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Magda Fulgieri
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Transcript
LA SATIRA- DALLE ORIGINI AD OGGI
Arianna Visconti, Magda Fulgieri, Maria Domenica Iaquinto, Francesca Grasso
LA SATIRA POLITICA NELLA GRECIA
LA SATRIRA NELL'ARTE
GLI AUTORI LATINI
LA SATIRA MUSICALE
LA SATIRA NEL MONDO LATINO
LA SATIRA NELLA STORIA ITALIANA
LA SATIRA POLITICA
LEGALIZE THE PREMIER
"Legalize the Premier" di Caparezza è un esempio vivido di satira musicale che prende di mira il sistema politico italiano e la figura del Premier. Attraverso l'utilizzo di giochi di parole, sarcasmo e ironia, Caparezza mette in evidenza le contraddizioni e le ipocrisie della classe politica italiana. Nel testo, Caparezza utilizza la richiesta di "legalizzare" il Premier per mettere in discussione la legittimità e l'integrità della leadership politica. Questa richiesta paradossale suggerisce che il Premier, pur essendo al vertice del potere, potrebbe essere coinvolto in attività illegali o poco etiche, e che quindi la sua legalizzazione sarebbe necessaria per rendere trasparenti tali pratiche. .
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Inoltre, Caparezza fa uso di una serie di metafore e riferimenti culturali per amplificare il messaggio satirico della canzone. Ad esempio, il riferimento alla "giusta distanza" tra la gente e il Premier può essere interpretato come una critica alla mancanza di contatto e di rappresentatività tra i leader politici e la popolazione. Nel complesso, "Legalize the Premier" rappresenta un esempio efficace di satira musicale che utilizza l'umorismo e l'ingegno per mettere in discussione le strutture di potere e le pratiche politiche, invitando il pubblico a riflettere criticamente sulla società e sulla politica contemporanea.
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LA SATIRA NELLA NOSTRA COSTITUZIONE
Il diritto di satira è fondamentale nella nostra Costituzione, dove troviamo specificamente gli Articoli: 9 "Riconoscimento e tutela della cultura e del Patrimonio storico- ambientale", 21 "Libertà di pensiero e di stampa", 33 "Tutela dell'istruzione e dell'insegnamento". La satira, dunque, è considerata al pari dei diritti di cronaca e critica, anche come esimente nel reato di diffamazione, secondo la giurisprudenza consolidata.
Tuttavia, esistono limiti al diritto di satira, che non dev'essere lesivo dei valori fondamentali né oltrepassare il rispetto per la persona, evitando disprezzo o ludibrio della sua immagine pubblica. Anche i diritti di cronaca e critica sono soggetti a limitazioni, come l'utilità sociale dell'informazione e la verità dei fatti esposti.
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La satira, pur essendo una forma di critica, non è tenuta a riferire fatti completamente veri, poiché spesso esagera o usa il paradosso in modo caricaturale. Tuttavia, deve avere un'utilità sociale e rispettare i limiti della continenza verbale e figurata, senza riferirsi a fatti completamente estranei alla realtà. La Corte di Cassazione ha chiarito che la satira può essere corrosiva, ma deve essere strumentalmente collegata alla manifestazione di un dissenso ragionato, evitando aggressioni gratuite e distruttive dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Inoltre, la satira non mira direttamente alla persona, ma piuttosto alla categoria sociale, politica o culturale che essa rappresenta.
