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ORLANDO FURIOSO, immagini
ex. john doe
Created on February 23, 2025
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Transcript
Opere e riferimenti contemporanei: il tema del labirinto
Federico Amato, Giacomo Bianchini, Leonardo Grillotti, Ulisse Marazzini, Alessandro Ricci, Anna Romanelli
ORLANDO FURIOSO
FI L M
AR T E
VI
III
Labyrinth - Dove tutto è possibile (1986)
Shining (1980)
II
La signora di Shanghai (1947)
IV
Maurits Cornelis Escher
Maestro di Tavarnelle
Gustave Doré
INDICE
Gustave Doré
Le due opere qui presentate sono contenute nell’edizione dell’Inferno di Dante risalente al 1861, illustrata dal pittore ed incisore francese Gustave Doré. Queste incisioni sono due delle moltissime all'interno della sua versione della Commedia dantesca, e raffigurano entrambe l'ambiente forse più conosciuto tra tutti quelli descritti nell'intero poema: la selva.
Dante nella selva
Dante si trova nel mezzo del cammin della sua vita: nell'illustrazione di Doré è solo ed impaurito in mezzo ad alberi tetri; si guarda le spalle. Ai suoi piedi un groviglio di rovi ed erbacce occupano il primo piano della scena, mentre -più scuri- gli alberi intorno a lui compongono uno sfondo cupo, che nasconde ogni insidia a cui Dante ha dovuto, deve, e dovrà far fronte.
Dante e Virgilio nella selva
Questa incisione ha come soggetti il fiorentino e il suo maestro; Dante e Virgilio si avviano verso la tanto agognata fine della selva. La luce, che nell'opera precedente contornava solo la figura di Dante, è qui più presente: Dante ha nuovamente trovato la speranza, grazie a Virgilio, ed è pronto a redimersi.
Come è noto a chiunque abbia anche solo sentito parlare del primo canto dell’Inferno, la selva oscura di cui parla il fiorentino è il luogo dove la sua anima è intrappolata, avvinghiata con il peccato come i rovi con i rami delle querce. Ma il poema di Dante non è l'unica opera in cui la selva occupa un ruolo fondamentale. Ariosto, nel suo Orlando furioso, si avvale del luogo tetro come prima ambientazione del testo. Nel primo canto, infatti, la bella Angelica è in fuga da due indesiderati paladini che aspirano -come tutti gli altri- a possederla.
Nell'OrlAndo FuRioso
Maestro di Tavarnelle
Quest'immagine è il particolare di un'opera che ha come autore un pittore anonimo, il cui nome convenzionale è Maestro di Tavarnelle o Maestro dei Cassoni Campana. Quest'olio su tavola risale al sedicesimo secolo (1510-1515 circa), e rappresenta il gran finale del celebre mito di Teseo; il giovane eroe Ateniese sconfigge il minotauro, creatura per metà uomo e per metà toro che fu rinchiuso da Minosse nel labirinto di Creta, costruito precedentemente da Dedalo.
Il labirinto non rappresenta solo la vera e propria restrizione che il minotauro subisce, bensì è anche simbolo della paura del diverso, dell’ignoto e talvolta della fortuna; e ancora, del percorso che l'uomo intraprende per purificarsi, per sconfiggere qualcuno o qualcosa; e finalmente uscire dal labirinto significa vittoria, rinascita. Questa cosa Ariosto la sa bene; nel dodicesimo canto, Orlando, dopo aver vagato nei labirinti della geografia epica alla ricerca dell’amata Angelica, scorge un cavaliere che la sta rapendo: gettatosi al suo inseguimento, viene attirato in un castello, costruito con arti antiche dal mago Atlante. Qui le dame e i cavalieri che vi entrano inseguono perpetuamente il miraggio di ciò che più bramano, senza poter più uscire. Ad esempio, con ironia, Ariosto ci mostra che il sogno più grande di Orlando non è tanto conquistare Angelica, quanto essere considerato da lei il suo salvatore. Anzi, il salvatore di quella verginità che desidera che la donna abbia preservato per lui, ma su cui avrà forse anche egli stesso qualche dubbio…
Nell'OrlAndo FuRioso
Maurits Cornelis Escher
Forse l'opera più famosa dell'artista olandese, Relatività -realizzata nel 1953- raffigura un ambiente dove si muovono e vivono personaggi simili a pedoni di scacchi. Nel luogo in cui essi si trovano, una parete diventa un pavimento, una finestra una botola, e persino le scale cambiano verso a seconda di come vengono viste e vissute. Infatti, lo spazio viene anzitutto vissuto dai personaggi. Sono proprio loro che, con l’impressione del movimento e dell’azione, danno l’idea del punto di fuga, della prospettiva (o meglio: della molteplicità di prospettive).
