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Vittime di mafia
Lorenzo Pisapia
Created on April 4, 2024
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Transcript
VITTIME DI MAFIA
• Alfano Giuseppe • Campagna Graziella • Impastato Peppino • Panunzio Giovanni • Saetta Antonio
Lorenzo Pisapia Jacopo Monetta Mario Senatore
Alfano Giuseppe
Campagna Graziella
Impastato Peppino
Panunzio Giovanni
Saetta Antonio
Giuseppe Aldo Felice Alfano detto Beppe nacque a Barcellona Pozzo di Gotto il 4 novembre 1945, frequentò la facoltà di economia e commercio all'Università di Messina dove conobbe Mimma Barbaro che divenne poi sua moglie. Dopo la morte del padre lasciò gli studi e si trasferì a Cavedine, vicino a Trento, lavorando come insegnante di educazione tecnica alle scuole medie.
In gioventù fu militante del MSI-DN ma la sua grande passione fu il giornalismo anche se non fu mai iscritto all’albo dei giornalisti per una posizione di protesta contro l’esistenza stessa dell’albo. Cominciò così a collaborare con alcune radio provinciali, con l'emittente locale Radio Tele Mediterranea e fu corrispondente de La Sicilia di Catania. Divenne il "motore giornalistico" di due televisioni locali della zona di Barcellona Pozzo di Gotto, Canale 10 e poi Tele News, questa ultima di proprietà di Antonino Mazza, anch'egli ucciso dalla mafia.
La sua attività giornalistica era rivolta soprattutto verso uomini d'affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e massoneria. Le sue inchieste sul quotidiano La Sicilia avevano rivelato gli intrecci tra mafia, imprenditoria e collusioni con la politica. Forse era arrivato molto vicino a scoprire che il boss catanese Nitto Santapaola proprio a Barcellona Pozzo di Gotto aveva la sua rete di protezione.
La notte dell'8 gennaio 1993 fu colpito da tre proiettili calibro 22 mentre era fermo alla guida della sua Renault 9 amaranto in via Marconi a Barcellona Pozzo di Gotto. A cento metri di distanza, nella vicina via Trento, una strada parallela, c’era la sua casa. I primi soccorritori lo trovarono con il capo riverso sul volante, ancora seduto al posto di guida dell'auto.
Nata a Saponara, in provincia di Messina, andò subito a lavorare invece di finire gli studi, trovando lavoro presso la lavanderia Regina, nel vicino comune di Villafranca Tirrena, che raggiungeva quotidianamente in pullman per adempiere alla mansione di stiratrice. Guadagnava 150mila lire al mese, con cui contribuiva al bilancio familiare. Un lavoro sicuro, finché non ritrovò nella camicia di un cliente, tale Ingegner Toni Cannata, cliente della lavanderia insieme al geometra Gianni Lombardo, un'agendina che svelava che i due erano in realtà Gerlando Alberti Junior (nipote di Gerlando Alberti, braccio destro di Pippo Calò), e Giovanni Sutera, pericolosi latitanti ricercati per associazione mafiosa e traffico di droga. Essendo suo fratello un carabiniere, quando Alberti mandò Sutera a recuperare l'agendina e ritornò soltanto con un portadocumenti rosso e una foto di Giovanni XXIII fu decisa la sua condanna a morte. Tre giorni prima del rapimento e dell'omicidio, Graziella confidò alla madre di aver scoperto che l'ingegner Cannata non era in realtà lui e che quando aveva raccontato ad Agata Canistrà, cognata della titolare, della presenza dell'agendina, quest'ultima gliel'aveva strappata dalle mani.
La sera del 12 dicembre 1985, Graziella, come di consueto, si diresse alla fermata dell'autobus, ma non fece più ritorno a casa. Non vedendola arrivare la madre, preoccupata, avviò le ricerche ma queste non diedero i risultati sperati. Qualcuno in paese, forse intenzionalmente, pensò addirittura ad una “fuitina”. Un'ipotesi che non poteva reggere perché l’unico ad averne interesse sentimentale con la giovane Graziella era proprio con la sua famiglia. Eppure gli investigatori, a cominciare dal maresciallo Giardina a capo della stazione dei Carabinieri, avallarono quella tesi, tanto da aspettare un giorno prima di mettersi a cercare la ragazza. Il 14 dicembre il cadavere di Graziella venne trovato a Forte Campone, in un luogo isolato, rannicchiato contro un muro, con un braccio alzato in segno di difesa e cinque colpi di arma da fuoco sparati da meno di 2 metri su viso, spalla, petto, mano e braccio.
