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Nuovi principati acquisiti con le armi e la fortuna di altri.

Lavoro a cura di: Jessica Agnetti, Narimene Chaieb, Asia Passeri, Fatma Hamdy, Ruggiero Doronzo

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7. Il tema della fortuna, il destino dell'uomo

INDICE

1. Capitolo VII e figure retoriche

3. In che sezione si trova e perchè?

4. Di che cosa parla il capitolo?

5. Quali elementi del pensiero dell'autore sono chiamati in causa?

2. Parafrasi e periodo sintattici

6. Temi ed esempi

In che sezione si trova e perchè?

Il capitolo 7 del principe si trova nella prima sezione poiché i capitoli che vanno dal primo al 11 esaminano i vari tipi di principato e mirano a individuare i mezzi che consentono di conquistarlo e di mantenerlo, conferendogli forza e stabilità. Machiavelli distingue tra principi ereditari e nuovi a loro volta questi possono essere conquistati con la virtù e con le armi proprie, o come nel capitolo da noi riportato con la fortuna e le armi altrui.

Vengono, inoltre descritti alcuni fatti sulla morte del dirigente della Romagna chiamato Ramiro de Lorqua, il quale venne condannato a morte per motivi di estorsione e furti a sfavore dei sudditi della Romagna. Nel 1503, in seguito alla morte di suo padre, Cesare Borgia andò in rovina perdendo tutto ciò che aveva. Venne imprigionato ma riuscì ad evadere andando a nascondersi dal Duca di Navarra, morendo nel 1507 durante una battaglia. Quindi Cesare Borgia viene visto come un nuovo principe che, grazie alle sue virtù, riesce a mantenere il principato.

di che cosa parla il capitolo?

All'interno del capitolo VII Machiavelli Inizialmente, vengono prese in considerazione le sorti di coloro che riescono a prendere il titolo di principe per caso. Queste personalità, per riuscire a tenere il titolo che hanno avuto grazie alle qualità di altri, devono riuscire a dimostrare di avere doti degne di tal titolo. Invece quelle personalità che vengono dichiarati principi per le loro doti riescono a mantenere meglio il loro titolo come la figura di Francesco Sforza, duca di Milano. Poi c'è Cesare Borgia, il quale ha ottenuto il titolo per mezzo delle virtù altrui. In seguito Macchiavelli, cerca di definire la nascita dello stato di Cesare Borgia, conosciuto come Duca Valentino. Egli riuscì ad espugnare alcune città nella regione Marche ed Emilia tra il 1499 e il 1503 Cesare Borgia riuscì ad ottenere il suo titolo grazie al padre Alessandro VI e l'armata di Luigi XIl. Per un periodo breve ma intenso, egli riuscì a trattenere il suo stato mediante alcune qualità come la furbizia e disumanità.

3. La difficoltà di mantenere il potere ottenuto tramite la fortuna: "Il principe che è fatto per fortuna e per aiuto di altri non ha le stesse basi per mantenere il potere come colui che l’acquista con la propria virtù." 4. La necessità di agire prontamente: "Chi giunge al principato per fortuna deve, non appena può, consolidare il suo potere con le sue forze e non con l’aiuto esterno." 5. Il ruolo degli armamenti e dei soldati: "Cesare Borgia avrebbe potuto mantenere il suo principato se avesse avuto l'esercito che aveva prima della morte del padre; ma non avendolo più, non riuscì a conservare il suo stato."

Tesi, argomentazioni ed esempi

1. Il principe che acquisisce il potere tramite la fortuna e l’aiuto degli altri:"Vi è un altro modo di divenire principe, che è quello che avviene per favore della fortuna, e cioè quando qualcuno viene fatto principe da un altro che lo aiuta con le sue forze." 2. L’esempio di Cesare Borgia come modello di principio acquisito con l’aiuto di un altro: "Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro VI, che, con le forze del padre, acquistò lo stato, ma poi, quando il padre morì, perse tutto."

