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Presentazione

A cura di Mariasole Stefanini

"NOI" perchè due sono meglio di uno

05 COMMENTO PERSONALE

04 COLLEGAMENTO CON LE LEZIONI SVOLTE IN CLASSE

03 FRASI SIGNIFICATIVE

Conclusioni

VI. Se anche il cervello risuona con gli altri

V. Se la società genera disagio

IV. Quado il gruppo diventa indispensabile

III. Quando abbiamo iniziato a capirci

II. L'ambiente famigliare è contagioso?

I. A che gioco giochiamo?

introduzione

02 ANALISI CAPITOLI

01 AUTORE

Contenuti

Indice

Massimo Ammaniti

AUTORE

01

Massimo Ammaniti è nato a Roma nel 1941. E' psicoanalista e medico neuropsichiatra infantile. Attualmente è considerato uno dei più noti psicanalisti italiani specializzati nell’età evolutiva. Oltre a svolgere la sua attività come docente universitario e a svolgere la sua professione in qualità di psicanalista, Massimo Ammaniti è anche autore di numerose pubblicazioni scientifiche. I suoi studi si sono spesso concentrati sull’analisi dei rapporti che intercorrono tra genitori e figli durante la fase dell’infanzia. Ha inoltre approfondito tematiche quali: i problemi dell’adolescenza, il lavoro del genitore e i ruoli della famiglia nella società moderna.

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Massimo Ammaniti

Perchè due sono meglio di uno

"NOI"

02

"Una persona è una persona attraverso gli altri"

Questo libro si propone come un analisi approfondita del mondo contemporaneo, che risulta incentrato sull'affermazione dell'io e dei bisogni individuali a svantaggio degli altri. I giorni correnti sono alimentati dalla "cultura del narcisismo", secondo cui ognuno è preso da se stesso. Nel compiere tale riflessione lo scrittore riporta gli studi di Jean Piaget, per capire quanto il pensiero egocentrico, che caratterizza i primi anni di vita dei bambini, prenda il soppravvento nelle relazioni con gli altri e sulle capacità di collaborazione. Nonostante questo la relazione con l'altro è parte della natura umana e ne risulta essere proprio la sua specificità, che distingue gli uomini dagli animali. Basta pensare che 50-60 mila anni fa i nostri antenati sono soppravvisuti grazie alla cooperazione che ha consentito loro la soppravvivenza e l'evoluzione.

INTRODUZIONE

La ricerca neurologica ha messo in luce come queste capacità di condivisione sono radicate nel cervello umano, una prova è l'esistenza dei neuroni specchio. Tuttavia questa forte proprensione può esere favorita oppure ostacolata sia all'interno della famiglia sia a livello sociale. Infatti, durante l'adolescenza, il gruppo è considerato un posto dove sentirsi tranquilli e sereni, ed gli scambi con i coetanei sdivengono un rituale autorassicurativo. Sottolineare il "noi" non vuol dire sottovalutare la dimensione individuale, ma riconoscere come quest'ultimo mette in pericolo la libertà personale e conduce all'isolamento.

"Una persona è una persona attraverso gli altri"

INTRODUZIONE

Non sempre i bambini sono in grado di collaborare e condividere, volendo imporre il proprio punto di vista difficilmente trovano una mediazione. Questo perchè, secondo lo studioso Jean Piaget, durante i 3-4 anni, i bambini hanno un pensiero egocetrico, ovvero riferiscono tutto a e stessi. Tuttavia vi possono essere delle eccezzioni, e, talvolta , alcuni bambini dimostrano una capacità di mentalizzazione: ovvero comprendono che le altre persone hanno una mente con le proprie intenzioni, i propri desideri e le proprie emozioni. Quello che però sembra distinguere i bambini dalle bambine è la capacità di empatia, essa favorisce l'immedesimazione nell'altro e, di conseguenza, permette di trovare delle strategie e degli argomenti giusti per giungere a una mediazione.

I. A che gioco giochiamo?

I bambini che vivono in famiglie estese hanno maggiori capacità sociali rispetto ai coetanei di famiglie ristrette, questo perchè imparano ben presto a non farsi "schiacciare" dai fratelli. Al contrario i figli unici, passano più tempo con gli adulti e crescono bisognosi di continue conferme , più interessati a se stessi che agli altri. Pertanto la condizione di figlio unico può alimentare un orientamento narcisistico che va a interferire nei rapporti con gli altri e può rendere più vulnerabili.

