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La Divina Commedia - INFERNO
Grazia D'Agostino
Created on April 1, 2024
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Transcript
Lucifero
IL COLLE
Ingresso nella Giudecca. Lucifero (1-21) Virgilio avverte Dante che si avvicinano i vessilli del re dell'Inferno (Lucifero) e lo invita a guardare davanti a sé: il poeta obbedisce, ma in lontananza e nella semioscurità distingue solo quello che gli sembra un enorme edificio, simile a un mulino che fa ruotare le sue pale, poi si ripara dal vento dietro al maestro. I due proseguono ed entrano nella quarta e ultima zona di Cocito, la Giudecca, in cui sono puniti i traditori dei benefattori. Dante vede i dannati completamente imprigionati nel ghiaccio, da cui traspaiono come pagliuzze nel vetro: alcuni sono rivolti verso il basso, altri verso l'alto con la testa o i piedi, altri ancora sono raggomitolati su se stessi. I due poeti avanzano un poco, quindi Virgilio decide che è il momento di mostrargli Lucifero e lo trattiene, avvertendolo che è giunto per lui il momento di armarsi di coraggio.
VIII cerchio Bolgia I Ruffiani e seduttori: compirono atti vergognosi Corrono nudi, sferzati da diavoli
Traditori degli ospiti Sono i dannati della terza zona (Tolomea) del IX Cerchio dell'Inferno, detta così dal nome di Tolomeo XIV che assassinò a tradimento Pompeo rifugiatosi in Egitto dopo la sconfitta di Farsàlo (o forse da Tolomeo governatore di Gerico, che uccise Simone Maccabeo e i suoi figli dopo averli invitati a un banchetto). La pena di questi dannati è descritta nel Canto XXXIII dell'Inferno e consiste nell'essere imprigionati nel lago ghiacciato di Cocito, dal quale emerge solo la testa rivolta all'ingiù, così che le lacrime si congelano e chiudono loro gli occhi impedendo loro di sfogare il dolore. Dante include fra loro frate Alberigo dei Manfredi, uno dei capi di parte guelfa di Faenza e che fin dal 1267 appartenne ai frati godenti. Essendo in discordia con alcuni parenti (Manfredo e Alberghetto) e fingendo di volersi riappacificare con loro, li invitò a pranzo nella villa di Cesate con l'intenzione di trucidarli: infatti alla fine del pasto, al segnale convenuto di portare la frutta, i servi di Alberigo entrarono e uccisero i suoi congiunti (il fatto avvenne nel 1285). Alberigo indica anche un suo compagno di pena, quel Branca Doria della famosa famiglia ghibellina di Genova che ebbe vari incarichi politici in Sardegna e che è qui condannato per l'uccisione del suocero Michele Zanche, assassinato proditoriamente durante un banchetto con l'aiuto di un nipote (il fatto avvenne forse nel 1275 o nel 1290: Michele Zanche è posto da Dante fra i barattieri della V Bolgia). Branca Doria morì dopo il 1325, vale a dire dopo la morte del poeta: il fatto si spiega perché, come dichiara Alberigo a Dante, spesso l'anima del traditore dell'ospite appena compiuto il peccato lascia il corpo in balìa di un demone e precipita subito in Cocito, mentre il corpo continua a vivere sulla Terra fino alla sua morte naturale. La cosa colpisce molto Dante, che alla fine dell'episodio non mantiene la promessa fatta ad Alberigo di togliergli il ghiaccio dagli occhi e si abbandona a una dura invettiva contro i Genovesi, uomini pieni di ogni vizio.
Dante e Virgilio stanno per scendere verso il primo girone del settimo cerchio, attraverso uno scoscendimento franoso. In cima alla frana se ne sta disteso il Minotauro, il mostro cretese come un toro dalla testa umana, che fa da guardia al cerchio dove sono puniti i violenti. Dante lo introduce nel canto XII come una bestia dal carattere selvaggio e feroce, dalla mente dominata dall’istinto animale che si nutre di esseri umani. Sono le tre del sabato santo del 9 aprile e, il mostro, non appena vede Dante e Virgilio, si morde dalla rabbia ma Virgilio lo redarguisce spiegando che Dante è lì per vedere le pene dei dannati. Il Minotauro, a quel punto, si allontana saltellando come un toro che ha ricevuto il colpo mortale. Nel frattempo Virgilio e Dante si calano giù e osservano il fiume Flegetonte di sangue bollente dove sono immersi i violenti contro gli altri (gli omicidi e predoni). Queste anime sono immerse nel fiume in misura diversa a seconda della gravità del peccato commesso. A sorvegliarli ci sono i centauri, armati di arco e frecce, che saettano contro chiunque dei dannati tenti di uscire dal fiume. I mostri si fermano quando vedono arrivare i due poeti e un centauro li minaccia con l’arco. Virgilio spiega che il suo compito è mostrare a Dante l’inferno per volere divino. Il centauro Nesso, così, aiuterà i due poeti ad attraversare il Flegetonte sulla sua groppa. Man mano che procedono, il livello del sangue si fa sempre più basso fino ad arrivare solo ai piedi dei dannati e in quel punto avviene il guado, cioè l’attraversamento a piedi.
