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BIO ARTE

Francesca D angelo

Created on March 7, 2024

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AVANTI

IMPRESSIONISMO

AVANTI

http://www.ovovideo.com/impressionismo/

L'impressionismo è un movimento pittorico francese che nasce intorno al 1860 a Parigi. È un movimento che deriva direttamente dal realismo, in quanto come questo si interessa soprattutto alla rappresentazione della realtà quotidiana. Ma, rispetto al realismo, non ne condivide l'impegno ideologico o politico: non si occupa dei problemi ma solo dei lati gradevoli della società del tempo. La vicenda dell'impressionismo è quasi una cometa che attraversa la storia dell'arte, rivoluzionandone completamente soprattutto la tecnica. Dura poco meno di venti anni: al 1880 può già considerarsi una esperienza chiusa. Esso, tuttavia, lascia una eredità con cui faranno i conti tutte le esperienze pittoriche successive. Non è azzardato dire che è l'impressionismo ad aprire la storia dell'arte contemporanea. La grande rivoluzione è soprattutto la tecnica che nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà sensibile. Evita qualsiasi riferimento alla costruzione ideale della realtà, per occuparsi solo dei fenomeni ottici della visione. E per far ciò cerca di riprodurre la sensazione ottica con la maggior fedeltà possibile. Non c'è, nell'impressionismo, alcuna romantica evasione verso mondi idilliaci, sia rurali sia mitici; c'è invece una volontà dichiarata di calarsi interamente nella realtà urbana di quegli anni per evidenziarne tutti i lati positivi e piacevoli. Ed anche le rappresentazioni paesaggistiche o rurali portano il segno della bellezza e del progresso della civiltà.

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PERCHE' IMPRESSIONISMO?

Gli artisti impressionisti erano convinti che la realtà venisse percepita in modo diverso da persona a persona e da momento a momento, attraverso "impressioni" di forme, luci e colori

COME DIPINGEVANO?

Il loro modo di dipingere era rivoluzionario, infatti gli artisti eseguivano le loro opere "en plein air" ( all'aria aperta), utilizzando un cavalletto portatile e colori a olio in tubetto. Il disegno viene completamente abolito e la pittura è data a macchie con tocchi rapidi

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QUALI ERANO I SOGGETTI?

Gli impressionisti dipingevano prevalentemente la NATURA, oppure scene di vita della classe borghese, ritratta nei suoi vari aspetti.

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La luminosità dei colori è l'elemento più importante. Le ombre non vengono realizzate nere ma colorate e riflettono il colore del cielo, della terra e di tutto quello che è presente nell'ambiente

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QUAL E' LA NOVITA' DELL'IMPRESSIONISMO?

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Con la nascita della fotografia i pittori non si sentono più obbligati a rappresentare fedelmente la realtà ma possono concentrarsi sul modo in cui guardarla. Un dipinto non mostra più le cose come sono, ma come le vede il pittore. Protagonista della pittura sarà quindi lo sguardo del pittore sulle cose. Si passerà dal chiedersi " Cosa rappresenta questo quadro?", al domandarsi " Come rappresenta la realtà questo artista?"

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EDUARD MANET

Notevole influenza ebbe sulla definizione del suo stile anche la conoscenza delle stampe giapponesi. Nell'arte giapponese, infatti, il problema della simulazione tridimensionale viene quasi sempre ignorato, risolvendo la figurazione solo con la linea di contorno sul piano bidimensionale. Manet voleva giungere al rinnovamento della pittura operando all'interno delle istituzioni accademiche, per questo motivo, egli, pur essendo il primo dei pittori moderni, non espose mai con gli altri pittori impressionisti. Rimase sempre su posizione individuale e solitaria anche quando i suoi quadri non furono più accettati dalla giuria del Salon. Le sue prime opere non ebbero problemi ad essere accettate. La rottura con la critica avvenne solo dopo il 1863, quando Manet propose il quadro «La colazione sull'erba», un quadro realizzato con macchie di colori puri e stesi uniformemente. In esso, tuttavia, l' occhio riesce a cogliere una simulazione spaziale precisa se osservato ad una distanza non ravvicinata. Nello stesso anno realizzò l'«Olympia». Come «La colazione sull'erba», anche questo deriva da un soggetto tratto da Tiziano. Tutti questi quadri sono la dimostrazione inequivocabile di come la pittura di Manet sia decisamente moderna, sul piano della visione, rispetto a quella del passato. Tuttavia, questo progresso non fu compreso proprio dal mondo accademico del tempo, al quale in realtà Manet si rivolgeva. Fu invece compreso da quei giovani pittori, gli impressionisti, anche loro denigrati e rifiutati dal mondo ufficiale dell'arte. Nei confronti degli impressionisti Manet ebbe sempre un atteggiamento distaccato. Partecipava alle loro discussioni, che si svolgevano soprattutto al Cafè Guerbois, e, in seguito, al Cafè della Nouvelle Athènes, ma non espose mai ad una mostra di pittura impressionista. Egli, tuttavia, non rimase impermeabile allo stile che egli stesso aveva contribuito a far nascere. Dal 1873 in poi, sono evidenti nei suoi quadri le influenze della pittura impressionista. Il tocco diviene più simile a quello di Monet, così come la scelta di soggetti urbani («Bar aux Folies Bergère») rientra appieno nella poetica dell'impressionismo. Egli, tuttavia, conserva sempre una maggior attenzione alla figura e continuerà sempre ad utilizzare il nero come colore, cosa che gli impressionisti non fecero mai. Tra tutti i pittori dell'Ottocento francese, Manet è quello che più ha creato una cesura con l'arte precedente. Dopo di lui la pittura non è stata più la stessa.

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Il quadro di Edouard Manet venne presentato al Salon del 1863. La giuria lo rifiutò. Proprio quell'anno gli artisti rifiutati al Salon furono ben 300. Napoleone III, per contenere le loro proteste, fece aprire un altro salone: il Salon dés Refusée. In esso venne esposto anche «La colazione sull$erba» di Manet. Ma, anche qui, le accoglienze del pubblico e della critica furono negative. Il quadro scandalizzava sia per il soggetto, sia per lo stile. In esso vi sono raffigurati, in primo piano, una donna completamente nuda che conversa con due uomini completamente vestiti. In secondo piano vi è una seconda donna che si sta bagnando in uno stagno. Non è il nudo della donna a scandalizzare, ma la sua rappresentazione troppo realistica in una situazione apparentemente quotidiana ma decisamente insolita. Ciò che in sostanza urta è che la nudità della donna rende volgare una conversazione tra normali borghesi. Il soggetto del quadro è una rilettura del «Concerto campestre» di Tiziano. Il contenuto del quadro di Manet è solo la novità tecnica della sua pittura. Ma ciò determinò un ulteriore sconcerto da parte del pubblico e della critica. La tecnica pittorica di Manet apparve decisamente poco elaborata e quasi rozza rispetto ai canoni della pittura accademica di quegli anni. Il suo quadro vuole cercare il più possibile la sensazione luminosa della visione dal vero. Accosta solo colori puri, stesi senza alcuna diluizione o velatura per dar loro l'effetto chiaroscurale. Ad una visione ravvicinata il quadro si presenta come una somma di macchie. Acquista maggior suggestione, e senso di verità, solo ad una visione distanziata. Il pubblico del tempo non era, in realtà, abituato a considerare i quadri in questo modo. Per loro uno dei parametri per giudicare la bravura di un pittore era proprio la verifica a distanza ravvicinata che consentiva di apprezzare il livello di definizione e perfezione della stesura pittorica.