I. A che gioco giochiamo?

Linfluenza della famiglia sulle competenze sociali dei bambini

Quando i bambini iniziano a frequentare l'asilo e la scuola materna sviluppano strategie relazionali complesse. Le diverese modalità mediante cui interagiscono con i compagni sono influenzate sia dall'ambienta famigliare (attaccamento sicuro, ambivalente, evitante) ma anche da propensioni personali. Possiamo notare per cui: - bambini che sono in grando di adattarsi e propongono giochi interessanti - bambini prepotenti che adottano comportamenti intimidatori - bambini più timidi, sottomessi ai compagni

L'ingresso all'asilo nido o scuola materna

I. A che gioco giochiamo?

I. A che gioco giochiamo?

L'amicizia nei primi anni

La scelta di un amico nei primi anni può ricadere o su un alter-ego, ovvero qualcuno simile a se stesso, che dona sostegno al proprio io; oppure su un Io ideale, ovvero l'amico rappresenta quello che si sente di non avere.

I bambini si costruiscono fin dai primi anni di vita dei modelli mentali, mediante i quali sono capaci di immaginare, prevedere e comprendere quello che succede negli scambi sociali. Avere uno scambio e una cooperazione in un gioco di finzione stimola non solo la creatività ma anche il senso di intimità. Quest'ultima permette di leggere e rispondere alle emozioni dell'altro. Gli scambi sociali suscitano inevitabilmente emozioni diverse. Esse servono a favorire l'avvicinamento o l'allontanamento dagli altri. Tra le più frequenti predominano la gelosia, l'invidia e la vergogna.

I modelli e le emozioni sociali

I. A che gioco giochiamo?

Il senso del noi: We-go

Gli scambi con i coetanei contribuicono a creare un senso del noi, un We-go. Un'iniziale senso del noi emerge già in famiglia nei primi anni di vita. Tuttavia il senso del noi che si costituisce con i coetanei è diverso perchè occorre mettersi in gioco personalmente per riuscire a trovare il proprio ruolo. Si tratta di un noi che rappresenta un'estensione del proprio io: l'altro diventa famigliare perchè viene assimilato a noi stessi. Nella storia umana il clan famigliare e il gruppo tribale hanno rappresentato le prime forme di organizzazione sociale.

I. A che gioco giochiamo?

Prima di far parte di un gruppo un bambino ha già costruito legami importanti all'interno della famiglia. Con le figure familiari il bambino instaura un attaccamento che garantisce la sicurezza e la protezione. Il neonato alla nascita è già disposto ad interagire con gli adulti che si occupano di lui, i quali a loro volta, si sono preparati all'incotrocon il figlio/a. Le madri durante la gravidanza iniziano a pensare per due, si costruiscono nella loro mente l'immagine del bambino, gli attribuiscono un volto, un carattere, dei desideri e delle intenzioni. Esse si rivolgono al bambino, chiamando per nome come se lui potesse ascoltare e comprendere le sue parole.

II: L'ambiente famigliare è contagioso?

In passato l'allevamento dei figli, soprattutto nei primi anni di vita, era affidato alla madre e alle donne di casa; il padre interveniva successivamente quando il bambino usciva dall'ambito familiare ed entrava nel mondo della scuola. Oggi anche il padre cerca di essere più presente nella vita dei figli fin dalla gravidanza e dal parto e di condividere più che in passato con la madre la cura dei figli. Condivisione che può anche determinare conflitti all'interno della coppia.

Durante il periodo dell'attesa ogni madre si domanda se sarà in grado di far vivere e crescere il proprio figlio, e se riuscirà a comprendere i bisogni che il bambino non è in grado di esprimere a parole. Durante la gravidanza il figlio diviene una sorta di "io sotteraneo", con cui condividere momenti di emozione, paure e ansie.