LA SATIRA POLITICA NELL'ANTICA GRECIA
Nell'Antica Grecia, la satira politica era un elemento vitale della vita culturale e sociale, soprattutto nelle città-stato come Atene. Il dramma satiresco, una forma teatrale caratterizzata da elementi comici e satirici, era uno dei generi più popolari nelle feste in onore di Dioniso. Questi spettacoli offrivano agli autori l'opportunità di prendere di mira i politici, i leader e le istituzioni della polis, mettendo in risalto le loro contraddizioni e ipocrisie attraverso il ridicolo e la caricatura. Tra gli autori più famosi di questo genere, spicca Aristofane, le cui commedie sono pervase da una forte critica politica. Nei suoi lavori, come "Le vespe" e "L'assemblea delle donne", Aristofane utilizza il potere della satira per smascherare le follie e le ambizioni dei politici ateniesi, generando risate ma anche stimolando la riflessione critica sulla società. Prima ancora della formalizzazione del genere satirico a Roma, si possono individuare elementi di satira nelle opere dei filosofi stoici e cinici, come Menippo. Questi pensatori utilizzavano dialoghi e diatribe per esporre le contraddizioni e le ingiustizie della società, spesso attraverso l'uso dell'ironia e della derisione. La satira menippea è una forma ibrida che mescola prosa e versi per creare un'opera satirica complessa, spesso caratterizzata da una critica pungente e dalla rappresentazione grottesca della realtà.
LA SATIRA NEL MONDO LATINO
Gli studiosi romani hanno sempre trovato incerte e misteriose le origini della satira. Quintiliano, nell'Institutio Oratoria, afferma con orgoglio che la satira è interamente un prodotto romano ("Satura tota nostra est"), distaccandola dagli altri generi letterari di origine greca. Tuttavia, questa affermazione di Quintiliano trova solo parziale conferma nei fatti. Sebbene lo spirito scherzoso e beffardo, noto come "Italum acetum", fosse diffuso tra gli Italici e contribuisse al sorgere della satira, non possiamo negare che la satira romana fosse influenzata anche dalla commedia antica e dalla poesia giambica, in particolare da quella di Callimaco. In definitiva, nonostante gli influssi culturali greci sulla satira romana, è giusto concordare con Quintiliano sul fatto che siano stati i Romani a conferire alla satira lo status di genere letterario, anche se il suo sviluppo è stato plasmato da diverse influenze culturali.
LA SATIRA NEL MONDO LATINO - GLI AUTORI
Il primus auctor del genere satirico è considerato essere Ennio, anche se restano solamente pochi frammenti della sua produzione. Le Satire, originariamente concepite in sei libri ma probabilmente composte in quattro, presentano una varietà di forme metriche e di temi che spaziano dal monologo di un parassita a un confronto allegorico tra la Vita e la Morte, fino ad arrivare a favole che coinvolgono animali. Tuttavia, ciò che manca nelle opere di Ennio è l'elemento distintivo delle satire successive: un tono polemico, ironico e beffardo che prende di mira i contemporanei. Se Ennio è stato considerato l'auctor generis, Lucilio è stato ritenuto l'inventor generis, il primo poeta a dare alla satira un ruolo centrale nella sua opera. Egli ha scritto circa 30 libri di Satire, ma ci sono pervenuti solo circa 1.300 versi. All'inizio della sua carriera, ha utilizzato vari metri, ma l'esametro dattilico è diventato il metro principale della sua satira. Lucilio non risparmiava nessuno con il suo tono tagliente e aggressivo, attaccando senza riguardo i viziati, i malvagi, gli sciocchi, gli scrocconi e i seccatori, indipendentemente dal loro status sociale o dalle loro amicizie. La sua poesia era caratterizzata da un fervore militaresco, anche se i suoi attacchi non erano rivolti al vizio, di cui era consapevole, ma alle persone stesse. La sua satira presentava elementi tipicamente romani, come un tono caustico e una disinvoltura impertinente nei confronti delle convenzioni letterarie, il riferimento a esperienze personali e una varietà di temi, anche se molti di essi avevano corrispondenti nella letteratura greca.