È la zona dell'Inferno dove sono puniti i peccator carnali, ovvero i lussuriosi che hanno sottomesso la razionalità agli impulsi sessuali. Dante descrive il luogo nel Canto V dell'Inferno. Il Cerchio è custodito da Minosse, il giudice infernale che ha il compito di ascoltare la confessione dei dannati e stabilire in quale Cerchio essi debbano andare. La pena dei lussuriosi consiste nell'essere trascinati senza posa da una bufera infernale, che li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Tra di essi vi è probabilmente una schiera particolare di peccatori, ovvero coloro che sono morti violentemente per amore, che comprende tra gli altri anche Paolo e Francesca. Dante descrive anche una ruina, non meglio precisata, di fronte alla quale tutti i lussuriosi emettono grida e bestemmiano: variamente interpretata, potrebbe essere una roccia crollata in seguito al terremoto che scosse la Terra il giorno della morte di Cristo.
Antinferno - Vestibolo
È la zona dell'Inferno posta tra la porta e l'Acheronte, quindi precede l'Inferno vero e proprio e non rientra in nessuno dei Cerchi. Ospita le anime degli ignavi, ovvero coloro che in vita non si schierarono col bene né col male (tra cui Dante riconosce papa Celestino V), e i diavoli neutrali nella lotta tra Lucifero e Dio. Gli ignavi non sono propriamente dannati, ma subiscono comunque una pena (corrono dietro un'insegna priva di significato e sono punti da vespe e mosconi).
Traditori della patria Sono i dannati della seconda zona (Antenòra) del IX Cerchio dell'Inferno, detta così dal nome di Antenore che secondo una leggenda assai diffusa nel Medioevo avrebbe tradito Troia di cui invece, secondo il racconto omerico, era un fedele principe; la loro pena è descritta nei Canti XXXII-XXXIII dell'Inferno e consiste nell'essere imprigionati nel lago ghiacciato di Cocito, dal quale emerge solo la loro testa in posizione eretta (benché questo particolare non sia detto con chiarezza). Dante include fra di loro Bocca degli Abati, nobile fiorentino di parte guelfa che combatté nella battaglia di Montaperti che vide, nel 1260, la rovinosa sconfitta dei Guelfi di Firenze ad opera dei Ghibellini: secondo le cronache del tempo Bocca, che combatteva accanto al portainsegna Iacopo de' Pazzi, gli tagliò la mano facendo così cadere la bandiera dei cavalieri fiorentini; poiché le truppe tedesche di Manfredi di Svevia stavano attaccando vigorosamente, i fiorentini si sbandarono e la loro fuga si tramutò in rotta. In seguito Bocca collaborò coi Ghibellini rientrati a Firenze e venne esiliato nel 1266, dopo Benevento. Forse non c'erano prove certe del suo tradimento, mentre qui Dante lo accusa apertamente: mentre cammina per l'Antenòra colpisce il suo volto col piede e viene da lui aspramente rimproverato, e poiché il dannato nomina Montaperti fa nascere nel poeta il dubbio che possa essere colui che in quello scontro tradì. Dopo aver ottenuto da Virgilio il permesso di trattenersi, Dante invita duramente il dannato a dire il proprio nome e, al suo ostinato rifiuto, lo afferra per la collottola strappandogli molti capelli. Il nome di Bocca viene fatto da un compagno di pena, Buoso da Duera signore di Soncino che nel 1265 fu finanziato da Manfredi per assoldare milizie contro gli Angioini: egli accettò invece denaro dai Francesi e non sbarrò loro il passo, facilitando la vittoria di Benevento. Bocca, irritato per essere stato smascherato, rivela a sua volta il nome di Buoso e indica a Dante altri dannati, tra cui Tesauro dei Beccheria, pavese di famiglia ghibellina, che fu decapitato a Firenze nel 1258 per aver trattato il ritorno dei Ghibellini dopo la loro cacciata. Bocca nomina poi Gianni dei Soldanieri, nobile fiorentino di famiglia ghibellina, che dopo Benevento passò ai Guelfi durante i tumulti popolari avvenuti sotto la podesteria di Catalano e Loderingo (da Dante posti fra gli ipocriti); Gano di Maganza, il personaggio del ciclo carolingio che nella Chanson de Roland aveva tradito Orlando consegnando la retroguardia dei Franchi ai Mori presso Roncisvalle; e infine Tebaldello de' Zambrasi, faentino di parte ghibellina, che tradì la sua città aprendone le porte di notte e consegnandola alla famiglia guelfa dei bolognesi Geremei (il fatto avvenne nel 1280). Dante preannuncia inoltre, per bocca di Camicione de' Pazzi dannato nella Caina, la venuta nell'Antenòra di Carlino de' Pazzi: questi era un guelfo bianco che teneva per conto degli esuli fiorentini il castello di Piantravigne, che cedette ai Neri ottenendo poi il rientro a Firenze. Tra i traditori della patria Dante include poi il conte Ugolino della Gherardesca e l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, posti in una stessa buca nel ghiaccio e con Ugolino che sovrasta il compagno di pena e gli addenta rabbiosamente il cranio (il loro episodio occupa la fine del Canto XXXII e la prima parte del XXXIII).
