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chiara serra
Created on October 26, 2024
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Transcript
C’era una volta la piccola cittadina di Hamelin, che da qualche tempo era stata infestata dai topi. Erano ovunque, nei granai, nelle dispense delle case e nei campi coltivati, e naturalmente divoravano tutto quello che capitava loro sotto i baffi. Gli abitanti erano disperati, avevano ormai provato di tutto ma senza mai riuscire a cacciarli via:I gatti, portati a centinaia anche dai paesi vicini, scappavano via a gambe levate perchè i topi erano inferociti; le trappole per topi venivano sempre trovate vuote e spesso erano gli stessi abitanti a rimetterci un dito, toccandole per sbaglio; mentre il veleno per topi sembrava non fare nessun tipo di effetto… Il borgomastro della città decise allora di proclamare un bando:– Chiunque sia in grado di liberare Hamelin dalla piaga dei topi, sarà ricompensato con 100 monete d’oro! Il giorno seguente si presentò alla porta del borgomastro uno strano individuo, tutto vestito di colori sgargianti e con in mano un piffero. Il borgomastro lo squadrò dalla testa ai piedi, pensando di aver davanti uno di quei saltimbanchi che cercano solo un tozzo di pane per tirar sera, e gli chiese:– Cosa volete?– Ho saputo che la città è infestata dai topi e che offrite una lauta ricompensa, io posso liberarvi dai topi – rispose il pifferaio.– Tu? Liberarci dai topi? E come pensi di fare?! – gli rispose sgarbatamente il borgomastro mettendosi a ridere sonoramente.– Col mio piffero magico – disse sicuro di sé il pifferaio.– … ma certo! Col piffero…! – rispose il borgomastro asciugandosi le lacrime dalle risate – va bene va bene, fai pure, se lo dici tu… – e lo liquidò senza minimamente pensare che il pifferaio facesse sul serio.Il pifferaio allora prese a camminare per la via principale e iniziò a suonare una dolce melodia. La gente del paese incantata uscì per la strada e si affacciò alle finestre per sentirlo. Quello che videro subito dopo i cittadini di Hamelin aveva dell’incredibile: i topi a poco a poco sbucarono fuori dai loro nascondigli e iniziarono a mettersi tutti in fila ordinatamente dietro al pifferaio. Il pifferaio si diresse fuori dalle mura, e i topi lo seguirono fino al fiume, dove come per magia si buttarono dentro lasciandosi trasportare via dalla corrente. Il buffo pifferaio aveva liberato la città dai topi!Il borgomastro però non era per niente felice, perchè ora avrebbe dovuto pagare 100 monete d’oro allo strambo pifferaio, a cui in realtà non voleva dare neppure un soldo. – Ho liberato la città dai topi, ora pretendo la mia ricompensa – disse il pifferaio al borgomastro.– Ma di quale ricompensa vai dicendo, per aver suonato un piffero?! Al massimo posso darti una moneta d’oro per l’esibizione… e fattela bastare! – gli grugnì contro il borgomastro facendo saltare la moneta in mano al pifferaio. Il pifferaio, anche se evidentemente contrariato, non disse però nulla, si congedò e con passo tranquillo tornò sulla via principale del paese, dove riprese a suonare il suo piffero e la sua dolce melodia. Questa volta però a mettersi in fila dietro di lui furono tutti i bambini del paese. Sembravano come rapiti da una magia che li ipnotizzava e li faceva marciare educatamente dietro al pifferaio. A nulla valsero le suppliche e i tentativi dei genitori di trattenerli ed impedire loro di uscire dalla città dietro al pifferaio, loro si divincolavano e continuavano a cantare e camminare felici dietro di lui. Fu una lunga marcia, prima attraverso i boschi, poi nella foresta fino ai piedi delle montagne, dove il pifferaio si fermò e si mise a suonare una melodia molto differente dalla precedente. Nella parete della montagna si aprì un varco dove il pifferaio entrò continuando a suonare la sua melodia, e con lui entrarono tutti i bambini. Quando anche quello che sembrava l’ultimo bambino fu entrato, il varco si richiuse. Ma dei bambini in realtà ne mancava ancora uno, che era zoppo ad una gamba e non era riuscito a tenere il passo dell’allegra comitiva. Quando finalmente anche lui si ritrovò davanti al varco nella roccia e lo trovò chiuso, cominciò a battere i pugni contro le pietre disperato.