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IL DECENNIO DEI DIRITTI

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Un lavoro realizzato dalla classe 5^B S.I.A. dell'I.I.S. Federico Patetta diCairo Montenotte

Cosa abbiamo prodotto in questo progetto(indice)

1

Documenti

Spiegazioni e riassunti di avvenimenti e personaggi di quel periodo

Immagini

Immagini rappresentative del periodo, gli avvenimenti e i personaggi

3

Interviste video/audio

Interviste a persone della zona in qualche modo legate al periodo

2

1

Il 68

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Franca Viola

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3

Franco Basaglia

4

I movimenti studenteschi, il Sessantotto, gli anni di piombo, il Sessantasette

5

La Zanzara

7

6

Lo Statuto dei lavoratori

Urbino

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Intervista a Simonetta Rebella

Intervista a Pierluigi "Mario" Sonaglia

Intervista a Claudio Possetto

Intervista a Marcello Macario

Intervista ad Adalberto Ricci

Trailer del Progetto

Biografia Franco Basaglia nasce l’11 marzo 1924 a Venezia, si laurea in medicina e chirurgia nel 1949 e inizia a lavorare nell’ Istituto di clinica delle malattie nervose e mentali di Padova. Nel 1961 diventa direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, dove avvia un processo di trasformazione istituzionale, seguendo il modello della "comunità terapeutica". Nel 1971, diventa direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Trieste e continua la sua lotta per la chiusura dei manicomi e l'implementazione di servizi di salute mentale sul territorio. Nel 1978 viene approvata la Legge 180 che ha per oggetto una riforma psichiatrica, ispirata alle sue esperienze. Basaglia muore nel 1980 a causa di un tumore cerebrale. La violenza all’interno dei manicomi Il brano parla di un incontro assembleare svoltosi all'interno di un istituto psichiatrico in fase di chiusura, durante il quale sono state condotte interviste al personale e ai pazienti. Questo raduno rappresenta una discussione collettiva su argomenti come la struttura del manicomio, i diritti dei pazienti e l'importanza di un approccio sociale e culturale per affrontare le contraddizioni della società. Viene citato un estratto dal capitolo "Le istituzioni della violenza" di Franco Basaglia, nel quale si evidenziano le condizioni disumane e la violenza presente negli ospedali psichiatrici e in altre istituzioni. Il testo suggerisce che, nonostante l'avanzamento tecnologico e l'evoluzione delle istituzioni, la violenza e l'esclusione rimangono radicate nella società, mascherate attraverso tattiche più sofisticate. I nuovi professionisti, come psichiatri, terapeuti e assistenti sociali, agiscono come gestori della violenza del potere, adattando gli individui alla loro condizione di "soggetti vulnerabili" e rafforzando la marginalizzazione sociale degli esclusi. il testo esplora in modo critico il tema della violenza e dell'esclusione nelle istituzioni, sottolineando la necessità di un'esame approfondito e di azioni volte a promuovere una società più inclusiva e equa.

