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Leopardi tra Illuminismo e Romanticismo
Samuel Rodriguez
Created on October 16, 2024
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Transcript
E ROMANTICISMO
TRA ILLUMINISMO
G.Leopardi
L'età dei Lumi è compresa tra la pace di Aquisgrana (1748) e il Congresso di Vienna (1815), al suo interno sono presenti altre fasi ovvero quella delle rivoluzioni e quella napoleonica.
Il periodo in cui il Romanticismo prende piede è quello della Restaurazione e movimenti liberali e di indipendenza.
Illuminismo
Romanticismo
CARATTERI GENERALI
Leopardi
Romantico
Nel dettaglio: Leopardi intervenne nel dibattito tra classicisti e romantici, ma le sue posizioni furono originali.
LEOPARDI E IL ROMANTICISMO
Leopardi, dal lato filosofico, risulta incompatibile con l'idealismo ed il positivismo a lui contemporanei; il suo pensiero si collega in realtà alle idee illuministiche dei Philosophes
Illuminista
Leopardi
LEOPARDI E L'ILLUMINISMO
LE OPERE
Analisi
"La ginestra o fiore del deserto" è il testamento spirituale e poetico di Leopardi, dove tutto il suo pensiero si trova condensato in un solo testo. Formata da 317 versi e divisi in 7 strofe, la ginestra attraversa diversi temi leopardiani: dalla Natura come "matrigna" di tutti gli esseri viventi, che ha interesse solo per la conservazione delle specie per continuare l'esistenza meccanicistica dell'universo, alla satira contro le illusioni ottimistiche contemporanee all'autore insieme alla proposta della "social catena" per contrastare la Natura. Ma all'interno del testo dai vv 52-86, la seconda strofa per intero, si può notare l'amore di Leopardi per l'età ormai passata, quella illuministica:
LA GINESTRA (STROFA 2)
Strofa 2
lisi
Ana
"Le Ricordanze" è il 22esimo canto dei Canti leopardiani. Scritta nel 1829 con il ritorno di Leopardi a Recanati. La lunga composizione ha 173 versi divisi in sette strofe di lunghezza variabile in cui il poeta canta alla giovinezza perduta, contemplando i luoghi dell'infanzia riportandolo a ricordi felici. "Dolce rimembrar".
LE RICORDANZE
Strofa 1
All'uomo sensibile e immaginoso,...il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d'una campana; e nel tempo stesso coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbiettivi sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vista che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione"
ZIBALDONE
Il verso di Mamiani riportato ironicamente in chiusura di strofa 1 (Le magnifiche sorti e progressive, V 51), è un compendio delle illusioni progressiste, smentite duramente dalle testimonianze evidenti e perfino in senso materiale (le rovine delle passate grandezze). Nella seconda strofa Leopardi continua ad attaccare duramente queste concezioni, sostenendo che esse, invece di segnare uno sviluppo del pensiero umano, hanno comportato un regresso culturale, annullando le conquiste del pensiero laico e razionalista del Rinascimento e dell'Illuminismo (movimenti esaltati dall'autore non per il loro positivismo progressista). Da qui si può notare l'amore di Leopardi verso l'Illuminismo che, grazie all'esaltazione della ragione e alla conseguente eliminazione di tutte le irrazionalità presenti nella vita, aiutò l'uomo a prendere coscienza della sua situazione infelice e del suo vero nemico, la Natura. Grazie alla presa di coscienza, Leopardi trova una soluzione alla situazione umana, quella della "social catena", che riprende anche temi importanti illuministi quali il cosmopolitismo e la fratellanza ed eguaglianza tra tutti gli uomini. Il poeta oppone il proprio fermo "disprezzo" alla viltà e alla paura che spingono i suoi contemporanei a ignorare la miseria per la condizione umana e a inneggiare paradossalmente a presunte conquiste di libertà che nascondono al contrario un nuovo controllo delle conoscienze sottomesse al dogma religioso e all'autoritarismo politico. Qui la critica verso l'irrazionalismo e idealismo romantico, nate infatti per opporsi alla razionalità e alla materialità del periodo illuministico. Da qui ne deriva anche la critica verso il medioevo al V 74, definendo i periodi rinascimentale e illuministico una ripresa dalle barbarie medievali, condannate anche dagli illuministi, ma riprese e lodate per la loro irrazionalità dai romantici. Alla paura del vero rivelatore di tutto il dolore irrimediabile della condizione umana, il poeta contrappone in finale di strofa la figura solitaria e coraggiosa di chi invece persegue quel vero a costo di sofferenza e solitudine (se stesso), che quindi ancora si aggrappa al razionalismo e al materialismo di un epoca ormai giunta al termine.
