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cantoviii

miriamnappo

Created on March 3, 2025

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cantoviii

Miriam Nappo & Giorgia Aruta

TRAMA

POSIZIONE Antipurgatorio, Valetta dei principi SPIRITI ESPIATI Negligenti: trascurarono la cura dello spirito percè eccessivamente attratti dalle cose terrene PENA Devono sostare nell'Antipiurgatorio un tempo equivalente alla durata della propria vita CONTRAPPASSO Avendo tardato a pentirsi, devono attendere prima di poter iniziare il processo di espiazione dei peccati Il canto VIII del Purgatorio si apre con una delle descrizioni più suggestive del tramonto nella Divina Commedia. Dante utilizza immagini intense e malinconiche per rievocare il momento in cui il giorno declina e si accende il desiderio nei naviganti e nei pellegrini, sottolineando il legame tra l'esperienza terrena e il cammino spirituale. La scena è permeata da una dolce malinconia, e l'atmosfera serale si carica di simbolismo, evocando il passaggio dalla luce alle tenebre, dall'azione al riposo, dalla vita alla meditazione sulla morte. Mentre Dante e Virgilio si trovano nella valletta dei principi negligenti, assistono a un momento di profonda devozione: una delle anime si alza e, con le mani giunte, intona l'inno Te lucis ante, un'antifona della liturgia delle ore recitata alla sera. Questo canto, seguito dalle altre anime, esprime il desiderio di luce e protezione divina nel momento del crepuscolo, quando il buio si avvicina. Dante è talmente colpito dalla dolcezza e dalla solennità di questa preghiera che si sente come trasportato fuori da sé stesso. L'apparizione di due angeli interrompe la scena, portando un senso di sacralità e protezione. Essi scendono dall'alto con spade infuocate, ma prive di punta, a simboleggiare il loro potere divino mitigato dalla misericordia. Sono inviati dalla Vergine Maria per proteggere le anime dal serpente infernale, un chiaro riferimento al diavolo tentatore. Questo episodio riprende il tema della lotta tra il bene e il male, ma qui il male è sconfitto immediatamente: il serpente fugge al solo battito delle ali angeliche, senza bisogno di un confronto diretto. Nel prosieguo del canto, Dante incontra il giudice Nino Visconti, che lo riconosce e gli chiede di trasmettere un messaggio alla figlia Giovanna affinché preghi per lui. Il suo lamento sulla volubilità dell’amore femminile, riferito alla madre di Giovanna, evidenzia il contrasto tra gli affetti terreni, soggetti al mutamento, e l’amore divino, che invece è eterno e immutabile. Un'altra figura centrale del canto è Currado Malaspina, che si avvicina a Dante e gli chiede notizie sulla sua terra natale, la Val di Magra. Dante gli risponde con parole di grande ammirazione per la casa Malaspina, sottolineando il valore della loro ospitalità e giustizia. Currado profetizza inoltre che, entro sette anni, Dante avrà la conferma della nobiltà della sua famiglia. Il Canto VIII del Purgatorio è carico di simbolismo e momenti di intensa spiritualità: il tramonto come metafora della transizione, il canto devoto delle anime, la discesa degli angeli, il serpente che rappresenta il peccato e la tentazione, e infine il dialogo con due anime nobili che riflettono sulla caducità degli affetti terreni e sulla perennità della fama e della giustizia. Dante continua così il suo percorso di purificazione, guidato dalla fede e dalla speranza in un destino più alto.