Orazio ha accolto e formalizzato l'eredità della satira esametrica di Lucilio attraverso le sue 18 Satire, dedicate a Mecenate e suddivise dallo stesso poeta in due libri (10+8), il primo dei quali è stato pubblicato nell'anno 35 a.C. e il secondo intorno al 31 a.C. Orazio stesso si riferisce a queste opere alternativamente come "Satire" o "Sermoni", indicando con ciò delle "conversazioni", con un'allusione allo stile apparentemente umile e trascurato e al linguaggio talvolta colloquiale. La scrittura delle satire è stata motivata in Orazio soprattutto dal suo temperamento personale, ma anche dalle circostanze della sua vita, come la povertà e il desiderio di notorietà. Orazio ha preso Lucilio come modello per questa opera, considerandolo il fondatore del genere satirico, anche se dei lavori di Lucilio restano solo pochi frammenti, rendendo difficile stabilire i rapporti precisi tra Orazio e il suo predecessore immediato. Nell'epoca giulio-claudia, durante il principato di Nerone, si fa notare la voce poetica distintiva di Persio (34 d.C. - 68 d.C.). Nei suoi 14 versi in coliambi (trimetri giambici scazonti) che introducono le sue 6 Satire esametriche, raccolte in un unico libro, Persio si collega esplicitamente alla tradizione satirica di Lucilio, che era nota per il suo tono acuto e pungente. Tuttavia, oltre alle intenzioni dichiarate, con Persio, così come successivamente con Giovenale, il genere satirico subisce notevoli innovazioni sia nella forma del discorso satirico che nel pubblico a cui è rivolto. Mentre le satire di Lucilio e Orazio si concentravano principalmente sulle cerchie degli amici, quelle di Persio (e poi anche di Giovenale), pur rivolgendosi formalmente a un singolo destinatario, sono effettivamente indirizzate a un pubblico più ampio di lettori e ascoltatori. Di fronte a questo pubblico, il poeta assume il ruolo di censore dei vizi e dei comportamenti corrotti. La forma del discorso non è più quella di una conversazione "costruttiva", come invece avveniva con Orazio, che, pur riconoscendo i difetti umani, tendeva a sorridere e a far sorridere, creando una sorta di complicità tra autore e destinatario.
SATIRA NEL MEDIOEVO
La satira nel corso della storia si è evoluta distinguendosi in base alla materia di cui tratta (morale, politica, sociale, religiosa, femminista, nazionale, ecc.) e per la forma in cui si presenta (lirica, dialogica, narrativa, poetica, prostatica, drammaturgica, ecc.) Nel Medioevo i satirici latini nel medioevo ebbero molta fortuna, ne sono testimonianza l'infinità dei manoscritti trascritti dai chierici e dai monaci nei conventi, i commenti fatti a queste opere e le loro citazioni negli scritti degli autori medievali. Il medioevo predilesse la satira allegorica fatta di storie di animali, talvolta anche figurate; la satira morale, soprattutto nei confronti del clero; la satira politica e religiosa con Giuttone d'Arezzo, Jacopone da Todi, Boccaccio, Petrarca e Dante Alighieri.
Dante Alighieri, uno dei più grandi poeti della letteratura italiana e mondiale, ha creato con la sua opera più celebre, la Divina Commedia, un capolavoro che unisce allegoria e satira. Attraverso il viaggio verso la redenzione dell'anima e la comprensione dell'amore divino, l'autore denuncia gli errori e le corruzioni della Chiesa e dei governanti del suo tempo, servendosi di immagini, simboli e personaggi che riflettono la società dell'epoca, incluso se stesso e i suoi contemporanei, spesso trattati con una severità che si mescola al divertimento. Attraverso personaggi come Capecchio nel sesto girone del Purgatorio, Dante rappresenta la perfidia del suo tempo, mentre altri come Blagiàna, Fucci, Dulïo sono dipinti in una luce grottesca, mettendo in risalto le debolezze e le insensatezze dell'umanità. La satira di Dante è etica, evidenziando i vizi umani e il loro contrasto con le virtù tramite ironia e umorismo, grazie alla sua abilità nel dipingere situazioni e personaggi.
La sua satira iniziò già nel periodo giovanile con lo scontro a suon di sonetti satirici con Forese Donati ne "le Rime". Se nella Vita Nova e nel De Vulgari Eloquentia la satira dantesca si scaglia contro letterati e politici, nella Monarchia attacca i nemici dell'idea imperiale, i cattivi giuristi, i falsi religiosi, avidi soltanto delle decime dei poveri, i Guelfi che si consideravano figli della Chiesa, ma che erano figli del demonio. Nelle lettere il tema satirico politico si mescola con quello antiecclesiastico del clero perverso dalla cupidigia. Nel Convivio, il cui scopo filosofico-dottrinale mira a difendersi dalle accuse dei concittadini che lo avevano mandato in esilio, non risparmia il suo spirito satirico contro gli avversari del volgare, dell'impero e gli ecclesiastici indegni - la maggior parte secondo lui — che cercavano solo onori e denaro.