Il tema della fortuna, il destino dell'uomo

In questo capitolo è ricorrente il tema della fortuna. Nel corso del Medioevo si credeva in una vera e propria provvidenza , che riguardava il progetto divino di Dio. Quindi il medioevo è caratterizzato da una visione teocentrica, in cui le virtù dell'uomo consistono nell'accettare consapevolmente l'ordine divino e nella forza di resistere alle avversità. Nel Rinascimento avviene un cambiamento prospettico, da una visione Teocentrica si passa ad una visione antropocentrica. La fortuna non è altro che una serie di eventi imprevedibili guidati dalla legge della natura. La virtù in questo caso, stà nella capacità dell'uomo di reagire o addirittura piegare questi eventi a proprio favore.

e figure retoriche

e non sanno né possono mantenersi nell'alta posizione. Non lo sanno, perché se non sono dotati di un grande mente e di una grande capacità, è improbabile che chi è vissuto come semplice individuo, sappia comandare; non possono, perché non hanno forze amiche e fedeli su cui contare. Inoltre, gli stati formatisi improvvisamente sono, come tutte le cose che, nell'ordine della natura, nascono e crescono troppo rapidamente: non possono avere radici abbastanza profonde e aderenze abbastanza forti da non venir rovesciate alla prima tempesta. A meno che, come ho appena detto, quelli che sono diventati principi così in fretta, non abbiano abbastanza abilità per sapere come prepararsi immediatamente per conservare la fortuna che hanno messo nelle loro mani e per costruire subito 28 quelle basi che gli altri principi avevano preparato in anticipo. In merito a questi due modi di diventare un principe, vale a dire per abilità o per fortuna, voglio citare due esempi che vivono ancora oggi nella nostra memoria, quelli di Francesco Sforza e Cesare Borgia. Francesco Sforza, di grande valore e con il solo uso di mezzi adeguati, divenne, da privato, duca di Milano; e ciò che gli era costato così tanta fatica per acquisirlo, lo conservò con poca fatica.

CAPITOLO VII

Nuovi principati acquisiti con le armi e la fortuna di altri.Coloro che, da semplici privati, diventano principi per il solo favore della fortuna, lo diventano con poca fatica, ma devono faticare molto per restare principi! Nessuna difficoltà sul loro cammino, è un volo, ma queste si presentano quando sono insediati. Fra queste difficoltà, quella che si incontra è quando il principato è concesso o per una somma di denaro o per grazia di chi lo concede. Ciò capitò a molti stati della Grecia in Ionia e dell'Ellesponto, dove Dario stabilì vari prìncipi, in modo che governassero questi stati per la sua sicurezza e la sua gloria. Allo stesso modo furono creati quelli degli imperatori che, dal rango di cittadini comuni, furono elevati all'impero dalla corruzione dei soldati. L'esistenza di tali prìncipi dipende interamente da due cose molto incerte ed instabili: la volontà e la fortuna di coloro che le hanno create;

In primo luogo, capiva che poteva solo renderlo padrone di qualche stato che era nel dominio della Chiesa; e sapeva che i Duchi di Milano e Venezia non avrebbero acconsentito a ciò, tanto più che Faenza e Rimini erano già sotto la protezione dei veneziani. Vedeva inoltre che tutte le forze d'Italia, e in particolare quelle di cui si sarebbe potuto servire, erano nelle mani di coloro che temevano il rafforzamento del papa; e non se ne poteva fidare, poiché erano controllate dagli Orsini e dai Colonna e dei loro 29 complici. Non gli restava altro da fare che turbare tutti quegli equilibri e seminare disordine in tutti quegli stati, al fine di potersi impadronire saldamente di alcuni di essi. Non è stato difficile per lui. I veneziani, infatti, avendo deciso, per altri motivi, di richiamare i francesi in Italia, ed egli non solo non fece resistenza a questo progetto, ma ne facilitò anche l'esecuzione con lo scioglimento del vecchio matrimonio di re Luigi XII [con Jeanne de France]. Il re venne quindi in Italia con l'aiuto dei veneziani e il consenso del papa Alessandro; e non era ancora arrivato a Milano che Alessandro ottenne da lui truppe per la spedizione in Romagna, cosa realizzabile solo per il peso del re.

