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primo canto del paradiso

vincenza salcuni

Created on February 27, 2024

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Transcript

primo canto del paradiso

Vincenza Salcuni, Giovanni Ciuffreda, Pasquale di Bari

INTRODUZIONE

IL PROEMIO DELL'INTERA CANTICA

Il Canto 1 del Paradiso ha un carattere introduttivo e funge da proemio a tutta la cantica. Si apre con l’enunciazione di Dante del suo viaggio attraverso i dieci cieli che compongono il Paradiso fino all’Empireo. Nel suo viaggio ha visto cose che la ragione, e quindi la parola razionale, non possono rendere, o possono descrivere solo con estrema difficoltà. Motivo per cui il poeta richiede tutta l’assistenza di Apollo, il dio delle arti e della poesia.

STRUTTURA del canto

1-36: Proemio ed invocazione ad Apollo

64-81: Trasumanazione di Dante

37-63: Ascesa di Dante e Beatrice

82-93: Primo dubbio di Dante

94-142: Secondo dubbio di Dante

invocazione ad apollo

Nella mitologia greca Apollo è il dio delle arti e della poesia, motivo per cui viene spesso raffigurato mentre suona una cetra. Secondo la tradizione abita sul monte Parnaso, un monte della Grecia che ha due picchi: l’Elicona e la Cirra, sulla prima risiedono le muse delle arti, mentre la seconda ospita proprio il dio Apollo.

il mito di marsia

Nella struttura dell’invocazione un momento particolare è nella menzione del mito di Marsia. Questi era un sileno, cioè una creatura dei boschi, che s’era appropriato del flauto di Minerva ed aveva iniziato a suonarlo scoprendosi estremamente bravo, bravo a tal punto d’essere convinto di poter superare lo stesso Apollo in una gara di musica.

ascesa di dante e beatrice

Il sole sorge sull'orizzonte da diversi punti, ma quello da cui sorge quando è l'equinozio di primavera si trova in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, Quel punto dell'orizzonte divide l'emisfero nord, in cui è già notte, da quello sud, in cui è giorno pieno: in questo momento Dante vede Beatrice rivolta a sinistra e intenta a fissare il sole come farebbe un'aquila. L'atto della donna induce Dante a imitarla.

TRASUMANAZIONE DI DANTE

Dante distoglie lo sguardo dal sole e osserva Beatrice, che a sua volta fissa il Cielo. Il poeta si perde a tal punto nel suo aspetto che subisce una trasformazione simile a quella di Glauco quando divenne una creatura marina: è impossibile descrivere a parole l'andare oltre alla natura umana, perciò il lettore dovrà accontentarsi dell'esempio mitologico e sperare di averne esperienza diretta in Paradiso.

IL PRIMO DUBBIO DI DANTE

Nel poeta si accende un fortissimo desiderio di conoscere l'origine del suono e della luce, per cui Beatrice, che legge nella sua mente ogni pensiero, si rivolge subito a lui per placare il suo animo. La donna spiega che Dante immagina cose errate, poiché non si trova più in Terra come ancora crede: egli sta salendo in Paradiso.

secondo dubbio di dante

Beatrice ha risolto il primo dubbio di Dante, ma ora il poeta è tormentato da un altro e chiede alla donna come sia possibile che lui, dotato di un corpo mortale, stia salendo oltre l'aria e il fuoco. Beatrice spiega che tutte le cose dell'Universo sono ordinate tra loro, così da formare un tutto armonico. In questo ordine le creature razionali scorgono l'impronta di Dio, che è il fine cui tendono tutte le cose. Tutte le creature, infatti, sono inclini verso Dio in base alla loro natura e tendono a fini diversi per diverse strade, secondo l'impulso che è dato loro.

la visione dell'universo di dante

Nella concezione di Dante la Terra, sferica, è al centro dell’Universo e attorno ad essa si irradiano in cerchi concentrici i 9 cieli che corrispondono ai pianeti del sistema solare e in cui ci sono le stelle e le costellazioni che, con il loro influsso, determinano le inclinazioni degli esseri umani. Ciò che il poeta qui ci restituisce è, quindi, una concezione dell’intero universo che risponde ai principi della fisica geocentrica, che vedeva cioè la Terra al centro dell’Universo, e della filosofia tomistica.