– Fatemi entrare! Fatemi entrare! – gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, ma nessuno dall’altra parte gli rispondeva. Tornò quindi triste ed abbattuto ad Hamelin, dove l’intero paese era disperato per la perdita di tutti i suoi bambini. Tutti gli adulti avevano provato invano ad aprire un varco nella roccia della montagna, ma non riuscivano a scalfirne neppure un centimetro, doveva essere sicuramente protetta da una magia. Al bambino invece non interessava nient’altro che poter anche lui inseguire il pifferaio magico per ricongiungersi con tutti i suoi amici. Poi un giorno ebbe un’idea: costruì un piffero e iniziò a suonarlo.Gli ci vollero parecchi giorni per imparare a suonarlo come si deve, e altrettanti per ritrovare la melodia che suonava il pifferaio, ma alla fine ci riuscì. Camminò quindi più veloce che poteva fino al varco nella montagna e cominciò a suonare la melodia: magicamente il varco si aprì.Con passo incerto e zoppicante, pieno di emozione mista a paura il bambino entrò. Dentro lo aspettava il pifferaio che con un gran sorriso gli disse:– Tu hai trovato dentro di te la magica melodia capace di incantare le persone e gli animali! Tieni ora il mio piffero magico, è tuo. Il bambino prese tra le mani il meraviglioso piffero di legno, lo guardò con occhi lucenti, e quando rialzò lo sguardo il pifferaio non c’era più, ma tutt’intorno aveva i suoi cari amici bambini! Il bambino iniziò quindi a suonare il piffero e si incamminò fuori dalla grotta nella montagna. Dietro di lui si formò un’allegra colonna festante che poco dopo entrò trionfalmente in città. Ci fu una gran festa che durò giorni e giorni per celebrare il bambino eroe. Nessuno però seppe mai che cosa avessero fatto i bambini dentro il varco nella montagna, perché nessuno si ricordava nulla… Il borgomastro, che con la sua avarizia aveva di fatto creato tutta quella disavventura, fu cacciato dal paese.Con i soldi della mancata ricompensa fu eretta in piazza del paese una statua in onore del pifferaio magico, che aveva liberato la città dai topi, e portato la magica melodia nelle vite e nei cuori di tutti i cittadini di Hamelin. ⚜ Fine della fiaba ⚜
C’era una volta un perfido folletto che si dilettava a fare il mago e costruì uno specchio magico. Quel giorno era proprio di buon umore perchè aveva creato uno specchio capace di far sparire tutte le cose belle e buone che vi si specchiavano dentro. Anche il paesaggio più incantevole, dentro lo specchio appariva come abbandonato e privo di bellezza. I volti delle persone venivano deformati e diventavano irriconoscibili, e anche le più belle persone apparivano repellenti. E se lo specchio rifletteva qualcosa di brutto, lo rendeva persino orribile. Il perfido folletto si divertiva un mondo a fare scherzi e a spaventare le persone, mostrando loro quello che lo specchio rifletteva. E lui rideva, rideva così tanto che un giorno, per tenersi la pancia con le mani a causa delle troppe risate, fece scivolare lo specchio, che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Il perfido folletto gridò di rabbia. Il suo gioco preferito era ormai andato perduto. Le schegge dello specchio erano così piccole e leggere che diventarono una piccola nuvola fatta di mille pezzettini scintillanti, grandi non più di un granello di sabbia, e il vento le sparse per tutto il mondo. La più grande sfortuna era che ogni singola scheggia di specchio frantumato possedeva il medesimo malefico potere che aveva lo specchio intero. Alcune schegge si conficcarono negli occhi delle persone, facendo sì che vedessero il mondo come un posto triste e insopportabile in cui dover vivere per forza. Altre schegge si posarono dentro i cuori, trasformando quelle povere persone in esseri privi di sentimenti e di amore. Quando si rese conto di cosa i frammenti del suo specchio erano stati in grado di fare, il malefico folletto rise ancora di più e continuò a ridere per tutta la sua vita, perché sapeva che tutte quelle schegge sarebbero volate per il mondo e avrebbero portato la tristezza nelle persone per chissà quanto tempo ancora. Ma non poteva immaginare l’avventura che i suoi frammenti di specchio avrebbero fatto affrontare a due bravi e cari bambini, il giovane Kay e la dolce Gerda…