LA PREGHIERA DELLA SERA Era ormai (già) il tramonto, l’ora del giorno che fa rivolgere (volge) il desiderio (disio) dei naviganti ai loro cari (dolci amici) e li commuove (’ntenerisce il core) nel giorno (lo dì) in cui li hanno lasciati (c’han detto... addio); ed era ormai l’ora che fa sentire pungente l’amore (d’amore punge) della propria patria al pellegrino da poco partito (novo peregrin), se ode in lontananza i rintocchi d’una campana (squilla) che pare (paia) piangere il giorno che sta calando (che si more); quando io smisi di ascoltare Sordello (incominciai a render vano l’udire) e a guardare una delle anime (alme) che, rizzatasi in piedi (surta), con un gesto della mano chiedeva silenzio per ché gli altri la potessero ascoltare (l’ascoltar chiedea con mano). Congiunse (giunse) entrambe le mani (ambo le palme) e le alzò (levò) in alto, fissando (ficcando) con gli occhi l’oriente, come se dicesse a Dio: ‘Non mi importa (non calme) d’altro all’infuori di Te’. Intonò (le uscìo di bocca) devotamente ‘Te lucis ante’ con un tono così dolce (con sì dolci note), che quasi mi dimenticai di me stesso (fece me a me uscir di mente); e le altre anime (l’altre) poi, altrettanto dolcemente e con la stessa devozione di quella (e devote), cantarono con lei (segui tar lei) l’inno intero, tenendo (avendo) gli occhi fissi verso l’Empireo (superne rote). GLI ANGELI GUARDIANI DELLA VALLETTA Aguzza la mente (ben li occhi), lettore, al vero significato di que sta scena (al vero), poiché il velo dell’allegoria (’l velo) è ora così sottile, che è facile (leggero) passarvi dentro (trapassar dentro) . Io vidi poi (poscia) quella nobile schiera di anime (essercito gen tile) guardare in alto (in sùe) in silenzio (tacito), quasi atten dendo qualcosa, timorosa (palido) e semplice nella sua umiltà (umile); e vidi provenire dal cielo (uscir de l’alto) e scendere verso il basso (giùe) due angeli che brandivano due spade infuocate (affocate), spezzate (tronche) e senza punta (private de le punte sue). Avevano vesti (erano in veste) verdi come tenere foglie appena nate (come fogliette pur mo nate), che essi traevano dietro (traean dietro) nel volo, mosse e agitate (percosse... e ventilate) dal vento prodotto dalle ali (penne). Uno dei due angeli (L’un) si fermò (a star si venne) poco sopra di noi, e l’altro si posizionò al lato opposto (scese in l’opposita sponda), così che le anime (la gente) furono racchiuse (si contenne) nel mezzo. Vedevo bene (Ben discernëa) la loro testa bionda, ma la vista si perdeva (si smarria) quando tentavo di fissare la loro faccia luminosissima, così come le facoltà sensitive (virtù) vengono travolte (si confonda) da impressioni troppo intense (a troppo).

Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core lo dì c’han detto ai dolci amici addio; 3 e che lo novo peregrin d’amore punge, se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more; 6 quand’io incominciai a render vano l’udire e a mirare una de l’alme surta, che l’ascoltar chiedea con mano. 9 Ella giunse e levò ambo le palme, ficcando li occhi verso l’oriente, come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’. 12 ’Te lucis ante’ sì devotamente le uscìo di bocca e con sì dolci note, che fece me a me uscir di mente; 15 e l’altre poi dolcemente e devote seguitar lei per tutto l’inno intero, avendo li occhi a le superne rote. 18 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, chè ‘l velo è ora ben tanto sottile, certo che ‘l trapassar dentro è leggero. 21 Io vidi quello essercito gentile tacito poscia riguardare in sùe quasi aspettando, palido e umìle; 24 e vidi uscir de l’alto e scender giùe due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue. 27 Verdi come fogliette pur mo nate erano in veste, che da verdi penne percosse traean dietro e ventilate. 30 L’un poco sovra noi a star si venne, e l’altro scese in l’opposita sponda, sì che la gente in mezzo si contenne. 33 Ben discernea in lor la testa bionda; ma ne la faccia l’occhio si smarria, come virtù ch’a troppo si confonda. 36

