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Rapporto tra intellettuali e potere nell'età giulio-claudia
Maria Concetta
Created on November 28, 2024
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Transcript
Maria ConcettaDi Cello VD
ConsapevolezzaLibertà di parola
E’ il 2024 e una persona a noi contemporanea, asserta in riflessioni sul rapporto degli intellettuali con il potere, vede apparire incredibilmente tre figure dell’età Giulio-Claudia: Seneca, Petronio e Lucano. Estasiato dall’opportunità che gli si prospetta, decide di intervistare i tre intellettuali, instaurando così un dialogo tra passato e presente.
Seneca: Sì, molte volte, non mancavo certo di coscienza critica. Ma lasciare significava rinunciare a ogni possibilità di influire sul corso degli eventi e io sentivo un forte senso di responsabilità e speranza. Preferivo restare, pur consapevole del rischio di compromettere i miei stessi ideali. Alla fine, però, quel compromesso mi distrusse: mi ritirai alla vita contemplativa che avevo tanto desiderato nel 62 d.C. (data del mio secessus) ma solamente tre anni dopo dovetti togliermi la vita.
Intervistatore: Hai mai pensato di abbandonare la corte?
Seneca: Quando fui chiamato a educare il giovane Nerone in qualità di suo precettore e consigliere, nutrivo grandi speranze. Volevo che Nerone diventasse un sovrano giusto e illuminato (a lui sono dedicate alcune mie opere come le Tragedie o il De Clementia), e fare di lui un principe stoico. Ma il potere è una forza corrosiva e presto i suoi impulsi peggiori presero il sopravvento: nonostante i miei tentativi di guidarlo non potevo fermare la sua deriva tirannica e violenta. I primi anni, sotto i miei consigli, Roma aveva vissuto un “quinquennio aureo”, ma adesso mi trovavo in una posizione di compromesso, in cui dovevo giustificare le sue azioni, anche quando queste violavano i miei stessi principi filosofici.
Intervistatore: Seneca, nella tua vita hai visto succedersi diversi imperatori: Caligola, responsabile del tuo esilio, Claudio, che ti negò il ritorno in patria, ma soprattutto Nerone. Come descriveresti il tuo rapporto con lui? Ritieni di essere stato un collaboratore o un critico del potere?
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Intervistatore: Petronio, se abbiamo definito Seneca “guida morale” di Nerone, tu sei certamente la “guida estetica” dell’imperatore. Alla corte di Nerone eri l’arbiter elegantiae, un’autorità in fatto di stile e raffinatezza. Come vivevi quel ruolo?
Petronio: Certamente! Il Satyricon è un “pastiche” di generi letterari che ritrae una società corrotta, dominata dalla sete di piacere e dall’ipocrisia. Nel corso dell’opera, a voi giunta solo frammentaria e dalla paternità dubbia, critico velatamente e spesso per mezzo dell’ironia e della parodia di altri generi narrativi l’assurdità di un mondo in cui i valori sono capovolti, evidenziando la superficialità e la decadenza morale. Non parlo mai direttamente ma sono gli stessi personaggi con la loro moralità (o meglio immoralità) e le loro azioni a far criticare ad un lettore consapevole la società che per i suoi tratti si può identificare con quellagiulio-claudia e più in particolare neroniana...
Intervistatore: E’ proprio vero che il riso è l’arma più sottile per svelare la verità dietro le maschere del potere e tu hai saputo usarla con maestria nel tuo Satyricon. Potresti descrivimi come esso si inserisce nella questione del rapporto tra intellettuali e potere?
Petronio: Ammetto che se Seneca incarna la figura dell’intellettuale filosofico, io appaio come un artista eclettico e anticonformista. Mi muovo in una dimensione completamente diversa, ma altrettanto consapevole. Infatti, sebbene Nerone mi ammirasse per il mio gusto raffinato, io osservavo la corte con distacco. Avevo visto il suo narcisismo e la sua sete di potere crescere, ero circondato da adulazione e mediocrità e il mio compito era portare un po’ di equilibrio estetico in quel caos. Ma ovviamente, sotto la superficie, vedevo chiaramente la decadenza morale del regime e non ho potuto fare altro che ridicolizzare quel mondo falso con la mia arte.