Nella mente dei genitori

II. L'ambiente famigliare è contagioso?

IIn un famoso studio si è osservato che il neonato, anche a poche ore di vita, è in grado di imitare le espressioni facciali di una persona che si ponga di fronte a lui. Mediante l'imitazione il bambino cerca di assimilare l'altro a se stesso. Pertanto vi è un intenzionalità comunicativa non consapevole. Un ruolo privilegiato in questo scambio è svolto dallo sguardo e dal contatto degli occhi.

Sociali fin dalla nascita

II. L'ambiente famigliare è contagioso?

Gli scambi interpersonali avvengono su piani diversi: - Il contagio: ad esempio quando madre e figlio giocano insieme e iniziano a ridere contagiandosi a vicenda- l'empatia: secondo cui vi è un immedesimazione affettiva nell'altro - la mentalizzazione: la quale consente di comprendere i desideri e i bisogni dell'altro

Come avvengono gli scambi

II: L'ambiente famigliare è contagioso?

Mediante la cooperazione umana, 60 mila anni fa l'uomo è riuscito a soppravvivere e riprodursi, facendo progredire la specie umana; grazie lo sviluppo di strategie sempre più complesse e la suddivisione dei compiti. Pertanto, gli uomini, grazie l'aiuto reciproco hanno superato le prove più difficili che a loro si sono presentate. Non sempre trovare un punto di incontro tra i diversi clan è stato facile, ma tale capacità è risultatta essenziale per evitare di creare conflitti insanabili. Come ha messo in luce Mauss nel suo studio antropologico, scambiare doni e contaccambiare favori tra tribù permette di rafforzare e mantenere legami sociali. Di conseguenza era necessaria un intelligenza sociale, la quale rappresentava un vantaggio. Uno stumento fondamentale per collaborare, è ed è stato la comunicazione verbale. Essa ha permesso di costruire il patrimonio culturale.

III. Quando abbiamo iniziato a capirci

Un aspetto molto importante comune a tutti i clan era l'alloparentalità, ovvero l'allevamento condiviso dei bambini, da parte non solo dei parenti stretti. Essa sviluppava nei bambini la capacità di adattamento, ed aveva un grande valore per la loro soppravvivenza. Questa esperienza affinava le capacità di attaccamento e mentalizzazione che avrebbero favorito i bambini. Essi, inoltre, erano motivati a partecipare nelle attività degli adulti dai loro stessi giocattoli, i quali rappresentavano attività quotidiane (es. giochi di caccia).

III. Quando abbiamo iniziato a capirci

Alloparentalità

Tra le forme di apprendimento sociale l'imitazione risulta avere un ruolo decisivo, in quanto prima mediante l'osservazione, e successivamente l'assimilazione, il bambino fa propri determinati comportamenti. L'imitazione rappresenta un atto di fiducia e di considerazione verso gli altri uomini, che divengono un modello da seguire. L'uomo nasce già predisposto ad imitare, e tale meccanismo innato aiuta il neonato nei primi anni di vita.

Il ruolo dell'imitazione

III. Quando abbiamo iniziato a capirci

Tutti gli adolescenti devono affrontare il distacco dai genitori e dal mondo dell'infanzia che fino a quel momento avevano garantito sicurezza e protezione. Questo distacco è avviato dalle trasformazioni fisiche e sessuali. Il ragazzo, in questo periodo, è interessato solo a quello che viene apprezzato e riconociuto dai suoi compagni.Possiamo affermare che il gruppo rappresenta una necessità poichè garantisce un identità e un appartenenza in una fase nella quale l'identità personale vacilla. All'interno del gruppo ci si deve comportare secondo regole condivise, non sempre esplicitate. Inoltre ci sono precise gerarchie che definiscono i ruoli in modo complementare. Pertanto il gruppo è costituito da menti individuali, dotate ciascuna delle proprie specificità e del proprio modo di essere; e questo fa si che, al suo interno, emerga il leader, il più saggio, il più temerario ecc...

IV. Quando il gruppo diventa indispensabile

Sottomissione verso il coetaneo che trasgredisce

In questa fase della vita si crea a volte un rapporto di sottomissione verso quei ragazzi che mettono in discussione l'autorità degli adulti manifestando comportamenti trasgressivi e di ribellione. Questi ragazzi sono oggetto di ammirazione in quanto rappresentano figure che si oppongono agli adulti e pertanto favoriscono identificazioni alternative. Si tratta di una forma di contagio psicologico in cui viene meno la distinzione fra se e l'altro. Questo perchè coindividere idee idee offre l'imprensione di esssere meno soli, ma parte di un "noi" che diviene un estensione del proprio "io".