I dipinti di Manet suscitano grande scalpore tra il pubblico: rappresentano, infatti, soggetti tradizionali ( nudi femminili, ritratti, paesaggi) interpretati con un forte senso della realtà. A Manet interessa rappresentare solo ciò che vede e non temi sociali. Egli non entrerà mai a far parte del gruppo degli impressionisti, ma li frequenta dal 1863. E' considerato il "padre" dell'Impressionismo.

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L'altra grande realizzazione di Manet, nel 1863, fu il quadro raffigurante Olympia. Anche questo è il rifacimento di un tema inventato da Giorgione e Tiziano, poi ripreso da Goya nella «Maja desnuda». La testa della serva e il gattino ai piedi della donna scompaiono quasi nella oscurità dello sfondo. Il bianco delle lenzuola viene rilevato con sovrapposizioni di pennellate grigie, mentre il corpo nudo della donna si presenta di un bianco uniforme, la cui piattezza è però compensata dalla ben calibrata posizione degli arti. È un esercizio di virtuosismo stilistico, in cui le piccole macchie di colore rosso e verde danno il punto di saturazione del tono luminoso in bilico tra il bianco-luce e il nerooscurità. Anche questo quadro di Manet scandalizzò per il soggetto. Olympia, infatti, era una nota prostituta parigina che qui si mostra con una sfrontatezza decisamente volgare. Lo sguardo così diretto della donna, la sua posa, i particolari eccessivamente realistici, come le pantofole ai piedi, non permettono all'osservatore di trascendere la vera realtà di ciò che è rappresentato sul quadro. Per questa opera Manet si ispira a «La Venere di Urbino» di Tiziano. Il quadro, esposto al Salon del 1865, subì la stessa sorte della «Colazione», ricevendo aspre e violente critiche

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In questa che è l'ultima opera importante realizzata de Manet, assistiamo ad una adesione piena allo stile impressionista, stile che il pittore aveva contribuito a far nascere, ma dal quale aveva sempre mantenuto le distanze. Il soggetto raffigura l'interno del bar delle Folies-Bergère, locale alla moda di Parigi. Lo spazio di rappresentazione è molto ristretto, comprendente appena il piano del bancone, e lo spazio retrostante in cui è raffigurata la cameriera Suzon, personaggio reale che Manet rappresenta in diversi quadri. L'effetto di grande spazialità è dato dal grande specchio sulla parete di fronte nel quale si riflette lo spazio dilatato del locale. Questo effetto illusionistico di spazialità riflessa è probabilmente un omaggio al capolavoro di Velazquez «Les meninas» dove un analogo gioco di riflessi costruisce la spazialità completa del quadro. Manet si concede ulteriori libertà di rappresentazione, venendo meno per la prima volta alla unicità del punto di vista. Nel riflesso dello specchio vediamo infatti a destra, molto decentrati, il riflesso della donna di spalle e il riflesso di un uomo che le sta di fronte. Questa visione non è possibile dal punto di vista frontale, e ci attesta come Manet, nei suoi ultimi quadri è ormai al superamento definitivo delle leggi della prospettiva, superamento che negli anni successivi sarà anche sperimentazione di Cezanne. Benché Manet anche in questo quadro resti fedele all'uso del colore nero, le abbreviazioni formali che vi introduce, insieme al gioco di luci e colori sapientemente ottenuti, lo portano a realizzare una delle più belle opere in assoluto dell'impressionismo.

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Bar delle Folies Bergère

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CLAUDE MONET

OBRA

Claude Monet (1840-1926), tra tutti i pittori dell'impressionismo, può essere considerato il più impressionista di tutti. La sua personale ricerca pittorica non uscirà mai dai confini di questo stile, benché egli sopravviva molto più a lungo dell'impressionismo. La sua formazione avvenne in maniera composita, trovando insegnamento ed ispirazione in numerosi artisti del tempo. A diciotto anni iniziò a dipingere, sotto la direzione di Boudin, che lo indirizzò al paesaggio en plain air. Recatosi a Parigi, ebbe modo di conoscere Pissarro, Sisley, Renoir, Bazille. In questo periodo agisce su di lui soprattutto l'influenza di Courbet e della Scuola di Barbizon. Nel 1863 si entusiasmò per «La Colazione sull'erba» di Manet e cercò di apprenderne il segreto. Nel 1870 conobbe la pittura di Constable e Turner. In questo periodo si definisce sempre più il suo stile impressionistico, fatto di tocchi di colore a rappresentare autonomi effetti di luce senza preoccupazione per le forme. Nel 1872 dipinse il quadro che poi diede il nome al gruppo: «Impression. Soleil levant». Questo quadro fu esposto nella prima mostra tenuta dagli impressionisti nel 1874. In questo periodo lo stile di Monet raggiunge una maturazione che si conserva inalterata per tutta la sua attività posteriore. Partecipa a tutte le otto mostre di pittura impressionista, tenute fino al 1886. I suoi soggetti sono sempre ripetuti infinite volte per esplorarne tutte le varianti coloristiche e luministiche. Tra le sue serie più famose vi è quella che raffigura la cattedrale di Rouen. La facciata di questa cattedrale viene replicata ben 50 volte nella stessa angolazione, in ore e condizioni di luminosità diverse. Ogni quadro risulta così diverso dall'altro, anche se ne rimane riconoscibile la forma di base pur come traccia evanescente e svaporizzata. Dal 1909 al 1926, anno della sua morte, esegue una serie di quadri aventi a soggetto «Le ninfee». In questi fiori acquatici sono sintetizzati i suoi interessi di pittore, che rimane impressionista anche quando le avanguardie storiche hanno già totalmente demolito la precedente pittura ottocentesca.

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I quadri dei pittori impressionisti venivano sistematicamente rifiutati dai Saloni ufficiali. Alcuni giovani pittori decisero quindi di autopromuovere una loro esposizione. Nel 1874 questi pittori : Claude Monet, Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Edgar Degas e Paul Cezanne, si unirono in società e realizzarono una loro mostra presso lo studio del fotografo Nadar. A questo gruppo gli artisti diedero il nome di: «Società anonima di pittori, scultori, incisori». Il nome «Impressionisti» fu loro dato dal critico francese Louis Leroy che coniò il termine con intento dispregiativo. E il nome derivava proprio dal titolo di questo quadro dipinto da Claude Monet. Esso è divenuto uno dei simboli della pittura impressionista. In questo quadro ci sono molti degli elementi caratteristici di questa pittura: la luce che svolge il ruolo da protagonista, il colore steso a tocchi e macchie, la sensazione visiva che fa a meno della definizione degli oggetti e delle forme, il soggetto del tutto casuale e al di fuori della ordinaria categoria di paesaggio. Il quadro rappresenta uno scorcio del porto di Le Havre. L'immagine è còlta all'aurora quando il sole inizia a filtrare attraverso la nebbia mattutina. Monet è del tutto indifferente a ciò che ha innanzi. Non ne cerca la riconoscibilità ma abbozza forme indistinte. Due barche sono solo due ombre scure, il cerchio del sole rimanda alcuni riflessi nell'acqua, un insieme di gru e ciminiere fumose si intravvedono in lontananza. Egli, tuttavia, è attento a registare con immediatezza e verità solo l'impressione visiva che si coglie guardando una immagine del genere. Nella sua pittura esiste solo la realtà sensibile, ossia solo ciò che l'occhio coglie d'istinto: la luce e il colore. Alle forme e allo spazio egli è del tutto indifferente. In questo quadro la sensazione, o meglio l'impressione, visiva è data dalla sintesi di luce e di colore. Ed è una sintesi che si basa sulla percezione istantanea. La registrazione che dà il quadro della percezione riguarda un attimo fuggente. Un istante dopo la visione può essere già diversa, perché la luce è cambiata e, con sé, anche la tonalità di colore che essa diffonde nell'atmosfera. Ma rimane una sensazione, fatta di suggestioni ambientali e atmosferiche, che il pittore coglie come testimonianza del suo vedere e del suo sentire. Da notare che, in questo quadro, benché poco evidente un ruolo essenziale lo svolge lo specchio d'acqua del porto. In moltissima parte della pittura impressionista, e di Monet in particolare, l'acqua svolge sempre un ruolo fondamentale. Essa riflette le immagini distorcendole. Questo quadro è stato rubato nel 1985 dal Musée Marmottan di Parigi e ritrovato in Corsica nel 1990.