Intervistatore: Lucano, tu, a differenza di Seneca, che tentava un compromesso con il potere, e di Petronio, che ne mostrava i vizi attraverso la satira, sei stato in aperto contrasto tanto da partecipare attivamente alla congiura dei Pisoni. Cosa ti ha spinto a sfidare l’imperatore?
Lucano: È vero. La paura mi travolse e cercai persino di accusare mia madre per salvarmi, ma alla fine affrontai la morte con dignità, mi presi le mie responsabilità e scelsi il suicidio, come mio zio Seneca.
Intervistatore: Si dice che, in un momento di debolezza, tu abbia accusato tua madre per salvarti.
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Lucano: Nerone e il suo principato rappresentavano la negazione della libertà e un veleno che stava uccidendo Roma. Io non potevo accettare un regime che soffocava ogni forma di espressione, non potevo tacere di fronte a un potere così corrotto. I gloriosi tempi della repubblica erano definitivamente tramontati, ma io non ero disposto a tollerare un tale assoggettamento. Decisi allora di prendere parte alla congiura dei Pisoni, consapevole che stessi andando contro l’autorità costituita, perché credevo nella libertà, ma, quando fui scoperto, il terrore mi travolse.
Intervistatore: Bisogna riconoscere che anche tu trovasti un metodo per rendergli il dispetto…
Lucano: Il mio rapporto conflittuale con Nerone si origina da ragioni personali, e non solamente da un disallineamento ideologico tra di noi. Non sono il solo a dire che il mio talento artistico era eccezionale, io ne ero consapevole e certamente nel propagandare le mie idee peccai talvolta di vanità. Fu così che l’iniziale interesse di Nerone si trasformò in una ostilità nei miei confronti, che culminò con il proibirmi di recitare i miei versi pubblicamente. Era stato eclissato nel panorama artistico e aveva trovato un modo per vendicarsi.
Lucano: La mia scelta è stata diversa. Ho lottato fino all’ultimo, e solo quando la sconfitta è stata inevitabile ho accettato il suicidio. Non nego di essermi lasciato prendere dalla paura. Come raccontato, ho persino tentato di salvarmi incolpando mia madre, ma, alla fine, ho compreso che morire con coraggio era l’unico modo per riaffermare la mia dignità.
Petronio: Per quanto mi riguarda, il suicidio è stato il mio ultimo atto di dissenso, il culmine di uno stile di vita basato sull’eleganza e sull’autodeterminazione. Ho scelto io il momento, il luogo e persino il modo in cui lasciare il mondo, trasformandolo in un evento artistico. Non volevo permettere a Nerone di dettare le regole nemmeno per la mia morte. Ho scritto un ultimo testamento, un’ultima lettera in cui lo ridicolizzavo, la mia ultima risata contro la sua arroganza.
Seneca: Il suicidio, per chi abbraccia lo stoicismo, non è mai una fuga, ma un’affermazione della propria libertà. Quando la vita non permette più di vivere in accordo con la virtù, è giusto lasciare il mondo con dignità. Per me, quel momento è arrivato quando Nerone, che mi aveva già esiliato moralmente, ha deciso di eliminarmi fisicamente. Accettare la morte significava riconquistare un controllo che il potere mi aveva tolto.
Intervistatore: Colgo l’invito di Lucano per farvi una domanda: tutti e tre avete scelto il suicidio come conclusione della vostra vita. È stato per voi una scelta obbligata o un atto consapevole?
Lucano: Per me, il suicidio è stato anche una forma di testimonianza. Scrivendo l’ultima parte della mia vita con il sangue, ho lasciato un segno indelebile del mio rifiuto verso un potere oppressivo. Anche la morte può essere una forma di resistenza.
Petronio: Concordo. Sebbene io abbia vissuto con leggerezza e ironia, sapevo che il mio rifiuto di piegarmi al volere di Nerone avrebbe avuto un costo. Ho trasformato quella fine in un’ultima espressione della mia personalità: vivere e morire con stile.