La selva
Selva oscura È il luogo simbolico in cui Dante si smarrisce all'inizio del poema (Inf., I, 1 ss.), allegoria del peccato in cui ogni uomo può perdersi nel suo cammino durante questa vita. Non sappiamo dove si trovi precisamente, anche se vari commentatori hanno tentato vanamente di trovarle una collocazione geografica (in Italia, vicino a Firenze, vicino a Gerusalemme...). Dante la descrive come selvaggia, aspra e forte, tanto amara che la morte lo è poco di più. Da essa esce quando si ritrova ai piedi del colle, simbolo della felicità terrena, la cui ascesa gli è però impedita dalle tre fiere. In vari passi del poema si dice che la selva è posta in una valle, la quale giace in una piaggia diserta, in un gran diserto, che però non sappiamo se corrisponda a un luogo preciso. Dante vi si smarrisce in una notte di plenilunio, tra giovedì e venerdì santo (alla luce lunare si accenna in Inf., XX, 127-130).
Sono i dannati della II Bolgia dell'VII Cerchio, fraudolenti in quanto ingannarono i potenti con le loro lusinghe per fini personali. Compaiono nella seconda parte del Canto XVIIIdell'Inferno e sono immersi nello sterco, di cui la Bolgia è ripiena in modo simile a una latrina o a un canale di scolo, intenti tra l'altro a colpirsi con le loro mani. Tra di essi Dante colloca il lucchese Alessio Interminelli, morto forse dopo il 1295 e il cui peccato di adulazione è poco noto alle cronache contemporanee. È Dante a riconoscerlo, dopo aver osservato che il dannato ha il capo talmente pieno di sterco che non è chiaro se sia laico o cherco, se porti o no la tonsura. Il peccatore lo rimprovera perché Dante guarda lui più degli altri, quindi il poeta ne svela l'identità e il dannato si colpisce la testa ammettendo che la sua lingua non fu mai stanca di adulare.
IL Limbo è il I Cerchio dell'Inferno, ovvero orlo estremo della voragine infernale. Ospita le anime dei pagani virtuosi e dei bambini morti senza battesimo, che non peccarono ma sono esclusi dalla salvezza; essi non subiscono alcuna pena, ma son sospesi e vivono nell'inappagabile desiderio di veder Dio, emettendo in continuazione dei profondi sospiri che fanno tremare l'aria tenebrosa del Cerchio. Qui i due poeti incontrano le anime di quattro poeti (Omero, Orazio, Ovidio e Lucano), quindi visitano il castello degli «spiriti magni», ovvero le anime dei pagani che si distinsero particolarmente in vita. Il castello è circondato da un alone di luce, cinto da sette ordini di mura e circondato da un fiumicello; all'interno c'è un prato verde dove risiedono le anime dei grandi pagani.
Brunetto Latini nasce a Firenze nel 1220 e muore nel 1294 ,è stato uno scrittore, poeta, politico e notaio italiano, autore di opere in volgare italiano e francese. Fu notissimo in età medioevale per la sua poesia di carattere etico - morale,è noto soprattutto per la sua omosessualità, per cui è stato inserito dall'allievo Dante Alighieri, nel settimo cerchio dell'Inferno, nella sua Divina Commedia, dove, tuttavia, è descritto con parole piene di gratitudine come "l'uom che s'etterna" tramite le sue virtù poetiche. Le fonti storiche e una serie di documenti outografi testimoniamo la sua attiva partecipazione alla vita politica di Firenze, infatti nel 1254 divenne notaio, nel 1259 ricoprì l'incarico di Scriba degli anziani del comune di Firenze e fu capo del comune di Montevarchi. Fu inviato dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X di Castiglia, per richiedere il suo aiuto in favore dei guelfi , tuttavia, la notizia della vittoria dei Ghibellini a Monteaperti costrinse Brunetto all' esilio in Francia, dove inizio a scrivere le sue principali opere.La sua opera più importante è Li livres Dou Trèsor, scritta durante l'esilio in Francia, una sorta di enciclopedia scritta in lingua D'oil e subito tradotta in volgare toscano, mentre in italiano scrisse il Tesoretto e il Favolello. La vicenda di Brunetto Latini è importante nella commedia di Dante, sotto le falde di fuoco che cadono senza posa sui Sodomiti, Dante trova Brunetto Latini che meravigliato e timido si rivolge a Dante con sensi quasi paterni e con una grande gioia di rivederlo anche se umiliato dalla sua pena, loda il suo ingegno letterati, lo conforta annuncandogli la futura eccellenza poetica, e gli chiede per se di essere ricordato per la sua opera" Livres Dou Trèsor" La tomba di Brunetto Latini è stata ritrovata nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Firenze e segnalata da un' antica colonnetta nella cappella a sinistra dell'altare maggiore.