IV. Quando il gruppo diventa indispensabile

Lo scenario degli adolescenti è cambiato profondamente, grazie alle nuove tecnologie comunicative, particolarmente usate dai giovani, che consentono loro una connessione continua. Queste nuove forme di comunicazione interferiscono con la vita e i rapporti sociali. Un uso troppo frequente di internet può ridurre la comunicazione all'interno della famiglia e restingere la vita sociale, poichè i ragazzi sono assorbiti dallo schermo del computer, e tutto ciò porta un aumento di stati depressivi e solitudine.

Gruppo e nuove tecnologie

IV. Quando il gruppo diventa indispensabile

I rapporti che si costruiscono online sono pittosto poveri, superficiali e sommari. Essere sempre connessi genera una mancanza di solitudine, che porta la difficoltà nel riflettere su se stessi. Inoltre l'iperconnessione sicuramente interferisce con l'attività immaginativa, perchè la mente è continuamente orientata alla realtà.

L'accesso alla rete

IV. Quando il gruppo diventa indispensabile

Dopo aver approfondito la psicologia individuale Freud rivolge il suo interesse verso i fenomeni collettivi e sociali. Lo studioso afferma che la convivenza umana è possibile solo quando viene a crearsi una maggioranza che è più forte del singolo e che resta unita contro ogni singolo. La convivenza, pertanto, implica spesso la rinuncia ai propri desideri e al proprio egoismo per trovare compromessi. Se questo non avviene i rapporti sarebbero soggetti all'arbitrio individuale, basato sui propri interessi.La psicologia individuale, nonostante indaga sull'uomo singolo e mira a scopriere attraverso quali modalità egli persegua il soddisfacimento dei propri moti pulsionali, raramente riesce a prescindere dalle relazioni del singolo con gli altri individui. Questo perchè la psicologia individuale è al tempo stesso psicologia sociale, esse si intecciano inevitabilmente.

V. Se la società genera disagio

I sentimenti nel gruppo

Quando un individuo entra a far parte di un gruppo, acquisisce un "anima collettiva" che lo fa sentire e comportare in modo diverso. In questo contesto di gruppo l'individuo si sente spesso irresponsabile per quello che sta succedendo e prova un sentimento di potenza invincibile. Questo perchè nel gruppo l'emotività è fortemente esaltata e tutto assume carattere estremo: entusiasmo, odio, paura e ostilità. Al suo interno ci si sente sospinti a comportarsi in un certo modo ma non si riconosce il significato dei propri atti. Sembrerebbe intervenire un meccanismo psicologico di "contagio mentale collettivo". Le forti emozini che si sviluppano nel gruppo spesso travolgono i singoli.

V. Se la società genera disagio

V. Se la società genera disagio

Le origini del senso del "noi"

Il senso dell'io così ben definito nell'adulto non è stato così fin dall'infanzia, in quest'ultimo periodo, infatti, il lattante non sarebbe in grado di distinguere i confini del proprio Io dal mondo esterno. Pertando l'Io sarebbe un isola nel mezzo di un "sentimento oceanico", che viene superato con l'acquisizione di autonomia. Di conseguenza Freud ritiene che il sentimento del noi potrebbe trarre le sue radici da questa esperienza: quello che si è sperimentato duranate l'infanzia permane, anche se non in modo visibile, nel mondo psichico attuale e può riemergere i circotanze favorevoli.

Conflitti sociali vs il senso del noi

V. Se la società genera disagio

Il campo sociale, secondo Freud, riflette e amplifica le dinamiche psicologiche individuali caratterizzate dal conflitto fra le varie istanza del psichiche ( Es, Io, Super Io).Jean- Paul Sartre afferma che gli altri ci sono necessari, rappresentano ciò che è più importante in noi stessi, proprio perchè ci aiutano a conoscerci. Pertanto quando ci rivolgiamo a noi stessi e cerchiamo di comprenderci, utilizziamo inevitabilmente le conoscenze che gli altri hanno di noi. Da qui ha origine la nostra consapevolezza personale.