«Entrambi provengono dal grembo di Maria», disse Sordello, «per sorvegliare la valle, a causa (per) del serpente che arriverà da un momento all’altro (vie via)». Per cui io, che non sapevo da quale direzione sarebbe venuto il serpente (che non sapeva per qual calle), mi guardai attorno e, impaurito (tutto gelato), mi accostai alle spalle di Virgilio (a le fidate spalle). ® AVVENTO DEL BUIO E INCONTRO CON NINO VISCONTI E Sordello continuò a dire (anco): «Ora scendiamo lungo la valle (avvalliamo omai) tra i grandi personaggi (le grandi ombre) che la popolano, e parleremo con loro; sarà (fia) loro assai gradito (grazïoso) vedervi. Credo di essere disceso (ch’i’ scendesse) appena di tre passi, e fui nel punto più basso della Valletta (di sotto), e vidi un’anima (un) che mi guardava insistentemente (mirava pur me), come se si sforzasse (mi volesse) di riconoscermi (conoscer). Era già il momento (Temp’era) in cui si faceva buio (che l’aere s’annerava), ma non al punto da impedire che tra i miei e i suoi occhi si rivelasse (dichiarisse) ciò che prima (la maggior distanza) non ci faceva vedere (ciò che pria serrava). Egli venne verso di me (Ver’ me si fece) e io andai incontro a lui (ver’ lui mi fei): nobile (gentil) giudice Nino, quanto fui contento (mi piacque) di non vederti tra i dannati (non esser tra ’ rei)! Tra di noi non fu taciuta nessuna cortese formula di saluto (nullo bel salutar); poi Nino chiese: «Quando sei arrivato sulla spiaggia alle pendici (a piè) della montagna del Purgatorio (del monte) attraverso l’ampio mare (per le lontane acque)?». «Oh!», gli dissi, «sono giunto questa mattina (stamane) attra verso (per entro) i luoghi desolati (tristi) dell’Inferno, e sono ancora vivo (in prima vita), anche se, compiendo questo viaggio oltremondano (sì andando), cerco di guadagnarmi (acquisti) la vita eterna (l’altra). Non appena (come) la mia risposta fu udita, Sordello e Nin o (elli) si ritrassero (si raccolse), come gente confusa per l’imp rovviso stupore (di sùbito smarrita). Sordello (L’uno) si volse verso Virgilio, mentre Nino (l’altro) si volse verso un’anima che lì era seduta, gridandole: «Alzati (Sù), Corrado! Vieni a vedere quale miracolo (che) volle (volse) Dio, per mezzo della sua grazia». Poi, rivolgendosi (vòlto) a me: «Per quella singolare gratitudine (grado) che tu devi a Dio, che nasconde così bene (sì) la ragione prima del suo operare (lo suo primo perché), che non vi è nessuna strada per arrivare a comprenderla (che non lì è guado), quando sarai tornato nel mondo dei vivi oltre il mare (di là da le larghe onde), dì a mia figlia Giovanna che preghi (chiami) per me il Cielo (là), dove si accolgono sempre (si risponde) le preghiere degli innocenti.

«Ambo vegnon del grembo di Maria», disse Sordello, «a guardia de la valle, per lo serpente che verrà vie via». 39 Ond’io, che non sapeva per qual calle, mi volsi intorno, e stretto m’accostai, tutto gelato, a le fidate spalle . 42 E Sordello anco: «Or avvalliamo omai tra le grandi ombre, e parleremo ad esse; grazioso fia lor vedervi assai». 45 Solo tre passi credo ch’i’ scendesse, e fui di sotto, e vidi un che mirava pur me, come conoscer mi volesse. 48 Temp’era già che l’aere s’annerava, ma non sì che tra li occhi suoi e ‘ miei non dichiarisse ciò che pria serrava. 51 Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei: giudice Nin gentil, quanto mi piacque quando ti vidi non esser tra ‘ rei! 54 Nullo bel salutar tra noi si tacque; poi dimandò: «Quant’è che tu venisti a piè del monte per le lontane acque?». 57 «Oh!», diss’io lui, «per entro i luoghi tristi venni stamane, e sono in prima vita, ancor che l’altra, sì andando, acquisti». 60 E come fu la mia risposta udita, Sordello ed elli in dietro si raccolse come gente di sùbito smarrita. 63 L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse che sedea lì, gridando: «Sù, Currado! vieni a veder che Dio per grazia volse». 66 Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado che tu dei a colui che sì nasconde lo suo primo perché, che non lì è guado, 69 quando sarai di là da le larghe onde, dì a Giovanna mia che per me chiami là dove a li ‘nnocenti si risponde. 72