Nell'ottava bolgia sono puniti i consiglieri fraudolenti, che vagano racchiusi in fiammelle: la lingua di fuoco è immagine della lingua con cui essi peccarono, dando consigli ingannatori, e infatti hanno anche difficoltà a parlare come si vede nel dialogo tra Virgilio e Ulisse, e poi più tardi tra Dante e Guido da Montefeltro. Sono qui puniti Ulisse (re di Itaca nella mitologia greca), Diomede e Guido da Montefeltro. Dante ringrazia il maestro della spiegazione, anche se aveva già capito che ogni fiamma nascondeva un peccatore, quindi gli chiede chi ci sia dentro il fuoco che si leva con due punte, simile al rogo funebre di Eteocle e Polinice. Virgilio risponde che all'interno ci sono Ulisse e Diomede, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora scontano insieme la pena. I due sono dannati per l'inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse Achille a Deidamia e per il furto della statua del Palladio. Dante chiede se i dannati possono parlare dentro il fuoco e prega Virgilio di far avvicinare la duplice fiamma, tanto è il desiderio che lui ha di parlare coi dannati all'interno. Virgilio risponde che la sua domanda è degna di lode, tuttavia lo invita a tacere e a lasciare che sia lui a interpellare i dannati, perché essendo greci sarebbero forse restii a parlare con Dante.
Il canto sesto dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel terzo cerchio, dove sono puniti i golosi; siamo nella notte tra l'8 e il 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori tra il 25 e il 26 marzo 1300. In questo canto si affronta un tema politico, come ogni VI canto. «Canto sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l’inferno e tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona d’un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt’i buffoni tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose a divenire a la città di Fiorenza.» Il canto inizia con Dante che si riprende dallo svenimento dopo aver parlato coi due amanti, Paolo e Francesca, e già, mentre ancora è confuso dalla tristezza e l'angoscia per quegli sventurati, vede nuovi dannati e nuove pene tutto intorno a sé. Il terzo cerchio, dove si trova, è quello de la piova / eterna, maladetta, fredda e greve, che cade sempre uguale con la stessa intensità ed è composta da grossa grandine mischiata a acqua nera e neve che si riversa nell'aria tenebrosa: la terra, ricevendo questa pioggia, puzza e diventa fanghiglia. Qui si trova Cerbero, fiera crudele e diversa , che latra con tre teste sui dannati sommersi nella fanghiglia. Anche Cerbero è un personaggio dell'Averno di Virgilio (Eneide, libro VI, v. 417), e la descrizione di Dante si basa su quella del suo maestro, ma qui la bestia è più mostruosa, per una descrizione tra l'umano e il bestiale e per il fatto che inghiotte il fango gettato da Virgilio e non una focaccia soporifera, contenente miele e farina "drogata", come accadeva nel viaggio di Enea. Esso viene descritto con gli occhi rossi, la barba unta e nera, la pancia gonfia e le mani con unghie , con cui graffia i dannati e li squarta; inoltre con le sue urla gli 'ntrona , li fa impazzire, così che essi vorrebbero essere sordi. Un’anima si alza in piedi appena essi le passano davanti. Quindi lo spirito si rivolge a Dante sfidandolo a riconoscerlo, poiché il poeta era vivo prima che il dannato fosse morto. Dante non lo riconosce a causa del suo stato pietoso. Allora Ciacco si presenta col suo nome :si pensa che il nome Ciacco, che, anche se senza fondamento, potrebbe significare "porco” ed è condannato per il peccato della gola, per cui è fiaccato sotto la pioggia, ma non è solo, poiché tutte le anime attorno stanno lì per la stessa pena. Spinto da una sua intuizione, il poeta pone al dannato tre domande: A cosa arriveranno i cittadini della città divisa? Esistono persone giuste? Quale fu la causa di tanta discordia? Ciacco risponde allora con precisione fiscale e alle tre domande nello stesso ordine nel quale gli sono state poste: La prima risposta è la celebre profezia su Firenze, la prima della Commedia, che tratta delle lotte tra guelfi bianchi e neri tra il 1300 e il 1302, ci sono solo ''due'' giusti e nessuno li ascolta: forse, più che a due figure reali, si deve pensare all'eco biblico dell'episodio della Genesi, dove Abramo, cercando di salvare una città distrutta dalla corruzione fa un patto con Dio, cercando almeno cinquanta uomini "giusti"; alla fine, nonostante lo sconto a dieci, egli non riesce a trovare nessuno tranne Lot e le sue figlie. superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i cuori. Nelle tre colpe (superbia, invidia e avarizia) si sintetizza il giudizio di Dante sulla storia del Comune, profondamente minato dalle invidie insorgenti fra le parti, dalla superbia e smania di dominare sia dei grandi sia del popolo e dall'avarizia e cupidigia mercantile. Ciacco dice che essi sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell'Inferno per diverse colpe. Infine Ciacco prega Dante di ricordarlo nel mondo dei vivi, poi si interrompe bruscamente: "più non ti dico e più non ti rispondo”.
Il fiume STIGE
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Caronte
Il Caronte di Dante è un vecchio coperto di barba bianca, con gli occhi circondati da fiamme, che minaccia severi castighi ai dannati e li fa salire sulla sua barca, battendo col remo le anime che si adagiano sul fondo (forse per stiparne il maggior numero possibile). Anch'egli si oppone al passaggio di Dante, ma è zittito da Virgilio con una formula identica a quella usata poi con Minosse e analoga a quella usata con Pluto. La demonizzazione di Caronte rientra nell'uso tipicamente medievale di reinterpretare in chiave cristiana le divinità pagane, per cui quelle degli Inferi diventavano altrettante figure diaboliche, in qualche caso con notevoli trasformazioni.