Legge Basaglia Gli ospedali psichiatrici esistevano già nel 1400, ma furono regolamentati per la prima volta nel 1904 con la Legge Giolitti. Solitamente, erano gestiti da ordini monastici, ecclesiastici o da medici illustri. Le condizioni all’interno dei manicomi erano terribili e disumane: spesso venivano inflitte vere e proprie torture ai malati, compresi l’elettroshock e l’uso eccessivo di farmaci; i malati psichiatrici venivano spesso segregati dal resto della società e confinati all’interno di apposite strutture. La maggior parte delle istituzioni psichiatriche non offriva trattamenti umani e terapeutici basati sul rispetto della dignità e dei diritti dei pazienti, ma si concentrava piuttosto sulla custodia e sul controllo dei comportamenti ritenuti devianti. La legge Basaglia, è una legge italiana che ha rivoluzionato il sistema psichiatrico nel paese. Approvata nel 1978, porta il nome del suo principale promotore, Franco Basaglia. Questa legge ha sancito la chiusura graduale dei manicomi e ha promosso l'istituzione di servizi psichiatrici comunitari, riconoscendo anche diritti delle persone con disturbi mentali, e promuovendo il trattamento in ambiente aperto e la loro inclusione nella società. Questa legge ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale e sui diritti umani non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, influenzando politiche e pratiche in molte altre nazioni. Entrata in vigore 45 anni fa, il 13 maggio 1978, la legge Basaglia fu la prima al mondo a abolire gli ospedali psichiatrici, riformando il sistema di cura per il disagio mentale, e segnando una svolta nel mondo dell'assistenza ai pazienti psichiatrici La legge Basaglia in una testimonianza Il testo racconta l'esperienza di Pina, una donna che è stata internata in un manicomio a Roma all'età di cinque anni, qui Pina ha trascorso trent'anni subendo trattamenti crudeli come il legamento delle mani e dei piedi. Negli anni Settanta, in Italia, c'erano 98 ospedali psichiatrici che contavano circa 89.000 internati. La legge 180 del 13 maggio 1978, conosciuta come legge Basaglia, ha ordinato la chiusura dei manicomi e ha garantito ai malati mentali gli stessi diritti dei cittadini. Questa legge è stata la prima al mondo a eliminare gli ospedali psichiatrici, ma ci sono voluti altri vent'anni per chiudere completamente queste strutture in Italia. Nel 1994, Roma è diventata la prima capitale europea senza manicomio.

Franca Viola, nasce il 9 gennaio 1948 ad Alcamo (Sicilia), la sua storia ha inizio all’età di 15 anni quando ottenne il consenso dalla sua famiglia per fidanzarsi con Filippo Melodia. Il ragazzo era il nipote di un mafioso locale e in seguito ad un’accusa al ragazzo di furto e di appartenenza ad una banda mafiosa, Franca Viola decide di lasciarlo sotto obbligo del padre. Da questo momento Franca e la sua famiglia subiscono minacce e distruzioni della loro proprietà. Dopo poco tempo Filippo decise di organizzare il rapimento della ragazza. Il 26 dicembre 1965, il giorno dopo Natale, Filippo si presenta a casa dei Viola e rapisce Franca diciottenne, insieme al fratellino che viene liberato poco dopo da parte dello stesso rapitore e dai suoi 12 complici. Lei, invece, dopo un lungo digiuno viene abusata da Filippo e liberata successivamente il 2 gennaio 1966 dalla polizia dopo aver scoperto il luogo in cui era nascosta. Poco prima però la famiglia Viola aveva fatto credere ai parenti di Filippo che le nozze sarebbero state accettate, invece la famiglia di Franca rifiutò sin da subito il matrimonio riparatore.

Secondo la legge in vigore, questo particolare tipo di matrimonio permetteva allo stupratore di essere assolto se sposava la donna. Il processo si concluse nel 1966 con la condanna a 11 anni per Filippo Melodia e i suoi complici, accusati di violenza carnale, violenza privata, lesioni e minacce. Franca Viola è diventata quindi la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore. Questa vicenda si collocava in una società maschilista in cui la donna era considerata proprietà del marito e in cui gli uomini avevano il permesso di uccidere la propria moglie se per esempio veniva sorpresa con un amante. La sua ribellione fece scalpore e mise le basi a cambiamenti che avverranno decenni dopo. Oggi Franca Viola ha 76 anni e vive ancora nel suo paese natale.

In una società ancora puritana, Marco de Poli e Claudia Beltramo, studenti borghesi del liceo classico Parini e redattori del giornale scolastico “La Zanzara”, per la prima volta indagano nel tabù del ruolo femminile, della sessualità e dei problemi all’interno della scuola. Questa fu la prima avvisaglia della rivoluzione culturale e sociale del ‘68. Le prime persone che li interrogarono riguardo la loro protesta, furono i funzionari della scuola. Secondo il procuratore di allora la capacità di intendere e di volere si sarebbe accertata dall’esecuzione di una visita medica con inclusi esami del sangue. Essi erano difesi dagli avvocati più importanti di Milano, i quali si erano offerti gratuitamente di farlo, nonostante questo, i due ragazzi vennero comunque condannati al minimo della pena.