L'evoluzione celebrale

Durante l'evoluzione umana il cervello si è trasformato in base alle sollecitazioni e alle pressioni ambientali. Esso si è sviluppato e si è ingrandito permettendo di affrontare compiti di ragionamento astratto, che hanno risolto problemi complessi, quali la realizzazione di strumenti più elaborati e la soluzione di strategie necessarie per la soppravvivenza. Proprio la risoluzione dei continui problemi connessi alla soppravvivenza possono aver accellerato lo sviluppo del cervello. Inoltre esso è favorito dalla capacità di mettersi in rapporto con gli altri e di cooperare.

VI. Se anche il cervello risuona con gli altri

Pertanto quando vengono messe in atto le interazioni con gli altri oppure si pensa agli altriintervengono le aree centrali del cervello. E' interessante come esse si attivino anche quando non si effettua nessun compito specifico. Questo meccanismo a portanto a supporre che, anche nei momenti in cui non siamo impegnati in attività sociali specifiche, la mente si muova in modo indefinito evocando gli altri continuamente nel nostro mondo interiore.

Gli altri sono sempre presenti nella nostra mente

VI. Se anche il cervello risuona con gli altri

Giacomo Rizzolatti, dell'università di Parma, studiando gli atti motori delle scimmie ha scoperto che nella corteccia celebrale i neuroni si attivano non solo quando viene effettuata un azione motoria ma anche quando si osserva un'altra persona fare lo stesso movimento. Questi neuroni sono stati denominati "mirror neurons" o "neuroni specchio".Questo sistema gioca un ruolo importante nell'imitazione: dal momento che si attivano alla percezione degli atti motori degli altri essi rappresentano la base neuronale dell'apprendimento imitativo. Il sitema mirror si può ipotizzare che faccia parte di una dotazione presente dalla nascita, questo verebbe confermato dalle capacità imitative del bambino dalla nascita.

La scoperta del sistema mirror

VI. Se anche il cervello risuona con gli altri

La scoperta del sistema mirror

VI. Se anche il cervello risuona con gli altri

Il sistema mirror interviene anche nel campo dell'empatia, in quanto consente di cogliere lo stato emotivo dell'altro. Esso rappresenta un meccanismo di interazione sociale immediato, che si attiva ogni volta che incontriamo un'altra persona, la guardiamo negli occhi, osserviamo la sua espressione e in modo automatico cogliamo la sua espressione.

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Riassumento, per cui, è possibile affermare che l'Io è permeabile e inevitabilmente permeato dalle esperienze degli altri. Esso, troppo spesso, è considerato erroneamente come un entità rigida e unitaria, nettamente distinta e differenziata dalle reppresentazioni degli altri. Tuttavia unità e molteplicità dell'io coesistono. Come si è visto il Sé si costruisce fin dall'inizio sulla base delle relazioni significative che si stabiliscono nel corso della vita, le quali rimandano continuamente diverse immagini di sé che vengono interiorizzate ed entrano a far parte della propria organizzazione personale. Questo è ancora più vero durante l'adolescenza, quando il Sé va incontro a crisi e confusione e il rispecchiamento negli altri diventa fondamentale per ritrovare una coerenza e un senso di identità personale.

Conclusioni

La scuola

Per favorire il senso del noi è necessario lo sviluppo di contesti favorevoli a tale esperienza. Pertanto anche la scuola, luogo d'incontro e scambio principale dei ragazzi, deve attivarsi in tale senso. Pensiamo a una scuola più attenta e motivante, più legata alla realtà, in cui i ragazzi e le ragazze possono avere contatti più frequenti con il mondo produttivo e sociale. Come ha scritto lo psicoanalista americano Erik Erikson, nell'età dell'adolescenza occorre dare ai giovani la possibilità di sperimentare, di esplorare, di mettersi alla prova imparando in questo modo a riconoscere i propri interessi e le proprie motivazioni, per cui le scelte successive avverranno con maggiore consapevolezza. Non si tratta evidentemente di un percorso solo individuale, poiché esso può esistere solo in un contesto del noi in cui ci si confronta e ci si scontra con gli altri.