C’era una volta un vecchio asino che ormai faceva fatica ad alzarsi, camminare e trasportare i sacchi di farina che il suo padrone gli caricava sulla schiena ogni giorno. – Ormai sei diventato inutile! – disse l’uomo – Domani ti porterò al macello! Il povero asino pensò tra sè e sè: “che razza di ingrato, dopo tutto il lavoro che ho fatto per te…”Così gli venne un’idea: non appena il padrone si allontanò, scappò via dalla stalla e si incamminò verso la vicina città di Brema, in cerca di fortuna. Mentre camminava l’asino pensava a cosa avrebbe fatto una volta arrivato a Brema, e decise che sarebbe entrato a far parte della banda cittadina.Lungo la strada l’asino incontrò un cane accucciato, che si lamentava borbottando. – Cos’hai da lamentarti, cane? – chiese l’asino.– Son vecchio e malandato, così non riesco più ad andare a caccia col mio padrone. Ha pure cercato di accopparmi ma io sono scappato… solo che adesso non so cosa fare… – Allegro, vecchio mio! Vieni con me a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.Il cane, trovando l’idea interessante, decise di seguirlo. Proseguendo per la strada, i due incontrarono un gatto sdraiato per terra, che si lamentava borbottando. – Cos’hai da lamentarti, gatto? – chiese l’asino.– Son vecchio e malandato, poi oggi ho graffiato il sofà della mia padrona, e lei ha cercato di tirarmi il collo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare… – Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.Il gatto, trovando l’idea interessante, decise di seguirli. Poco dopo si trovarono tutti nei pressi di una fattoria, dove incontrarono un gallo che, appollaiato sopra la staccionata, si lamentava cantando a squarciagola. – Cos’hai da lamentarti, gallo? – chiese l’asino. – Son vecchio e malandato, poi domani arriveranno ospiti e la mia padrona ha deciso di cucinarmi in brodo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare… – Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.Il gallo, trovando l’idea interessante, decise di seguirli. Ma Brema era lontana e iniziava a fare buio. La compagnia era ormai stanca e affamata e voleva fermarsi a dormire sotto gli alberi del bosco. L’asino, scrutando in mezzo agli alberi, vide una casetta con una luce accesa e propose di andare a vedere. Tutti lo seguirono. Avvicinandosi piano, sbirciarono da una delle finestre, e videro che dentro c’era una banda di briganti seduti attorno ad una tavola riccamente imbandita.Vedendo tutto quel cibo, ai quattro gli si strinse lo stomaco dalla fame.– Quanto vorrei anch’io poter mangiare tutto quel ben di Dio… – disse il cane.– Quella tavola imbandita farebbe proprio al caso nostro – continuò il gatto.– Già, ma come facciamo a prendere quel cibo? – continuò il gallo.– Forse mi è venuta un’idea… – concluse l’asino, che si mise a spiegare sottovoce il suo piano. Dopo che furono tutti d’accordo, l’asino puntò le zampe anteriori sul davanzale della finestra, sul suo dorso salì il cane, sulla groppa del cane salì il gatto e sulla schiena del gatto salì il gallo. Al segnale dell’asino iniziarono tutti a far rumore a più non posso: l’asino ragliava, il cane abbaiava, il gatto miagolava e il gallo cantava a squarciagola. L’asino diede un colpo al vetro della finestra, che si frantumò, e con un balzo entrarono in casa. I briganti, terrorizzati da quel frastuono infernale, credettero che fosse entrato in casa uno spettro maligno e se la diedero a gambe, scappando di corsa nel bosco. Finalmente l’asino, il cane, il gatto e il gallo avevano