SATIRA NEL RINASCIMENTO
Il Rinascimento conosce una nuova stagione della satira, con il recupero della grande tradizione antica. Agli umanisti sta a cuore castigare gli indotti colleghi o gli eruditi dei secoli precedenti. Di carattere chiaramente satirico è La nave dei folli dell'umanista e poeta tedesco Sebastian Brant (1457-1521), una sorta di lunga "dan-za macabra" delle manchevolezze umane. Elementi satirici ritornano anche nel capolavoro della letteratura rinascimentale, il Gargantua e Pantagruele del francese François Rabelais (ca 1494-1553): l'enorme potenza creativa di questo testo, una vera "opera-mondo", non permette tuttavia di considerarlo come un romanzo esclusivamente satirico. Lo stesso si può affermare di un altro capolavoro della letteratura mondiale, il Don Chisciotte dello spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616), che presenta anch'esso alcuni tratti propri della satira (il grottesco distorcimento dei caratteri, la buffonesca rappresentazione delle aspirazioni di alcune classi sociali). In Italia, il maggiore autore satirico dell'epoca è Ariosto.
Ludovico Ariosto è noto non solo per il suo celebre poema cavalleresco, l'Orlando Furioso, ma anche per le sue sette satire scritte tra il 1517 e il 1525. Queste opere, ispirate alle satire latine di Orazio, offrono una visione critica e ironica della società rinascimentale. In esse, Ariosto si confronta direttamente con i difetti e le ipocrisie della sua epoca, mettendo in discussione le convenzioni sociali e morali dell'Italia rinascimentale. La loro forza risiede nel carattere autobiografico dell'autore e nell'approccio moralistico aggressivo. Le satire di Ariosto, composte in metro e seguendo il modello latino, hanno ridefinito lo stile e la forma della satira nel Cinquecento. "Di costor la gran parte, che si finge Di non valer un fico, e di dir poco, Non la vede: altri talor si distinge, E se la manda a dire in tutto loco." In questo passaggio, Ariosto si riferisce alla nobiltà che, nonostante possa essere priva di reali meriti o qualità, si comporta come se fosse superiore agli altri. La satira si concentra sulla falsa modestia e sull'ipocrisia di coloro che fingono di essere umili e modesti ("si finge / Di non valer un fico"), ma in realtà si considerano superiori agli altri. Questi nobili cercano di nascondere la loro mancanza di valore reale dietro una facciata di modestia, ma spesso sono così presuntuosi da rivelare la loro vera natura in modo evidente ("si distinge, / E se la manda a dire in tutto loco").
LA SATIRA NELL'700 e 800
Nel Settecento e Ottocento italiano, la satira fiorì come strumento di espressione politica e sociale durante il Risorgimento. Con l'avvento della stampa satirica e opere letterarie, gli autori criticavano l'oppressione politica e sociale. La satira politica era diffusa, mirando ai governanti e alle élite dominanti, mentre una tradizione di satira popolare affrontava vizi e abitudini della vita quotidiana. La satira nelle opere di Giovanni Verga, come "i Malavoglia" e "Mastro Don Gesualdo", emerge attraverso la critica sociale, la rappresentazione dei vizi umani, l'umorismo nero e il contrasto tra ideali e realtà. Le sue opere offrono uno sguardo acuto sulla condizione umana e sulla società dell'Italia meridionale del XIX secolo. La satira di Carlo Collodi si manifesta attraverso la critica sociale e istituzionale, la satira della moralità e dell'educazione, la rappresentazione dei vizi umani e l'umorismo. Attraverso le avventure di Pinocchio, Collodi offre una riflessione profonda e pungente sulla società e sulla morale del suo tempo.