I LADRI Nella settima bolgia (nell’ottavo cerchio) ci sono i ladri. Qui è pieno di serpenti. I ladri corrono nudi terrorizzati con i polsi legati dai serpenti dietro la schiena. Questo perché quando erano vivi le loro mani erano troppo sciolte sulle cose altrui. Come in vita i ladri derubavano gli altri dei loro averi, così ora si derubano l'un l'altro della loro personalità.
SETTIMO CERCHIO: Girone II
Sono i violenti contro se stessi, rispettivamente nella persona e nel patrimonio. Le anime dei suicidi sono imprigionate entro gli alberi della selva, poiché essi si sono separati violentemente dal proprio corpo; le Arpie, che popolano il girone, si nutrono delle foglie degli alberi e provocano sofferenza ai dannati. Quando i rami delle piante si spezzano esce sangue, insieme a un soffio d'aria che fa fuoriuscire parole e lamenti. Tra i suicidi Dante pone Pier della Vigna e un fiorentino non meglio precisato, di cui si dice solo che si impiccò in casa propria (forse fu il giudice Lotto degli Agli, che aveva ingiustamente condannato un innocente per denaro; secondo altri potrebbe essere Rocco dei Mozzi, suicida dopo avere sperperato tutto il patrimonio). Gli scialacquatori invece corrono nudi tra la selva, inseguiti da nere cagne che, quando li raggiungono, li fanno a brandelli. Fra loro Dante include Lano da Siena (Arcolano da Squarcia), morto nel 1288 nell'imboscata tesa ai senesi dagli aretini presso Pieve al Toppo, e Iacopo da Sant'Andrea, figlio di Oderico da Monselice che morì assassinato nel 1239 per ordine di Ezzelino da Romano (gli antichi commentatori narrano dei suoi folli sperperi, come quello citato dal Lana secondo cui avrebbe dato fuoco a una sua villa per vedere un vasto incendio). Mentre il primo dannato riesce a sfuggire alle cagne, il secondo si accovaccia accanto al cespuglio del suicida fiorentino e le cagne sbranano lui e fanno strazio dell'arbusto.
Suicidi e scialacquatori
GLI INDOVINI Nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio ci sono gli indovini. Quando erano in vita prevedevano il futuro e la loro punizione adesso è quella di avere il collo girato e camminano all’indietro piangendo. Tra di loro c’è TIRESIA che in vita era un famoso mago greco. Dante racconta un altro episodio di Tiresia. Quando questo era in vita colpì con un bastone due serpenti innamorati e per punizione venne trasformato in una donna. Visse per 7 anni così fin quando rivide i due serpenti, li colpì di nuovo con lo stesso bastone e ritornò uomo.
Quinto cerchio: 𝐈𝐑𝐀𝐂𝐎𝐍𝐃𝐈 𝐄 𝐀𝐂𝐂𝐈𝐃𝐈𝐎𝐒𝐈 Dante e Virgilio giungono nel quinto girone infernale, sulle sponde del fiume Stige, nelle cui torbide acque scontano la loro pena iracondi e accidiosi. Custode e traghettatore delle anime dannate è l'iroso demone Flegias. Gli iracondi, che in vita si sono fatti travolgere dall'ira, percuotendo e dilaniando il prossimo, ora sono immersi nelle acque paludose del fiume infernale, nudi e infangati, e si percuotono e si mordono ferocemente l’un l’altro. Gli accidiosi, invece, giacciono sepolti nell’acqua torbida, emettendo continui sospiri. Sono privati per sempre della parola e della vista del mondo, quel mondo che in vita non hanno saputo apprezzare, perché, incapaci di sfogare la loro rabbia, hanno covato interiormente rancori e senso di rivalsa. L’ira acceca la mente, fomenta l’odio e scatena la rabbia esplosiva, è un dolore profondo che spinge ad agire oltre la ragione.
Nella terza bolgia ci sono i simoniaci, cioè, coloro che in vita hanno comprato o venduto cose o cariche religiose. Il fondo di questa bolgia è bucherellato e in ciascuna buca è infilato a testa in giù il dannato, i cui piedi si agitano e bruciano senza interruzione per chissà quale diavoleria. Avvicinandoci alle anime troviamo Niccolò III, pontefice dal 1277 al 1280. Ma non era l’unico, vi erano anche tra i più celebri Bonifacio VIII e Clemente V, “ pastor senza legge”. Bonifacio VIII nacque ad Anagni nel 1235 da una delle più cospicue famiglie della città. Quando fu eletto pontefice, Bonifacio, si preoccupò di difendere con tutte le sue forze alcuni dei risultati più importanti, maturati nei secoli immediatamente precedenti, quali l’autonomia del mondo ecclesiastico nell’ambito dello stato e poi il potere del papa su tutti i potenti della terra, come conclusione di un secolare processo dottrinale. Siccome i due pilastri dello schieramento guelfo erano Napoli e Firenze, cercò di accordarsi con Giacomo II d’Aragona, al quale assegnò persino la Sardegna e la Corsica. Ma i suoi tentativi si infransero contro la ribellione di Federico III, che nel 1296 cinse la corona di Sicilia e si preparò a difenderla… Queste azioni sembrano corrette e giuste per il suo ruolo. Però, per realizzare tutto ciò ha usato la simonia, cosa punita da Dante nella bolgia III.
