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Arte egizia

L’ARTE COME INNO AGLI DEI

L’arte egizia costituisce uno dei fenomeni più singolari e irripetibili di tutta la storia dell’uomo. Per circa 3 millenni (dal 2800 a.C. fino alla conquista romana) ha saputo mantenere caratteristiche proprie, autonome e ben riconoscibili, rimanendo del tutto indifferente ad influenze esterne sia per l’isolamento culturale dell’Egitto, sia per lo stretto legame tra arte e religione. Architettura, pittura e scultura sono asservite agli dei o al faraone (che ha comunque natura divina).

Necropoli di màstabe nella piana di Giza

I più antichi esempi di architettura egizia si trovano a Menfi, nel basso Egitto, e sono le màstabe, tombe monumentali dei faraoni o degli alti dignitari a froma di piattaforma con mura leggermente inclinate (scarpate), risalenti al periodo protodinastico (l’epoca arcaica della civiltà egizia, 2853-2657 a.C.). Spesso erano raggruppate in necròpoli ed erano costituite da una camera scavata in fondo ad un pozzo dove era posto il defunto, e altre sale contigue con gli oggetti (cibi, utensili, arredi) per la vita nell’oltretomba.

LE MÁSTABE

Interno di una mastaba

Evoluzione dell’architettura funeraria egizia

Falsa-porta della mastaba del visir Mehu 2330 a.C., Saqqara

Esternamente la màstaba era decorata con colori vivaci, mentre internamente è collocata la falsa-porta, una stele con il nome e i titoli del defunto con forma di simbolica porta che il defunto avrebbe attraversato per accedere alla sala del banchetto.Dalla mastaba si arriverà gradualmente alla piramide a gradoni, a quella piramidale e all’ipogeo.

Il complesso della Piramide di Zoser, a Saqqara.

La Piramide di Zoser e lo schema strutturale

Il Regno Antico (2657-2166 a.C.) è chiamato Tempo delle Piramidi. Queste inizialmente non sono che sovrapposizioni di mastabe una sull’altra. La più antica è quella del faraone Zòser, costruita a Saqqàra intorno al 2650 e composta da sei enormi piattaforme in blocchi di pietra calcarea per un’altezza massima di 60 m. L’interno è pieno poiché il luogo di sepoltura e le altre camere sono sotto terra. L’artefice è Imhotep, il più antico architetto che la storia ricordi.

LE PIRAMIDI A GRADONI

Le Piramidi nel mondo

Interno della piramide di Cheope

La tre piramidi della piana di Giza

Le piramidi con le facce lisce sono la diretta evoluzione di quelle a gradoni alle quali viene apposto un rivestimento in lastre di pietra calcarea. La più grande e celebre piramide è quella di Chèope a Giza, presso Il Cairo, sulla riva occidentale del Nilo, risalente al 2.585 a.C. Le sue misure iniziali erano di 232 m di lato e 147 m di altezza. Le quattro facce sono perfettamente orientate secondo i punti cardinali e presentano un’inclinazione di 52°. Diversamente dalla regola la cella funeraria del faraone è posta al centro della costruzione e vi si accede attraverso una complicata rete di cunicoli.Accanto a questa sono le coeve piramidi di Chefren (alta 143,5 m) e Micerino (alta 70 m).

LE PIRAMIDI A FACCE LISCE

Piramide di Micerino

Piramide di Chefren

Piramide di Cheope

Pianta del complesso funerario di Giza

La piramide di Chefren ha la camera mortuaria sotterranea, come da tradizione. È l’unica a conservare sulla sommità una porzione del rivestimento in pietra originale. La piramide di Micerino, invece, conserva una parte di rivestimento in granito lungo la base.La perfezione geometrica di questi monumenti ribadisce la loro funzione simbolica e concettuale di scala celeste, di unione tra Terra e Cielo. Altre sei piramidi più piccole, che fiancheggiano la piramide di Cheope e quella di Micerino, erano dedicate a regine e nobili.

