares rispondeva spronando quello troiano, dall'alto Zeus faceva esplodere tuoni e fulmini, Poseidone agitava le acque del mare, perfino Ade, dio dell'Oltretomba, sobbalzava sul trono.
In tutta quella confusione, ben saldo in cima al suo carro trainato da Balio e Xanto, Achille cercava furibondo di individuare Ettore nella mischia, tuttavia, istigato da Apollo, fu Enea che gli si parò davanti per sfidarlo. Poseidone, che sedeva nascosto in mezzo alle nuvole, guardò preoccupato la scena.
"Non devi batterti con il Pelide. Sappi, però, che alla sua morte nessuno ti potrà sconfiggere."
Poseidone:
"Non ti temo, Achille," rispose il principe troiano, scagliando senza paura la sua lancia contro l'avversario. E non avrebbe fallito il colpo, se Atena non avesse soffiato sull'arma, deviandone la traiettoria. Achille, allora, si avventò su Ettore, ma anche in questo caso intervenne una divinità: Apollo avvolse l'eroe troiano in una nuvola e lo trascinò via. Invano Achille provò a scagliare la sua lancia nella nebbia: Ettore era sparito. In preda a un'ira furibonda, l'imbattibile eroe rimontò sul carro, mentre i Troiani cominciarono a scappare da tutte le parti. In molti si buttarono impauriti nel fiume Scamandro.
"Ecco l'uccisore di Patroclo, il mio amico adorato. Fatti avanti, l ascia che ti spedisca nell'Oltretomba!"
Achille:
"Vai a compiere le tue imprese lontano dalle mie acque! Ormai sono piene di cadaveri e non ho neanche la forza di spingerli verso il mare"
Achille non si scoraggiò: impugnando la spada, entrò a piedi nel fiume e si gettò su chiunque si trovasse davanti. Ben presto le acque del fiume si tinsero del rosso del sangue di morti e feriti, mentre sulla superficie galleggiarono corpi, corazze, scudi ed elmi. Il Pelide sembrava una furia, continuava a colpire senza pietà, ma di fronte a tanta violenza il fiume Scamandro si ribellò.
Quando, ormai, sembrava che non ci fosse più niente da fare, Poseidone e Atena lo riportarono a riva. Non era destino che il più grande eroe della Grecia morisse nelle acque di un fiume.
Terrorizzati, ormai stanchi e privi di forze, i Troiani fuggirono verso le mura della città. Le pesanti porte vennero aperte per far entrare i soldati e poi richiuse immediatamente per proteggerli dalla furia di Achille. Un solo guerriero rimase all'esterno, in piedi, immobile come una statua, con la lancia tra le mani: Ettore. Nel frattempo, in lontananza, annunciato da un lampo abbagliante, Achille stava correndo con la velocità di un fulmine e non era difficile immaginare dove fosse diretto: cercava lo scontro col più forte tra i nemici.
Queste preghiere, però, non sortirono alcun effetto. Ettore rimase fermo, senza ascoltare gli avvertimenti dei genitori. Nell'aria si sentiva soltanto il respiro di Achille che si avvicinava con la rabbia di un leone pronto ad abbattersi sulla preda. Quando il Pelide, sfavillante d'oro grazie alla nuova armatura, gli si parò davanti, Ettore fu preso dal panico e, cosa avvero incredibile, scappò via! Correndo a più non posso, con Achille dietro, il guerriero troiano compì addirittura tre giri completi delle mura di Troia.
Intanto, sull'Olimpo, facendosi largo tra le nuvole e guardando in giù, il divino Zeus continuava a seguire le vicende degli umani.
"Non vorrai salvare il tuo protetto? Sai che non devi farlo, ormai il suo destino è segnato"
"Non ti preoccupare, figlia, non muoverò nemmeno il più piccolo ricciolo di fumo"
Atena:
Zeus:
Nel frattempo, davanti a Troia proseguiva la folle corsa dei due eroi, ma per quanto cercasse di sorprenderlo o di tagliargli la strada, Achille non riusciva a bloccare Ettore. Fu Atena in persona a intervenire.
Come molti immortali, la dea della saggezza era capace di mutare aspetto, quindi si tramutò in uno dei numerosi figli di Priamo e, così trasformata, si avvicinò a Ettore, traendolo in inganno.
E così, Ettore e Achille, i due campioni di forza, gli eroi leggendari, si trovarono uno di fronte all'altro, il troiano con addosso l'armatura sottratta a Patroclo, il greco con le potenti armi fabbricate da Efesto. Prima di cominciare lo scontro, Ettore propose un patto al suo avversario.
"Non scendo a patti con chi ha ucciso Patroclo, il mio miglior amico!"