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Impressione, sole nascente 1872

Argenteuil è una località che sorge lungo la Senna, poco a nord di Parigi, e che ricorre spesso nella produzione di Monet. L'interesse del pittore per l'acqua, e per le immagini che vi si riflettevano, è sempre stato costante in tutta la sua produzione artistica. In questo periodo, del resto, Monet si era fatto costruire un'atelier galleggiante: un barcone, in pratica, che egli aveva adattato a studio mobile, con il quale poteva percorrere il fiume Senna e cogliere tutte le immagini che voleva. In questa tela è evidente la sua pennellata a tratti, l'uso di colori puri e la mancanza del nero, che sono i tratti fondamentali dello stile impressionista, insieme alla realizzazione en plain air della tela.

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Nel 1894 Monet realizzò una serie di 50 tele dedicate alla facciata della cattedrale di Rouen. In queste tele ciò che l'artista cerca è la luce, e come essa riesce a modificare la percezione della realtà. Così egli rappresenta la cattedrale in diverse ore del giorno e con diverse condizioni atmosferiche, giungendo ogni volta a risultati pittorici diversi. La cattedrale a volte sembra smaterializzarsi, a volte si cristallizza in forme più salde, ma la luce ne modifica in ogni caso la percezione cromatica, così che la sua facciata cambia di colore a seconda dell'ora del giorno. L'insieme delle trenta tele è davvero impressionante e suggestivo, in quanto lo stesso oggetto dà luogo a trenta immagini differenti. E in ciò Monet cerca di dimostrare uno degli assunti fondamentali del movimento impressionista, che la percezione della realtà è cosa ben diversa dalla conoscenza mentale e razionale della medesima, in quanto nella prima entra in gioco il fluire continuo e mutevole della luce e del movimento, così che ogni istante della percezione è sempre diverso da un altro, anche immediatamente successivo.

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La donna ritratta in quest'opera è Camille Doncieux. Monet l'aveva conosciuta casualmente in biblioteca; lei era promessa sposa ad un giovane borghese, lui era un pittore squattrinato. I due si innamorano e fuggono insieme. Apparentemente non hanno nulla, né denaro, nè ricchezze, né una posizione rispettabile. Le loro famiglie li hanno maledetti, gli amici li deridono....ma loro hanno l'amore, e questo basta per vivere felici. Ma un giorno Camille si ammala e Monet comincia a ritrarla incessantemente, per ancorare la sua immagine nella tela e renderla eterna. A mano a mano che la rappresenta, le linee si fanno sempre più sgranate, i contorni frantumati, la materia diventa luce e la carne anima....la sua immagine sembra dissolversi. Camille muore all'età di 32 anni, ma Monet continuò a dipingerla tra fiori e fili d'erba. In seguito, per circa 20 anni, il pittore si dedicherà alla rappresentazione di stagni e ninfee, che tanto piacevano a Camille. " E saprò accarezzare i fiori, perché tu mi insegnasti la tenerezza". Monet ha dipinto oltre 200 ninfee, guardando sempre lo stesso stagno, a rirpova di quanto può essere bella la stessa cosa ogni giorno, quando la guardi con amore.
Claude Monet, "La passeggiata", 1875

CASA DI MONET A GIVERNY

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Tour virtuale casa Monet

Ritiratosi nella sua tenuta di Giverny, la ricerca pittorica di Monet si concentrò sempre più sulla rappresentazione dei colori della natura, facendo scomparire del tutto nei suoi quadri la figura umana. Tra le tele realizzate in questo periodo, grande rilevanza hanno i quadri con le ninfee, che compaiono in circa trecento tele realizzate a partire dal 1883 fino alla sua morte. La ninfea, fiore d'acqua che non ha radici e che quindi si muove continuamente sulla superfice dei fiumi e degli stagni, è quasi il simbolo di quella realtà mai fissa e perennemente mobile che gli impressionisti cercavano di rappresentare. In questi quadri Monet giunse ad una ulteriore semplificazione della sua pittura con tele che hanno grande eleganza formale.

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MUSEO DELL'ORANGERIE

In origine l'Orangerie serviva per riparare i vasi d'aranci del parco in inverno. A conclusione della prima guerra mondiale, nel 1918, Monet offrì allo Stato le prime tele in segno di pace. Il museo fu allestito nel 1927, un anno dopo la sua morte
Nelle due sale ovali, che disegnano il simbolo dell'infinito, sono conservate otto grandi tele che riproducono le ninfee. L'illuminazione è naturale e proviene dalle vetrate del soffitto
Protagonista di queste opere è sempre l'acqua che occupa l'intera superficie. Su di essa galleggiano le ninfee e si specchiano le nuvole del cielo. Il visitatore è posto costantemente davanti ad un panorama rasserenante. Con queste opere Monet anticipa le caratteristiche della pittura astratta

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I nervi sovraffaticati dal lavoro si sarebbero lì distesi, secondo l’esempio riposante di quelle acque tranquille, e, a chi l’avesse abitata, questa stanza avrebbe offerto il rifugio di una pacata meditazione in mezzo a un acquario di fiori. Monet, 1909

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Virtual tour

MONET, LA CATARATTA E I COLORI

Monet, la cataratta e i colori Ninfee, 1897-1899. Galleria d’arte moderna e contemporanea, Roma Nel 1912 a Claude Monet (1840-1926), che da qualche anno lamentava problemi agli occhi, fu diagnosticata una cataratta bilaterale, che comporta un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino e un ingiallimento e oscuramento dei colori percepiti. Man mano che la malattia progredisce, i cristallini degradati filtrano una parte dello spettro della luce visibile, e i colori che si percepiscono diventano confusi: i bianchi e i verdi diventano giallastri, i rossi assumono un tono arancio, i blu e i violetti sono sostituiti dai rossi e dai gialli; i dettagli si fanno vaghi e i contorni scompaiono per diventare sfocati.

