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Neurodidattica - Lezione 5

Dario Lombardi

Created on November 3, 2024

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Transcript

Neuroscienze, insegnamento e apprendimento

"Le neuroscienze educative sono quella branca delle neuroscienze cognitive che provvede allo studio delle problematiche connesse all'istruzione". Geake, 2009, p.29

Denominazioni

Esistono varie denominazioni che descrivono il rapporto tra neuroscienze e mondo dell'educazione, come Neuroeducation, Brain-based Education, Neuropedagogy, e Mind, Brain and Education. In ciascuna di esse, il primo termine mette in evidenza la componente scientifica, mentre il secondo si concentra sulle sue applicazioni pratiche. Numerose evidenze, sintetizzate da Sousa (2010), hanno fornito indicazioni significative per la ricerca educativa negli ultimi anni. Tra queste troviamo:

  • il legame tra attività fisica e potenziamento di apprendimento e memoria,
  • la rilevanza di conoscere lo sviluppo cerebrale per comprendere meglio il comportamento di adolescenti e bambini,
  • l’impatto delle emozioni sui processi di apprendimento,
  • l’importanza della reciprocità tra clima sociale scolastico e apprendimento,
  • la capacità del cervello di generare nuovi neuroni (neurogenesi e plasticità cerebrale),
  • la persistenza della memoria a breve termine,
  • il ruolo cruciale del sonno nel consolidamento delle informazioni.
È importante precisare che in questo contesto il termine education non si riferisce solo al concetto di "educazione" in senso stretto, ma più ampiamente a "istruzione". Neuroeducation si traduce quindi più accuratamente con Neurodidattica, come proposto da alcuni autori tedeschi e da Rosati (2005).

Epistemologia

Per comprendere la natura epistemologica della Neurodidattica, si può fare riferimento al modello di Sousa (2010), che la descrive come l'incontro tra tre discipline: psicologia (Mind), che studia i processi cognitivi e comportamentali; didattica (Education), focalizzata sulle componenti dell'insegnamento (valutazione, gestione della classe, metodi); e neuroscienze (Neuroscience), che analizzano il cervello dal punto di vista evolutivo, strutturale e funzionale. Questo modello è stato criticato per l’asimmetria tra le discipline: mentre psicologia e neuroscienze si basano su metodi scientifici, le evidenze didattiche risultano spesso aneddotiche, fondate su riflessioni contestuali. Ciò rende la Neurodidattica “zoppa” fin dall’inizio, in particolare dal lato della didattica, che ha basi empiriche più deboli. Breuer osserva che, sebbene esistano ponti tra didattica e psicologia cognitiva e, più recentemente, tra didattica e neuroscienze, manca un collegamento diretto tra neuroscienze e didattica. Questa mancanza porta a interpretare speculativamente le ipotesi neurobiologiche come implicazioni educative. Secondo Breuer (2010), la Neurodidattica dovrebbe mirare a raffinare i modelli educativi attraverso un’interazione più stretta tra studi comportamentali, neuropsicologici e di neuroscienze cognitive.

Epistemologia

È possibile avanzare alcune riserve rispetto a tali obiezioni. La prima riguarda la concezione della didattica come un'arte piuttosto che una scienza, uno spazio di improvvisazione alimentato dall'esperienza. Rivoltella (2024) propone di definirla come una “scienza di design” e un’“arte della vita”. In questa prospettiva, la didattica è scientifica quando si occupa di progettazione, valutazione del carico cognitivo e predisposizione dei materiali didattici; è invece un’arte nella regolazione e gestione dell’aula, nonché nella dimensione performativa della presenza in classe. La scientificità della didattica si manifesta, quindi, attraverso la produzione di modelli, teorie, metodologie e strumenti di ricerca specifici. Per quanto riguarda la pedagogia, essa appare come una “scienza più soft” rispetto alla psicologia, poiché ai pedagogisti è preclusa l'applicazione di alcuni test, il counseling e la selezione del personale, funzioni riservate agli psicologi. Al contempo, però, gli psicologi si avventurano in ambiti tipicamente pedagogici, quali lo studio degli apprendimenti, l’orientamento e la valutazione. Nella neurodidattica, ci troviamo invece di fronte a una disciplina transdisciplinare che, grazie al contributo di diverse aree del sapere, delinea un nuovo mindset, costituito da domande, idee guida e prospettive di ricerca e intervento condivise.

Epistemologia

Tra le domande chiave della neurodidattica troviamo: “Esistono scoperte sul funzionamento del cervello applicabili alla didattica?” e “Comprendere il cervello può aiutarci a migliorare il lavoro in classe?”. Tra le linee guida emergono: la possibilità di descrivere l’apprendimento come una serie di adattamenti funzionali mediati socioculturalmente dalle strutture cerebrali. Le teorie dell’apprendimento, in tal senso, sembrano ancora attendere un approccio unificante, un “Darwin” che fornisca una teoria evolutiva unitaria (Geake & Cooper, 2003). Altre linee guida includono: l’importanza dell'interazione tra emozione, contesto e contenuto nel rafforzare la memoria (Damasio, 2003) e il ruolo dei lobi frontali nei processi esecutivi, cruciali per l'apprendimento e il controllo sociale.

Epistemologia

Tra le due principali prospettive di ricerca e intervento, la prima consiste nella neurodidattica in senso stretto, ossia nello sviluppo di protocolli e setting sperimentali per rilevare risposte cerebrali specifiche alla didattica. La seconda riguarda invece l’applicazione dei risultati neuroscientifici all'insegnamento. In questo ambito si possono utilizzare quattro tecniche: l'osservazione diretta di costrutti ipotetici nel cervello; la loro validazione tramite brain imaging; l’inferenza di comportamenti a partire dall'architettura neurale; e l’uso delle conoscenze sulle funzioni cerebrali per scegliere tra diverse teorie comportamentali. L’attuale accoglienza di questo approccio nella didattica è fortemente polarizzata. Da un lato, vi è un neuroscetticismo che considera le neuroscienze irrilevanti per l'insegnamento in classe; dall'altro, un forte ottimismo tra neuroscienziati, insegnanti e pedagogisti, che vedono nelle neuroscienze un potenziale decisivo per comprendere i meccanismi dell’apprendimento. La soluzione a questa ambivalenza risiede nella promozione di una collaborazione transdisciplinare, con l’obiettivo comune di migliorare le pratiche educative.