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I L'Italia dopo il 476 d. C. cade sotto la dominazione barbara

BREVE EXCURSUS STORICO

SITUAZIONE IMPERO ROMANO E ITALIA DOPO IL 476 d.C Nell’Italia subito dopo il 476 Odoacre re degli eruli occupò l’Italia, mentre in Francia si formava il regno dei franchi guidati da Clodoveo, egli sconfisse l’ultimo governatore della Francia Siagrio, Clodoveo fondò una dinastia i merovingi dal nome del capostipite meroveo. I franchi si differenziavano dagli altri barbari, perché abitavano in territorio Romano ma soprattutto perché erano cattolici, si convertirono al cattolicesimo senza passare per l’arianesimo, essi trattarono le popolazioni sconfitte su un piano di parità e con loro si fusero. Essi ebbero l’appoggio sia del clero cattolico che delle popolazioni.

ITALIA In Italia Odoacre si comportò diversamente: diede vantaggi ai suoi soldati e i Romani vennero trattati come una popolazione sconfitta, ma continuò a servirsi dei funzionari Romani, la sua politica economica consistette nella spoliazione delle terre e nell’esazione dei tributi, Odoacre cercò anche d’ingrandire il suo regno, ma l’imperatore Zenone gli spinse contro Teodorico. Questi si presentò in Italia con 200000 uomini e dopo una guerra durata 5 anni sconfisse Odoacre e lo uccise nel 493. Anche Teodorico come Odoacre professava l’arianesimo, ma si batté per una pacifica convivenza fra goti e Romani, egli cercò di evitare ogni questione religiosa, ma goti e Romani vissero come popoli separati, anche nel campo del diritto i Romani continuavano a seguire le loro leggi, mentre i barbari le loro consuetudini. Il regno di Teodorico fu un periodo di pace e tranquillità per l’Italia dal 493 al 526 non si ebbero né guerre né saccheggi, tuttavia dal punto di vista economico fu un periodo tragico, perché si assistette allo spopolamento delle campagne ed alla distruzione della piccola proprietà, egli si preoccupò di salvaguardare anche le opere distrutte o danneggiate. Molto importante fu l’editto di Teodorico che regolava la vita civile, i rapporti fra Romani e i goti e mirava ad evitare il frequente ricorso alla vendetta, proprio del costume dei goti. I goti acquisirono anche la facoltà testamentaria, tuttavia i due popoli rimanevano separati, il clero cattolico non guardava con simpatia il clero ariano e falliva nel suo nodo più importante: la collaborazione fra goti e Romani.

Alla morte di Teodorico prese il suo posto il successore Atalarico sotto la reggenza di sua madre Amalasunta. Questa nel 535 sposò suo cugino Teodato, poiché era morto prematuramente Atalarico e non potendo regnare come donna. Teodato era un nazionalista intransigente che nulla concedeva ai Romani, per essere libero nella sua politica fece eliminare Amalasunta, agli occhi di Giustiniano Teodato era solo un usurpatore e ciò creò il casus belli della guerra greco-gotica. Giustiniano già nel 535 aveva posto fine al regno vandalo in Africa, inoltre riuscì a riconquistare anche la Spagna e la Sardegna e Sicilia. Spedì perciò il generale Belisario a conquistare l’Italia, Teodato si dette alla fuga, ma accusato di viltà dai suoi soldati fu ucciso, Belisario affrontò il successore al regno Vitige e lo sconfisse a Ravenna. I goti però si riorganizzarono sotto la guida di un nuovo re Totila. La guerra si protrasse per 13 anni e segnò la distruzione dell’Italia che subì perfino terremoti e l’invasione dei Franchi che però furono fermati. Totila liberò molti contadini dalla schiavitù per avere un maggiore consenso e costruì un embrione di stato nazionale, Giustiniano intanto spazientito da questo generale spedì in Italia un altro generale: Narsete che distrusse l’esercito di Totila che cadde in battaglia. I goti tentarono ancora una volta la riscossa con Teia, ma il suo esercito venne completamente annientato nella penisola sorrentina.

