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Cappella degli scrovegni

Il Fantastico Davide Lo Streamer

Created on November 25, 2024

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Transcript

Inizia

Introduzione alla Cappella degli Scrovegni

La Cappella degli Scrovegni, situata a Padova, è uno dei massimi capolavori dell'arte medievale europea, nota soprattutto per il ciclo di affreschi di Giotto realizzato tra il 1303 e il 1305. Commissionata da Enrico Scrovegni, ricco banchiere, la cappella era inizialmente dedicata a Santa Maria della Carità. Enrico intendeva anche usarla per migliorare la reputazione familiare, macchiata dalla figura di suo padre, menzionato da Dante nell'Inferno come usuraio.

Struttura e Decorazione

L’edificio è una semplice navata rettangolare (circa 29 metri di lunghezza), originariamente collegata al Palazzo degli Scrovegni, ora scomparso. Gli affreschi di Giotto coprono interamente le pareti e il soffitto, con scene che si dividono in due percorsi differenti: il primo con le Storie della Vita della Vergine e di Cristo dipinto lungo le navate e sull'arco trionfale; il secondo inizia con i Vizi e le Virtù, affrontate nella pozione inferiore delle pareti maggiori, e si conclude con il maestoso Giudizio Universale in controfacciata. Giotto introduce una narrazione visiva straordinariamente innovativa per l’epoca, con attenzione alla prospettiva, all'espressione dei volti e all'uso del colore, anticipando sviluppi chiave del Rinascimento.

Modello Artistico e Importanza

La Cappella degli Scrovegni rappresenta una pietra miliare nella storia dell'arte: Giotto rivoluziona il linguaggio pittorico medievale, rompendo con il rigido schematismo bizantino per introdurre profondità emotiva e tridimensionalità. Questo fa della cappella un punto di riferimento per gli artisti successivi. Inoltre, è considerata un esempio precoce di arte sacra concepita per veicolare anche messaggi di redenzione personale e spirituale.

Conservazione

Dal XIX secolo la cappella è stata restaurata più volte per preservarne gli affreschi. Oggi è accessibile al pubblico attraverso un sistema che controlla il microclima interno, garantendo la conservazione ottimale di queste opere inestimabili.

Il giudizio universale

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Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto (1267-1336) fra il 1303 e il 1305, l’intera parete di fondo, ossia la controfacciata, è occupata da un grandioso Giudizio universale. Questo affresco conclude idealmente le Storie che si dispiegano sulle pareti. Sebbene l’ideazione e il disegno generale siano certamente da attribuire al maestro, è stato riscontrato, studiando il dipinto, un ampio ricorso agli aiuti di bottega. Ciò, tuttavia, nulla toglie all’importanza dell’opera, che anzi si rivela assolutamente innovativa. Nonostante il mantenimento di alcune convenzioni (come, per esempio, le diverse scale proporzionali), per la prima volta viene abolita la suddivisione della scena in fasce orizzontali sovrapposte: Giudizio, Paradiso e Inferno sono presentati in un insieme unitario e tutte le figure si muovono nel medesimo spazio. Il Giudizio non è più presentato ma rappresentato, è un vero e proprio “avvenimento”.

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Il giudizio Universale

Sant’Anna appare nella parte iniziale del ciclo, nella sezione dedicata alla storia della Vergine Maria. Giotto attinge dai Vangeli apocrifi, in particolare dal Protovangelo di Giacomo, per raccontare eventi che non si trovano nei Vangeli canonici. La sua figura è centrale per comprendere l’origine e la preparazione del mistero della redenzione.

Contesto e ruolo di Sant’Anna

Raffigura l’abbraccio tra Sant’Anna e suo marito, San Gioacchino, dopo che unangelo aveva annunciato loro la futura nascita di Maria. Questo momento è colmo di emozione e speranza, simbolo di riconciliazione e gioia dopo la sofferenza della sterilità.

Sant'anna

L’incontro alla Porta Aurea

Sant’Anna, madre della Vergine Maria, è una figura centrale nelle storie narratenella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto tra il 1303 e il 1305. Le scene che la riguardano fanno parte del ciclo pittorico che narra episodi della vita di Maria e di Gesù, inseriti nel più ampio progetto teologico della redenzione umana.

La nascita della Vergine Maria

In questa scena, Sant’Anna è rappresentata mentre riceve il neonato Maria. Giottomostra grande delicatezza nel raffigurare il momento intimo e familiare, enfatizzando la sacralità della nascita di colei che sarà la madre di Cristo.