"Se vincerò, prometto di restituire il tuo corpo agli Achei, ma tu giura che farai altrettanto. Se sarò io a morire, lascerai il mio corpo alla mia gente"
Ettore:
Il Pelide scrutò attentamente l'avversario per vedere in quale punto fosse più vulnerabile, prese la mira e lanciò. La punta della lancia trafisse Ettore nel collo e il troiano crollò a terra. Gli occhi ancora aperti, la ferita sanguinante, prima di morire il figlio di Priamo chiese ancora una volta pietà per il suo corpo, ma non venne ascoltato. Poi Achille spogliò Ettore delle armi, legò il corpo ormai esanime al suo carro e partì al galoppo, in una sfrenata corsa attorno alla città. Il valoroso guerriero era morto e tutte le speranze dei Troiani venivano trascinate nella polvere insieme a lui.
Dopo la morte di Patroclo, Achille non si dava pace. Eppure, i funerali del suo giovane amico erano stati sontuosi, le sue ceneri erano state raccolte in un'urna d'oro, i Greci avevano compiuto riti e sacrifici agli dèi ed erano state organizzate delle gare di lotta, corsa e lancio del giavellotto.
Ma quel che è peggio è che al mattino, appena il sole rischiarava l'accampamento, Achille legava il corpo di Ettore al suo carro, spronava i cavalli divini e partiva al galoppo per lunghi giri, trascinando il cadavere di quello che fino a pochi giorni prima era stato il guerriero più forte e valoroso di Troia.
Dopo diversi giorni di questo strazio, il dio Apollo si fece largo tra le nuvole dorate del monte Olimpo e andò dritto dal re degli dèi.
Nascosta in una grotta, Teti versava lacrime salate perché, come diceva la profezia, suo figlio era destinato a morire molto presto. "Gli dèi sono arrabbiati con Achille. Devi convincerlo a restituire il corpo di Ettore" le intimò Iris. Teti alzò lo sguardo argentato; era affranta, ma capiva quella richiesta. "Conosco mio figlio, ha il cuore di pietra, ma mi presta ascolto. Gli parlerò." E così, grazie all'intervento di sua madre, Achille promise che da quel momento si sarebbe comportato con onore e avrebbe reso il corpo di Ettore alla sua città.
Poi lo sconosciuto abbassò il cappuccio, scoprendo il volto anziano e canuto del re di Troia, Priamo. Achille rimase stupefatto: mai avrebbe pensato che il sovrano avesse il coraggio di presentarsi di persona nell'accampamento dei nemici.
"Hai rischiato molto venendo qui di persona. Agamennone e gli altri avrebbero potuto vederti, non avresti avuto scampo."
Achille:
"Non mi importa, ormai sono vecchio e stanco, ho un solo desiderio, ti prego, permettimi di tornare a Troia con il corpo di mio figlio"
Priamo:
La famiglia reale si riunì davanti alla pira funebre e il giorno dopo si ritrovarono tutti attorno al tumulo di pietre costruito per rendere gloria all'eroe. C'erano Ecuba, disperata, ma con lo sguardo fiero, Andromaca, con in braccio il piccolo Astianatte, poi Paride, Elena e molti altri. Pronti a intervenire nuovamente nella vita dei mortali, come al solito gli dèi seguivano la scena dall'alto. Da lì a poco la guerra sarebbe ricominciata e il pensiero mise Atena di buonumore. Nel frattempo, l'ira di Achille, che aveva causato così tante disgrazie, si era placata e sembrava disperdersi nei lapilli di fuoco che salivano verso le nuvole.
Dopo i funerali di Ettore, Greci e Troiani ripresero a combattere. La guerra terminò tempo dopo, con il terribile inganno del cavallo di Troia, escogitato da Ulisse e Diomede. Nascosti dentro un gigantesco cavallo di legno lasciato in dono ai Troiani, i soldati greci uscirono allo scoperto nella notte e assaltarono la città. Ma cosa accadde in seguito agli eroi dell'Iliade? Come era scritto nella profezia, Achille morì molto presto, dopo essere stato colpito al tallone da una freccia scoccata da Paride. Agamennone fece ritorno a Micene, ma venne ucciso nel suo palazzo. Menelao riconquistò Elena e tornò con lei a Sparta. Il re di Troia, Priamo, venne ucciso mentre pregava in un tempio. Enea riuscì a fuggire da Troia in fiamme insieme al vecchio padre e al figlioletto. In seguito, sbarcò sulle coste del Lazio e diede inizio a una nuova stirpe. Ulisse salpò verso la sua isola, Itaca, ma fu costretto a vagare per anni senza riuscire a tornare a casa. Questa, pero, è un'altra storia...