Non credo che sua madre mi ami ancora, dopo che (poscia) svestì (trasmutò) le bianche bende della vedovanza (per rispos arsi), bende che (le quai) dovrà (convien), misera!, ancora rim piangere (ancor brami). Dal suo esempio (Per lei) si comprende facilmente (di lieve) quanto poco dura, nelle femmine, la fiamma dell’amore (foco d’amor), se non è mantenuta viva (se... spesso non l’accende) dallo stimolo dei sensi (l’occhio o ’l tatto). Non le farà molto onore nella sepoltura (sì bella sepultura) lo stemma gentilizio del secondo marito, la vipera che l’esercito milanese inalbera nell’accampamento (la vipera che Melanesi accampa), come avrebbe (avria) invece fatto il gallo, stemma dei Visconti di Gallura (il gallo di Gallura)». Così diceva, portando impresso (segnato de la stampa) nel volto (nel suo aspetto) quel giusto sdegno (dritto zelo) che discreta mente (misuratamente) arde (avvampa) nel suo cuore (in core avvampa). LE TRE STELLE I miei occhi ansiosi di vedere (ghiotti) si rivolgevano (andavan) continuamente (pur) al cielo, proprio (pur) là dove le stelle ruotano più lentamente (son più tarde), come la ruota nei punti più vicini all’asse (più presso a lo stelo). E Virgilio (’l duca mio) mi chiese: «Figlio mio, che guardi lassù?». E io gli dissi: «Guardo quelle tre stelle (tre facelle) da cui è illuminato (arde) tutto il polo australe (’l polo di qua)». Ed egli mi rispose: «Le quattro stelle splendenti (chiare) che vedevi stamattina sono scese oltre l’orizzonte (son di là basse), e queste tre sono salite occupandone la posizione (ov’ eran quelle)». ®GLI ANGELI METTONO IN FUGA IL SERPENTE Mentre (Com’) egli parlava, ecco che (e) Sordello lo attirò (il trasse) a sé, dicendogli: «Guarda là il demonio (nostro avversa ro)»; e lo indicò col dito (drizzò il dito) perché Virgilio guarda sse in quella direzione (’n là). Dalla parte in cui la piccola valle (la picciola vallea) è aperta verso il sottostante pendio (non ha riparo), c’era un serpente (biscia), simile a quello che diede a Eva il cibo della perdizione (cibo amaro). La malvagia serpe (la mala striscia) avanzava (venìa) tra i fiori e l’erba, volgendo di quando in quando (ad ora ad or) la testa, e leccandosi il dorso (dosso) come un animale che si liscia il pelo. Io non vidi, e perciò (però) non lo posso riferire (dicer non posso), in che modo gli angeli (astor celestïali) si mossero contro il serpente, ma li vidi bene mentre gli si avventavano contro (l’uno e l’altro mosso). Sentendo le verdi ali che facevano vibrare (fender) l’aria, il serpente fuggì, e gli angeli tornarono indietro (dier volta), riportandosi con volo simultaneo e uniforme (rivolando iguali) nella loro posizione in alto (suso a le poste). vv 94-108 vv 85-93 369 Canto VIII

Non credo che la sua madre più m’ami, poscia che trasmutò le bianche bende, le quai convien che, misera!, ancor brami. 75Per lei assai di lieve si comprende quanto in femmina foco d’amor dura, se l’occhio o ‘l tatto spesso non l’accende. 78 Non le farà sì bella sepultura la vipera che Melanesi accampa, com’avria fatto il gallo di Gallura». 81 Così dicea, segnato de la stampa, nel suo aspetto, di quel dritto zelo che misuratamente in core avvampa. 84 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, sì come rota più presso a lo stelo. 87 E ‘l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?». E io a lui: «A quelle tre facelle di che ‘l polo di qua tutto quanto arde». 90 Ond’elli a me: «Le quattro chiare stelle che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov’eran quelle». 93 Com’ei parlava, e Sordello a sé il trasse dicendo:«Vedi là ‘l nostro avversaro»; e drizzò il dito perché ‘n là guardasse. 96 Da quella parte onde non ha riparo la picciola vallea, era una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 99 Tra l’erba e ‘ fior venìa la mala striscia, volgendo ad ora ad or la testa, e ‘l dosso leccando come bestia che si liscia. 102 Io non vidi, e però dicer non posso, come mosser li astor celestiali; ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. 105 Sentendo fender l’aere a le verdi ali, fuggì ‘l serpente, e li angeli dier volta, suso a le poste rivolando iguali. 108 L’ombra che s’era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quello assalto punto non fu da me guardare sciolta. 111 «Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant’è mestiere infino al sommo smalto», 114 cominciò ella, «se novella vera di Val di Magra o di parte vicina sai, dillo a me, che già grande là era. 117