EGitto

La Sfinge e la piramide di Chefren

Particolare della Sfinge

Degno completamento di queste architetture è la colossale Sfinge (alta 22 m, risalente al 2590 a.C.), una maestosa statua con il corpo di leone e la testa umana, scolpita in un unico blocco di pietra calcarea. Il volto della sfinge riproduce i lineamenti di Chefren, il faraone che la fece eseguire. È posta ai piedi della rampa processionale che conduceva al tempio funerario antistante la piramide di Chefren ed era una sorta di guardiano. Con l’avvento del Regno Nuovo (1550-1069) e il trasferimento della capitale a Tebe, in Alto Egitto, la costruzione delle piramidi cessa del tutto e porta, con l’aumento delle guerre e la diminuzione delle disponibilità economiche, all’uso delle sepolture ipogee scavate nelle gole rocciose della Valle dei Re, a Tebe.

Vista aerea del tempio di Ramses III, 1182-1151, Tebe

Oltre alle piramidi gli egizi edificarono i templi, abitazioni terrene degli dei, a partire dal 1550 a.C. (Nuovo Regno). I templi egizi sono unici nel loro genere, perché non hanno nessuna similitudine, quanto a funzione, né con altre costruzioni sacre dell’antichità, né tanto meno, con quelle dei nostri giorni. Non sono luoghi di preghiera, né di predicazione: rappresentano l’abitazione terrena degli dei e vengono consacrati alla conservazione della creazione. Per l’antica religione egizia, il succedersi del giorno e della notte deriva sempre dalla quotidiana e sofferta vittoria degli dei sulle forze oscure e negative dell’universo. Ogni alba rappresenta una nuova, miracolosa creazione. Il tempio è quindi il luogo sicuro in cui gli dei possono trovare riposo, nutrimento, conforto e onori nella loro perenne attività di conservazione dell’universo. L’impianto del tempio prevede un percorso che parte da un viale d’accesso affinacato da sfingi, per arrivare alla cella del dio attraverso una serie di piloni, cortili e sale ipòstile.

I TEMPLI

Pianta del tempio di Amon a Karnak

Vista aerea del tempio di Amon a Karnak

Uno dei templi più famosi è quello di Karnak dedicato al dio Amon, creatore che assommava in sè la solarità del dio Ra (Amon-Ra). È la più vasta costruzione egizia, una delle più grandi del mondo (occupa un’area di circa 48 ettari), eretta nel corso di oltre mezzo millennio (dal XVI all’ XI sec. a. C.), e mai conclusa. Nella grande impresa si impegnarono vari faraoni, desiderosi di ampliarlo, arricchirlo e rendelo sempre più maestoso. Il complesso è racchiuso dalla cinta muraria di Amon, un grande recinto in mattoni crudi con un perimetro di 2400 m.

IL TEMPIO DI AMON A KARNAK

Sala ipòstila

Viale delle sfingi

L’accesso al tempio avviene dalla Via degli Dei: un lungo viale fiancheggiato da 40 gigantesche sfingi in pietra aventi corpo di leone e testa di ariete, poste ad eterna guardia all’intero complesso. Nel colossale pilone d’ingresso, rivolto a Occidente, costituito da due massicci torrioni affiancati, si apre la porta trionfale. Di qui si giunge al cortile maggiore, di forma rettangolare e percorso per tutta la sua lunghezza da due file di colonne monumentali che indirizzano verso il secondo pilone. Superata la seconda porta sui accede alla vastissima sala ipostila.

capitello a papiro chiuso

capitello a papiro aperto

Sala ipòstila, ipotesi costruttiva

Una selva di 134 colonne papiriformi (con i capitelli a forma di papiro aperto o chiuso) sorreggono la copertura, oggi in gran parte crollata, e consistente in giganteschi lastroni monolitici in pietra. La zona centrale, più alta (23 m dal suolo), permetteva alla luce di illuminare il corteo reale. Altri tre piloni di dimensioni via via decrescenti, cortili, sale ipostile e ambienti di servizio, conducevano al santuario, “il luogo eletto”, il centro spirituale di tutto il complesso templare. Il nàos, infine, era destinato ad ospitare la statua di Amon e la barca divina, con la quale il simulacro del dio poteva essere portato in processione lungo il Nilo.