Il Compianto sul Cristo morto
La Nascita di Cristo
L’Ascensione di Cristo
L'Ultima Cena
La Morte di Cristo
Le Nozze di Cana

LE storie di cristo

Vizi e virtù

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La contrapposizione tra vizi e virtù nella Cappella degli Scrovegni di Padova è una parte essenziale del ciclo pittorico realizzato da Giotto (1303-1305). Questi elementi simbolici sono dipinti lungo la fascia inferiore delle pareti laterali, ai lati del percorso che guida lo spettatore verso l’altare. Le virtù, rappresentate sul lato sinistro, sono in dialogo morale con i vizi, raffigurati sul lato destro. Entrambi sono dipinti in monocromo, con un effetto che richiama statue marmoree, enfatizzando il loro valore simbolico.Ogni virtù rappresenta una qualità morale positiva, mentre i vizi incarnano i comportamenti negativi che allontanano l’uomo dalla salvezza. Il loro posizionamento guida il visitatore in un percorso spirituale verso la redenzione, culminante nel Giudizio Universale affrescato sulla parete di fondo.

Disperazione
Speranza
Ira
Temperanza
Invidia
Carità

Vizi e virtù

La drammaticità è accentuata dall'uso magistrale delle linee diagonali e dalla disposizione delle figure, che convergono tutte sul corpo di Cristo. I volti esprimono un'intensa sofferenza, un elemento innovativo per l'epoca.

La Disperazione è rappresentata in una posa drammatica, curva e distorta, con il corpo che crolla verso il basso. Lo sguardo è piegato e desolato, e il gesto disperato suggerisce la perdita di fede e speranza, un totale abbandono all’angoscia. L’immagine è resa ancora più forte dalla presenza del demonio che trascina la figura verso l’abisso.

L’Invidia, al contrario, è ritratta in una posa scomposta e inquieta, con una lingua di fuoco che esce dalla bocca e una mano che trattiene ciò che possiede con avidità. Lo sguardo è rivolto con odio verso un punto indefinito, segno del desiderio maligno di danneggiare gli altri.

Giotto enfatizza il pathos con un contrasto tra la staticità del corpo di Cristo e il dinamismo emotivo delle figure circostanti, mentre il cielo scuro amplifica il senso di tragedia.

La scena è semplice ma efficace, con un uso sapiente dello spazio e delle linee architettoniche che guidano l'occhio dello spettatore verso Gesù, il fulcro del miracolo.

Sotto Gesù, vero spartiacque fra Paradiso e Inferno, è la croce in cui fu giustiziato, strumento di morte divenuto simbolo di redenzione, con ancora i chiodi infissi. La sorreggono due angeli, ma non solo loro: in basso intravediamo i piedi, le braccia e la testa di un uomo, anzi di un omino che si accinge a trasportare un peso che certamente le sue deboli forze, da sole, mai potrebbero sostenere. Ma ecco, appunto, il soccorso divino. «Un piccolo fragile uomo – buon ladrone, cireneo, ciascuno di noi – che si è imbattuto in quell’Uomo, l’ha riconosciuto Dio, gli si è affezionato: porta quindi “il giogo soave, il carico leggero”, nella prospettiva alta della felicità, la cui caparra è – qui e ora – la letizia del centuplo quaggiù”» (R.Filippetti). Intorno a Cristo si raccolgono i dodici apostoli, giudici a latere. In alto si organizzano, per file e in due gruppi simmetrici, le schiere angeliche, guidate dagli arcangeli Michele e Gabriele.

La Natività è caratterizzata da una composizione equilibrata. Giotto utilizza il chiaroscuro per dare profondità alle figure, mentre il gesto affettuoso di Maria che adagia Gesù enfatizza l'intimità della scena.

Raffigurata come una figura slanciata, la Speranza è mostrata mentre tende le braccia verso il cielo, con lo sguardo rivolto verso l’alto. Questo gesto simboleggia l’elevazione dell’anima e la fiducia nella grazia divina. La sua postura leggera e ascendente trasmette un senso di sollievo e aspirazione spirituale.

È un campionario di sadismo: chi viene appeso per i capelli, chi impiccato per la lingua, chi per i genitali (per inciso, mostrati con un realismo sconosciuto alla storia dell’arte sino ad allora). Qualcuno viene impalato in uno spiedo, qualcun altro segato in due. Restiamo sconcertati dal piombo fuso colato in bocca, dalle parti del corpo strappate con le tenaglie. In basso, verso sinistra, riconosciamo Giuda, impiccato e sventrato, con le viscere colanti. Satana, una grossa bestia mostruosa, mastica un dannato che ancora gli penzola dalla bocca, e con le zampe già ne afferra altri due.