il testo

Entra nel petto mio, e spira tuesì come quando Marsïa traesti de la vagina de le membra sue. O divina virtù, se mi ti presti tanto che l’ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, vedra’ mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. Sì rade volte, padre, se ne coglie per trïunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l’umane voglie, che parturir letizia in su la lieta delfica deïtà dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. a

La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. O buono Appollo, a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l’amato alloro. Infino a qui l’un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. .

il testo

Molto è licito là, che qui non lecea le nostre virtù, mercé del locofatto per proprio de l’umana spece.Io nol soffersi molto, né sì poco,ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,com’ ferro che bogliente esce del foco;e di sùbito parve giorno a giornoessere aggiunto, come quei che puoteavesse il ciel d’un altro sole addorno.Beatrice tutta ne l’etterne rotefissa con li occhi stava; e io in leile luci fissi, di là sù rimote.Nel suo aspetto tal dentro mi fei,qual si fé Glauco nel gustar de l’erbache ’l fé consorto in mar de li altri dèi.Trasumanar significar per verbanon si poria; però l'essemplo bastia cui esperïenza grazia serba.a

Srge ai mortali per diverse focila lucerna del mondo; ma da quellache quattro cerchi giugne con tre croci,con miglior corso e con migliore stellaesce congiunta, e la mondana cerapiù a suo modo tempera e suggella.Fatto avea di là mane e di qua seratal foce, e quasi tutto era là biancoquello emisperio, e l’altra parte nera,quando Beatrice in sul sinistro fiancovidi rivolta e riguardar nel sole:aguglia sì non li s’affisse unquanco.E sì come secondo raggio suoleuscir del primo e risalire in suso,pur come pelegrin che tornar vuole,così de l’atto suo, per li occhi infusone l’imagine mia, il mio si fece,e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.

il testo

Tu non se’ in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito, non corse come tu ch’ad esso riedi". S’io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo più fu’ inretito e dissi: "Già contento requïevi di grande ammirazion; ma ora ammiro com’io trascenda questi corpi levi". Ond’ella, appresso d’un pïo sospiro, li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, e cominciò: "Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante. Qui veggion l’alte creature l’orma de l’etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma.

S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ’l ciel governi, tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l’armonia che temperi e discerni, parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. La novità del suono e ’l grande lume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. Ond’ella, che vedea me sì com’io, a quïetarmi l’animo commosso, pria ch’io a dimandar, la bocca aprio e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso.

il testo

Vero è che, come forma non s’accorda molte fïate a l’intenzion de l’arte, perch’a risponder la materia è sorda, così da questo corso si diparte talor la creatura, c’ ha podere di piegar, così pinta, in altra parte; e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo l’atterra torto da falso piacere. Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d’un rivo se d’alto monte scende giuso ad imo. Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso, com’a terra quïete in foco vivo". Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.

Ne l’ordine ch’io dico sono acclinetutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l’essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. Questi ne porta il foco inver’ la luna; questi ne’ cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna; né pur le creature che son fore d’intelligenza quest’arco saetta, ma quelle c’ hanno intelletto e amore. La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto nel qual si volge quel c’ ha maggior fretta; e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda che ciò che scocca drizza in segno lieto.

figure retoriche

1, La gloria di colui che tutto muove: perifrasi .24, diletto legno: perifrasi. 34 – 36, Poca favilla … Cirra risponda: metafora 39 – 40, che quattro … migliore stella: questa complessa metafora 38, lucerna del mondo: perifrasi per indicare il Sole. 49 – 54, E sì come … oltre nostr’uso: complessa similitudine 73, amor che ‘l ciel governi: perifrasi per indicare Dio. 116, cor mortali: perifrasi

citazione

“Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante.”

grazie per l'attenzione!