Al contrario Cesare Borgia, chiamato dal popolo il Duca di Valentino, divenne principe per fortuna di suo padre; perse il suo principato quando il padre la perdette, sebbene non avesse trascurato nulla di tutto ciò che un uomo prudente e abile doveva fare per mettere radici in quegli stati che egli aveva ricevuto per le armi e la fortuna di altri. Non è impossibile, infatti, come ho già detto, che un uomo estremamente abile crei, dopo averne acquisito il potere, le fondamenta che non aveva fatto prima, ma è cosa chi egli fa con grandi problemi e con pericolo per l'intera costruzione. Inoltre, se esaminiamo i progressi fatti dal duca, vediamo che egli ciò ha posto grandi fondamenta per consolidare la sua grandezza futura; e su questo che è davvero inutile soffermarsi perché non saprei ove trovare istruzioni migliori del suo esempio per un nuovo principe; se alla fine tutte le sue misure non gli furono utili, non è stato per colpa sua, ma per una straordinaria ed estrema malignità della sfortuna. Alessandro VI, desiderando far diventare un grande il duca suo figlio, incontrò assai difficoltà immediate e future.

Avvenne che gli Orsini, avendo capito un po' in ritardo che il rafforzamento del Duca della 30 Chiesa era per loro una rovina, tennero un incontro alla Magione, nel Perugino da cui iniziarono la ribellione di Urbino, i tumulti della Romagna e un'infinità di pericoli per il Duca il quale riuscì a superarli con l'aiuto dei francesi. Così recuperò la sua reputazione e non fidandosi più della Francia e di altre forze straniere, che non poteva rischiare di mettere alla prova, ricorse all'astuzia e seppe nascondere così bene i suoi disegni che gli Orsini si riconciliarono con lui attraverso il Signor Paolo Orsini; si era garantito l'aiuto di questi dando loro tutti i possibili segni di amicizia, vestiti, soldi, cavalli; e gli Orsini furono tanto ingenui da andare a Senigallia e mettersi nelle sue mani! Dopo aver distrutto questi capi e fatti diventare suoi amici i loro partigiani, il Duca aveva messo buone fondamenta alla sua potenza, visto che controllava tutta la Romagna con il ducato di Urbino e che la popolazione era dalla sua parte perché iniziavano a sentire un miglioramento nel loro benessere. Questa parte della vicenda è importante e da segnalare ad altri come modello di condotta e quindi non voglio ometterla. Il Duca trovò che la conquistata Romagna, in precedenza era stata comandata da Signori impotenti, che avevano pensato piuttosto a spogliare che a governare i loro sudditi, a dividerli che ad unirli, così che tutto il paese fu preda di rapine, furti, violenze di ogni tipo.

Il duca di Valentino, acquisito in tal modo la Romagna e battuti i Colonna, trovò il suo piano di rafforzarsi e di compiere ulteriori progressi, contrastato da due difficoltà: una derivava dal fatto che le sue truppe non gli apparivano molto fedeli; l'altra la volontà della Francia. Egli temeva che le truppe Orsine, di cui si era servito, lo avrebbero piantato in asso e non solo gli impedissero di conquistare, ma gli togliessero anche il già conquistato e temeva che il re facesse la stessa cosa. Per gli Orsini trovò conferma ai suoi timori quando, dopo aver espugnato Faenza, assaltò Bologna e vide che le loro truppe attaccavano in modo alquanto freddo; quanto al Re conobbe i sui propositi quando, dopo aver preso il ducato di Urbino, iniziò ad assaltare la Toscana e il re lo fece desistere. Il Duca decise di rendersi indipendente dalle armi e dalle sorti degli altri. Per prima cosa indebolì a Roma i partiti degli Orsini e dei Colonna, guadagnando a sé tutti quelli del loro partito che erano nobili, rendendoli suoi signori, dando loro, in base alla loro qualità, ricco trattamento, onori, comando di truppe, governi di luoghi: così accadde che in pochi mesi l'affezione del partito si rivolse al duca. Poi, dopo aver disperso i partigiani della casa dei Colonna, attese l'opportunità di distruggere quelli degli Orsini; e questa occasione, gli si presentò ed egli la seppe sfruttare al meglio.