Giuseppe “Peppino” Impastato era un attivista, giornalista e poeta italiano, noto per la sua strenua lotta contro la mafia. Crebbe in una famiglia legata alla mafia, ma si ribellò presto contro questo ambiente.
Peppino Impastato, con la sua voce unica e la sua audace determinazione, si erge come un simbolo di lotta e speranza. Attraverso la sua stazione radio, Radio Aut, e il suo attivismo politico, sfidò apertamente i potenti capi mafiosi, utilizzando l’umorismo e la satira come potenti armi contro la paura e l’oppressione
La vita di Impastato ebbe una fine tragica il 9 maggio 1978, quando fu assassinato dalla mafia. Il suo corpo fu ritrovato dilaniato da una esplosione su una ferrovia, inizialmente inscenata come un suicidio. Tuttavia, dopo anni di battaglie legali e grazie alla persistenza della sua famiglia e degli attivisti, il suo omicidio fu riconosciuto come un delitto mafioso.
Giovanni Panunzio nasce a Foggia nel 1941 e prestissimo resta orfano di padre, tanto che è costretto a rimboccarsi le maniche, iniziando a lavorare mentre i suoi coetanei pensavano principalmente a giocare. A nove anni, già distribuisce il pane tra le case del centro storico di Foggia. Entrava nelle case, scaricava il pane e si faceva dare il dovuto, che portava direttamente al panettiere per cui lavorava. A lui rimaneva qualche mancia, che consegnava a sua madre, diventando ben presto un uomo
La storia di Giovanni è la storia di un uomo nato dal nulla, cresciuto nel nulla e diventato qualcuno: le sue mani grandi, callose e forti avevano conosciuto il lavoro duro e lui era orgoglioso di tutto questo. Amava vivere liberamente, senza aderire a un sistema di rapporti e dinamiche clientelari, che iniziava a tracciare la storia della città di Foggia.
Il 6 Novembre 1992, mentre sulla sua "Y 10" percorreva via Napoli, i killer gli hanno sparato più colpi di pistola, colpendolo alle spalle, al polso sinistro e alla gola. L’imprenditore si è accasciato sul volante e la corsa in ospedale è stata una inutile corsa contro il tempo. La sua morte è avvenuta proprio mentre, ironia della sorte, in comune si discuteva del nuovo piano regolatore generale. Tanto gli esecutori materiali quanto i mandanti dell’omicidio sono stati assicurati alla giustizia e condannati all’ergastolo dalla Corte di Assise di Appello di Bari nel 1999.
Antonino Saetta nasce il 25 ottobre 1922 a Canicattì, in provincia di Agrigento. Dopo aver frequentato la Facoltà di Giurisprudenza a Palermo laureandosi nel 1944, supera il concorso per uditore giudiziario ed entra in magistratura nel 1948. Nella sua lunga carriera magistratuale svolge, con riconosciuta perizia, numerosi incarichi, da prima come Pretore di Aqui Terme nonché giudice istruttore presso il medesimo Tribunale; dalla metà degli anni ’50, invece, tornando in Sicilia, lavora come giudice di Tribunale a Caltanissetta e poi di nuovo a Palermo. Nel 1969 è nominato Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sciacca.
Come ricorda il giornalista Giovanni Bianconi nel libro “L’assedio”, edizioni Einaudi, la sera del 25 settembre 1988 sulla statale 640 - la stessa strada dell’assassinio del giudice Rosario Livatino – i mafiosi commentarono la morte di Saetta con le parole: “’Stu curnutazzu non li ha voluti assolvere, e questo gli è toccato”. Difatti, quel 25 settembre, il giudice Antonino Saetta, in automobile col figlio Stefano di 35 anni, erano sulla strada del ritorno, in direzione Palermo, dopo aver assistito al battesimo del nipotino a Canicattì. Una autovettura di grossa cilindrata li affiancò facendo fuoco con una mitragliatrice sulla fiancata. Antonino e Stefano Saetta morirono sul colpo.