® COLLOQUIO CON CORRADO MALASPINA. PROFEZIA DELL’ESILIO L’ombra che si era avvicinata (raccolta) al giudice Nino quand egli l’aveva chiamata, per tutto il tempo dell’attacco del serpente (per tutto quello assalto) mai (punto) non distolse lo sguardo da me (non fu da me guardare sciolta). «Possa, come io ti auguro (Se), la luce della grazia divina (la lucerna) che ti conduce (mena) verso l’alto, trovare (truovi) nel tuo libero arbitrio tanto nutrimento (cera) quanto è necessario (quant’è mestiere) per giungere fino al Paradiso terrestre (sommo smalto)», cominciò a dirmi quell’anima, «se hai qualche notizia certa (novella vera) della Val di Magra o dei luoghi limitrofi (parte vicina), dimmelo, che in quella terra fui uomo potente (già grande là era). Mi chiamai Corrado Malaspina; non sono il vecchio (l’antico), ma un suo discendente (di lui discesi); ai miei familiari (a’ miei) rivolsi (portai) quell’amore eccessivo (l’amor) che qui si purifica (raffina). «Oh!», gli dissi, «non ebbi mai modo di soggiornare nelle vostre terre; ma c’è un luogo in tutta Europa (ma dove si dimora per tutta Europa) in cui essi non siano conosciuti (sien palesi)? La fama che onora la vostra stirpe (casa) celebra ovunque a gran voce (grida) il nome dei signori e quello delle loro terre (la contrada), così che è conosciuta anche da chi ancora non vi è stato (non vi fu ancora); e io vi giuro, possa io salire sulla cima della montagna (s’io di sopra vada), che la vostra nobile famiglia (vostra gente onrata) non ha perso (non si sfregia) l’ornamento (pregio) della liberalità (de la borsa) e del valore guerriero (de la spada). Anzi, la pratica consueta (Uso) e la disposizione naturale (natura) la privilegiano tanto che, sebbene (perché) il mondo volga (torca) il capo dove non dovrebbe (il capo reo), è la sola che procede per la via giusta (va dritta) e disprezza la via del male (’l mal cammin)». E Corrado: «Ora è tempo che tu vada; il sole non si ricoricherà (non si ricorca) sette volte nel letto che l’Ariete (Montone) occupa (cuopre), inforcandolo (e inforca), con le quattro zampe (piè), che questa tua favorevole (cortese) opinione sulla mia famiglia ti sarà inchiodata (chiavata) in testa con chiodi (chiovi) ben più convincenti delle parole altrui (d’altrui sermone), a meno che non si fermi (non s’arresta) il corso degli eventi stabilito dal decreto divino (giudicio)».

L’ombra che s’era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quello assalto punto non fu da me guardare sciolta. 111 «Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant’è mestiere infino al sommo smalto», 114 cominciò ella, «se novella vera di Val di Magra o di parte vicina sai, dillo a me, che già grande là era. 117 Fui chiamato Currado Malaspina; non son l’antico, ma di lui discesi; a’ miei portai l’amor che qui raffina». 120 «Oh!», diss’io lui, «per li vostri paesi già mai non fui; ma dove si dimora per tutta Europa ch’ei non sien palesi? 123 La fama che la vostra casa onora, grida i segnori e grida la contrada, sì che ne sa chi non vi fu ancora; 126 e io vi giuro, s’io di sopra vada, che vostra gente onrata non si sfregia del pregio de la borsa e de la spada. 129 Uso e natura sì la privilegia, che, perché il capo reo il mondo torca, sola va dritta e ‘l mal cammin dispregia». 132 Ed elli: «Or va; che ‘l sol non si ricorca sette volte nel letto che ‘l Montone con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, 135 11 che cotesta cortese oppinione ti fia chiavata in mezzo de la testa con maggior chiovi che d’altrui sermone, se corso di giudicio non s’arresta». 139

ASPETTO STILISTICO E METRICO

Dal punto di vista metrico, il canto è scritto in terzine dantesche (ABA BCB CDC...), una forma che Dante ha reso celebre e che, in questo contesto, conferisce al canto un ritmo fluido e armonico. Ogni terzina è composta da versi endecasillabi, che, oltre a garantire musicalità, permettono una grande elasticità nell’espressione del pensiero filosofico e teologico di Dante. La scelta dell'endecasillabo è fondamentale per il contenuto spirituale e riflessivo del Purgatorio, dando a Dante l’opportunità di sviluppare un linguaggio sobrio e profondo. In sintesi, il Canto VIII è un perfetto esempio della maestria di Dante nell'unire forma metrica rigorosa e linguaggio simbolico, creando una narrazione che riflette le tematiche morali e teologiche dell'opera.