di che mangiare a sazietà. Dopo che ebbero riempito per bene le loro pance, decisero che era giunta l’ora di dormire. Spensero la luce. L’asino si sistemò fuori casa vicino al letamaio, il cane dietro la porta sul retro, il gatto nella calda cenere del camino e il gallo sulla trave più alta del tetto. Intanto i briganti, nascosti nel bosco, vedendo che nella casa era tutto buio, decisero di tornare a riprendersi il loro bottino nascosto in un baule. Il più fifone tra loro fu estratto a sorte per andare a controllare se nella casa fosse tutto tranquillo. Il brigante fifone entrò senza far rumore, e volendo accendere una lampada accostò un fiammifero vicino ai carboni ardenti del camino. Ma quelli che credeva essere carboni ardenti, erano in realtà gli occhi del gatto, sfavillanti al buio! Il gatto, profondamente infastidito, gli saltò addosso graffiandogli tutta la faccia. Il brigante si spaventò a morte e cercò di fuggire dalla porta sul retro, dove inciampò nel cane che prontamente lo morse ad una gamba. Sempre più terrorizzato, cercò allora di attraversare il cortile passando per il letamaio dove, svegliato dal trambusto, lo stava aspettando l’asino, che gli sferrò un bel calcio nel sedere. Il gallo, svegliato di soprassalto, gridò a squarciagola “chicchirichì!”. Il brigante, sgomento, scappò via di corsa nel bosco e tornò a raccontare ai suoi compari: – Nella casa c’è un’orribile strega che mi ha graffiato tutta la faccia! E poi sulla porta c’è un uomo col coltello che mi ha ferito alla gamba! E nel cortile c’è un mostro che mi ha colpito con un bastone di legno! E in cima al tetto c’era un giudice che diceva “portatemi quel brigante!”. Tutti i briganti si guardarono in faccia atterriti, e si dissero che non valeva la pena rischiare la vita per il bottino nascosto nella casa. E così fuggirono via e non si fecero mai più vivi. Intanto i quattro musicanti di Brema, contenti di aver finalmente trovato un posto tutto per loro, non vollero più andare a Brema a far parte della banda, ma restarono per tutta la vita in quella comoda casetta. E vissero tutti felici e contenti. ⚜ Fine della fiaba ⚜
C’era una volta, tanto tempo fa, un casotto isolato e vicino alla Foresta Nera, dove vivevano un povero boscaiolo, sua moglie e i loro sette figli, tutti maschi. Era stato un anno di carestia e ultimamente il boscaiolo non riusciva a guadagnare abbastanza da portare cibo a sufficienza per sfamare tutta la famiglia. Il boscaiolo era un uomo rude e molto irascibile. Una sera, capendo che il giorno successivo non avrebbe avuto di che sfamare se stesso e di conseguenza tutta la famiglia, prese la moglie e le disse: – Non abbiamo in casa più cibo nemmeno per arrivare a sera. Ho deciso che domani porteremo nel bosco i bambini e li abbandoneremo, così almeno noi due ce la caveremo. La moglie inorridita per quella dura e crudele sentenza si mise a piangere disperata, cercò di convincere il marito a non abbandonare i loro figli, ma l’uomo fu irremovibile. I due non si accorsero però che, sotto al tavolo della misera cucina, stava rannicchiato Pollicino, il più piccolo dei loro figli che era talmente minuscolo da potersi nascondere ovunque senza essere scoperto. Pollicino sentendo discutere animatamente i genitori volle scoprire di cosa stavano parlando. Nel sentire quelle terribili parole, Pollicino che era tanto piccolo quanto intelligente, capì che doveva fare qualcosa per salvare se stesso e i suoi fratelli. Corse fuori di casa fino al vicino ruscello e iniziò a prendere tanti piccoli sassolini bianchi fino a riempire il tascapane che portava sempre con sé, poi tornò a casa e si mise a dormire nel suo lettino. Il mattino seguente il boscaiolo e la moglie, presero tutti i loro bambini e li portarono nel bosco con la scusa di farsi aiutare a raccogliere della legna. I bambini, che non immaginavano le reali intenzioni dei genitori, partirono entusiasti. Tutti tranne Pollicino, che si mise in coda al gruppo. Pollicino, senza farsi vedere, ogni tanto lasciava