se voleva procedere nella sua conquista, non doveva turbare il re di Francia il quale, come ben sapeva, si era accorto tardi del proprio errore, ma non avrebbe tollerato altre espansioni. Iniziò quindi a cercare nuove alleanze ed a cercar scuse con la Francia quando i francesi si diressero verso il regno di Napoli contro gli spagnoli che assediavano Gaeta. Il suo scopo era di avere un certo controllo sui francesi, cosa che gli sarebbe riuscita con il papa Alessandro vivo. Questo fu il suo modo d'agire per il presente. Per il futuro egli doveva temere principalmente che il nuovo Papa non gli fosse amico e che cercasse di togliergli ciò che il papa Alessandro gli aveva dato. Pensò di farlo in quattro modi. Prima di tutto eliminando le famiglie di qui signori che aveva spogliato, così il Papa non avrebbe avuto motivo di procedere a restituzioni. In secondo luogo cercando di guadagnarsi il favore di tutti i nobili romani per tenere a freno il papa attraverso di essi; in terzo luogo mettere nel Collegio dei Cardinali quanti più possibili suoi uomini; in quarto luogo aumentare talmente il suo potere prima della morte del papa, da poter resistere da solo i primi attacchi. Quando Alexander morì, tre di queste cose erano compiute; la quarta quasi perché aveva fatto fuori tutti i Signori che aveva spogliato e che era riuscito a trovare, e ben pochi si salvarono, aveva tirato a sé i nobili e aveva dalla sua parte la maggioranza del Collegio.

Il duca giudicò che, al fine di ristabilire la pace e l'obbedienza al principe, era necessario stabilire un buon governo: ecco perché nominò Messer Remirro d'Orco, uomo crudele e deciso, al quale diede i più ampi poteri. Questi in poco tempo ristabilì ordine ed unione, procurandosi un'ottima fama. Poi il duca pensò che non era più necessario un potere così forte, tanto che avrebbe potuto diventare odioso; istituì quindi al centro della provincia un tribunale civile con un'eccellente presidente e presso cui ogni città aveva un suo avvocato. Conoscendo poi che la severità del passato avevano generato qualche odio, per ripulire l'animo di quei popoli e tirarli tutti a sé, volle mostrare che. se anche si era seguita una strada crudele, ciò non era venuto da lui, ma dalla aspra natura del suo ministro. Colse poi la prima occasione e una mattina lo fece esporre 31 sulla piazza di Cesena, tagliato in due parti, con accanto un pezzo di lego e un coltello insanguinato. La ferocia di quello spettacolo lasciò il popolo stupito e soddisfatto. Ma ritorniamo da dove siamo partiti. Il Duca, divenuto molto potente e in parte garantito da pericoli immediati, essendosi armato come desiderava e avendo inr buona parte annullato le forze armate vicine che potevano assalirlo, gli restava una sola cosa fa dare:

Tuttavia, era così risoluto e così coraggioso, conosceva così bene l'arte di vincere e distruggere gli uomini, e le basi che aveva dato al suo potere creato in così poco tempo erano così solide, che se non avesse avuto due eserciti addosso, o se non fosse stato ammalato, avrebbe superato tutte le difficoltà.E ciò che dimostra la solidità delle fondamenta da lui poste lo si vede dal fatto la Romagna ha aspettato più di un mese prima di decidere contro di lui; dal fatto che a Roma, sebbene mezzo morto, se ne stette al sicuro, e i Baglioni, i Vitelli, gli Orsini, che erano accorsi in questa città, non trovarono sostegno contro di lui; egli, se non riuscì a scegliere il papa, riuscì a non fare eleggere chi non voleva. Se egli fosse stato sano al momento della morte di Alessandro, tutto sarebbe stato facile per lui. Così mi disse, quando fu nominato Giulio II, che aveva pensato a tutto ciò che sarebbe potuto accadere quando suo padre fosse morto e che aveva trovato un rimedio per tutto; ma che solo lui non avrebbe mai immaginato che al momento della morte di Alesando anche lui si sarebbe trovato in pericolo di morte. Esposte quindi tutte le azioni del Duca, quindi, non solo non trovo nulla da criticare, ma mi sembra che possa essere proposto, come ho fatto, quale modello da imitare per tutti coloro 33 che sono arrivati al potere sovrano per mezzo della fortuna e di armi di altri.

