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Quasimodo

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Created on November 12, 2024

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Transcript

Un poeta del '900

Dati biografici

Salvatore Quasimodo nacque il 20 agosto 1901 a Modica. Nel 1916 si iscrisse all'Istituto Tecnico Matematico-Fisico di Palermo per poi trasferirsi a Messina

Fondò, nel 1917, il «Nuovo Giornale Letterario», mensile sul quale pubblicò le sue prime poesie. Nel 1920 si trasferì a Roma, dove pensava di terminare gli studi universitari di matematica e fisica ma, subentrate precarie condizioni economiche, dovette abbandonarli, per impiegarsi in più umili attività: disegnatore tecnico presso un'impresa edile e, in seguito, impiegato presso un grande magazzino. Nel frattempo collaborò ad alcuni periodici e iniziò lo studio del greco e del latino.

Nel 1940, a guerra iniziata, collaborò con la rivista Primato- Lettere e arti d'Italia, dove il ministro Giuseppe Bottai raccolse intellettuali di varia estrazione e orientamento, anche lontani dal regime. In anni successivi gli fu rimproverato di aver sostenuto l'uso del voi con un intervento su un numero monografico del 1939 della rivista Antieuropa e di aver inoltrato una supplica a Mussolini affinché gli venisse assegnato un contributo per poter proseguire l'attività di scrittore.

Il Nobel

nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi»

Il poeta trascorse gli ultimi anni di vita compiendo numerosi viaggi in Europa e in America, per tenere conferenze e letture pubbliche delle sue liriche che, nel frattempo, erano state tradotte in diverse lingue.

14 giugno 1968, mentre il poeta si trovava ad Amalfi, dove doveva presiedere un premio di poesia, venne colpito da un ictus, che lo condusse alla morte poche ore dopo: il cuore del poeta smise di battere sull'auto che lo stava trasportando all'ospedale di Napoli.

Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Uomo del mio tempo

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue Salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Alle fronde dei salici

E come potevano noi cantare Con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba dura di ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.

Ed è subito sera

Ognuno è solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.