Si chiude il sipario: il tempo (rappresentato da Sole e Luna) e la storia sono arrivati alla fine. Dietro già si scorge la distesa d’oro della Gerusalemme celeste: quello stesso oro che trionfava nei mosaici bizantini e che Giotto non aveva quindi dimenticato e meno che mai rinnegato. Semplicemente, nella sua arte, l’immagine trasfigurata della realtà ultima era stata come coperta dal consistente tappeto della vita reale, teatro (almeno fino all’arrivo del Giudizio) dell’azione divina sulla Terra.

Nell’Inferno, rappresentato in basso a destra, domina il caos. La mandorla di Cristo sprigiona quattro terribili lingue di fuoco, fiumi infernali in piena che trascinano i reietti negli anfratti sotterranei. Diavoli bestiali sottopongono i disperati a torture atroci, mostrate con tanto realismo (inusitato per quei tempi) da muovere l’osservatore alla compassione.

Giotto: Ha la spada fasciata con una lunga cintura di cuoio consumata dal tempo, simbolo di un potere esercitato con misura e rispetto, mai per capriccio. La bocca è tenuta a freno da una briglia intrecciata di argento e cuoio scuro, lavorata con motivi geometrici e iscrizioni di antichi proverbi, come si usa per i cavalli di stirpe nobile. La briglia non è solo un ornamento, ma un monito per chi la osserva, il chiaro richiamo al proverbio che dice: “uccide più la lingua che la spada”. Il suo volto è sereno, con guance appena rosate, il segno di una compostezza che non è fredda ma vibrante di vita trattenuta. Gli occhi profondi e vigili scrutano chiunque le si avvicini, capaci di trasmettere un senso di equilibrio e giustizia. Indossa una tunica dai toni terrosi, ornata con bordi dorati che risaltano nella loro sobrietà, e sulle mani porta guanti sottili, consumati quanto basta per rivelare che il lavoro e il dovere non le sono estranei. Cammina con passo calmo ma deciso, ogni movimento misurato, come se anche il tempo si adattasse al suo ritmo.

In basso a sinistra, i morti, svegliati dalle trombe dell’Apocalisse, escono dai crepacci della terra. Lì accanto, Enrico Scrovegni offre il modellino della sua cappella alla Vergine, la quale è accompagnata da san Giovanni e da santa Caterina d’Alessandria. Più in alto, il popolo di Dio cammina, ordinato e silenzioso, verso il Paradiso.

La Carità è raffigurata come una donna benevola, che offre un dono con una mano mentre con l’altra si rivolge a Dio. Indossa abiti semplici e il suo gesto è fluido e naturale, simbolo dell’amore disinteressato e della generosità. L’atto di donare senza chiedere nulla in cambio sottolinea la sua connessione con il divino.

Si trova nella parte alta dell’affresco il particolare più mirabile e teologicamente più acuto: due angeli arrotolano il cielo, che da una parte è blu, così come noi lo vediamo, mentre dall’altra parte è rosso, colore dell’Amor di Dio. Lo annuncia il passo dell’Apocalisse: «Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto» (AP 6, 14).

Giotto dispone i personaggi attorno alla tavola in modo realistico, introducendo un senso di tridimensionalità. I gesti e le espressioni anticipano il tradimento e il sacrificio imminente.

Nel gruppo, la tradizione identifica un autoritratto dello stesso Giotto, riconoscibile per via della berretta gialla calata sulla testa. Dietro di lui, vestito di giallo e con una corona di alloro in testa, l’amico Dante Alighieri.

La scena si distingue per l’uso dello spazio verticale, con Cristo che ascende verso il cielo, mentre le figure terrestri mostrano meraviglia e partecipazione, creando un legame tra terra e divino.

L'Ira è una figura femminile che nella follia della rabbia si straccia le vesti scoprendosi il petto e inclinandosi con bestiale irresponsabilità. Il gesto si ritrova nella scena di Cristo davanti a Caifa eseguito proprio dal sommo sacerdote a capo del sinedrio. La figura spicca tra gli altri vizi per il vigore del gesto. Il capo è scoperto e i capelli sono lung e disordinati: tutta la persona freme e trasmette disordine. In ebraico il termine naso e ira sono identici (af), perché sotto c'è il verbo sbuffare, sembra quasi u toro infuriato dal cui naso esce fumo. L'ira è mancanza di temperanza e di sapienza con effetti perniciosi. Chi saggio evita l'ira e non si lascia trasportare diventando stolto è malvagio.