Celestino V, Pier da Morrone (1210-1296), eremita che il 5 luglio 1294 fu eletto papa dal conclave riunito a Perugia. Dopo qualche esitazione iniziale accettò, venendo poi consacrato vescovo dell'Aquila. In seguito rinunciò alla tiara, soprattutto per le pressioni subìte ad opera del card. Caetani, che gli succedette il 24 dic. 1294 col nome di Bonifacio VIII. Celestino fu da lui rinchiuso nel castello di Fumone, dove morì nel maggio 1296. Dante lo pone con ogni probabilità tra gli ignavi dell'Antinferno, indicandolo come colui / che fece per viltade il gran rifiuto (Inf., III, 59-60; non sono mancate altre identificazioni, tra cui Pilato, Esaù, Giuliano l'Apostata). Dante gli rimproverava di aver favorito con la rinuncia alla dignità pontificia l'ascesa al Papato dell'odiato Bonifacio VIII, artefice con le sue trame della vittoria dei Neri a Firenze e dell'esilio politico di Dante.
G L I I G N A V I
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È la zona dell'Inferno dove sono puniti gli avari e i prodighi, descritta da Dante nella prima parte del Canto VII. Il Cerchio è custodito da Pluto, demone che non partecipa alla pena dei dannati e accoglie i due poeti con la famosa frase Pape Satàn, pape Satàn aleppe, variamente interpretata. Avari e prodighi devono far rotolare enormi macigni in direzioni opposte, fino a scontrarsi in un punto del Cerchio dove gi prodighi urlano agli avari: Perché tieni?, e gli avari urlano ai prodighi: Perché burli? A quel punto si voltano su se stessi e iniziano a spingere i massi nell'altra direzione, fino a scontrarsi nuovamente in un punto opposto del Cerchio. Tra di loro Dante non cita alcun personaggio, ma Virgilio spiega che tra gli avari ci sono moltissimi chierici, nonché papi e cardinali. È l'unico Cerchio infernale in cui sono puniti due peccati distinti e opposti, avarizia e prodigalità.
Commedìa
Dante iniziò la composizione della Commedia durante l’esilio, probabilmente intorno al 1307 . Il titolo originale è Comedìa, secondo la definizione dello stesso Dante; l’aggettivo Divina fu aggiunto dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante (metà del XIV sec.) e comparve per la prima volta in un’edizione del 1555 curata da Ludovico Dolce. È un poema didattico-allegorico, scritto in endecasillabi e in terza rima. Racconta il viaggio di Dante nei tre regni dell’Oltretomba, guidato dapprima dal poeta Virgilio e poi da Beatrice . L’opera si propone anzitutto di descrivere la condizione delle anime dopo la morte, ma è anche allegoria del percorso di purificazione che ogni uomo deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna e scampare alla dannazione. È anche un atto di denuncia coraggioso e sentito contro i mali del tempo di Dante, soprattutto contro la corruzione ecclesiastica e gli abusi del potere politico, in nome della giustizia.
VIRGILIO
Eresiarchi Sono i capi delle sette eretiche puniti nel VI Cerchio dell'Inferno, dove giacciono entro tombe infuocate insieme a tutti i loro seguaci e sono tormentati in misura maggiore o minore a seconda del peccato commesso. Dante li introduce nei Canti IX-X dell'Inferno, citando in particolare Epicuro e i suoi seguaci che l'anima col corpo morta fanno (il che spiega bene il contrappasso: essi in vita proclamarono la mortalità dell'anima e ora, nella morte, le loro anime giacciono entro dei sepolcri). Epicuro di Samo (341-270 a.C.), fondatore della dottrina ellenistica che si diffuse anche a Roma nei secc. II-I a.C., è in realtà solamente citato da Virgilio in Inf., X, 14: Dante ne aveva una conoscenza indiretta attraverso probabilmente i trattati di Cicerone, mentre è assai dubbia la sua conoscenza del De rerum natura di Lucrezio. In base alle dottrine epicuree, l'universo è regolato da leggi materiali e tutto è composto da atomi, inclusa l'anima che, dunque, è mortale (assurde sarebbero dunque le pene minacciate post mortem). Oltre a Farinata Degli Uberti e a Cavalcante dei Cavalcanti, i due protagonisti del Canto X, Dante include tra gli epicurei anche l'imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), che divenne re di Sicilia e raccolse alla sua corte letterati e intellettuali anche arabi, dando credito alla diceria che fosse eretico (fu infatti scomunicato da Gregorio IX), nonché il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, appartenente a una potente famiglia ghibellina di Firenze e che condusse una vita mondana e spregiudicata, morendo in odore di eresia. Entrambi sono citati a Dante da Farinata come suoi compagni di pena. Più avanti, all'inizio del Canto XI, verrà citato papa Anastasio II accanto alla cui tomba si rifugiano i due poeti, nell'attesa di abituare l'olfatto al puzzo che promana dal Cerchio sottostante: pontefice dal 496 al 498, secondo una diffusa tradizione avrebbe accolto a Roma il diacono Fotino della Chiesa orientale, il quale l'avrebbe indotto ad abbracciare l'eresia monofisita.