Il fascino dell'opera di Escher è proprio il paradosso. Un’immagine unica, ma in migliaia di copie, che rappresenta una scena impossibile perché composta da più scene possibili contemporaneamente. Perdersi nel paradosso è facile, a volte anche rilassante, perché ci porta a seguire un movimento perpetuo dove non si ritrova più l’inizio del ragionamento e non si vede la motivazione della fine. Ci perdiamo nel moto lento di un mondo immaginario in cui tutto è relativo: non esiste un unico punto di vista. Analogamente, nell’Orlando furioso, i personaggi sono totalmente in balia della fortuna o del caso, quasi mancassero di forza di volontà. Nell’inseguire l’oggetto dei loro desideri, si lasciano trascinare dagli eventi e coinvolgere in nuove avventure, allontanandosi così ulteriormente dai propri obiettivi. Spesso essi si rivolgono a questa fortuna umanizzata, indirizzandosi a lei come una vera e propria persona, lamentandosi e porgendole le proprie rimostranze, in una specie di monologo sulle proprie sventure.
Nell'OrlAndo FuRioso
"La signora di Shanghai" (1947)
L'immagine proposta è un fotogramma dalla pellicola del secolo scorso, diretta da Orson Welles. Il film, tratto dal romanzo L'altalena della morte o Se muoio prima di svegliarmi (If I Die Before I Wake) di Sherwood King, era perlopiù un esperimento: lo stesso Welles non aveva compreso appieno la trama a realizzazione cinematografica terminata, o comunque la riteneva confusionaria. Lo stesso vale per la colonna sonora, che è stata composta in fretta e senza troppa cura, appiccicata alle scene senza una logica precisa. La bravura degli interpreti, però, ha tenuto in piedi il ritmo del film, che è stato apprezzato dalla critica.
Il labirinto risulta essere un'ottima metafora anche in molti film d'epoca, come quello preso ad esame. L'ultima scena è infatti ambientata all'interno di un labirinto di specchi in un parco abbandonato. La scelta del luogo rende efficacemente la confusione dei personaggi, che hanno appena vissuto un giallo difficile da decifrare. In questo labirinto vi sono due personaggi che cercano di uccidersi a vicenda, ma non riescono a identificare quale sia la persona reale e quale la sua immagine riflessa ripetutamente in centinaia di specchi. Questa rete di inganni visivi racchiude in sé tutta la trama dei film, che si articola intorno a misteriosi omicidi ed intrighi che si sbrogliano solo alla fine, quando finalmente i colpi vanno a segno. Il duello che Ariosto descrive nel primo canto non è poi così distante dalle sequenze cinematografiche descritte: Rinaldo e Ferraù si scontrano in modo accanito, ma vano; entrambi feriscono ed entrambi sono feriti. Alla fine non prevale l'eroico vincitore di stampo classico, bensì i due pretendenti scendono a patti per tornare all'inseguimento della donna desiderata.
Nell'OrlAndo FuRioso
L'immagine a sinistra è presa dall'ormai cult "Shining" del 1980, diretto da Stanley Kubrick. Il protagonista del film, Jack Torrance (Jack Nicholson) è un onesto romanziere, che per curare il suo improvviso blocco dello scrittore decide di accettare un posto come guardiano invernale dell'Overlook Hotel, sui monti del Colorado. Si trasferirà quindi nel suddetto albergo con sua moglie Wendy e suo figlio Danny. L'isolamento del posto, il fallimento letterario, e le strane presenze porteranno Jack ad impazzire, e a cercare di uccidere la sua famiglia.