Conclusioni

FRASI SIGNIFICATIVE

03

Ed il fatto che tale propensione può essere infuenzata dagli altri, sottolinea ancora di più come noi siamo in origine destinati a intergire con il mondo esterno, se così non fosse ciò che abbiamo vissuto da bambini non si rifletterebbe così tanto nel nostro fututo. Dal momento che sia a livello famigliare che sociale possiamo ricevere una forte influenza nei primi anni di vita, ne deduciamo che vi è un naturale senso del noi nell'uomo.

Ritengo che questa affermazione sia il concetto base che precede tutto ciò che viene affermato dall'autore nel corso del libro. Poichè, come studiato, durante l'infazia siamo permeabili a tutte le espereinze, di conseguenza l'ambiente in cui si cresce e ci si rapporta è estremamente importante. Al tal punto da risucire a ostacolare e addirittura bloccare un meccanismo in noi innato.

"Questa forte propensione sociale può essere favorita o arrichhita oppure può essere ostacolata se non addirittura bloccata sia all'nterno della famiglia sia a livello sociale"

Massimo Ammaniti -pag.13

Infatti come spesso si dice "gli occhi sono lo specchio dell'anima", proprio perchè senza parlare ci permettono di comprendere lo stato d'animo altrui. Ad'esempio una persona felice ha gli occhi sorridenti mentre una preoccupata assenti. Essi creano incosapevolemente un legame con chi ci circonda, una specie di filo invisibile tra due persone sconosciute. Basta pensare al bambino appena nato che guarda la sua mamma, e senza parlare, è come se i due comunicassero.

Ho scelto questa frase poichè l'ho trovata molto poetica, in quanto sottolinea come l'uomo sia naturalmente predisposto alla comunicazione. Non avevo mai riflettuto su questo dettaglio, ma una volta notato mi è rimasto impresso. Credo fortemente che questa caratteristica della specie umana, non sia solo relativa all'aspetto, ma possieda un significato più profondo.

"Solo nella specie umana è possibile individuare la direzione dello sguardo perchè la pupilla e l'iride si differenziano dal bianco della sclera, caratteristica che favorisce la comunicazione nelle interazioni sociali"

Massimo Ammaniti - pag. 40

A dire la verità esiste ora, come un tempo, il muretto dove ci si incontra o il bar dove passare ore e ore. La presenza dei social non ha determinato la scomparsa di queste abitudini. E credo sia profondamente sbagliato la concezione secondo cui gli adolescenti di adesso siano diversi da quelli di un tempo, poiché, a mio parere, in realtà sono ed erano animati dagli stessi bisogni.

Ho scelto questa frase inquanto credo rappresenti un significativo stereotipo, molto diffuso nei confronti degli adolescenti. E' innegabile che rispetto a un tempo le tecnologie siano avanzate, e di conseguenza questo abbia permesso ai ragazzi di tenersi in contatto più frequentemente, tuttavia ritengo sia sbagliata la concezione secondo cui senza la presenza di strumenti elettronici o piattaforme internet noi non sappiamo comunicare.

"Forse i social media rappresentano oggi il muretto attorno a cui si incontravano gli adolescenti di un tempo o il bar dove stazionavano per ore e ore rimandando continuamente il momento di tornare a casa"

Massimo Ammaniti - pag. 80

Gli altri per cui risultano fondamentali, senza essi non avrremmo un punto di riferimento per sapere come siamo, quali lati di noi dobbiamo levigare e quali sono particolarmente apprezzati. Ad'esempio relazionandomi con l'esterno posso comprendere di dover migliorare la mia timidezza ma di essere un buon ascoltatore.

Ho scelto questa frase poichè ritengo che sia molto vera, inquanto mediante le relazioni con gli altri riusciamo a comprenderci meglio. Attraverso i meccanismi sociali che si creano inevitabilmente all'interno di una comunità, comprendiamo le nostre debolezze o i nostri punti di forza. Talvolta capita di ritrovarsi in situazioni di difficoltà, ma proprio mediante questo confronto con l'esterno, possiamo crescere e lavorare maggiormente su noi stessi, oppure scoprire risorse nascoste.