Seneca: La consapevolezza. In un mondo governato dalla tirannia, il suicidio può essere l’unica scelta libera rimasta. È un atto che riafferma il controllo su di sé e la fedeltà ai propri principi.
Intervistatore: Cosa accomuna i vostri suicidi?
Lucano: Per me, la libertà di parola è un dovere morale. Il Bellum Civile è il mio grido di denuncia contro la tirannia, un monito contro la follia delle guerre civili. Sapevo che le mie parole avrebbero avuto un costo, ma non potevo tacere. Il silenzio, in tempi di oppressione, è complicità.
Petronio: La libertà di parola è indispensabile, e per me essa si manifesta anche attraverso l’arte e la satira. Con il Satyricon, ho detto ciò che non si poteva dire apertamente: ho ridicolizzato la società, la vanità, e persino il potere imperiale, mettendo a nudo le sue contraddizioni. La libertà di parola ci permette di ridere del potere, e ridere è il primo passo per smascherarne le ipocrisie.
Seneca: È la base di ogni progresso. Senza la libertà di parola, la virtù non può essere comunicata, la saggezza non può essere diffusa, e la tirannia si espande incontrastata. Anche alla corte di Nerone, dove le parole potevano essere armi pericolose, ho cercato di usarle per correggere e ispirare.
Intervistatore: Dunque il suicidio è l’ultima forma di resistenza. Ma in vita vi siete serviti di un’altra potentissima arma: la penna. Quanto è importante per voi la libertà di parola?
Lucano: Io vi invito a non cedete mai. Ogni volta che qualcuno prova a limitare la libertà di espressione è come se tornassero gli echi della tirannia. Ogni voce contribuisce a fare la differenza.
Petronio: Sono d’accordo, il vostro mondo ha accesso a mezzi di comunicazione che noi non potevamo neanche immaginare. Usateli con intelligenza. La libertà di parola non deve essere un pretesto per alimentare il caos, ma uno strumento per smascherare le ingiustizie e migliorare la società.
Seneca: Ogni generazione deve affrontare le proprie sfide. Chi oggi lotta per la libertà di parola combatte la stessa battaglia che noi abbiamo combattuto contro la tirannia. Mi auguro che sappiano bilanciare il coraggio con la saggezza, perché le parole possono essere armi potenti, ma anche pericolose.
Intervistatore: Oggi viviamo in un’epoca in cui la libertà di espressione è ancora una questione dibattuta. Cosa pensate delle persone che combattono per essa nel nostro tempo?
Intervistatore: Delle riflessioni intense e profonde. Vi ringrazio, Seneca, Petronio e Lucano, per aver condiviso le vostre esperienze e i vostri pensieri. Riflettere sul passato è il primo passo per costruire un futuro migliore e il vostro esempio resta un monito per chiunque cerchi di comprendere il delicato equilibriotra il potere e la coscienza individuale.
Lucano: Io credo che il nostro insegnamento più grande sia questo: la libertà non è mai gratuita. Va conquistata e difesa, anche a costo della vita. Ogni generazione deve chiedersi: quanto vale la libertà? Siamo pronti a lottare per essa?
Petronio: Dal mio esempio, si può apprendere l’importanza dell’ironia. Il potere spesso si prende troppo sul serio, e l’arte, la creatività, la satira e l’ironia possono essere modi per ricordargli i suoi limiti. Ma ironizzare sul potere non significa ignorarne i pericoli. Bisogna sempre essere pronti a difendere la libertà, anche con il sacrificio.
Seneca: Il primo insegnamento è che il compromesso, per quanto necessario, deve avere dei limiti. La filosofia ci insegna a vivere in accordo con i nostri principi, ma la realtà spesso ci costringe a fare concessioni. Tuttavia, non bisogna mai perdere di vista i valori fondamentali e sta a noi trovare un equilibrio tra realtà e ideali, con il nostro giudizio e la nostra consapevolezza.
Intervistatore: Vi ringrazio dei vostri saggi consigli! Vorrei concludere chiedendovi cosa il nostro presente può imparare dal vostro esempio.