Si ha tra il 1819 ed il 1823 il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico: una svolta nel pensiero leopardiano, dove il materialismo ed il meccanicismo si radicalizzano, e viene respinta qualsiasi ipotesi spiritualistica, "il corpo è l'uomo", "il corpo pensa", in sostanza in questo periodo il pessimismo leopardiano si acuisce dopo la delusione incontrata a Roma e il conseguente abbandono temporaneo della poesia con la scoperta dell'"arido vero". La vita perde significato e diventa un semplice ciclo meccanicistico di nascita-vita-morte, utile solo all'unico interesse della natura ovvero quello della conservazione dell'esistenza, come visto infatti nel "Dialogo della Natura e un Islandese" delle Operette Morali. La civiltà, precedentemente condannata da Leopardi, ora acquista una posizione ambivalente: positiva perché ha aiutato l'uomo a comprendere la sua situazione, smascherando la verità che sta dietro la sua infelicità, e scoprendo il suo vero nemico ovvero la Natura recuperando la dignità della coscienza; ma ciò è vero solo per quelle fasi in cui l'uomo ha deciso di usare la sua ragione, infatti i periodi caratterizzati dall'irrazionalità e da un forte spiritualismo, come il Medioevo o quello della Restaurazione, sono condannati da Leopardi, avvicinandolo quindi al pensiero illuministico. La civiltà però viene vista anche nel suo lato negativo, perché ha segnato la vita umana con il marchio dell'artificialità e dell'inautenticità.
La lirica leopardiana auspica ad una massima espressione dell'io e della soggettività: ciò si può notare nella parte dei Canti nominata "Idilli", definiti dallo stesso leopardi come espressione di "sentimenti, affezioni, avventure storiche dell'animo", infatti ciò che Leopardi vuole rappresentare sono momenti della sua vita interiore, tema prettamente romantico. La natura non ha ancora assunto l'immagine di nemica eterna dell'uomo, quindi viene vista ancora come entità benigna. Questo tema è presente soprattutto in testi di autori romantici europei, come in "Daffodils" di Wordsworth, dove il poeta dà una descrizione di un paesaggio naturale e di come esso gli porti gioia; ma non è solo il paesaggio a portarli gioia, ma il piacere deriva anche dal ricordo, la memoria. Nel pessimismo storico leopardiano la natura era come una "madre" benevola, poteva portare l'uomo alla felicità se non fosse deviata da altre forze quali la ragione. Un altro tema caro ai romantici riportato poi nelle liriche leopardiane è quello del vago e dell'indefinito che è contenuto nella teoria del piacere (di derivazione sensistica ma anche contenendo elementi della cultura romantica): Leopardi cerca di produrre una sensazione di vago tramite l'uso del linguaggio, grazie a termini che rimandano anche all'immaginazione tipica dell'infanzia. Un altro tema di questa poetica è la memoria: la memoria di ciò che è lontano vagamente sentito e solo immaginato, impossibile da sentire direttamente con i sensi, genera sensazioni essenzialmente poetiche perché portano l'uomo all'immaginazione, la vera facoltà della poesia.
