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La monaca di Monza
Daniela Marredda
Created on February 20, 2024
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Transcript
Gertrude La monaca di Monza
Ispirata a una storia vera
Per scrivere la storia della monaca di Monza Manzoni si ispira alla vita vera di Maria Anna de Leyva (1575- 1650), poi Suor Virginia, letta in una cronaca seicentesca.
Lucia nel convento della monaca di Monza
Attraversato il lago di Como, Lucia, Renzo e Agnese arrivano a Monza. Qui i tre si separano: Renzo procede verso Milano, mentre Agnese e Lucia vengono accompagnate al monastero delle monache dove solo la "signora" può aiutarle. Qui incontrano Gertrude, la monaca di Monza.
Info
La descrizione di Gertrude
Gertrude e Lucia restano sole
Dopo aver licenziato Agnese, Gertrude resta sola con Lucia e le pone tante domande sul suo rapporto con Renzo e su Don Rodrigo. Le domande sono sfacciate e il suo comportamento molto strano. è a questo punto che Manzoni decide di fare un lungo flashback, che occupa i capitoli 9 e 10 dei Promessi Sposi per raccontarci la storia di Gertrude.
Info
Gertrude: storia di un'infelice
Figlia di un ricco principe di origine spagnola (Manzoni non riporta il nome), intenzionato a trasmettere il patrimonio al solo primogenito, fin dall'infanzia Gertrude è destinata al convento. Gli unici giocattoli che le vengono regalati sono bambole vestite da suora e le instillano come unico desiderio quello di diventare madre badessa.
L'opera di convincimento continua anche nel convento dove Gertrude viene rinchiusa all'età di sei anni. Le suore cercano di persuaderla della bontà della scelta monacale. All'interno del monastero, però, non ci sono solo suore, ma anche ragazze destinate a tornare a casa e sposarsi. Proprio a partire da questo iniziano i problemi...
Prima di poter diventare definitivamente suora una ragazza doveva trascorrere un mese a casa propria e poi essere esaminata da un ecclesiastico che doveva assicurarsi che la decisione fosse libera e volontaria. Gertrude matura sempre più la decisione di non voler diventare suora, si confida con una ragazza del convento e con il suo sostegno decide di scrivere una lettera al padre.
La lettera viene spedita, ma non arriva nessuna risposta. Anzi viene amaramente sgridata da una suora che senza parlare espressamente del fatto accaduto la minaccia di chissà quale conseguenza catastrofica.
Arriva così il giorno in cui Gertrude deve rientrare a casa.
Manzoni descrive molto bene le sensazioni che la giovane prova mentre percorre in carrozza la strada verso casa.
"Venne finalmente il giorno tanto temuto e bramato. Quantunque Gertrude sapesse che andava a un combattimento, pure l'uscir di monastero, il lasciar quelle mura nelle quali era stata ott'anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l'aperta campagna, il riveder la città, la casa, furon sensazioni piene d'una gioia tumultuosa. In quanto al combattimento, la poveretta, con la direzione di quelle confidenti, aveva già prese le sue misure, e fatto, com'ora si direbbe, il suo piano. "O mi vorranno forzare ", pensava, " e io starò dura; sarò umile, rispettosa, ma non acconsentirò: non si tratta che di non dire un altro sì; e non lo dirò. Ovvero mi prenderanno con le buone; e io sarò più buona di loro; piangerò, pregherò, li moverò a compassione: finalmente non pretendo altro che di non essere sacrificata”.
"Ma come accade spesso di simili previdenze, non avvenne né una cosa né l'altra. I giorni passavano, senza che il padre né altri le parlasse della supplica, né della ritrattazione, senza che le venisse fatta proposta nessuna, né con carezze, né con minacce. I parenti eran seri, tristi, burberi con lei, senza mai dirne il perché. Si vedeva solamente che la riguardavano come una rea, come un'indegna: un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei, e la segregasse dalla famiglia, lasciandovela soltanto unita quanto bisognava per farle sentire la sua suggezione. Di rado, e solo a certe ore stabilite, era ammessa alla compagnia de’ parenti e del primogenito. Tra loro tre pareva che regnasse una gran confidenza, la quale rendeva più sensibile e più doloroso l’abbandono in cui era lasciata Gertrude. (…) se implorava un po’ d’amore, si sentiva subito toccare, in maniera indiretta ma chiara, quel tasto della scelta dello stato; le si faceva copertamente sentire che c’era un mezzo di riacquistar l’affetto della famiglia."