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MONET, LA CATARATTA E I COLORI

Monet continuò a dipingere, ma la malattia lo costrinse a lottare per farlo. Si lamentava con gli amici che gli pareva di vedere tutto in una nebbia. Così scriveva intorno al 1914: "i colori non avevano più la stessa intensità per me; non dipingevo più gli effetti di luce con la stessa precisione. Le tonalità del rosso cominciavano a sembrare fangose, i rosa diventavano sempre più pallidi e non riuscivo più a captare i toni intermedi o quelli più profondi (...) Cominciai pian piano a mettermi alla prova con innumerevoli schizzi che mi portarono alla convinzione che lo studio della luce naturale non mi era più possibile ma d'altra parte mi rassicurarono dimostrandomi che, anche se minime variazioni di tonalità e delicate sfumature di colore non rientravano più nelle mie possibilità, ci vedevo ancora con la stessa chiarezza quando si trattava di colori vivaci, isolati all'interno di una massa di tonalità scure". In quegli anni, durante la fase acuta della malattia i colori dei suoi quadri assumono il fondo giallo opalescente dovuto al difetto del cristallino. Anche se stendeva i colori secondo l’abitudine e l’esperienza, confidando nell’ordine invariato dei colori sulla tavolozza e nelle etichette dei tubetti, non era più in grado di giudicare l’effetto che la sua opera poteva avere sul pubblico, né poteva ritoccare i dipinti senza il rischio di errori di giudizio.

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MONET, LA CATARATTA E I COLORI

Tra il 1919 e il 1922 Monet temeva di dover smettere di dipingere. Poteva farlo solamente durante certe ore in cui l’illuminazione era ottimale, ed era conscio che la vividezza dei colori che vedeva era compromessa. Aveva da qualche anno rifiutato la proposta di un intervento chirurgico almeno all'occhio più colpito, perché temeva di perdere la vista o, quantomeno, di non riuscire più a cogliere distintamente le forme degli oggetti. La situazione stava tuttavia peggiorando, ed egli fu infine persuaso dall'amico Georges Clemenceau (suo futuro biografo) a vincere le proprie paure.

Dopo anni di cure infruttuose, nel gennaio 1923, Monet fu operato per la rimozione del cristallino dell’occhio sinistro. Con una spessa lente correttiva, Monet poteva di nuovo vedere in modo accettabile, ma all’inizio lamentò visione doppia e distorsione delle immagini, rifiutando l’operazione all’altro occhio. Anche la percezione dei colori era radicalmente mutata: “Vedo il blu e non vedo più il rosso; ciò mi fa arrabbiare terribilmente perché so che questi colori esistono, perché so che sulla mia tavolozza c’è il rosso, il giallo, un verde speciale, un violetto particolare; non li vedo più come li vedevo un tempo”. Verso la fine dell’anno i problemi visivi si risolsero ed egli poté tornare a dedicarsi alla pittura. Solo che poteva vedere anche colori che non aveva mai visto prima. Monet, infatti, incominciò verosimilmente a vedere (e a dipingere) anche nell’ultravioletto.

Il ponte giapponese, 1920-22. The Museum of Modern Art, New York

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MONET, LA CATARATTA E I COLORI

Dopo l’operazione, sappiamo che Monet distrusse alcune delle sue tele più recenti. Molte di queste rimangono oggi solo perché furono messe in salvo dalla famiglia e dagli amici. Egli era perfettamente consapevole del mutamento nella sua percezione dei colori dopo l’intervento. Infine riprese fiducia nella sua capacità visiva e lavorò con lena a rifinire le grandi tele delle ninfee ora esposte al Musée de l’Orangerie di Parigi

Le ninfee rimasero uno dei suoi soggetti preferiti, solo che, dopo l’asportazione del cristallino, i fiori erano diversi. Scomparvero i toni giallastri dei dieci anni precedenti e tornarono i blu e i bianchi. Non è escluso, come è stato ipotizzato, che gli occhi di Monet potessero catturare alcune delle frequenze nel campo ultravioletto riflesse dai petali e a trasferirle su tela mescolando opportunamente il blu e il bianco.

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PIERRE-AUGUSTE RENOIR

biografí

"Per me un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra, bella, si....bella" Pierre- Auguste Renoir

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Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) è il pittore che, dopo Monet, ha meglio sintetizzato la poetica del nuovo stile pittorico. Iniziò la sua attività da ragazzo decorando porcellane, stoffe e ventagli. Partecipa alla prima mostra impressionista del 1874 presso lo studio di Nadar. I quadri di questo periodo sono caratterizzati dalle immagini en plain air. In essi si avverte una leggerezza e un tono gaio che ne fanno una rappresentazione di gioia suprema. Capolavoro di questo periodo sono «La Grenouillère», o il «Bal au Moulin de la Galette». Renoir è anche insuperabile nella resa delle figura femminile, specie nei nudi. Le sue immagini sono create dalla luce stessa che, attraverso mille riflessi e rifrazioni, compone una immagine insolita ma di grande fascino. Dopo il 1881 la sua pittura entrò in crisi. Abbandonò la leggerezza del periodo impressionista per aprire un nuovo periodo che egli stesso definì «agro». La sua pittura tese ad un maggior spirito neoclassico, e a ciò non fu estraneo un viaggio che egli fece in Italia e che gli permise di conoscere i grandi pittori del passato. Colpito da artite reumatica continuò imperterrito la sua attività di pittore fino alla morte.

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Questo quadro appartiene alla fase in cui Renoir lavorava gomito a gomito con Claude Monet. Entrambi avevano lavorato presso lo studio del pittore svizzero Gleyre; entrambi si riunivano intorno a Edouard Manet nel Café Guerbois; insieme si recavano, nell'estate del '69, alla Grenouillère per dipingere. La Grenouillère era uno stabilimento balneare che sorgeva lungo la Senna, e ricorre in numerosi quadri sia di Monet che di Renoir. Il luogo sembra un paesaggio ma è in realtà un luogo urbano per eccellenza. Qui si portavano i parigini per passare ore felici e spensierate, passeggiando, nuotando, remando in barca. Il luogo non ha una presenza monumentale che ne segni lo spazio. È un ambiente fatto di elementi impalpabili: acqua, aria, luce che filtra tra gli alberi. Ed è indubbio che siano proprio questi elementi a costruire il fascino di un simile ambiente. Renoir cerca di cogliere la sensazione di essere in un luogo attraverso la percezione di luci e colori. Il tutto è reso con una immediatezza sorprendente. La visione che ha innanzi è in continuo movimento. Variano le luci e i riflessi nell'acqua. Le persone e le barche si spostano in continuazione. Renoir cerca di fissare sulla tela il tutto, senza però congelare il loro continuo divenire. Le forme, grazie a questa sensazione di sfumato e sfocato che la pittura trasmette, sembra che stiano in bilico tra due attimi successivi. Il quadro, per il suo contenuto lieve e spensierato, per la sua tecnica esecutiva fatta a tocchi staccati, è un'opera già pienamente impressionista, e rimane come una delle più alte testimonianze non solo dell'attività di Renoir, ma di tutta la pittura impressionista francese dell'Ottocento.