LA SATIRA NEL 900
Nel Novecento, la satira italiana ha riflettuto i cambiamenti sociali, politici e culturali attraverso romanzi, racconti e opere teatrali, offrendo una critica acuta e spesso umoristica sulla società contemporanea. La satira di Italo Calvino ( come si nota nella sua opera "Le stagioni in città") si manifesta attraverso una critica intelligente e spesso surreale della società contemporanea, della tecnologia, della narrazione e della letteratura stessa Utilizzando un mix di ironia, umorismo e fantasia, Calvino offre uno sguardo affilato e penetrante sulla condizione umana nel mondo moderno. Umberto Eco utilizza la satira attraverso le sue opere letterarie, saggi e articoli per mettere in discussione istituzioni, ideologie e convenzioni sociali, spesso con ironia, sarcasmo e parodia. Nei romanzi come "Il nome della rosa" e "Il pendolo di Foucault", Eco critica la Chiesa, la società e le teorie cospirative, mentre nei suoi scritti non narrativi si concentra sulla politica contemporanea, la cultura di massa e i media.
La satira in Alberto Moravia si manifesta nelle sue opere come "La noia" e "Gli indifferenti", attraverso la critica sociale e politica, la rappresentazione dei vizi umani, la satira della moralità borghese e l'uso dell'ironia e dell'umorismo. Moravia offre una riflessione profonda e pungente sulla società e sulla natura umana del suo tempo. Eugenio Montale non è spesso associato alla satira tradizionale, ma ha utilizzato l'ironia e la critica sociale nei suoi versi per riflettere sulle contraddizioni della vita contemporanea e dell'animo umano, evidenziandone le debolezze e le fragilità. La sua opera, come "Xenia", presenta un tono sarcastico e critico verso la società italiana del suo tempo, ma in modo più sottile e complesso rispetto ad altri autori satirici. "Xenia" è una poesia pubblicata nella raccolta "Ossi di seppia" nel 1925. Il termine "xenia" deriva dal greco antico e si riferisce all'ospitalità reciproca tra ospite e padrone di casa. La poesia riflette su temi come la solitudine, l'alienazione e l'incomunicabilità umana. Montale usa immagini evocative per esplorare l'idea della distanza emotiva tra le persone e la difficoltà di connessione autentica.
LA MINIATURA
Molto spesso anche nelle miniature a bordo pagina o in calce al testo i miniatori, talvolta anonimi, ci hanno lasciato rappresentazioni satirico-allegoriche: volpi, cinghiali o cani vestiti da vescovi (fig.5) o cardinali, scimmie vestite da pontefici, predicatori dalla cui bocca escono rane per indicare i falsi profeti (fig. 6), uomini in arme che combattono contro lumache, o conigli armati che fanno guerra con altre bestie. Temi satirici, ad esempio quello del lombardo e della lumaca, o del mondo alla rovescia, che prendono le mosse da quelli già contenuti nelle danze macabre e nei trionfi della morte
LA SCULTURA
Esempi satirici antifrateschi e antiecclesiastici raffigurati attraverso l’arte della scultura possono trovarsi, al contrario di quanto si possa pensare, nella penombra delle cattedrali. A Parma, ad esempio, i capitelli sono stati scolpiti nel XII secolo con raffigurazioni antifratesche (fig. 7), probabilmente tratte dal Roman de Renart. Così anche nella cattedrale di Ferrara si trovano simili raffigurazioni, forse segno che la Chiesa usasse anche queste raffigurazioni per schernire e ammonire il malcostume dei chierici e dei laici
I PASQUINI
Un altro esempio della scultura ebbe la sue statue “parlanti” come ad esempio Pasquino (visibile nell’incisione del 1528 di Nicolas Beatrizet (1507-1565)), dove i romani appendevano sopra al collo e ai piedi dei fogli con versi satirici (le celebri pasquinate). La satira può essere considerata la voce del popolo e il suo intento è quello di portare a riflessioni capaci di migliorare le condizioni umane.