"Gli altri ci sono necessari, rappresentano ciò che è più importante in noi stessi, proprio perchè ci aiutano a conoscerci. Quando ci rivolgiamo a noi stessi e cerchiamo di comprenderci, utilizziamo ineitabilmente le conoscenze che gli altri hanno di noi"

Massimo Ammaniti - pag. 96

Ovvero noi abbiamo una personalità di base, con i propri valori e principi di vita, che risulta essere il nostro io più profondo a cui ci riferiamo. Tuttavia essa possiede una serie di sfaccettature che emergono con persone differenti. Poiché ogni nostra amicizia fa affiorare un lato nuovo e differente di noi. Questo perché le persone con cui instauriamo un rapporto sono diverse, e di conseguenza noi non possiamo rapportarci in ugual modo. Ogni relazione amichale ci permette di scoprire nuovi lati di noi che ci compongono.

Appena ho letto questa frase non l'ho capita nell'immediato, a mio parere può avere diverse interpretazioni. Tuttavia fermandomi a riflettere ne ho colto un significato. Ritengo che ogniuno di noi pensando alle proprie amicizie più stette, le consideri ciascuna speciale a modo proprio. Questo perchè si differenziano tra di loro, ovvero donano al rapporto qualcosa di unico che la identifica con una specifica identità, e non la rende uguale alle altre. Questo fattore che rende tali relazioni irripetibili, risulta essere proprio la personalità, che si sviluppa in un aspetto, pittosto che un altro, in tale rapporto.

"Per tutto ciò che conosco ogni essere umano ha tante personalità quante le sue relazioni interpersonali"

Sullivan -pag. 118

COLLEGAMENTO CON LE LEZIONI

04

Ho deciso di collegare al libro "Noi perchè due sono meglio di uno" di Massimo ammanniti un altro libro, dal titolo "L'arte di amare" dell'autore Erich Fromm. Ho compiuto questa scelta poichè ritengo che tali letture viaggino sullo stesso binario, o meglio, su due binari destinati a intrecciarsi. Infatti, parlando del "senso del noi", della collaborazione, della collettività come motore dell'individualità non si può non citare questo volumetto. Pertanto ogni essere umano avverte dentro di se in modo istintivo e insopprimibile l'assoluta necessità dell'amore, e quest'ultimo, tra le sue tante forme, si traduce anche come We-go. L'amore è per sua stessa natura partecipe attivo dell'esistenza umana, e tale forza consente all'uomo di sentirsi parte di qualcosa di più grande e unificante, che va oltre il singolo.

Collegamento con le lezioni svolte in classe"L'arte di amare" Erich Fromm

COMMENTO PERSONALE

05

Considerazioni

Questo libro è una lettura da affrontare individualmente, ma che tuttavia, risuona con chi ci sta intorno, generando un senso di unità. Riflettendo su quanto affermato dall'autore è inevitabile osservare come le sue parole siano riportabili nella quotidianità dei nostri giorni. Infatti, non è necessario fare grandi studi, per notare come l'uomo sia destinato e senta la necessità di collaborare, a instaurare inconsapelvomente rapporti di scambio. Basta vedere le interazioni di un bambino di pochi mesi: sempre alla ricerca di un contatto visivo, e pronto a imitare chi lo circonda. Pertanto non bisogna sviluppare la convinzione profonda di non aver bisogno dell'altro, la sicurezza che all'infuori di noi nulla ci riguarda, la superbia di essere solo Ego poichè, come ci insegna questo libro, a quest'ultimo si intreccia inevitabilmente il We-go, il senso del noi.

Commento personale

Presentazione

A cura di Mariasole Stefanini

Grazie per l'attenzione

06/10/18

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Solo nella specie umana è possibile individuare la direzione dello sguardo perchè la pupilla e l'iride si differenziano dal bianco della sclera, caratteristica che favorisce la comunicazione nelle interazioni sociali e soppratutto l'attenzione che viene condivisa fra due persone. Lo sguardo ha un ruolo centrale nella cooperazione umana, perchè attraverso gli occhi si esprimono le emozioni e le intenzioni, una finestra del cuore. Quando il bambino guarda negli occhi la madre vede l'immagine che lei si è fatta di lui, e questo contribuisce a stutturare il proprio sè.

Comunichiamo con gli occhi

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