Il Canto VIII del Purgatorio di Dante si presenta con una struttura stilistica e metrica ben definita. Stilisticamente, il canto ha un tono solenne e meditativo, dove Dante usa un linguaggio ricco e preciso, che evidenzia la spiritualità e la riflessione morale. Le descrizioni dei luoghi e delle anime sono cariche di simbolismo e allegoria, come nel caso di Corrado Malaspina, che incarna l'ideale del cavaliere virtuoso ma anche il principe negligente. In particolare, il dialogo tra Dante e i vari personaggi, come Nino Visconti e Corrado Malaspina, si caratterizza per un linguaggio elevato e cortese, che sottolinea la riflessione sulla giustizia divina.

Corrado Malaspina

Nino Visconti

Il v. 3 ha valore di compl. di tempo («il giorno in cui hanno detto addio ai dolci amici»), anche se alcuni (Tommaseo, Pagliaro) lo hanno interpretato come sogg. di volge, 'ntenerisce e punge. La squilla del v. 5 è probabilmente la campana che indica l'ultima ora canonica di compieta, quando cioè si recitava l'inno Te lucis ante e anche il Salve, Regina intonato dalle anime nel Canto precedente. Si è pensato al suono serale dell' Ave Maria, ma non è certo che quest'uso fosse già presente in Italia quando questi versi furono scritti. I vv. 19-21 avvertono il lettore di aguzzare lo sguardo al vero della rappresentazione allegorica, perché il velo dell'allegoria è così sottile (cioè la differenza tra vero e allegoria è talmente minima) che è facile trapassar dentro, ovvero confonderli. Il v. 37 (Ambo vegnon del grembo di Maria) vuol forse dire che i due angeli vengono dall'Empireo, ma non è escluso che sia proprio Maria a inviarli lì, visto che la preghiera Salve, Regina era rivolta a Lei. Le bianche bende citate al v. 74 erano indossate dalle vedove intorno al capo sulle vesti nere, in segno di lutto. Il v. 80 (la vipera che Melanesi accampa) vuol dire «lo stemma (una biscia che divora un saraceno) che fa accampare i Milanesi», che cioè li rappresenta; alcuni mss. leggono 'l Melanese, riferito a Galeazzo Visconti, che diventerebbe soggetto di accampa («lo stemma che il Visconti ha nel campo del suo stemma»). Suso a le poste (v. 108) vuol dire probabilmente «alle loro sedi celesti», ma altri pensano ai lati della valletta dove gli angeli sono di guardia. Il sommo smalto (v. 114) è molto probabilmente l'Eden, detto così perché posto sulla cima del monte e smaltato di fiori; altri pensano al Paradiso Celeste. Il pregio de la borsa e de la spada (v. 129) è il pretz provenzale, ovvero l'onore cavalleresco che è costituito da liberalità (borsa) e da virtù guerresca (spada). Al v. 131 il capo reo può essere sogg. o ogg. di torca, ma è più probabile la seconda ipotesi («per quanto il mondo volga il capo dove non dovrebbe»). I vv. 133-135 vogliono dire letteralmente che il sole non entrerà in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, nella quale si trova adesso, più di sette volte (non passeranno più di sette anni).

NOTE E PASSI CONTROVESI

Nel Canto VIII del Purgatorio, la legge del contrappasso si manifesta in modo diverso rispetto all’Inferno. Nel Purgatorio, infatti, le anime non subiscono una punizione eterna e dolorosa, ma una purificazione proporzionata alle loro colpe, che le prepara alla salvezza. In questo canto, Dante incontra i principi negligenti, anime di nobili e potenti che, pur essendo stati virtuosi, hanno ritardato il pentimento in vita. Per contrappasso, essi si trovano nell’Antipurgatorio, dove devono attendere prima di iniziare il vero percorso di purificazione. Il loro peccato di negligenza è punito con un periodo di attesa tanto più lungo quanto più tardi si sono pentiti in vita. Un altro elemento simbolico è la presenza del serpente, che richiama il peccato e il pericolo. Gli angeli, che lo cacciano con le spade, simboleggiano la protezione divina e la purificazione necessaria per superare la colpa della negligenza. Questo rafforza l'idea che, nel Purgatorio, la pena non è solo una sofferenza, ma un processo di redenzione. Dunque, nel Canto VIII il contrappasso si manifesta nella condizione di attesa dei principi negligenti, riflettendo la loro colpa con una punizione che non è punitiva come nell’Inferno, ma educativa e purificatrice.

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