Gertrude si aspettava, uscendo dal monastero, di godere di maggiore libertà, invece non poteva vedere nessuno e quando nella casa paterna c’erano ospiti lei era costretta a ritirarsi nelle sue stanze anche per mangiare. Tutti la trattavano con distacco e sufficienza fatta eccezione per un ragazzo, un paggio che le riservava delle attenzioni diverse.
Dovette però accorgersi che un paggio, ben diverso da coloro, le portava un rispetto, e sentiva per lei una compassione d'un genere particolare. Il contegno di quel ragazzotto era ciò che Gertrude aveva fino allora visto di più somigliante a quell'ordine di cose tanto contemplato nella sua immaginativa, al contegno di quelle sue creature ideali. A poco a poco si scoprì un non so che di nuovo nelle maniere della giovinetta: una tranquillità e un'inquietudine diversa dalla solita, un fare di chi ha trovato qualche cosa che gli preme, che vorrebbe guardare ogni momento, e non lasciar vedere agli altri. Le furon tenuti gli occhi addosso più che mai: che è che non è, una mattina, fu sorpresa da una di quelle cameriere, mentre stava piegando alla sfuggita una carta, sulla quale avrebbe fatto meglio a non iscriver nulla. Dopo un breve tira tira, la carta rimase nelle mani della cameriera, e da queste passò in quelle del principe.
La reazione del principe padre è terribile
Rimase essa dunque col batticuore, con la vergogna, col rimorso, col terrore dell'avvenire, e con la sola compagnia di quella donna odiata da lei, come il testimonio della sua colpa, e la cagione della sua disgrazia. Costei odiava poi a vicenda Gertrude, per la quale si trovava ridotta, senza saper per quanto tempo, alla vita noiosa di carceriera, e divenuta per sempre custode d'un segreto pericoloso.
Gertrude vive in una grande confusione di sentimenti. Ha paura che il padre la rimandi nel monastero ma non con i privilegi che aveva prima bensì in forma di colpevole. Di fronte alla prospettiva delle punizioni del padre accettare di pentirsi e farsi suora le sembra quasi il male minore. Nel frattempo la cameriera che ha il compito di controllarla le fa continui dispetti. Dopo cinque giorni di "prigionia" nella sua camera Gertrude non ce la fa più e prende una decisione
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigionia, una mattina, Gertrude stuccata ed invelenita all'eccesso, per un di que' dispetti della sua guardiana, andò a cacciarsi in un angolo della camera, e lì, con la faccia nascosta tra le mani, stette qualche tempo a divorar la sua rabbia. Sentì allora un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parole, d'esser trattata diversamente. Pensò al padre, alla famiglia: il pensiero se ne arretrava spaventato. Ma le venne in mente che dipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò una gioia improvvisa. Dietro questa, una confusione e un pentimento straordinario del suo fallo, e un ugual desiderio d'espiarlo. Non già che la sua volontà si fermasse in quel proponimento, ma giammai non c'era entrata con tanto ardore. S'alzò di lì, andò a un tavolino, riprese quella penna fatale, e scrisse al padre una lettera piena d'entusiasmo e d'abbattimento, 'afflizione e di speranza, implorando il perdono, e mostrandosi indeterminatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere a chi doveva accordarlo.
L'incontro
Vi son de' momenti in cui l'animo, particolarmente de' giovani, è disposto in maniera che ogni poco d'istanza basta a ottenerne ogni cosa che abbia un'apparenza di bene e di sacrifizio: come un fiore appena sbocciato, s'abbandona mollemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fragranze alla prim'aria che gli aliti punto d'intorno. Questi momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido rispetto, son quelli appunto che l'astuzia interessata spia attentamente, e coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda.
Gertrude si inginiocchia e implora il perdono del padre
Gertrude, senza troppa convinzione, pronuncia il fatidico sì. Il principe padre chiama subito tutta la famiglia per festeggiare la notizia.Tutti si complimentano con lei e le fanno grandi feste. Gertrude si trova all'interno di un vortice, non è più in grado di controllare gli eventi. L'unica cosa che riesce a fare è rinviare di un giorno il suo ritorno al monastero. Tutti si congratulano e tutti la elogiano, dalla servitù ai parenti che vengono a farle visita. L'unica rivincita che la ragazza riesce a prendere è far cacciare la domestica che l'aveva trattata male.