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IL'Italia perde la sua unità politica

LONGOBARDI La liberazione dell’Italia assieme a quella dell’Africa aveva restaurato l’unità dell’impero. Tuttavia alla morte di Giustiniano la sua unità fu messa subito in crisi. Le enormi spese sostenute per concludere la guerra contro i Goti avevano portato al dissesto le casse dello stato e quando la guida dell’impero venne assunta da un usurpatore, i persiani sferrarono un violento attacco contro l’impero. Per questo motivo la maggior parte delle forze militari vennero ritirate dall’Italia, mentre un re longobardo, Alboino varcava le alpi per invadere l’Italia. I longobardi che avevano combattuto in Italia avevano visto la sua ricchezza, ma anche la sua debolezza. Alboino con un esercito di 250 mila uomini varcava le alpi e occupò l’Italia settentrionale, intanto gli slavi occupavano la penisola balcanica, i reparti bizantini intanto si difendevano nelle città fortificate, durante la loro invasione nacque il primo nucleo della città di Venezia, i longobardi espugnarono Pavia che divenne la loro capitale, ma non riuscirono ad espugnare Ravenna centro in cui c’era l’esarca l’autorità imperiale in Italia. I longobardi non furono abbastanza forti da occupare tutta la penisola, né avevano un potere accentrato sotto un unico re, ma ogni gruppo abbastanza potente controllava una parte di territorio, per questo la loro invasione determinò la perdita dell’unità politica e territoriale dell’Italia che riacquistò la sua unità solo dopo 1300 anni. I longobardi s’imposero ovunque come dominatori di fronte ai quali i popoli sottomessi avevano un unico destino quello di essere totalmente privi di diritti davanti al loro signore. Un secondo aspetto fu l’impossibilità di qualsiasi collaborazione fra vincitori e vinti.

ORGANIZZAZIONE SOCIALE I longobardi erano organizzati in gruppi familiari. SIPPE: gruppo di famiglie RE: capo dell’esercito in armi, eletto, senza poteri civili ARIMANNI: guerrieri che avevano pienezza di diritti davanti alla comunità ALDII: cittadini liberi ma di rango inferiore SERVI: privi di diritti politici LA LORO STORIA FU TRAMANDATA DA PAOLO DIACONO

Dopo la morte di Alboino, che morì per una congiura di palazzo divenne re Clefi che morì poco dopo senza nominare un erede, pertanto i longobardi rimasero senza un re. Solo quando i bizantini spinsero i franchi ad invadere l’Italia venne eletto re Autari, che respinse i franchi ed estese il suo regno a danno dei bizantini. Sotto Autari iniziò la conversione dei longobardi al cattolicesimo ed i rapporti fra vinti e vincitori migliorarono. Agilulfo (560-616) regnò dopo la morte di Autari e riprese il progetto espansionistico del suo predecessore spingendosi fino alle porte di Roma, ma il papa Gregorio magno pagò un forte tributo al sovrano longobardo per risparmiare Roma. I rapporti fra longobardi e italici migliorarono ulteriormente e il sovrano longobardo fece battezzare il re secondo il rito cattolico. Tra i successori di Agilulfo ha un posto di rilievo Rotari (636-652), che emanò l’editto di Rotarì, raccoglieva un insieme di leggi valide in tutto il regno longobardo. questo editto si fonda su principi estranei al diritto Romano, ma addolcisce il diritto germanico. Viene introdotto il guidrigildo ossia il risarcimento in denaro in modo proporzionale alla condizione sociale dell’offeso. I longobardi però non furono mai in grado di espugnare le principali piazzaforti bizantine ed occuparono l’Italia a macchia di leopardo. Liutprando (712-744), riprese il progetto di unificazione di tutta la penisola, riuscì perfino a conquistare Ravenna per un breve periodo, riprese il progetto di conquistare Roma, ma il papa Gregorio II riuscì ad allearsi con i duchi longobardi di spoleto e benevento, Liutprando non venne sconfitto, ma preferì cedere alla chiesa i territori del castello di Sutri, con questa donazione (728 d. C.) inizia il potere temporale della chiesa. I longobardi però non impararono niente dalla lezione, Astolfo infatti riprese il progetto di conquistare Roma, ma a contrastarlo questa volta trovò il re Pipino dei franchi da poco consacrato re, egli discese in Italia e sconfisse Astolfo 754. Furono proprio i franchi a porre fine al regno longobardo nel 774. Desiderio infatti riprese l’antico progetto di conquistare Roma, ma anche questa volta il papa Stefano II ricorse all’aiuto di Carlo Magno che nel frattempo era salito al trono. Carlo discese in Italia e cinse d’assedio Pavia, poco dopo una terribile epidemia falcidiò i longobardi, Pavia cadde, Desiderio fu catturato e finì i suoi giorni come prigioniero, il popolo longobardo cessò di esistere come entità politica ed i duchi longobardi continuarono a possedere i loro ducati, ma come vassalli dei re longobardi.

