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Villa Emo, Palladio
Luca Agostini
Created on November 29, 2024
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Transcript
La storia
Villa Emo è una villa veneta realizzata nei pressi di Fanzolo, a Vedelago, in provincia di Treviso, dall'architetto Andrea Palladio.[1] L'opera, costruita probabilmente a partire dal 1558-1559,[1] fu commissionata dalla famiglia Emo di Venezia, di cui è rimasta proprietà fino al 2004. È una delle più compiute ville palladiane, costruita quando Palladio realizzava edifici simili già da vent'anni. Nella progettazione della villa sono state utilizzate le stesse proporzioni matematiche, sia in elevazione che nelle dimensioni delle stanze, impiegate da Palladio per il resto della sua opera. Dal 1996 è stata inserita dall'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità, assieme alle altre ville palladiane del Veneto e a Vicenza "città del Palladio" La collocazione di Villa Emo nell’ampia proprietà è incentrata su due direttrici tra loro perpendicolari, una orizzontale, costituita dalla villa stessa, e una verticale costituita dal viale, in origine completamente alberato di pioppi, che nel XVI secolo rappresentavano un importante segnale stradale per i viaggiatori di passaggio nelle terre della famiglia Emo. Dal punto di vista architettonico, nel prospetto della villa si impone subito alla vista il corpo centrale.
La facciata
L’intera facciata è collocata sopra un alto basamento, il quale è collegato alla corte centrale da una rampa d’accesso, dalla quale si intuisce la vocazione agricola del complesso. La rampa era necessaria per mettere i prodotti ad asciugare e seccare al sole e facilitarne il trasporto ai granai. Il corpo centrale è leggermente aggettante rispetto all’asse delle due barchesse e caratterizzato dai tratti distintivi della facciata classica come il pronao del tempio greco (Pantheon), ossia le quattro colonne, qui di ordine dorico, e il frontone decorato. Il pronao si presenta sobrio e privo di decorazioni, quasi a sposare la pulizia formale tipica dell’ordine dorico, mentre il frontone si concede l’inserimento decorativo di due Vittorie alate, che reggono lo stemma araldico della famiglia Emo, caratterizzato, come si può notare all’interno del corpo nobile, da quattro fasce inclinate e alternate nei colori del rosso e dell’argentato.
Il timpano
Come nella coeva e poco distante Villa Barbaro di Maser, il timpano del frontone di Villa Emo è decorato ad opera dello scultore di origine trentina Alessandro Vittoria. Se a Villa Barbaro il Vittoria opera per una soluzione fastosa fuori dai canoni geometrici e spaziali, probabilmente anche su richiesta della dotta committenza dei fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, con due sculture decisamente aggettanti e l’inserimento di una scritta nell’architrave del timpano, a Villa Emo il suo intervento si fa più contenuto ed equilibrato.
Le barchesse
Le barchesse est e ovest, ovvero le due lunghe ali laterali porticate che partono dal corpo nobile della villa, rappresentano il fulcro dell’azienda agricola: si tratta di due corpi di uguale misura, entrambi ritmati da undici grandi archi a tutto sesto, per ogni barchessa. Nel progetto del Palladio, visibile nel trattato I Quattro Libri dell’Architettura, gli undici archi presenti in ogni lato univano soltanto prospetticamente la villa, poiché in realtà i corpi laterali e quello centrale erano tra loro separati per la misura di ben tre campate. Palladio costituisce in questo modo, un collegamento meramente ottico tra i due elementi caratterizzanti della villa: quello padronale e signorile da un lato e quello rurale e agricolo dall’altra. Inoltre le arcate che libere si aprono sulla campagna retrostante alla dimora, contribuiscono a marcare questa divisione d’uso e rendere più aulico e leggero il corpo centrale, architettonicamente dissimile dalle barchesse.
Il giardino che oggi possiamo vedere e visitare presso Villa Emo, non è indubbiamente l’originario palladiano, ovvero il giardino che circondava la villa nel 1560, dopo la sua costruzione da parte di Palladio, anzi la documentazione disponibile traccia un quadro tale da poter ragionevolmente supporre l’esistenza successiva di quattro giardini dalla edificazione della nobile dimora ai giorni nostri.