Circa le nuove conquiste, progettava di diventare signore della Toscana, dopo aver già sotto il suo controllo Perugia e Piombino ed essersi nominato prorettore di Pisa. E subito, come se non avesse avuto nulla da temere dalla Francia (ed infatti era così poiché già i francesi erano stati spogliati del 32 regno di Napoli dagli spagnoli e tutte le parti avevano bisogno di acquisire la sua amicizia), entrò come Signore a Pisa. Di conseguenza Lucca e Siena dovettero sottomettersi immediatamente, un po' per invidia dei fiorentini, un po' per paura. Per i Fiorentini non c'era scampo. Se la mossa gli fosse riuscita (e avrebbe dovuto avvenire lo steso anno in cui Alessandro morì) avrebbe acquistata tanta potenza e reputazione che si sarebbe sostenuto con le su proprie forze e non avrebbe dovuto dipendere dalla fortuna e dalle forze di altri, ma solo dalla propria potenza e capacità. Ma Alessandro morì cinque anni dopo da quando il Duca aveva estratto la spada; e, in questo momento, quest'ultimo si trovò a disporre di un solo stato di Romagna ben consolidato, mentre tutti gli altri erano ancora in sospeso, fra due potentissimi eserciti nemici; e lui era malato a morte.

A COSA SERVONO LE FIGURE RETORICHE?

Gli uomini diventano nemici e reagiscono o per paura o per odio. Coloro che il duca aveva offeso erano, tra gli altri, i cardinali di San Piero ad Vincula, Colonna, San Giorgio, Ascanio Sforza; tutti gli altri, se fossero divenuti papi, avrebbero motivo di temerlo, tranne Roano e gli spagnoli: quest'ultimi, per la parentela e per riconoscenza, Roano per la sua potenza, avendo alla spalle la Francia. Il duca doveva cercare di far nominare uno spagnolo; e se non poteva, acconsentire piuttosto all'elezione di Roano e non a quella del cardinale di San Piero ad Vincula. È un errore immaginare che, tra i grandi personaggi, i servizi recenti facciano dimenticare le vecchie offese. Il duca, acconsentendo a questa elezione di Giulio II, fece quindi un errore che fu la causa della sua rovina finale.

Era dotato di grande animo e di alta ambizione, non poteva comportarsi diversamente; e i suoi progetti furono fermati solo dalla brevità della vita di Alessandro e dalla sua stessa malattia. Chiunque, in un nuovo principato, giudicherà necessario proteggere sé stesso dai suoi nemici, dovrà trovare alleati, vincere con la forza o con l'inganno, farsi amare e temere dai popoli, seguire e rispettare i soldati, distruggere coloro che possono e devono danneggiarlo, sostituire le vecchie istituzioni con delle nuove, essere sia severo che benevolo, magnanimo e liberale, cacciare la vecchia milia infedele e crearne una nuova, conservare l'amicizia di re e principi, in modo che essi lo compiacciano gentilmente ed esitino a colpirlo: questo, dico io, non può trovare esempi più recenti di quelli che ci offrono le azioni del Duca. L'unica cosa che possiamo rimproverargli è la nomina del papa Giulio II, che fu una scelta fatale per lui. Dal momento che non poteva, come ho detto, eleggere il papa che voleva, poteva solo a impedire che venisse eletto chi non gradiva; non avrebbe mai dovuto acconsentire che divenisse papa uno di qui cardinali che aveva offeso o che, divenuti papi, avrebbero potuto avere paura di lui.

Machiavelli suggerisce che il principe debba lavorare per costruire una propria base di potere, magari reclutando le proprie forze armate e instaurando legami diretti con i sudditi. Inoltre, l'autore enfatizza l'importanza della fortuna e della virtù nel successo politico. Mentre la fortuna può favorire l'acquisizione di un principato, è la virtù, intesa come abilità e saggezza, che consente di governare efficacemente e mantenere il potere nel lungo periodo. Machiavelli conclude che un principe deve essere astuto e pragmatico, pronto a sfruttare le opportunità e a gestire le incertezze del potere.

Quali elementi del pensiero dell'autore sono chiamati in causa?

Un elemento chiave del pensiero machiavelliano è la distinzione tra diversi tipi di principati e la necessità di adattare le strategie politiche a ciascuna situazione. Machiavelli sottolinea che chi acquisisce un principato per mezzo delle armi altrui deve essere abile nel mantenere il potere e guadagnarsi la fiducia dei sudditi, poiché la sua legittimità è fragile. Machiavelli discute anche il concetto di “armi” come simbolo della forza e della capacità di mantenere il controllo. Un principe che si affida a forze esterne per la sua ascesa è in una posizione precaria, poiché non ha il pieno dominio né sulla lealtà delle truppe né sul supporto popolare. In questo senso,

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A COSA SERVONO LE FIGURE RETORICHE?