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Questo quadro è divenuto anch'esso un simbolo dell'impressionismo. In esso sono sintetizzati soprattutto quello spirito giovane e ottimista che caratterizza i pittori, ma anche quella gioia di vivere, tipicamente parigina, che coinvolge anche le classi popolari che trovano i loro luoghi di svago nei bar lungo la Senna per una vita apparentemente senza pensieri. Il Moulin de la Galette era un locale popolare di Montmartre ove si andava a ballare all'aperto. Rispetto alla Grenouillère, in questo quadro Renoir si concentra maggiormente sulle figure che riempiono lo spazio della visione. Molti dei personaggi raffigurati sono amici del pittore. Tutto il quadro è pervaso da una sensazione rilassata e tranquilla. Le persone sono tutte sorridenti. Sono protetti da un' ombra fresca che riflette su di loro una luce chiara ma non accecante. Nella più pura tradizione tonale, Renoir realizza gli spazi e i volumi solo con accostamenti di colori. La sua pennellata, in questo quadro, non è il solito tocco virgolettato ma si allunga in un andamento sinuoso e filamentoso. Si è molto discusso se questo quadro sia stato o non sia stato realizzato sul posto. La sua complessa elaborazione fanno ritenere che, in realtà, Renoir lo abbia realizzato nel suo studio. Esso, tuttavia, non perde alcunché di freschezza ed immediatezza percettiva. La sensazione è che il quadro sia il fotogramma di un film in continuo svolgimento. E ciò serve appunto non a raccontare una storia ma ad esprimere in profondità una sensazione vitale. Questo che rimane, probabilmente, il quadro più celebre di Renoir è quasi la sintesi di tutto ciò che l'impressionismo ha portato come carica innovativa nella pittura francese ed europea.

Moulin De la Galette

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La «Colazione dei canottieri» è un quadro realizzato pochi anni dopo il «Bal au Moulin de la Galette» e ne rappresenta per molti versi una variazione sul tema. La tela raffigura il ristorante Fournaise a Bougival, dove si ritrovavano abitualmente i canottieri che praticavano questo sport sul fiume Senna. Il locale era frequentato anche dai pittori impressionisti e in questa tela Renoir rappresenta anche il pittore Gustave Caillebotte. La donna in primo piano, che ha tra le mani un cagnolino, è Aline Charigot, futura moglie di Renoir. Il quadro è uno degli ultimi dipinti "impressionisti" di Renoir e di fatti già si avverte un distacco dalle precedenti opere. Non vi è più il suo caratteristico tocco un po' filamentoso e le figure acquistano una solidità più classica. Anche gli effetti di luce sono meno curati, mentre vi è più attenzione agli equilibri cromatici tra le varie superfici che compongono la tela.

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EDGAR DEGAS

Edgar Degas (1834-1917) tra tutti i pittori impressionisti è quello che conserva la maggiore originalità e distanza dagli altri. I suoi quadri non propongono mai immagini di evanescente luminosità ma rimangono ancorati ad una solidità formale assente negli altri pittori. Ciò fu, probabilmente, originato dalla sua formazione giovanile che lo portava ad essere un pittore più borghese degli altri. Degas era infatti figlio di un banchiere e compì, a differenza di altri suoi amici, regolari studi classici. Viaggiò molto in Italia, suggestionato dalla pittura rinascimentale di Raffaello e Botticelli. Partecipò a tutte le otto successive mostre impressioniste, tranne quella del 1882. Le sue differenze con gli altri impressionisti sono legate soprattutto alla costruzione disegnata e prospettica dei suoi quadri. Le forme non si dissolvono e non si confondono con la luce. Sono invece rese plastiche con la luce tonale e non con il chiaroscuro, e in questo segue la tecnica impressionista. Ciò che contraddistingue i suoi quadri sono sempre dei tagli prospettici molto arditi. Per questi scorci si è molto parlato dell'influenza delle stampe giapponesi, anche se appare evidente che i suoi quadri hanno una inquadratura tipicamente fotografica. Tra i suoi soggetti preferiti ci sono le ballerine, (che costituiscono un tema del tutto personale), e le scene di teatro.

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Le ballerine sono uno dei soggetti preferiti di Degas, che a loro dedica non solo decine di tele ma anche numerose statue divenute anch'esse famosissime. In questa sua tematica sono diversi i punti interessanti: innazitutto la ricerca della grazia espressa dalla fanciullezza delle ballerine, quindi l'espressione del movimento ed infine lo studio di inquadrature nuove.

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La scena di questo quadro è ambientata in un bar. Nel quadro sono raffigurate due persone. Si tratta di due amici di Degas. La donna è l'attrice Ellen Andrée, l'uomo è l'incisore Marcellin Desboutin. Il titolo del quadro si riferisce ad un liquore diffuso in Francia: l'assenzio. Esso è nel bicchiere che la donna ha davanti a sé. Rispetto ai quadri impressionisti, qui permane una certa abbreviazione esecutiva, fatta di campiture piatte di colore accostate con contrasto tonale. È invece assente qualsiasi indagine sulla luce. Il quadro ha un senso cupo, differente dalla leggerezza della gran parte dei quadri impressionisti. Il pittore, più che indagare sull'istante della visione ottica, cerca di cogliere un istante di sensazione psicologica. Le due persone nel bar sono vicine ma si ignorano completamente. La solitudine della donna viene accentuata proprio dal bicchiere che ha innanzi. La donna ha lo sguardo perso nel vuoto, l'uomo è una vicinanza che non le dà compagnia, beve da sola: è l'immagine stessa della solitudine. Ciò che risulta tipico della pittura di Degas è questo taglio insolito, che sembra decisamente la inquadratura, a distanza ravvicinata, di una macchina fotografica con un grandangolo. Il taglio compositivo è evidenziato dai piani verdi dei tavoli. Formano un angolo retto che porta fino allo spettatore. Un giornale posto a cavallo di due tavoli dà l'indicazione della prosecuzione del piano orizzontale. Sul tavolino in primo piano c'è un archetto per suonare il violino. Se ne deduce che nella scena c'è un terzo personaggio e che ha il punto di vista del pittore. Un musicista, probabilmente, che sta guardando la donna che beve e l'uomo che fuma. Questa ripresa dal vero è un singolare documento di vita. Degas, il più legato tra tutti i pittori impressionisti alla città di Parigi, scava a fondo nei piaceri e nelle solitudini di una grande città, presentandoci qui il rovescio della medaglia. Questo quadro è l'esatto opposto del Moulin de la Galette di Renoir. Il bar non è più un luogo per incontri piacevoli ma per solitudini confortate solo dall'alcol.

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Berthe Morisot

La voce femminile dell'Impressionismo

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Non potendo frequentare le scuole d'arte, poiché le donne non erano ammesse, Berthe Morisot si esercita copiando le opere del Louvre, e lì casualmente incontra Manet diventandone la modella. In seguito entra a far parte del gruppo degli Impressionisti e nella varie mostre espone opere con soggetti tratti dall'universo femminile ( bambini, ambientazioni domestiche), estranei ai classici temi dei colleghi Impressionisti, perché non poteva dipingere nei luoghi pubblici: per le donne sarebbe stato giudicato sconveniente. Nle 1875 sposa il fratello di Manet e nel 1878 nasce la figlia Julie che diventerà il soggetto principale delle sue opere.

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POST- IMPRESSIONISMO

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Dopo il 1886, anno dell'ottava e ultima mostra Impressionista, si sviluppano nuove tendenze artistiche. Una di queste, chiamata PUNTINISMO, applica in modo scientifico le intuizioni degli Impressionisti sull'uso dei colori. La tecnica è basata sull'accostamento di colori puri, stesi sulla tela a piccoli punti che da vicino appaiono distanti ma, da lontano, si fondono dando un colore omogeneo

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GEORGES SEURAT

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E' il più grande esponente del Puntinismo. La sua opera più famosa è "Una domenica pomeriggio sull'Isola della Grande Jatte. Il soggetto è tipico Impressionista: la località rappresentata si trova sulla Senna ed era frequentata dalla borghesia. Le figure appaiono statiche e sono tutte di profilo o di fronte

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La tecnica

Seurat accosta meticolosamente punti di colore, creando le ombre con i colori complementari alla zona illuminata. Ad esempio se la pelle è ottenuta con una prevalenza di puntini arancioni, la parte in ombra del viso è realizzata aggiungendo puntini azzurri.