Intervistatore: Un intellettuale consapevole dei limiti e delle contraddizioni del potere e una satira che, pur usando il riso, veicola un messaggio profondo, mi ricorda qualcuno...
Seneca: Certamente. Sebbene non avessi intenzione di ribellarmi apertamente (infatti aspettai la morte di Claudio per pubbicarla), l’Apokolokyntosis è un chiaro esempio di dissenso intellettuale, celato dalla ridicolizzazione della figura dell’imperatore.
Intervistatore: Possiamo dunque considerare l’Apokolokyntosis come un’opera di protesta?
Seneca: L’Apokolokyntosis va oltre la semplice critica a Claudio. Rappresenta una riflessione. Con quest’opera, non solo voglio denunciare l’inutilità della pratica della deificazione, intendo fare riflettere sulla falsità e l’ipocrisia che circondavano il potere e i valori imperiali, sulla la vanità delle assurde ambizioni imperiali: ai lettori voglio far capire che il potere terreno non rende immortali.
Intervistatore: Parliamo ora dell’Apokolokyntosis, un esempio eloquente di come hai espresso il tuo disappunto verso il potere imperiale. L'opera si presenta come una parodia dell’apoteosi imperiale, immaginando Claudio non glorificato tra gli dèi, ma deriso e trasformato in zucca. Qual è il significato di questa satira?
Intervistatore: Un intellettuale consapevole dei limiti e delle contraddizioni del potere e una satira che, pur usando il riso, veicola un messaggio profondo, mi ricorda qualcuno...
Seneca: Certamente. Sebbene non avessi intenzione di ribellarmi apertamente (infatti aspettai la morte di Claudio per pubbicarla), l’Apokolokyntosis è un chiaro esempio di dissenso intellettuale, celato dalla ridicolicizzazione della figura dell’imperatore.
Intervistatore: Possiamo dunque considerare l’Apokolokyntosis come un’opera di protesta?
Seneca: L’Apokolokyntosis va oltre la semplice critica a Claudio. Rappresenta una riflessione. Con quest’opera, non solo voglio denunciare l’inutilità della pratica della deificazione, intendo fare riflettere sulla falsità e l’ipocrisia che circondavano il potere e i valori imperiali, sulla la vanità delle assurde ambizioni imperiali: ai lettori voglio far capire che il potere terreno non rende immortali.
Intervistatore: Parliamo ora dell’Apokolokyntosis Un esempio eloquente di come hai espresso il tuo disappunto verso il potere imperiale. L'opera si presenta come una parodia dell’apoteosi imperiale, immaginando Claudio non glorificato tra gli dèi, ma deriso e trasformato in zucca. Qual è il significato di questa satira?
"Petronio, a Cuma, non licenziò precipitosamente la vita: si tagliò le vene e poi tornò a legarle a suo piacimento, parlando con gli amici, ma non di argomenti seri, né cercando la fama di uomo coraggioso. Non diceva né ascoltava niente sull’immortalità dell’anima, né altre sentenze filosofiche, ma solo canti leggeri e versi facili. Distribuì doni ad alcuni servi, frustate ad altri. Poi andò a banchetto e cedette al sonno in modo che la sua morte, per quanto coatta, fosse simile ad una casuale. Nel suo testamento, diversamente dalla maggior parte di quelli che morivano in quel momento, non adulò Nerone né Tigellino né nessun altro dei potenti, ma descrisse le scelleratezze dell’imperatore, col nome dei suoi amasi e delle sue amanti, e la singolarità delle sue perversioni sessuali: lo firmò e lo mandò a Nerone, e spezzò il sigillo, perché non venisse usato in seguito per rovinare altre persone."