Prima fra tutti la teoria del piacere di stampo prettamente sensistico, attraverso cui Leopardi cerca di spiegare l'infelicità umana, scrivendo che essa deriva da un bisogno inappagabile di piacere che è sempre superiore al conseguito ed al conseguibile; il piacere a cui aspira l'uomo è infinito che va oltre quindi al piacere finito ordinario che prova ogni giorno, questo desiderio inappagabile infuso dalla natura sull'uomo lo rende infelice, da qui ne deriva la rivalutazione della natura stessa su cui è fatta ricadere la responsabilità per l'infelicità della condizione umana.
Con lo svilupparsi della sua ricerca, Leopardi giunge nel 1830 a giudicare l'impegno civile positivamente, e dà all'intellettuale un nuovo ruolo ovvero quello di smascherare le illusioni della civiltà, e da qui si determina il suo rapporto con l'illuminismo, un rapporto in realtà ambivalente in quanto Leopardi non pone fiducia in una attività ricostruttiva di nuove illusioni, quale il progresso, da sostituire alle precedenti. Questo nuovo ruolo dell'intellettuale può essere notato attraverso le Operette Morali, le quali hanno infatti come obbiettivo quello di distruggere le illusioni e di mostrare il vero, ma anche di individuare i modi di vita adeguati dopo la consapevolezza di esso. Il nuovo ruolo dato all'intellettuale aiuta Leopardi a risolvere la questione del suicidio, dicendo che il suicidio è sempre la strada sbagliata, perché provoca dolore nelle persone care al suicida, rendendo la loro vita ancora più insopportabile. Il pensiero di Leopardi illuminista ha modo di esprimersi nel suo testamento spirituale e poetico: La ginestra.
Secondo il poeta, l'imitazione degli antichi era sbagliata come lo era anche il completo distacco. Infatti credeva che la poesia doveva essere originale e non imitata, dando luogo all'interiorità del mondo immaginario dell'artista; un autore doveva trarre spunto dalla perfezione dei classici in modo originale, per avvicinarsi a quella immaginazione che solo gli antichi possedevano grazie alle illusioni create dalla natura, infatti la loro età ovvero l'età primitiva era l'unica era in cui era presente vera poesia, dove si era più inclini all'immaginazione: similmente all'infanzia. Quindi solo loro potevano imitare alla perfezione la natura, mentre i moderni, con la perdita delle illusioni a causa della ragione, rimangono degli imitatori degli imitatori. In futuro, Leopardi si muoverà più dalla parte dei romantici, riconoscendo che all'uomo non rimane nemmeno più una poesia d'immaginazione, ma di sentimento e di filosofia, fondata sulla caduta delle illusioni e sulla rievocazione di esse. Date le originali posizioni leopardiane, si potrebbe parlare di un classicismo romantico, presente anche in autori precedenti come lo stesso Foscolo. Bisogna per questo liberarsi dal pregiudizio che il classicismo ed il romanticismo siano movimenti opposti.
IL ROMANTICISMO ITALIANO.In Italia il movimento Romantico viene contrastato dal movimento classicista in una discussione accesa dall'articolo di Madame De Staël "Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni", dove l'autrice francese esponeva il suo pensiero sulla poesia italiana, ritenendola antiquata e necessaria di una modernizzazione. La discussione aveva come esponenti maggiori classicisti Leopardi e Giordani, che proponevano il riutilizzo dei generi classici, che avevano già raggiunto la perfezione poetica, mentre invece i Romantici come Borsieri e Visconti aspiravano ad una poesia nuova e moderna, esponendo le loro opinioni tramite l'uso di giornali come "Il Conciliatore" e la "Biblioteca Italiana".