La legge ordinaria promulgata il 20 maggio 1970 n. 300 (titolo esteso “Legge 20 maggio 1970, n. 300 "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento." - meglio conosciuta come statuto dei lavoratori - è una delle normative principali della Repubblica Italiana in tema di diritto del lavoro. Questa legge introduce importanti modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori, con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle rappresentanze sindacali; a oggi di fatto costituisce, a seguito di integrazioni e modifiche, l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia.Q uesto testo è stato proposto da Giacomo Brodolini e Silvio Gava con firma di Giuseppe Saragat l’allora Presidente della Repubblica italiana.

Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che, parzialmente modificato e integrato nel corso di questi decenni, ancora oggi costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali. Approvato a seguito delle tensioni sociali e delle lotte sindacali della fine degli anni sessanta, conosciute come la stagione dell’autunno caldo, è preceduto dall’introduzione nell’ordinamento di alcune significative norme di tutela e garanzia per i lavoratori, quali la Legge 1124/1965 in materia di infortuni e malattie professionali, la Legge 903/65 in materia pensionistica e la Legge 604/66 in materia di licenziamenti; lo Statuto rappresenta una svolta dal punto di vista sia politico che giuridico, nel sancire positivamente alcuni dei diritti fondamentali del lavoratore e delle sue rappresentanze sindacali. La legge si articola in 6 titoli, che racchiudono norme concernenti la libertà e dignità dei lavoratori, la libertà sindacale, l’attività sindacale, disposizioni varie e generali, il collocamento, le disposizioni finali e penali. La norma è stata poi sottoposta a ulteriori modifiche con la riforma del lavoro Fornero nel 2012 e poi in seguito all’emanazione del Jobs Act, da parte del governo Renzi, in vigore dal 2015.

Per “Sessantotto” si intende quell’arco di anni che va dal 1968 al 1978, che ha prodotto un ciclo di lotte e cambiamenti radicali nella società italiana borghese. Esso ha rappresentato una vera e propria rivolta contro le istituzioni ( scuola, chiesa, sistema educativo), i valori e le abitudini del momento, ha affrontato temi fino ad allora considerati intimi e tabù per le famiglie. Uguaglianza, giustizia, libertà, ribellione furono i temi cardine che mossero le masse Da questo punto di vista l’esperienza del ’68 fu liberatoria: ci sentivamo padroni del mondo e la storia sembrava svoltare in quella direzione, verso una liberazione da tutti gli schemi nei quali ci volevano imprigionati.

Negli anni Sessanta i giovani formarono un gruppo sociale autonomo la cui identità collettiva era trasgressiva e conflittuale. La cultura “beat” era un insieme di mode che volevano marcare una rottura con il passato e rappresentavano anche nuovi messaggi come cercare relazioni più vere e lottare per la pace. Tra queste mode possiamo ricordare la nascita di nuovi complessi musicali alternativi a quelli già esistenti e vennero adottati i capelli lunghi anche per i maschi. A metà degli anni Sessanta i giovani furono identificati per la prima volta come studenti, il loro bisogno era quello di passare meno tempo con la famiglia e di vivere con i propri coetanei. Nacquero all’interno delle scuole delle associazioni per permettere agli studenti di discutere e diffondere le proprie idee su temi di attualità come la guerra in Vietnam, l’apartheid in Sud Africa e l’educazione sessale, associazione che però furono controllate e censurate dai presidi.

La cultura “beat” portò al movimento del Sessantotto che riguardò principalmente il sistema scolastico, furono organizzate delle manifestazioni, delle occupazioni di scuole, delle lezioni autogestite e collettivi studenteschi. Nel 1970 il conflitto peggiorò a causa della crisi finanziaria, a metà degli anni Settanta la disoccupazione giovanile aumentò e si assistette ad una crisi di identità da parte dei giovani. Il conflitto portò alla formazione di un periodo di terrorirsmo che caratterizzo’ questi anni e viene definito come “anni di piombo”. Il Settantasette è contraddistinto dalla contestazione, da parte di studenti e giovani disoccupati, delle organizzazioni sindacali. In questo periodo si diffusero le droghe e si pose fine all’idea che il futuro della società potesse essere cambiato collettivamente (militanza politica). Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta le ragazze costituirono il movimento femminista che protestava nei confronti della società, lottava per il riconoscimeto di un’uguaglianza giuridica e sociale tra uomini e donne.