cadere sul sentiero uno dei piccoli sassolini bianchi raccolti sul greto del fiume, certo che l’avrebbero aiutato a ritrovare la strada di casa una volta abbandonati nel bosco. Dopo una lunga camminata fin dentro il cuore della Foresta Nera, il boscaiolo e la moglie dissero ai bambini di fermarsi a raccogliere tutte le frasche e rametti che potevano, mentre loro sarebbero andati a raccogliere legna lì vicino. – Non muovetevi da qui – disse con voce ferma il loro padre – noi torneremo presto a prendervi. E così il boscaiolo e la moglie sparirono tra gli alberi della foresta.I bambini che non sospettavano nulla iniziarono felici a fare il loro dovere, finchè non arrivò quasi sera, e i loro genitori non si erano ancora fatti vivi… Tutti i fratellini a poco a poco iniziarono ad avere paura, poi alcuni di loro iniziarono a piangere, finché non intervenne Pollicino: – Fratelli miei, non preoccupatevi, io so come riportarvi tutti a casa, seguitemi! – e con sicurezza iniziò a camminare spedito nel bosco seguendo la traccia dei sassolini lasciati a terra. Prima che il buio impedisse loro di vedere il sentiero, furono di nuovo a casa. La madre, non appena li vide, corse ad abbracciarli tutti, piena di gioia. Il padre invece sbuffò e inventò la scusa che si erano persi pure loro nella foresta, e non erano più riusciti a ritrovarli. Ma dopo aver aspettato che tutti i bambini fossero a letto a dormire, il boscaiolo riprese la moglie e le disse nuovamente: – Non possiamo assolutamente permetterci di mantenere tutti quei bambini, domani li porteremo in un’altro punto della foresta, più lontano ancora, e li abbandoneremo! La donna spense tutta la gioia che aveva provato nel riabbracciare i suoi piccoli e, chinando il capo, cercò di nascondere le lacrime che scendevano sul suo viso. Pollicino, che aveva sospettato una nuova decisione del genere da parte del padre, era rimasto sveglio e si era messo ad origliare dall’altra parte della stanza. Sentendo quelle parole, decise di ritornare al fiume a riempire il tascapane di sassolini, ma purtroppo trovò la porta di casa sprangata e non poté uscire. L’unica cosa che trovò fu un piccolo pezzo di pane raffermo, con quello poteva fare piccole briciole per segnare il sentiero. Il mattino seguente, con un’altra scusa i genitori presero i loro figli e li portarono ancora più in fondo nella Foresta Nera, in un punto in cui anche la luce faceva fatica a passare tra le fronde degli alberi. E li abbandonarono di nuovo. Come il giorno precedente, i bambini in un primo momento rimasero sereni, ma non ci misero molto a comprendere che erano stati di nuovo lasciati soli. Pollicino, sicuro di sé, li radunò tutti e li tranquillizzò dicendo che li avrebbe ricondotti a casa, e si mise a cercare le bricioline che aveva lasciato sul sentiero. Ma non riuscì a trovarle perché gli uccellini si erano mangiati tutte le bricioline di pane! Impauriti e disperati i sette fratelli iniziarono a vagare per la foresta.Stava arrivando la sera, quando a Pollicino venne un’idea. Si arrampicò fino in cima ad un albero per vedere meglio la direzione da prendere. Con sorpresa, vide che poco distante c’era una casa con le luci accese e il comignolo fumante.– Ho trovato una casa fratelli! Andiamo a chiedere ospitalità per la notte! – esclamò Pollicino.E così si incamminarono. Giunti alla casa, Pollicino bussò. Poco dopo aprì la porta un’orchessa che guardandoli con meraviglia chiese:– Cosa ci fate qui bambini?! – Ci siamo persi nel bosco, abbiamo freddo e fame e non sappiamo dove passare la notte… – rispose Pollicino.