CULTURA, IDEE.Il movimento Romantico prende posizioni fortemente antilluministe e anticlassiciste: contrappone idealismo al sensismo illuminista, il ritorno del Cristianesimo sul deismo. Spinge al nazionalismo, contrapponendosi quindi al cosmopolitismo tanto amato dagli illuministi, concentrandosi inoltre su aspetti irrazionali dell'uomo come i sogni e le visioni le passioni e i sentimenti. I Romantici propongono di abbandonare i generi classici e alti, adeguati ad un pubblico di intellettuali ristretto, valorizzando una poesia moderna e adatta ad un pubblico ampio e borghese. La corrente Romantica nasce dalla scissione avente da una parte la natura e la poesia, dall'altra la società e il racconto del mondo. Ciò porta ad una nuova visione del rapporto tra natura ed uomo, ispirato dalle idee del filosofo Rousseau: l'uomo nel suo stato naturale e primitivo è felice, è stato il progresso a renderlo infelice, e il contatto con la natura quindi risulta un qualcosa che provoca gioia e felicità nell'uomo.
Per tutta l'opera si intrecciano l'io-lirico adulto e fanciullo, in un dialogo tra presente e passato. Nella prima strofa l'io-lirico torna a Recanati, e guardando verso le stelle rievoca i paesaggi, la bellezza e la felicità del passato che si scontra con l'attuale situazione. Da questa considerazione nasce la seconda strofa dove descrive le difficoltà provate durante la giovinezza, ma viene interrotto con l'inizio della terza strofa ed il ritorno ad una visione senza difetti del passato. Nella quarta strofa l'io-lirico si riferisce alle speranze coltivate durante la giovinezza confrontandole con il presente; il confronto porta dolore, e da qui si apre la quinta strofa con il tema della morte e del giovanile desiderio di suicidio, contrapposto all'attaccamento alla vita nei momenti di malattia. Nella sesta strofa l'io-lirico si riferisce direttamente ai "giorni vezzosi" della fanciullezza, la cui fine si incarna nell'ultima strofa in Nerina: nome poetico di Maria Belardinelli, giovane renatese morta a ventisette anni nel 1827. La lirica si collega al tema del vago e dell'indefinito e alla memoria, temi cari a molti romantici europei. Il ricordo delle speranze giovanili non consola il poeta ma anzi gli fa sentire ancora di più il dolore per la perdita della giovinezza. Si nota la distanza dai primi Idilli: le felici illusioni della giovinezza sono ormai giunte al termine, ed il poeta non può che contemplarle mantenendo sempre una spietata consapevolezza della loro fine.
Di questo mal, che teco mi fia comune, assai finor mi rido. Libertà vai sognando, e servo a un tempo vuoi di nuovo il pensiero, sol per cui risorgemmo della barbarie in parte, e per cui solo si cresce in civiltà, che sola in meglio guida i pubblici fati. Così ti spiacque il vero dell'aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè. Per questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe palese: e, fuggitivo, appelli vil chi lui segue, e solo magnanimo colui che se schernendo o gli altri, astuto o folle, fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco, che il calle insino allora dal risorto pensier segnato innanti abbandonasti, e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti, di cui lor sorte rea padre ti fece vanno adulando, ancora ch'a ludibrio talora t'abbian fra se. Non io con tal vergogna scenderò sotterra; ma il disprezzo piuttosto che si serra di te nel petto mio, mostrato avrò quanto si possa aperto: ben ch'io sappia che obblio preme chi troppo all'età propria increbbe.
ignaro del mio fato, e quante volte questa mia vita dolorosa e nuda volentier con la morte avrei cangiato. Né mi diceva il cor che l’età verde sarei dannato a consumare in questo natio borgo selvaggio, intra una gente zotica, vil, cui nomi strani, e spesso argomento di riso e di trastullo son dottrina e saper; che m’odia e fugge, per invidia non giá, che non mi tiene maggior di sé, ma perché tale estima ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori a persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, senz’amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de’ malevoli divengo: qui di pietà mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini mi rendo, per la greggia c’ho appresso: e intanto vola il caro tempo giovanil, piú caro che la fama e l’allor, piú che la pura luce del giorno, e lo spirar: ti perdo senza un diletto, inutilmente, in questo soggiorno disumano, intra gli affanni, o dell’arida vita unico fiore.