La sua attività può essere opportunamente suddivisa in tre periodi. Il "primo" periodo, dal 528 al 534, fu caratterizzato dalle grandi compilazioni, con la preparazione e la pubblicazione di:[50] Il primo Codice (Novus Iustinianus Codex), dal 528 al 529. Il Digesto, o Pandette (Digestum, seu Pandectae), dal 530 al 533, una raccolta di materiali attribuibili a giuristi antichi e, soprattutto, ai cinque ritenuti più autorevoli dalla Legge delle Citazioni, ovvero Papiniano, Gaio, Paolo, Ulpiano e Modestino. Le Istituzioni (Institutiones Iustiniani sive Elementa), del 533, un manuale dei fondamenti del diritto originariamente destinato all'insegnamento scolastico della materia e composto attingendo largamente a testi analoghi di epoca precedente, come le Istituzioni di Gaio e quelle di Paolo. Il secondo Codice (Codex repetitae praelectionis), del 534, ossia il Codice vero e proprio con la raccolta delle leges imperiali. Il lavoro compiuto in questo periodo risentì positivamente del coordinamento operato da Triboniano: il quaestor sacri palatii era infatti un esperto e colto giurista, perfettamente a suo agio anche nel maneggiare leggi vecchie di secoli. Il "secondo periodo", dal 535 al 542, fu caratterizzato da un'intensa legislazione "corrente" (per mezzo delle Novellae constitutiones, che raccolsero i frutti dell'intensa stagione legislativa tra il 535 e il 542).[50] Il "terzo periodo", infine, dal 543 al 565, anche per la minore, o diversa, qualità dei collaboratori, vide l'attività legislativa (sempre per mezzo di Novellae) farsi sempre più scarsa e scadente.[50] Il Corpus iuris civilis fu formato da tali opere, nelle quali le nuove leggi si armonizzavano con quelle antiche. Nel primo periodo furono scritte in latino, lingua ufficiale dell'impero ma scarsamente conosciuto dai cittadini delle province orientali (anche se lo stesso Giustiniano era di lingua, cultura e mentalità latine e parlava con difficoltà il greco). Il latino infatti era sostanzialmente la lingua dell'amministrazione, della giustizia e dell'esercito, mentre le principali lingue d'uso nella parte orientale dell'impero erano il greco e, in minor misura, il copto, l'aramaico e l'armeno (rispettivamente in Egitto, Siria e alcune regioni dell'Asia Minore).[51] Se il dominio romano, repubblicano prima e imperiale dopo, era riuscito a imporre con successo il proprio diritto e le proprie istituzioni politiche e militari, il sostrato culturale delle province orientali dell'impero continuò a essere improntato in larga misura a forme e moduli di tipo tardo-ellenistico. Per ovviare a ciò, le opere successive (dalle Novellae in poi) vennero redatte pragmaticamente in greco, lingua più utilizzata dal popolo e nella pratica amministrativa quotidiana.[48] Il Corpus forma la base della giurisprudenza latina (compreso il diritto canonico: ecclesia vivit lege romana) e, per gli storici, fornisce una preziosa visione dall'interno, delle preoccupazioni e delle attività dell'Impero romano. Raccoglie assieme le molte fonti in cui le leges (leggi) e le altre regole erano espresse o pubblicate: leggi vere e proprie (leges), senatoconsulti (senatusconsulta), decreti imperiali, rescritti, opinioni e interpretazioni dei giuristi (responsa prudentium). Il Corpus viene definito un "monumento alla sapienza giuridica di Roma"[52] e fu alla base della rinascita degli studi giuridici e delle istituzioni politiche in Europa, tanto che ancora oggi costituisce il fondamento di molti sistemi giuridici nazionali nel mondo. Anche in campo amministrativo la sua attività fu notevole: dopo la rivolta di Nika iniziò a rinnovare l'impero coadiuvato dal prefetto Giovanni di Cappadocia, accorpando province, potenziando l'accentramento amministrativo e iniziando una rigorosa politica finanziaria improntata al taglio degli sprechi e al recupero sistematico delle somme dovute allo Stato.