"Shining" (1980)
Il concetto di labirinto nel corso della pellicola è duplice. Troviamo il luogo letterale; il labirinto vero e proprio, dove alla fine del film si arriverà al culmine della tensione, la quale sfocerà in un finale agghiacciante. Tuttavia, in seguito ad una lettura più profonda, metaforica, si può identificare il medesimo concetto anche nell'hotel stesso. Infatti, Kubrick rappresenta l'Overlook Hotel proprio come un labirinto, un luogo quasi infernale dove è impossibile trovare un'uscita, rimanendo perennemente isolati dal resto del mondo. Un luogo che all'apparenza sembra meraviglioso ed unico, ma che sotto sotto nasconde delle oscurità che sarebbe stato meglio non vedessero mai la luce. Idea simile è presente anche nell'Orlando furioso; infatti Ariosto non descrive la selva come oscura e selvaggia, ma come piacevole alla vista, rigogliosa, ed in fondo attraente; ma sappiamo che questo apparente locus amoenus porterà la pazzia e la perdita del senno al nostro protagonista, ingannato dalla superficialità.
Nell'OrlAndo FuRioso
La scena proposta viene da Labyrinth - Dove tutto è possibile; un film fantasy del 1986, diretto da Jim Henson, che racconta la storia di Sarah, un’adolescente che passa il suo tempo a recitare parti di un libro (Il Labirinto) ma non riesce mai a ricordarne il passaggio finale, quando la protagonista si libera dell’influenza del cattivo di turno. Il tema principale della storia è la ricerca, la ricerca della propria strada e di una nuova consapevolezza di sé.
"Labyrinth [...]" (1980)
Nel film, come il titolo fa giustamente intuire, la presenza di labirinti è fondamentale. Non è uno solo, infatti, il percorso a tentoni che Sarah (Jennifer Connelly) deve affrontare per recuperare suo fratello, rapito dal Re dei Goblin (David Bowie). Oltre che una palese citazione ad Escher, il labirinto nella pellicola è metafora della tortuosità della vita. Come la vita stessa, non è privo di tranelli ed ingiustizie. Così come Sarah non si sarebbe mai immaginata di finire in un luogo pieno di creature bizzarre ed inquietanti, o di dover sostenere un percorso sfiancante tra le grinfie di un capellone effeminato vestito in pelle, Orlando non si sarebbe certo aspettato di vedersi soffiare in un batter d'occhi la donna bramata e corteggiata per anni... per la mano involontaria ed inconsapevole d'un semplice fante musulmano: oltre al danno anche la beffa!
Nell'OrlAndo FuRioso
GRAZIE PER L'ATTENZIONE
«Disse al pagan: «Me sol creduto avrai,e pur avrai te meco ancora offeso: se questo avvien perché i fulgenti rai del nuovo sol t’abbino il petto acceso, di farmi qui tardar che guadagno hai? che quando ancor tu m’abbi morto o preso, non però tua la bella donna fia; che, mentre noi tardiam, se ne va via.»[Orlando furioso, I, 19]
«Poi che s’affaticar gran pezzo invanoi dui guerrier per por l’un l’altro sotto, quando non meno era con l’arme in mano questo di quel, né quel di questo dotto; fu primiero il signor di Montalbano, ch’al cavallier di Spagna fece motto, sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco, che tutto n’arde e non ritrova loco.» [Orlando furioso, I, 18]
«Angelica e Medor con cento nodilegati insieme, e in cento lochi vede. Quante lettere son, tanti son chiodi coi quali Amore il cor gli punge e fiede. Va col pensier cercando in mille modi non creder quel ch’al suo dispetto crede: ch’altra Angelica sia, creder si sforza, ch’abbia scritto il suo nome in quella scorza.»[Orlando furioso, XXIII, 103]
«'l fior virginal cosí avea salvo,come se lo portò del materno alvo» [Orlando furioso, I, 55] «Forse era ver, ma non però credibilea chi del senso suo fosse signore» [Orlando furioso, I, 56]
«La donna il palafreno a dietro volta,e per la selva a tutta briglia il caccia; né per la rara più che per la folta, la più sicura e miglior via procaccia: ma pallida, tremando, e di sé tolta, lascia cura al destrier che la via faccia. Di sù di giù, ne l’alta selva fiera tanto girò, che venne a una riviera.»[Orlando furioso, I, 13]
«Fu allora per uscir del sentimento,sí tutto in preda del dolor si lassa. Credete a chi n’ha fatto esperimento, che questo è ’l duol che tutti gli altri passa. Caduto gli era sopra il petto il mento, la fronte priva di baldanza e bassa; né poté aver (che ’l duol l’occupò tanto) alle querele voce, o umore al pianto.» [Orlando furioso, XXIII, 112]