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Il colore complementare è quello sul lato opposto del cerchio cromatico
Un colore è più brillante quando è accanto al suo complementare

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PAUL CEZANNE

"Bisogna trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono"

Egli voleva semplificare la realtà in forme solide. Per questo motivo è considerato un precursore del Cubismo. La sua ricerca appare evidente nell'opera "I giocatori di carte" in cui l'artista rappresenta una scena di genere: due uomini con giacca e cappello sono seduti simmetricamente a un tavolino, con le carte in mano. Una bottiglia segna la metà della scena e uno specchio ne chiude il fondo. Lo stile è innovativo: le pennellate non sono rapide come quelle degli Impressionisti ma sono date a larghe chiazze e le figure sono definite con una spessa linea di contorno. Per Cezanne dipingere non è copiare la realtà, ma elaborarla nella propria mente.
I giocatori di carte, 1898

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HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC

Primo artista pubblicitario
Proveniva da una famiglia nobile. Aveva la statura di un nano a causa della frattura di entrambe le gambe che subì da bambino dopo una malattia. Questo lo portò ad allontanarsi dal suo ambiente e a frequentare personaggi emarginati come ubriachi, prostitute e attricette. Passava le sue giornate al Moulin Rouge, un locale notturno di Parigi che rappresenta spesso nelle sue opere.

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Artista che intuì le connessioni che l’arte poteva stabilire con la pubblicità (fu infatti uno dei primi artisti-pubblicitari). Sono famosi i suoi numerosi manifesti, realizzati per aziende e locali.

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PAUL GAUGUIN

Si allontana definitivamente dall'Impressionismo. Viaggia molto, lascia la Francia e si reca a Tahiti, alla ricerca del primitivo, del puro, del non contaminato. Ricerca la purezza e la semplicità nelle stampe giapponesi e nel primitivo. I colori sono simbolici, non servono a rappresentare la realtà ma ciò che il pittore sente. Usa sempre colori molto accesi e non naturali, le superfici sono piatte e bidimensionali, senza ombre e chiaroscuro

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Il Cristo giallo fu dipinta da Gauguin in Bretagna, nel nord della Francia, zona abitata da contadini. Stile essenziale: la linea di contorno delimita le figure, le tinte non sono realistiche

Con Il Cristo giallo Paul Gauguin reinterpreta in senso personale la più classica delle iconografie: quella della crocifissione di Gesù. L'episodio appare infatti profondamente diverso da come tradizionalmente veniva raffigurato su tela. L’altura del Golgota a Nord di Gerusalemme descritta dai Vangeli viene sostituita da un’inedita ambientazione bretone. Il paesaggio sullo sfondo e i personaggi rappresentati diventano così soggetti quotidiani in cui chiunque, a Pont-Aven, avrebbe potuto identificarsi. Come il titolo dato all’opera anticipa, Cristo viene poi rappresentato con il capo inclinato verso il basso in un singolare colore giallo che simboleggia il grano come dono di Cristo, simbolo di lavoro e fatica dell'uomo. La stessa tinta pervade anche il panorama retrostante, saltuariamente interrotto da piccoli accenni di rosso e d'azzurro. In primo piano spiccano tre donne vestite con abiti bretoni di fine Ottocento. Le tre figure appaiono inginocchiate e una di loro è colta di spalle in modo da aumentare il coinvolgimento dello spettatore e enfatizzare il tono drammatico dato alla scena. Al termine dei lavori, Paul Gauguin doveva essere particolarmente soddisfatto del risultato finale. Nell’autoritratto denominato Portrait de l’artiste au Christ jaune dell’anno successivo, infatti, il pittore dipinge il suo volto posto di fronte all’opera, in questo caso rappresentata al contrario poiché osservata da uno specchio durante la realizzazione

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E' un quadro monumentale che Gauguin dipinge a Tahiti, lì dove riesce a trovare tutto ciò che fino ad allora stava cercando. Eppure, quando lo realizza, l’artista si trova nel bel mezzo di un periodo tra i più bui mai vissuti: è malato e in lotta contro le autorità locali, si sente letteralmente solo, sia fisicamente che artisticamente, e ha da poco saputo che la figlia preferita, Aline, è deceduta. Pensa a come farla finita per sempre, ma non prima di essersi dedicato alla sua arte. È proprio dal titolo che si evince il messaggio che il pittore vuole trasmettere al suo pubblico, ovvero tutto quello che si porta dentro, le sue esperienze, le lezioni di vita accumulate, la sua riflessione sull’esistenza e sull’uomo moderno. Insomma, il suo testamento spirituale

Sentendosi disperatamente solo, Gauguin nel 1897 si recò sulla sommità di una montagna con una boccetta di arsenico e tentò di suicidarsi ingerendo il veleno letale: la dose assunta, tuttavia, era talmente elevata che Gauguin rigurgitò spontaneamente la tossina e rimase l'intera giornata sulla montagna in preda a dolori strazianti, per poi scendere a farsi curare dal medico del villaggio.

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Da dove veniamo? Chi siamo?Dove andiamo?, 1897-98

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VINCENT VAN GOGH

"Prima sogno i miei dipinti poi dipingo i miei sogni"

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Fu autore di quasi novecento dipinti e di più di mille disegni. Tanto geniale quanto incompreso se non addirittura disprezzato in vita, Van Gogh influenzò l'arte dei contemporanei e dei secoli a seguire, in particolare l'Espressionismo. Iniziò a disegnare da bambino e nonostante le critiche del padre, un pastore protestante che gli impartiva delle norme severe, continuò a interessarsi all'arte finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere all'età di ventisette anni realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazioni di campi di grano e girasoli. Dopo diversi anni di sofferenze, patendo anche di frequenti disturbi mentali, morì in circostanze misteriose a 37 anni, nel 1890. La fama artistica delle sue opere verrà riconosciuta soltanto dopo la sua morte

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La più completa fonte primaria per la comprensione di Van Gogh come artista e come uomo è Lettere a Theo, la raccolta di lettere tra lui e il fratello minore, il mercante d'arte Théo van Gogh, con il quale intratteneva un rapporto particolarissimo e intimo: Théo, infatti, fornì a Vincent sostegno finanziario ed emotivo per gran parte della sua vita. La maggior parte di ciò che ci è noto sul pensiero di Van Gogh e sulle sue teorie sull'arte è scritto nelle centinaia di lettere che lui e il fratello si scambiarono tra il 1872 e il 1890: più di seicento da Vincent a Théo e quaranta da Théo a Vincent.

Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888 e, al contrario di van Gogh, ne rimase deluso, definendola «il luogo più sporco del Mezzogiorno» e della Provenza. Il sogno di van Gogh di fondare un'associazione di pittori che perseguissero un'arte nuova lo lasciava scettico: in realtà Gauguin desiderava ardentemente trasferirsi ai Tropici non appena ne avesse avuta la possibilità. Come se non bastasse era irritato dalle abitudini disordinate di Vincent e dalla sua scarsa oculatezza nell'amministrare il denaro che avevano messo in comune

Van Gogh, al contrario, manifestava un'aperta ammirazione per Gauguin, che considerava un artista superiore; riteneva che le proprie teorie artistiche fossero banali se confrontate con le sue. Egli, inoltre, tendeva a valutare l'esperienza «monastica» presso la Casa Gialla con più cocente soggettività rispetto a Gauguin

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Nei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin ritrasse van Gogh, rappresentandolo nell'atto del dipingere girasoli. Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro il viso di Gauguin che riuscì a evitarlo, con gran spavento. Dopo quell'episodio seguirono giorni di tensione e i due litigarono in modi plateali. Fu così che Gauguin prese la decisione di partire da Arles. Il pomeriggio del 23 dicembre, Van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - dopo un acceso alterco rincorse per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando l'uomo si voltò per affrontarlo. Gauguin corse in albergo con i bagagli, preparandosi a lasciare Arles; van Gogh invece, in preda a disperate allucinazioni, rivolse su di sé la sua furia, tagliandosi il lobo dell'orecchio sinistro. Il macabro trofeo, sanguinante com'era, fu poi avvolto nella carta di giornale e consegnato come «regalo» a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare, tornando poi a dormire a casa sua. La mattina seguente, la polizia, trovandolo solo e addormentato (macchie di sangue erano su tutte le pareti della casa), lo fece ricoverare nel nosocomio dell'Hotel-Dieu, l'antico ospedale di Arles.

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La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò la sera sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera. Ravoux, non vedendolo a pranzo, salì in camera sua, trovandolo disteso e sanguinante sul letto: a lui van Gogh confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco in un campo vicino. Un trafiletto de L'Écho Pontoisien del 7 agosto 1890 che annuncia la morte di van Gogh. Al dottor Gachet - che, non potendo estrarre il proiettile, si limitò ad applicare una fasciatura mentre gli esprimeva, comunque, la speranza di salvarlo - rispose che aveva tentato con coscienza il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci»: «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca». Rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, trascorse tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole siano state «ora vorrei ritornare». Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1:30 del 29 luglio. Aveva 37 anni. In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità [...] per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione». Essendo il pittore morto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedirne la salma, e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. La vicina cittadina di Méry, comunque, acconsentì alla sepoltura e il funerale si tenne il 30 luglio. Van Gogh venne sepolto adagiato in una bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta da mazzi di fiori, dai girasoli che amava tanto, dalle dalie e da altri fiori gialli. Oggi Vincent e Théo riposano insieme nel cimitero di Auvers, in Francia. Pochi mesi dopo, anche Théo van Gogh, distrutto dopo la morte del fratello, venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza da Vincent, oppresso dai sensi di colpa di non avere aiutato il fratello a sufficienza. Nel 1914, le sue spoglie, per volontà della vedova Johanna van Gogh-Bonger, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle dell'amato fratello. Nel 2011, gli storici dell'arte Steven Naifeh e Gregory White Smith, nella biografia Van Gogh: The Life, hanno avanzato l'ipotesi che Van Gogh non sarebbe morto suicida. Ipotizzano che l'artista, mentre stava dipingendo in un campo, sarebbe stato colpito da un colpo di rivoltella sparato accidentalmente da due ragazzi che si divertivano a tormentarlo giocando con una pistola. Secondo gli autori, Vincent - profondamente desideroso di morte, depresso e consapevole dei guai in cui sarebbero incorsi i ragazzi - non avrebbe rivelato a nessuno la circostanza, lasciando credere di essersi sparato da solo

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I SOGGETTI: L'AUTORITRATTO

Tra il 1886 e il 1889 van Gogh eseguì ben trentasette autoritratti dalla scavatissima penetranza psicologica, che consentono all'osservatore di cogliere agilmente le inquietudini che tormentavano incessantemente il suo animo.

Quest'ultima circostanza affliggeva molto il pittore, non solo perché come si è visto prediligeva i ritratti, ma anche perché l'atto di eseguire un autoritratto esasperava la sua crisi esistenziale, siccome lo costringeva a mettere in discussione la propria identità, e a fronteggiare le sue pulsioni più segrete e laceranti. «Cerco una rassomiglianza più profonda di quella che raggiunge il fotografo» scrisse Vincent alla sorella, mentre a Théo rivelò: «Si dice, ed io ne sono fermamente convinto, che sia molto difficile conoscere se stessi. Tuttavia, non è di certo più semplice fare il proprio ritratto> I dipinti variano in intensità e colore e alcuni ritraggono l'artista con la barba e altri senza. Particolari sono gli autoritratti che lo rappresentano bendato, dipinti dopo l'episodio in cui lo ha visto recidersi un orecchio.

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I SOGGETTI: I CIPRESSI

Sono numerosi i dipinti di van Gogh che raffigurano cipressi. «Belli come obelischi egizi»: era questo il giudizio che van Gogh riservò a queste alberature, note per svettare maestosamente nel cielo, dominando il paesaggio circostante con la loro statuaria verticalità. Queste conifere, conosciute da tempi remotissimi, provenivano dalla regione dell'Europa orientale e conferivano alle colline francesi «un carattere mediterraneo, senza però assumere le connotazioni pittoresche di un bene geografico e climatico fruibile, di un cliché da cartolina postale per turisti» (Metzger). Van Gogh, poi, correla i cipressi alla cultura egizia, eppure è ben consapevole della luttuosa simbologia che gli gravita attorno (notoriamente, infatti, i cipressi sono piantati nei cimiteri): «Il cipresso rappresenta la macchia nera in un paesaggio sotto il sole, ma è una delle note nere più interessanti, fra le più difficili da azzeccare, tra quelle che posso immaginare». Ecco, allora, che nei cipressi sussistono, senza annullarsi a vicenda e l'uno accanto all'altro, impulsi contraddittori la vita e la morte, la tristezza più nera e abissale e la più piena gioia dell’oggi, e così via.

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I SOGGETTI: I FIORI

Uno dei soggetti più ricorrenti nell'oeuvre di van Gogh sono i fiori, raffigurati sia in composizioni di ampio respiro, come Paesaggio di Arles con Iris, o in rappresentazioni esclusive. Queste opere, tutte di grande effetto decorativo, riflettono splendidamente gli interessi del pittore nel linguaggio cromatico della tecnica giapponese ukiyo-e di cui si era appassionato. Nella parabola artistica di van Gogh troviamo infatti raffigurati oleandri, papaveri, fiordalisi, peonie, crisantemi, rose, viscarie, zinnie, garofani, pratoline, erba cipollina, nontiscordardimé, lillà, margherite, gladioli, crisantemi, lunaria, violaciocche e persino fiori di campo

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VR experience
Doctor Who
La vigna rossa. Unica opera che Van Gogh riuscì a vendere in vita

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"LA VISTA DELLE STELLE MI FA SOGNARE"
Notte stellata pennellate
Analisi opera interattiva

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La ronda dei carcerati (1890), quadro di Vincent Van Gogh