LA PITTURA
La satira manifestata attraverso la pittura era pericolosa tanto quanto quella letteraria, ne è esempio ciò che successe al giovane pittore romano che osò ritrarre sopra un panorama di Cave, assediata dai soldati di Sisto IV, un francescano che corteggia una donna: fu perseguito dal pontefice ed espulso da Roma. O anche il già ricordato Beato Angelico, oppure Giotto o il famoso Michelangelo Buonarroti (1474-1564) che, nel dipingere il giudizio universale nella cappella Sistina, raffigurò nell’infernale Minosse avvinghiato da un serpente il cerimoniere di papa Paolo III, Biagio da Cesena, il quale aveva criticato il dipinto in corso d’opera
GIUDIZI UNIVERSALI
Un tema che dava occasione di rivalsa contro il potere politico, o contro gli avversari in genere, era il Giudizio universale o dell’oltretomba. Probabilmente affonda le sue radici nel poema dantesco e nelle dispute medievali del giudizio particolare (visione beatifica o pena dell’inferno) Partendo da ciò questo tema satirico si sviluppò con facilità, tanto che lo stesso domenicano Giovanni da Fiesole, meglio conosciuto come Beato Angelico (1395-1455), raffigurò tre opere del Giudizio universale, mettendo tra i beati i frati domenicani e fra i dannati i rivali francescani
VENERE, VULCANO MARTE
Fu Jacopo Robusti detto il Tintoretto con la creazione di “Venere, Vulcano e Marte” a dare il via al nuovo genere pittorico. Qui appare il dio della guerra, Marte, sotto una luce davvero insolita per i tempi che correvano. Al centro del dipinto c'è Venere nuda e sdraiata sul letto con il figlioletto Cupido in alto sopra di lei, il quale finge di dormire; attorno a loro l'artista inventerà una scena assai buffa che fece scalpore tra i suoi contemporanei. Il marito della dea, Vulcano, sopraggiunto evidentemente all'improvviso, guarda sotto le lenzuola alla ricerca della prova del tradimento della moglie, che chiaramente, è avvenuto veramente perché sotto al mobilio vicino al letto, si scorge la testa di Marte (egli fu l'amante della dea dell'amore in molte leggende mitologiche). Nascosto per non farsi scoprire dal marito geloso, il dio fa il segno ad un cagnolino di star zitto e tale gesto, fa davvero ridere, una novità che i tempi erano ormai maturi ad accogliere. L'opera dell'ultimo grande pittore veneziano cinquecentesco, mise così in risalto in maniera diversa un tema molto in voga nel Rinascimento. Marte, dio della guerra, il più temuto e potente dei guerrieri secondo la mitologia greca, venne visto fin dall'antichità neutralizzato dalla forza dell'amore e fu descritto spesso come un uomo comune a causa della sua passione per Venere, ma nessuno prima di Tintoretto lo aveva mai posto in una posizione ridicola.
LA REGINA ELISABETTA I NUTRE LA MUCCA OLANDESE
Tra i primi esempi di satira nella storia della pittura vi è quello di un autore (ovviamente) anonimo, di origine fiamminga, dove già dal titolo si intuisce chi vuole colpire: “Elisabetta I nutre la mucca olandese”. Questo quadro venne realizzato nel 1586 e qui appare la regina d’Inghilterra mentre dà del fieno ad una mucca (rappresentante delle province olandesi) sulla cui groppa siede Filippo II di Spagna; a tenere fermo l'animale ci pensa Guglielmo d’Orange, mentre il duca d’Angiò tenendone la coda tra le mani, viene sporcato dalle sue feci. Quest'immagine pittorica apparve dopo la visita del duca d’Angiò (fratello di re Enrico III di Francia) alla corte di Elisabetta I per discutere della sua proposta di matrimonio in cambio del sostegno francese contro gli spagnoli.
LA CASTITà
Sempre dall'Olanda viene un altro dipinto anonimo intitolato: “Satira sulla castità”, realizzato nel periodo che va dal 1600 al 1649; l'unica cosa certa conosciuta sull'autore di questo quadro è che non era un papista-cattolico visto che l’opera mostra un monaco e una monaca in intimità mentre il papa li osserva con una lanterna.