– Ma questa è la casa di un orco ghiotto di bambini, se vi trova vi mangia! – disse preoccupata l’orchessa. – Moriremo comunque di stenti qui nel bosco se lei non ci aiuta… a questo punto meglio essere mangiati da un orco… – concluse Pollicino. L’orchessa, impietosita dagli sguardi spauriti dei bambini disse:– …e va bene, entrate, svelti, vi darò da mangiare e vi nasconderò – e così fece. Poco dopo l’orco rientrò a casa annusando l’aria con soddisfazione:– Senti senti che bell’odorino di bambini paffuti e grassottelli che c’è nell’aria… moglie, volevi farmi una sorpresa? – e si precipitò subito ad aprire la porta del ripostiglio dove erano nascosti tutti i fratellini. L’orchessa tentennante rispose:– … sì caro mio, ma li mangerai domani, per stasera ti ho già preparato un’abbondante cena…L’orco sorrise beffardo e si mise a cenare. L’orchessa prese Pollicino e i suoi fratelli e li accompagnò a dormire. Nella camera erano presenti due enormi letti, in uno stavano dormendo le sette figlie degli orchi, nell’altro avrebbero dormito i sette fratelli. Le piccole figlie degli orchi erano amate dal loro padre come fossero principesse, tanto che ognuna di loro aveva in testa una graziosa coroncina intrecciata. Pollicino notò la cosa e la tenne a mente. Dopo averli messi tutti a letto l’orchessa chiuse la porta della stanza. Pollicino aveva un brutto presentimento e chiese ai suoi fratelli di scambiare i loro berretti con le coroncine delle piccole orchette. Le preoccupazioni di Pollicino erano ben fondate perchè, quando ormai stavano tutti dormendo, sentì aprirsi piano la porta della stanza. Era l’orco che nel buio era venuto a prenderli! L’orco ben sapeva che le sue bimbe portavano una coroncina in testa, quindi nel buio si mise a tastare le testoline dei sette fratelli, e sentendo le coroncine si spostò spedito verso l’altro letto, aprì un sacco e credendo di prendere i bambini, vi gettò dentro invece tutte le sue figlie. Poi uscì dalla stanza. Pollicino svegliò i suoi fratelli.– Svelti! Svelti! E’ il momento di scappare!I bimbi fuggirono via dalla finestra, per fortuna c’era la luna piena ad illuminare il sentiero nella foresta. Non passò molto tempo che l’orco, aprendo il sacco, si accorse di aver preso per sbaglio le sue bambine. Infuriato come non mai si infilò i magici stivali delle sette leghe e partì all’inseguimento di Pollicino e i suoi fratelli. Gli stivali delle sette leghe consentivano di fare decine di metri per ogni passo fatto, e in breve l’orco si era avvicinato moltissimo a Pollicino e i suoi fratelli senza però raggiungerli. Purtroppo gli stivali erano tanto portentosi quanto stancanti e l’orco, dopo aver corso per alcuni minuti, si fermò stremato a riposare appoggiato al tronco di un albero, e siccome era notte fonda, si addormentò. Pollicino, sentendo russare sonoramente l’orco, decise di rubargli gli enormi stivali e indossarli. Siccome erano stivali magici si adattarono subito ai piccoli piedi di Pollicino.– Fratelli ho avuto un’idea, aspettatemi qui! – disse, e poi si precipitò a casa dell’orchessa. – Signora orchessa, è successa una disgrazia! – gridò Pollicino – suo marito l’orco è stato rapito dai banditi, e se non avranno tutto il vostro oro, lo uccideranno!L’orchessa senza farselo ripetere due volte prese tutto quello che aveva in casa e lo consegnò a Pollicino, che corse di nuovo dai suoi fratelli. – Con tutto quest’oro e con questi stivali non avremo più preoccupazioni fratelli miei! – disse entusiasta Pollicino. Tutti i suoi fratelli gli fecero festa. Ripresero il cammino verso casa, dove arrivarono alle prime luci dell’alba. Entrando Pollicino trovò la loro madre che piangeva disperata.– Mamma, siamo tornati! – esclamò.La madre si voltò e corse ad abbracciarli tutti quanti, riempiendoli di baci. Pollicino chiese dov’era il loro padre e la madre raccontò loro che avevano litigato furiosamente a causa del loro abbandono, così lui aveva deciso di andarsene via per sempre, in cerca di fortuna da qualche altra parte. I bambini mostrarono alla madre tutto l’oro sottratto agli orchi e Pollicino, il giorno stesso, si presentò dal re, ottenendo un incarico come messaggero privato grazie agli stivali delle sette leghe. La madre era incredula che le loro sorti potessero essere cambiate così tanto in così poco tempo, ma era felice di poter essere riunita ai suoi bambini, e la loro famiglia visse per sempre felice e contenta. ⚜ Fine della fiaba ⚜