Concerto campestre, Tiziano, 1510
Le pennellate blu cobalto e giallo cromo sono materiche ( appaiono in rilievo sulla tela) e disposte in cerchi e spirali. Il cielo percorso da onde sembra rappresentare lo stato d'animo dell'artista, tormentato e sofferente
"Stamattina ho visto la campagna dalla mia finestra molto prima dell'alba, con nient'altro oltre la stella del mattino che appariva molto grande". La stella a cui si riferisce Vincent è Venere ( l'astro più in basso con un grande alone bianco). Il resto del cielo è occupato dalla luna, da dieci stelle e da grandi vortici luminosi
Maja desnuda, Goya
Venere di Urbino, Tiziano
Nel 1888 Vincent dipinse un'altra notte stellata ( Notte stellata sul Rodano), in cui la scena appare serena e sognante; le stelle punteggiano un cielo di un intenso blu di Prussia mentre le luci gialle dei lampioni si riflettono nel fiume di Arles
E'un notturno romantico, diverso da quello turbinante che realizzerà l'anno successivo

Il testamento di Gauguin: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Al di là del significato filosofico dell’opera di Gauguin Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, va sottolineata anche la tecnica adottata dall’artista: le immagini si susseguono tutte in orizzontale e sembrano quasi piatte, prive di una profondità prospettica. Sebbene ci sia la voglia di presentare la natura in maniera realistica, i colori non dicono lo stesso e conferiscono alla natura un potere evocativo: il paesaggio è quello di un paradiso primordiale, e nella scelta dei blu, dei verdi e dei marroni si nota la ricerca di una certa spiritualità da parte dell’artista, simboleggiata anche dalla presenza dell’idolo, che già abbiamo intravisto in un’altra opera di Gauguin. Questo rimando ad altre tele svela la volontà dell’artista di voler riassumere in questa la sua carriera, rendendo il quadro il proprio testamento spirituale.

Hokusai, La grande onda, 1830
Van Gogh dipinge quest'opera nel 1889, dalla camera del manicomio di Saint-Rémy, dove era ricoverato. Egli resta sveglio per tre notti a osservare il paesaggio dalla finestra.
Il villaggio è in parte reale e in parte di fantasia: il campanile con la guglia è un elemento tipico dell'Olanda, il paese natale di Van Gogh. Anche il grande cipresso sulla sinistra è stato aggiunto dal pittore, forse per bilanciare il peso della luna luminosa sulla destra

IL PENSIERO FILOSOFICO IN GAUGUIN: In ogni figura che compone Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? si nasconde un enigma. Come se facessero parte di un antico fregio greco, ogni personaggio della tela richiama all’altro in modo da formare una sorta di puzzle che serve a risolvere il rebus figurativo di Gauguin. Un rebus che conduce direttamente a quelli che sono gli interrogativi primordiali dell’essere umano, dell’artista stesso. Rifacendosi sia ai fregi del Partenone sia ai quadri di Manet e di Chavannes nonché ai bassorilievi di Borobudur, Gauguin cerca di infondere nella tela tutta la sua energia e la dolorosa passione di chi sta vivendo un inferno in terra. Come fosse un moderno Cristo, vittima e redentore, vuole che la sua opera sia paragonabile al Vangelo in quanto trasmette una visione chiara e sincera di quello che per lui significa vivere. Alla prima domanda “Da dove veniamo?”, l’artista risponde attraverso l’immagine del neonato: un piccolo essere umano che ancora non sa cosa gli aspetta e si gode inconsapevolmente questa sua sospensione nel mondo delle illusioni, che continuano durante l’adolescenza. La figura centrale impegnata a cogliere il frutto allude all’età dell’adolescenza, in cui si vive la parte migliore della vita, ma potrebbe anche evocare il peccato originale. Gauguin è sempre ambiguo nelle sue opere perché si affida alla sensibilità dello spettatore e perché per lui l’essenziale si cela in quello che non viene espresso: il modo migliore per accostarsi alla sua opera è leggerla senza alcun pregiudizio, e lasciarsi completamente catturare dalla sua magia.

La metafora di Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Il pensiero filosofico di Gauguin è evidente anche nella risposta alla seconda domanda “Chi siamo?”. Una risposta alla domanda si evince dando uno sguardo d’insieme al dipinto: la natura offre un meraviglioso palcoscenico alla commedia umana che si consuma fin dal principio dei tempi tra mito, sogno e realtà. Ogni figura della tela cela un comportamento preciso e con esso un significato che vanno letti a seconda dell’animo dello spettatore. E le interpretazioni sono molteplici: quello che probabilmente si avverte maggiormente è un senso di malinconia e di incertezza. Ogni personaggio vive in un proprio mondo sospeso, a seconda dell’età che rappresenta, e ognuno nasconde emozioni, pensieri, sensazioni diverse. Chi siamo lo scopriamo man mano durante il corso stesso della nostra vita, nella quale però è importante includere anche la natura, da cui dipendiamo. All’ultima domanda “Dove andiamo”, Gauguin risponde nell’ultima parte della tela, dove troviamo l’anziana con la testa tra le mani: la figura appare disperata, assalita dai ricordi, prova rimpianto e rimorso per la vita che è stata e che poteva essere. Il suo viaggio sta per giungere alla fine ed è spaventata per quello che la attende. La ragazza al suo fianco sembra in pensiero per lei come può esserlo una giovane donna nel pieno della sua gioventù

A guidare lo spettatore nella lettura di Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è lo stesso Gauguin: partendo da destra verso sinistra, si nota in basso un neonato che dorme e al suo fianco ci sono tre donne sedute che sembrano vegliare su di lui; più sullo sfondo in disparte, si vedono due figure in rosso che sembrano confidarsi i loro segreti, a fissarle c’è una donna di spalle, mentre al centro primeggia una figura che coglie un frutto. Ai piedi di questa figura centrale, si trova accovacciato un bambino che mangia una mela vicino a due gatti, e più in fondo vicino a quello che sembra un idolo, si vede una donna in piedi che sembra guardare verso l’orizzonte. In basso sulla sinistra c’è un inusuale gruppetto formato da una capretta e due donne: una giovane che sembra voler consolare quella più anziana che appare disperata. Tutte queste figure si muovono all’interno di un paesaggio vivido pieno di vegetazione, mentre sul fondo si intravede il mare. I colori predominanti sono il blu e il verde della natura, e l’arancione dei corpi nudi.

Il quadro nasce da una tragica esperienza del pittore che nel maggio del 1889 fu ricoverato nell’ospedale di Saint-Paul-de-Mausole, dopo che gli abitanti del quartiere di Place Lamartine, nella città di Arles, firmarono una petizione affinché van Gogh fosse allontanato per i suoi comportamenti irrispettosi e intemperanti. Nell’ospedale gli viene assegnata una camera singola e una stanza al piano terreno dove van Gogh ne ricava uno studio e continua a dipingere. Non ha soggetti, né ispirazioni da ciò che vede intorno a sé e allora decide di dipingere traendo spunto da riproduzioni di altri quadri. Questo dipinto, famosissimo, è ispirato da una incisione di Gustave Doré. La situazione da “carcerato” che Van Gogh vive in questo periodo può avergli fatto scegliere tale soggetto proprio per rappresentare la sua situazione. E il carcerato in primo piano potrebbe essere lo stesso pittore, che osserva con angoscia lo spettatore. La scena è ossessiva e senza speranza anche se in alto a sinistra le due farfalle potrebbero simboleggiare un desiderio di libertà che prima o poi si trasformerà in realtà; tuttavia il quadro è stato spesso utilizzato come spunto per raccontare e rappresentare storie di reclusione e di annichilimento senza speranza.