Le colonne e le pareti della sala erano decorate con rilievi colorati che narrano le imprese militari di Seti I (1306-1290 a.C.) e di suo figlio Ramses II (1290-1224 a.C.).

Era il 1954 quando il governo egiziano decise di realizzare la diga di Assuan, un imponente sbarramento lungo il fiume Nilo che avrebbe fornito acqua ed elettricità alla parte meridionale del Paese. L'unico problema era che il conseguente lago artificiale avrebbe sommerso gli oltre 20 templi presenti sulle rive del fiume. Per questo nel 1960 l'Egitto si rivolse all'Unesco e l'Unesco al mondo: serviva una cooperazione internazionale per spostare i templi e metterli al sicuro. Per salvare il patrimonio egizio si misero a disposizione tutti i Paesi più evoluti in ambito tecnologico, soprattutto per l'operazione più complessa: il trasloco del colossale tempio di Abu Simbel. Fatto costruire nel tredicesimo secolo a. C. da Ramses II e riscoperto nell'Ottocento, quando era parzialmente insabbiato, è scavato direttamente nel fianco di una collina. La facciata, larga 38 metri e alta 33, è composta da quattro statue del faraone seduto alte 20 metri; all'interno una sequenza di sale sempre più piccole conduce alla cella, la stanza con le statue degli dei.

EGYPT

Tempio di Amon ad abu simbel

Per salvare il tempio occorreva arretrarlo dalla sua posizione di circa 200 metri e sollevarlo di 65, mantenendone inalterato l'orientamento. Perché era necessario mantenere l'orientamento del tempio? Ebbene, all’interno della cella, ossia l'ultima stanza del tempio, quella collocata sul fondo della collina, sono collocate quattro statue sedute che guardano verso l'entrata e raffigurano, da sinistra a destra, Ptah (dio dell'arte e dell'artigianato), Amon-Ra (dio del sole e padre di tutti gli dei), il faraone Ramses II divinizzato e Ra-Harakhti, che all'epoca costituivano le divinità egiziane più importanti. Qui, grazie all'orientamento del tempio calcolato degli architetti, due volte all'anno, il primo raggio del sole si focalizza sul volto della statua del faraone. I raggi illuminano parzialmente anche Amon-Ra e Ra-Harakhti, mentre il dio Ptah rimane sempre in ombra, in quanto considerato una divinità appartenente alle tenebre. In questo modo, gli antichi egizi credevano che il sole avrebbe ricaricato l'energia vitale del faraone.

L'operazione, che ebbe inizio nel 1964, consisteva nel sezionamento del tempio in oltre 4.000 pezzi, nella loro numerazione e nel loro ricollocamento nella nuova sede, come un gigantesco puzzle tridimensionale. Vi lavorarono 150 tecnici e 2000 operai, tra i quali diversi cavatori di marmo italiani provenienti da Carrara. Venne ricreata anche la collina realizzando un enorme volta in calcestruzzo per sorreggere le rocce. L'intervento, terminato dopo quattro anni nel 1968, è considerato una delle operazioni più ardue e spettacolari di salvataggio di un bene culturale.

Caccia di Nebamon

LA PITTURA

La funzione della pittura egizia non è decorativa ma religiosa, infatti è sempre realizzata sui sarcofagi, nelle camere sepolcrali e all’interno dei templi. Le immagini rappresentano spesso la vita quotidiana (lavoro nei campi, pesca, banchetti, vita domestica). La realtà non è rappresentata come appare alla vista ma nel modo più elementare ed intuitivo possibile: le figure sono bidimensionali, gerarchiche, rappresentate nel loro profilo più riconoscibile (anche scomponendo e ricomponendo alcune parti), con un sistema basato su un reticolo che coordina e organizza ogni singolo componente.