Urbino, 5 marzo 1968. A Roma c’è già stata la “battaglia di Valle Giulia” quando studenti e Polizia si affrontano per ore sulle scalinate della facoltà di Architettura.Sta iniziando il Sessantotto, il movimento che, cinquant’anni fa, ha innescato un processo di profondo cambiamento nella società. Inizia una rivoluzione culturale che cambierà la storia. I ragazzi del Movimento studentesco che sta nascendo, gli studenti di sinistra, vogliono occupare la facoltà di Giurisprudenza mentre un gruppo di estrema destra cerca di impedirlo. Prendono delle funi, le legano a uno dei battenti del grande portone di accesso al palazzo di via Saffi e, con forza, lo scardinano. Per i giovani del Movimento è la prima vittoria. Da quel giorno anche la piccola università di Urbino (il rettore è Carlo Bo e gli studenti sono meno di 9000) vive i mesi della protesta studentesca in una città che, a volte, non le è amica.Le cronache di quei tempi, appannaggio de Il Resto del Carlino, definiscono gli studenti “fanatici comunisti filocinesi guidati come marionette dal partito” e raccontano solo una parte di quella storia. Questi giovani desiderano un futuro che sarà fatto di emancipazione, libertà e diritti per tutti, in ogni angolo del mondo, vogliono scardinare un contesto che giudicano troppo autoritario, in cui gli unici principi accettati sono quelli borghesi e abolire il consumismo che, ritengono, generi disuguaglianze e addormenti il pensiero; nelle loro parole ci sono rabbia ed entusiasmo.Le ragazze, anche nella piccola Urbino, iniziano a rivendicare un ruolo diverso nella società. Partecipano attivamente alle assemblee, disobbediscono ai genitori che non capiscono le loro ragioni e iniziano a vestirsi seguendo la moda che arrivava dall’estero. Sono stanche di essere spettatrici, vogliono essere protagoniste di quel cambiamento. Seguono miti fino ad allora sconosciuti.

Gli studenti prendono la parola uno alla volta e leggono uno dei documenti più importanti per il Movimento: la dichiarazione messa a punto dagli studenti dell’università di Torino dove le contestazioni erano iniziate già alla fine del 1967, con l’occupazione di Palazzo Campana, sede del municipio. Con l’arrivo della primavera a Urbino continuano le agitazioni degli studenti. Nei primi giorni di aprile gli iscritti a Farmacia lanciano sostanze lacrimogene contro i ragazzi che stavano facendo un sit-in di protesta. A fine mese le facoltà occupate sono tre, le lezioni sono sospese e gli esami bloccati.L’espulsione di alcuni studenti anarchici dall’università di Nanterre provoca l’occupazione di molti Atenei in Europa, manifestazioni in varie città e barricate al Quartiere Latino, poco distante dalla Sorbona. In quelle settimane si marcia, si urlano slogan contro la guerra in Vietnam, si cantano nuove canzoni. È la gioia di chi sa che sta riscrivendo la storia. Un gruppo anonimo di universitari scrive una lettera ai colleghi che occupano le facoltà: “Non avete rispetto per le istituzioni italiane mentre le contestazioni vanno avanti per tutto l’autunno. Il 17 febbraio 1972 un altro evento segna la storia delle contestazioni studentesche urbinati: l’incendio dell’istituto di Filologia: “Sei studenti fascisti volevano sostenere l’esame in modo diverso dagli altri. I ragazzi di estrema destra si erano chiusi in bagno e, quindi, rischiavano di morire. Per salvarli i Vigili del Fuoco li hanno tirati fuori da una finestra. Poco tempo dopo i fascisti sono stati decorati da Giorgio Almirante (allora segretario del Msi)