XI Cerchio. Prima zona - Caina Nel nono cerchio dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, la Caina è la prima delle quattro zone che compongono il cerchio. È riservata ai traditori della parentela, coloro che hanno commesso tradimenti contro i propri parenti più stretti. Il nome “Caina” deriva da Caino, il figlio di Adamo ed Eva che uccise il proprio fratello Abele. Gli individui puniti in questa zona sono immersi fino al collo in un lago ghiacciato, con le teste chinati in segno di vergogna e di contrizione. La posizione supina impedisce loro di sollevare la testa e guardare avanti, simboleggiano l’incapacità di rivolgere lo sguardo al prossimo e di vedere oltre il proprio egoismo e peccato. Questo tradimento è considerato particolarmente grave perché viola i legami familiari e la fiducia più profonda. Secondo la descrizione di Dante, nel lago ghiacciato della Caina sono immersi i peccatori fino al collo, anche per indicare il loro isolamento e la freddezza dei loro cuori. Gli individui in questa zona sono costantemente tormentati dai rimorsi e dalla vergogna per i loro atti, ma sono incapaci di liberarsi dalla loro condanna. La loro pena riflette la gravità della violazione dei legami familiari, considerati sacri nell'etica medievale e nella visione di Dante. Questi sono alcuni delle persone che sono state nella caina: Mordred: Tradì re Artù, suo zio, provocando la sua morte e la fine della Tavola Rusticucci: Secondo la tradizione dantesca, avrebbe tradito la sua famiglia.Sassol Mascheroni: Tradì suo cugino Ubertino.Focaccia degli Uberti: Tradì suo zio per il quale era stato nominato erede.Fulcieri da Calboli: Tradì suo padre Aghinolfo da Calboli, sostenendo il partito guelfo. Anastasio di Zorzi: Tradì suo padre. Manno Donati: Tradì il padre Caino: Tradì suo fratello Abele, commettendo il primo omicidio nell'umanità. Adamo ed Eva, i primi esseri umani creati da Dio, ebbero due figli: Caino, il primo, e Abele. Entrambi i figli offrivano sacrifici a Dio, ma Dio accettò il sacrificio di Abele, il pastore, mentre rigettò quello di Caino, il contadino. Il rifiuto divino scatenò gelosia e rabbia in Caino, che portò alla tragedia. Nel campo, Caino attaccò e uccise suo fratello Abele. Successivamente, quando Dio chiese a Caino dove fosse Abele, Caino rispose con la famosa frase: “Non lo so; sono forse il custode di mio fratello?” Dio condannò Caino per l’omicidio e lo marchiò affinché nessuno lo uccidesse in vendetta. Inoltre, lo scacciò dalla presenza divina e lo condannò a vagare senza meta sulla terra. Caino, spaventato dalle possibili vendette, lamentò la propria pena come troppo pesante. La storia di Caino e Abele è stata interpretata in diverse tradizioni religiose e culturali come un’avvertenza contro la gelosia, l’invidia e la violenza familiare.
Una nascita tra verità e invenzione La biografia di Dante è incerta: le informazioni di cui disponiamo derivano da testimonianze di persone vissute decenni dopo di lui o dalle notizie ricavate dalle sue opere, scritte in prima persona. Dante nasce a Firenze nel 1265. È lui stesso a indicarci di appartenere al segno dei gemelli perché, quando nel Paradiso vede la costellazione dei Gemelli, dice: Parole d'autore O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXII, vv. 112-114. Secondo la scienza astrologica medievale, la costellazione dei Gemelli trasmetteva il dono della parola, la capacità di comunicare e quindi anche di comporre poesie. In questo modo, quindi, Dante vuole sottolineare la sua unicità, il suo destino voluto da Dio e scritto nelle stelle. Nell'Inferno Dante ci parla anche della sua città natale. Parole d'autore I' fui nato e cresciuto sovra 1 bel fiume d'Arno a la gran villa Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXIII, vv. 94-95.
Traditori degli ospiti Sono i dannati della terza zona (Tolomea) del IX Cerchio dell'Inferno, detta così dal nome di Tolomeo XIV che assassinò a tradimento Pompeo rifugiatosi in Egitto dopo la sconfitta di Farsàlo (o forse da Tolomeo governatore di Gerico, che uccise Simone Maccabeo e i suoi figli dopo averli invitati a un banchetto). La pena di questi dannati è descritta nel Canto XXXIII dell'Inferno e consiste nell'essere imprigionati nel lago ghiacciato di Cocito, dal quale emerge solo la testa rivolta all'ingiù, così che le lacrime si congelano e chiudono loro gli occhi impedendo loro di sfogare il dolore. Dante include fra loro frate Alberigo dei Manfredi, uno dei capi di parte guelfa di Faenza e che fin dal 1267 appartenne ai frati godenti. Essendo in discordia con alcuni parenti (Manfredo e Alberghetto) e fingendo di volersi riappacificare con loro, li invitò a pranzo nella villa di Cesate con l'intenzione di trucidarli: infatti alla fine del pasto, al segnale convenuto di portare la frutta, i servi di Alberigo entrarono e uccisero i suoi congiunti (il fatto avvenne nel 1285). Alberigo indica anche un suo compagno di pena, quel Branca Doria della famosa famiglia ghibellina di Genova che ebbe vari incarichi politici in Sardegna e che è qui condannato per l'uccisione del suocero Michele Zanche, assassinato proditoriamente durante un banchetto con l'aiuto di un nipote (il fatto avvenne forse nel 1275 o nel 1290: Michele Zanche è posto da Dante fra i barattieri della V Bolgia). Branca Doria morì dopo il 1325, vale a dire dopo la morte del poeta: il fatto si spiega perché, come dichiara Alberigo a Dante, spesso l'anima del traditore dell'ospite appena compiuto il peccato lascia il corpo in balìa di un demone e precipita subito in Cocito, mentre il corpo continua a vivere sulla Terra fino alla sua morte naturale. La cosa colpisce molto Dante, che alla fine dell'episodio non mantiene la promessa fatta ad Alberigo di togliergli il ghiaccio dagli occhi e si abbandona a una dura invettiva contro i Genovesi, uomini pieni di ogni vizio.