La morte di Petronio
Racconta Tacito:
Lucano: A dire il vero vi è solo una figura che si “salva”: è Catone l’Uticense che come avrai notato scelse la stessa fine mia, di Petronio e Seneca: il suicidio
Lucano: Riconosco che questo soprannome mi calza particolarmente bene. Il modello di intellettuale che emerge dal mio “De Bellum Civile” è completamente antitetico rispetto a quello proposto nell’Eneide. Virgilio, allineato con le ideologie di Augusto, scrisse la sua opera con l’intento di celebrare l’autorità imperiale. Invece, per me, non c’era nulla da esaltare della strada che Roma aveva intrapreso da quando l’ambizione sfrenata aveva portato gli alcuni uomini a sovvertire l’ordinamento repubblicano. E’ evidente il contrasto tra la “libertà” della Repubblica e la “servitù” dell’Impero, a cui siamo giunti attraverso la follia delle guerre civili. Non ci sono eroi nella mia opera, solo uomini distrutti dalla loro ambizione e questa mia opera vuole offrire un monito per i lettori sulla degenerazione morale e politica che il potere assoluto può portare.
Intervistatore: La tua consapevolezza politica si evince non solo dal tuo vissuto, ma anche da quanto hai scritto nel “De Bellum Civile”. La tua opera si distingue così tanto epopee tradizionali, che ti venne affibbiato il soprannome di “Anti-Virgilio”. Come mai?
Il De Bellum Civile
Lucano: A dire il vero vi è solo una figura che si “salva”: è Catone l’Uticense che come avrai notato scelse la stessa fine mia, di Petronio e Seneca: il suicidio
Lucano: Riconosco che questo soprannome mi calza particolarmente bene. Il modello di intellettuale che emerge dal mio “Bellum Civile” è completamente antitetico rispetto a quello proposto nell’Eneide. Virgilio, allineato con le ideologie di Augusto, scrisse la sua opera con l’intento di celebrare l’autorità imperiale. Invece, per me, non c’era nulla da esaltare della strada che Roma aveva intrapreso da quando l’ambizione sfrenata aveva portato gli alcuni uomini a sovvertire l’ordinamento repubblicano. E’ evidente il contrasto tra la “libertà” della Repubblica e la “servitù” dell’Impero, a cui siamo giunti attraverso la follia delle guerre civili. Non ci sono eroi nella mia opera, solo uomini distrutti dalla loro ambizione e questa mia opera vuole offrire un monito per i lettori sulla degenerazione morale e politica che il potere assoluto può portare.
Intervistatore: La tua consapevolezza politica si evince non solo dal tuo vissuto, ma anche da quanto hai scritto nel “Bellum Civile”. La tua opera si distingue così tanto epopee tradizionali, che ti venne affibbiato il soprannome di “Anti-Virgilio”. Come mai?
Il Bellum Civile
Con Trimalcione e la descrizione del suo sfarzosissimo ma volgare banchetto (La Cena di Trimalchione), Petronio critica indirettamente questa nuova cultura materialistica e corrotta.
La sua opulenza volgare e la sua ossessione per il potere e la ricchezza rappresentano una caricatura del desiderio di ascesa sociale e dell’ostentazione di un’intera classe sociale, quella dei liberti affrancati, che si era particolarmente avvicinata a Nerone, che in essa trovava facoltosi alleati.
Petronio: Trimalcione, un uomo arricchito di origini umili, è uno dei personaggi centrali del Satyricon. Egli è il simbolo dell’ignorante arricchito, che rimane volgare, privo di cultura e gusto, ma ossessionato dal lusso che ostenta potere senza capirlo.
Con Trimalcione e la descrizione del suo sfarzosissimo ma volgare banchetto (La Cena di Trimalchione), Petronio critica indirettamente questa nuova cultura materialistica e corrotta.
La sua opulenza volgare e la sua ossessione per il potere e la ricchezza rappresentano una caricatura del desiderio di ascesa sociale e dell’ostentazione di un’intera classe sociale, quella dei liberti affrancati, che si era particolarmente avvicinata a Nerone, che in essa trovava facoltosi alleati.
Petronio: Trimalcione, un uomo arricchito di origini umili, è uno dei personaggi centrali del Satyricon. Egli è il simbolo dell’ignorante arricchito, che rimane volgare, privo di cultura e gusto, ma ossessionato dal lusso che ostenta potere senza capirlo.