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea tornare ancor per uso a contemplarvi sul paterno giardino scintillanti, e ragionar con voi dalle finestre di questo albergo ove abitai fanciullo, e delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole creommi nel pensier l’aspetto vostro e delle luci a voi compagne! allora che, tacito, seduto in verde zolla, delle sere io solea passar gran parte mirando il cielo, ed ascoltando il canto della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi e in su l’aiuole, susurrando al vento i viali odorati, ed i cipressi lá nella selva; e sotto al patrio tetto sonavan voci alterne, e le tranquille opre de’ servi. E che pensieri immensi, che dolci sogni mi spirò la vista di quel lontano mar, quei monti azzurri, che di qua scopro, e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio!
L'immagine finale di Nerina è la rappresentazione del destino umano: la fanciulla partecipa alla natura come ogni altro essere umano, ma non ha la capacità di rigenerarsi e di tornare ciclicamente alla vita. La prima strofa è una breve introduzione al canto che poi si modulerà sul ritmo puro della memoria, si avverte la gioia di quel tempo e di quel mondo ritrovati, il sentimento dell'anima dinnanzi allo sfavillare delle stelle è antico e nuovo. Nei VV 5-6 affiora il tema centrale del canto: il contrasto melanconico tra allora e ora, fra i sogni della fanciullezza, il cui ricordo genera piacere e il sentimento amaro del disinganno. La bellezza del periodo è nella bellezza dell'affollarsi incontenibile di ricordi, reso attraverso la ripetizione della "e" presente in tutta la strofa, come si accavallano tutti i ricordi; la ultima "e" al V 19 fa riferimento ai sogni e alla favola bella della vita perduta. Si rilevano l'uso di aggettivi che rimandano all'idillio dell'infinito e alla teoria del vago e dell'indefinito (V 13).
NUOVO RUOLO DELL'INTELLETTUALE.L'Illuminismo segna la fine dell'intellettuale cortigiano, passando dal mantenersi in ambito economico solo grazie all'aiuto di un mecenate, a riuscire a vivere esclusivamente di guadagni derivanti dal proprio lavoro editoriale. Il poeta diventa un autore di interventi legislativi, movitore di idee e di opinione pubblica, interpretando le esigenze di una nuova classe borghese; in sostanza la poesia acquisisce una funzione pratica di utilità, guidando il popolo verso un futuro migliore. Gli autori illuministi si raccoglievano intorno ad accademie come l'Accademia dei Trasformati (di stampo riformatore moderato), o l'Accademia dei Pugni (di stampo riformatore radicale); inoltre specialmente in Italia, gli illuministi per divulgare le loro idee utilizzavano le riviste, la più famosa italiana fu "Il Caffè" fondato da Pietro Verri.
CULTURA, IDEE. Il movimento illuminista mette sotto esame la realtà per eliminare tutti gli aspetti irrazionali presenti allo scopo di costruire un mondo migliore; queste aspirazioni alla ragione e alla razionalità sono scaturite dalle scoperte scientifiche di scienziati come Galileo e Newton, che rivoluzionano le vecchie conoscenze e credenze come la teoria geocentrica, ma anche dall'uscita della "Encyclopédie", ovvero l'enciclopedia ragionata di tutto il sapere umano del tempo, sotto la guida di diversi intellettuali come Denis Diderot e Jean Baptiste le Rond d'Alembert. La mentalità illuminista si basava su atteggiamenti di apertura e tolleranza verso le altre civiltà (cosmopolitismo, filantropismo), e di diffidenza verso tutto ciò che era irrazionale, come il dogmatismo e il fanatismo religioso; ciò non significava che tutti gli illuministi fossero atei, ma credevano in una religione "razionale" (deismo). L'illuminismo, dalla parte filosofica, è la fusione tra il razionalismo e il sensismo, basandosi anche sull'empirismo di Locke, riducendo quindi ogni conoscenza all'atto dell'esperienza; non ci deve essere conflitto tra natura e uomo, ma equilibrio.