Secondo una tradizione medievale che interpretava alcuni passi biblici, era uno dei Serafini, l'angelo più bello e luminoso del creato (il nome latino vuol proprio dire "portatore di luce"). Ribellatosi a Dio per superbia e invidia assieme ad altri angeli, fu sconfitto dall'arcangelo Michele e precipitato dal Cielo al centro della Terra, trasformandosi in un orrendo mostro e nel prinicipe dei diavoli. Sempre secondo questa tradizione, ripresa da Dante, al contatto con Lucifero la Terra si sarebbe ritratta dando origine alla voragine infernale nell'emisfero nord, alla montagna del Purgatorio in quello sud. Dante lo descrive direttamente nel Canto XXXIV dell'Inferno, come un'enorme e orrida creatura, pelosa, dotata di tre facce su una sola testa e tre paia d'ali di pipistrello. Lucifero è confitto dalla cintola in giù nel ghiaccio di Cocito, quindi emerge solo il lato superiore del mostro; in ognuna delle tre bocche maciulla coi denti un peccatore (Bruto e Cassio ai lati, Giuda al centro, ovvero i tre principali traditori della tradizione biblico-classica), mentre con gli artigli graffia e scuoia la schiena di Giuda. Le tre teste sono di diverso colore: quella al centro è vermiglia (rossa), quella a destra è tra bianca e gialla, quella a sinistra è simile al colore della pelle degli Etiopi (nera). I tre colori sono stati variamente interpretati, così come le tre facce, ma nessuna ipotesi è pienamente convicente. Il mostro sbatte le ali, producendo un vento freddo che fa ghiacciare le acque del lago di Cocito, dove sono confitti i traditori ripartiti nelle diverse zone (Caina, Antenòra, Tolomea, Giudecca). Piange con i sei occhi, e le lacrime gocciolano giù per i menti mescolandosi insieme alla bava sanguinolenta. È stato osservato che il peccato di Lucifero consista proprio nel tradimento, poiché osò ribellarsi contro il suo Creatore, quindi non sorprende che Dante lo collochi al centro di Cocito, ovvero del IX Cerchio dove sono puniti i traditori. È anche una bizzarra parodia e un rovesciamento della Trinità, con le tre facce che ricordano le tre teste di Cerbero, e il vento che spira dalle sue ali che, secondo alcuni commentatori, alluderebbe al concetto dello Spirito Santo che procede dalle altre due Persone divine. Dante e Virgilio si aggrappano al pelo del mostro e scendono lungo le sue costole, oltrepassando la crosta di ghiaccio e ritrovandosi nell'altro emisfero, dove di Lucifero sporgono le zampe. Una volta qui, i due poeti raggiungono una piccola apertura nella roccia, da dove iniziano a percorrere una "natural burella" (uno stretto budello sotterraneo) che mette in comunicazione il centro della Terra con la spiaggia del Purgatorio, posta agli antipodi di Gerusalemme. Lucifero è altre volte citato da Dante lungo la discesa infernale, coi nomi di Satàn (VII, 1, nelle parole di Pluto), e Belzebù (XXXIV, 127), mentre in XXXIV, 20 è chiamato da Virgilio col nome Dite. In Par., IX, 127 ss. Folchetto di Marsiglia definisce Firenze come città generata da Lucifero, per via del maladetto fiore (il fiorino) che essa spande nel mondo diffondendo la corruzione ecclesiastica.
SINONE: Sinone è uno dei personaggi dell'Eneide. (II 57-198), Nell’episodio in cui appare mette in mostra la sua perfida abilità di mentitore che viene descritta lungamente e con infiniti particolari: Sinone fu abbandonato dalle armate greche (quando finsero di rinunciare definitivamente al troppo lungo assedio), si fece catturare dai Troiani e riuscì a raggirarli con un falso racconto in cui diede fondo alla sua consumata abilità di simulatore(Persona che cerca di dare a intendere cosa diversa dalla realtà o addirittura il contrario di ciò che pensa o ha in animo di fare.). Raggirando i Troiani, riuscì a introdurre nelle mura della loro città il cavallo fatale.(cavallo di Troia)