La pesca dello scriba Menna

hefren in trono

Fin dalle prime dinastie i faraoni venivano rappresentati attraverso sculture a grandezza reale, in alto rilievo o a tutto tondo, da collocare nelle tombe e nei templi. Non si trattava di simulacri ideati per ricordare le fattezze del regnante, ma di corpi entro cui ospitare lo spirito del faraone (che nell'antico Egitto era divinizzato). Una delle più antiche è quella che raffigura Chefren seduto su un blocco cubico. Il nemes, lo stesso copricapo che porta nella sfinge di Giza, gli incornicia il volto dando alla figura un aspetto geometrico, sottolineato anche dalla rigida barba posticcia, una tributo divino usato dai faraoni. Le braccia scendono lungo le gambe rimanendo sempre aderenti al corpo. Una mano è distesa sulla coscia, l'altra è chiusa a pugno. Lo sguardo sembra puntato verso l'infinito.

LA SCULTURA

L'aspetto finale delle sculture egizie è quello di un blocco pesante e massiccio. Un effetto dovuto anche alla tecnica con cui si realizzavano queste statue: lo scultore, infatti, partiva da un parallelepipedo di pietra e sottraeva il materiale procedendo di fronte e di lato secondo un disegno standard, detto cànone, basato su una griglia e uguale per tutte le statue in quella posizione.

Il faraone Micerino e sua moglie

Lo schema adottato per tutte le sculture egizie di figure stanti, cioè in piedi, prevedeva postura rigida, molto inespressivo, braccia stese lungo il corpo, pugni chiusi e gamba sinistra avanzata. Lo si può vedere nel gruppo scultoreo di Micerino e della moglie, nel quale le due figure sporgono quasi del tutto da una lastra di pietra (dunque si tratta di un altorilievo). Il re presenta il nemes, la barbetta finta e lo shendyt, la gonna corta dei faraoni. A destra sta la moglie Khamerer-Nebti, rappresentata con i capelli raccolti in due grosse ciocche che scendono parallele sul petto e una lunga tunica aderente al corpo. Nonostante le parti anatomiche corrispondono le forme reali delle figure umane, i due personaggi appaiono semplificati e schematici questo serviva a dare alle statue quel senso di immobile perfezione proprio di chi è destinato a vivere in eterno.

Amenophis IV e Nefertiti sotto il disco solare di Aton

Con l’avvento di Amenophis IV (Akhenaton) nel 1353 a.C. si assiste ad un breve periodo di “umanizzazione” delle immagini artistiche come si può osservare nel rilievo che lo raffigura con la moglie Nefertiti in atteggiamenti affettuosi verso le tre figlie.

Busto di Nefertiti, 1353-1335 a.C.

Il ritratto di Nefertiti è, comunque, il maggior capolavoro artistico dell’età di Akhenaton. Il busto, ritrovato nel 1912 nel laboratorio dello scultore Thutmosi, mostra la regina con il modio, un alto copricapo cilindrico, e l'usekh, un'ampia collana di perline. Il viso, lavorato su uno sottile strato di gesso su pietra calcarea, è armonioso ed espressivo la linea degli occhi e delle labbra nitida e raffinata. Un occhio è privo dell'inserto in vetro. Questa mancanza probabilmente è dovuta al fatto che il busto non era una scultura definitiva ma solo un modello realizzato dallo scultore come riferimento per altre opere e poteva quindi essere incompleto. Ciononostante Nefertiti ci appare con un aspetto regale sottolineato dal mento leggermente sollevato e dai lineamenti delicati. Non poteva essere altrimenti per una regina il cui nome significa "la bella è arrivata".

Maschera funeraria di Tutankhamon, 1333-1323 a.C.

Schienale del trono di Tutankhamon, 1333-1323 a.C.

Il nome del successivo faraone, Tutankhamon, è noto soprattutto per le immanse ricchezze scoperte nel 1922 nella sua tomba, un ipogeo scavato nelle pareti rocciose della valle dei Re, presso Tebe. Lo schienale del trono mostra l’affettuosità dei gesti, le pose piuttosto naturali e l’espressività degli sguardi. Stessa espressività che si riscontra nella maschera funeraria del faraone in oro e lapislazzuli.

Grazie per l'attenzione