Il giorno successivo Gertrude viene accompagnata al monastero in carrozza: Al fermarsi della carrozza, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore si strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra due ale di popolo, che i servitori facevano stare indietro. Tutti quegli occhi addosso alla poveretta l’obbligavano a studiar continuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la tenevano in suggezione i due del padre, a’ quali essa, quantunque ne avesse così gran paura, non poteva lasciar di rivolgere i suoi, ogni momento. E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili.
Gertrude si trova davanti alla madre Badessa e deve chiedere pubblicamente di entrare in monastero, ma ha un'esitazione Son qui..., - cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò un momento, e rimase con gli occhi fissi sullafolla che le stava davanti. Vide, in quel momento, una di quelle sue note compagne, che laguardava con un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che dicesse: ah! la c'è cascata la brava. Quella vista, risvegliando più vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le restituì anche un po' di quel poco antico coraggio: e già stava cercando una risposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata; quando, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su quella un'inquietudine così cupa, un'impazienza così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì: - son qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata così amorevolmente - (...) Gertrude ora si pente di quello che dice e promette a se stessa di dire di no nelle occasioni che ancora le restano per ribellarsi al suo destino.
L’ultimo passo che Gertrude deve compiere per diventare monaca per sempre è rispondere alle domande di un ecclesiastico che deve assicurarsi che la sua scelta sia spontanea e volontaria. Anche in questa occasione mossa dalla paura delle reazioni del padre Gertrude dichiara di voler diventare monaca: Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l’abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté e fu monaca per sempre.
Manzoni dice che, con l'aiuto della fede e della religione Gertrude avrebbe potuto essere felice accettando la sua condizione e trovando un po' di pace. Ma lei continuava a ribellarsi a rimuginare, di fatto condannandosi all'infelicità. Diventa crudele con le altre sorella e compie atti deplorevoli.
Un giorno conosce Egidio, un giovane scellerato che le rivolge la parola e la "sventurata" risponde. Il fatto non passa inosservato, tanto che un giorno, una conversa, cioè un'inserviente laica del convento, le fa capire di sapere qualcosa. Non passa però molto tempo che la conversa scompare misteriosamente. L'immagine di quella donna, messa a tacere da Egidio, tormenta Gertrude, rendendola da un lato sempre più inquieta e succube di Egidio e dall'altra desiderosa di espiazione e perdono. Lucia arriva al monastero un anno dopo questi fatti.
Al legger quella lettera, il principe * vide subito lo spiraglio aperto alle sue antiche costanti mire. Mandò a dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a batter il ferro, mentre era caldo. Gertrude comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: - perdono! - Egli le fece cenno che s'alzasse; ma, con una voce poco atta a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiederlo; ch'era cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in somma bisognava meritarlo.Gertrude domandò, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano ruvida sur una ferita. Continuò dicendo che, quand'anche…. caso mai….. che avesse avuto prima qualche intenzione di collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un ostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d'onore, com'era lui, non sarebbe mai bastato l'animo di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé. La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però a ogni fallo c'era rimedio e misericordia; che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indicato: ch'essa doveva vedere, in questo tristo accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei... - Ah sì! - esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea. - Ah! lo capite anche voi, - riprese incontanente il principe. - Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancellato.
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Il terrore di Gertrude, al rumor de' passi di lui, non si può descrivere né immaginare: era quel padre, era irritato, e lei si sentiva colpevole. Ma quando lo vide comparire, con quel cipiglio, con quella carta in mano, avrebbe voluto esser cento braccia sotto terra, non che in un chiostro. Le parole non furon molte, ma terribili: il gastigo intimato subito non fu che d'esser rinchiusa in quella camera, sotto la guardia della donna che aveva fatta la scoperta; ma questo non era che un principio, che un ripiego del momento; si prometteva, si lasciava vedere per aria, un altro gastigo oscuro, indeterminato, e quindi più spaventoso. Il paggio fu subito sfrattato, com'era naturale; e fu minacciato anche a lui qualcosa di terribile, se, in qualunque tempo, avesse osato fiatar nulla dell'avvenuto. Nel fargli questa intimazione, il principe gli appoggiò due solenni schiaffi, per associare a quell'avventura un ricordo, che togliesse al ragazzaccio ogni tentazion di vantarsene. (…)