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BARUFFE CHIOZZOTTE

valentinaromi27

Created on February 7, 2024

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Transcript

LE BARUFFE CHIOZZOTTE

Carlo Goldoni

UNA NUOVA COMMEDIA

In scena dal 1762 per il teatro San Luca

Le Baruffe chiozzotte è una commedia d'ambiente poplare, d'amore e di conversazione. La struttura è divisa in tre atti, divisi in scene, preceduti da una prefazione "L'autore a chi legge", nella quale Goldoni stesso fornisce informazioni sulla sua opera. In questa parte spiega prima il significato del titolo, che letteralmente diventa "I litigi di Chioggia". A seguire analizza il liguaggio chiozzotto e la sua teatralizzazione, confrontandolo a quello Veneziano. Infine, segue una premessa in difesa dell'utilizzo della commedia popolare, riportando il testo di una 'autore francese Monsieur Vadè, che acquisì fama e successo anche con le commedie popolari, in francese Poissardes.

Struttura

TESTO

Una commedia all'aperto

Gli atti delle Baruffe risultano regolarmente tripartiti negli spazi:

  1. Strada (1-4) / Canale (5-9) / Strada (10-13)
  2. Cancelleria (1) / Strada (2-7) / Cancelleria (8-16)
  3. Strada (1-11) / Camera (12-15) / Strada (16-UL)
La commedia si svolge consequenzialmente tanto che non c'è soluzione di continuità temporale tra atto e atto e persino tra scena e scena. Dunque da una scena si passa alla successiva, la quale si svolge esattamente un tempo più tardi della precedente.

Struttura

Goldoni racconta la storia come una sequenza di fatti che egli non inverte o sovrappone, ma segue nella sua logica naturale, uno dopo l’altro, con i relativi effetti e le relative conclusioni.

UN GOSSIP DI TROPPO

Trama

Lungo una strada di Chioggia siedono delle giovani donne da una parte Madonna Pasqua e Lucietta e dall'altra Madonna Libera, Orsetta e Checca a ricamare e cucire, finchè un giovane, Toffolo, civetta con tutte le fanciulle creando litigi. Quando poi verrano a sapere dell'accaduto i futuri sposi, Beppo e Titta-Nane, si scatenerà la grande baruffa tra i fidanzati gelosi e Toffolo. Quest'ultimo poi decide di andare dal coadiutore Isidoro per denunciare l'accaduto e dopo aver interrogato sia donne che uomini il coadiutore capisce che si tratta di semplici putelezi, ovvero ragazzate. Riconcilia i fidanzati e propone un matrimonio tra Toffolo e Checca e la commedia si conclude con ben tre matrimoni: Lucia e Titta-Nane, Orsetta e Beppo e Checca e Toffolo.

TEMPO

''E' un boccon de sirocco?''

Le baruffe si aprono con una domanda sul tempo atmosferico. Poi non vi è più alcuna indicazione di questo tipo nel testo. Le Baruffe si compiono in una atmosfera senza tempo, ne stagione, ne ora. Goldoni mette nelle prime parole il clima dell'intera commedia, tralasciando coscientemente indicazioni precise, oggettive nelle pieghe del testo.

Tempo

Il tempo delle Baruffe a poco a poco si è rivelato un autunno più o meno inoltrato. Tutti i particolari lo confermano:

  • lo scirocco,
  • la qualità dei pesci pescati da Padron Toni,
  • la “zucca barucca” calda,
  • le provviste
  • i regali da Senigallia (tutto il lavoro alle soglie dell’inverno, i primi temporali).
In una giornata mossa, ventosa ma incerta, in cui il vento e la stagione non riescono a trovare un punto di incontro ma si urtano, si baruffano, si placano e riprendono a contrastarsi fino a trovare, per qualche attimo, verso la sera, una pacificazione, mentre già si allungano le ombre della notte.

LINGUAGGIO

Chiozzotto o veneziano?

La lingua delle Baruffe di per sé è una lingua inventata poiché Goldoni unisce al dialetto veneziano termini e locuzioni tipici della morfologia chioggiotta. In questa commedia ci troviamo nella quarta fase della riforma goldoiana, basata sulla dimensione corale e resa ancora più neutrale dalla mescolanza dei due dialetti.

Linguaggio

Primo atto

SCENA PRIMA LUCIETTA Creature, cossa diseu de sto tempo? ORSETTA Che ordene xèlo? LUCIETTA Mi no so, varè. Oe, cugnà, che ordene xèlo? (a Pasqua). PASQUA No ti senti, che boccon de sirocco? ORSETTA Xèlo bon da vegnire de sottovento? PASQUA Sì ben, sì ben. Si i vien i nostri omeni, i gh'ha el vento in poppe. LIBERA Ancùo o doman i doverave vegnire. CHECCHA Oh! bisogna donca che spessega a laorare: avanti che i vegna, lo vorave fenire sto merlo.

SCENA PRIMA

LUCIETTA Dasseno? Te mettistu in donzelon? CHECCA In donzelon? No so miga cossa, che voggia dire. ORSETTA O che pandola! No ti sa, che co una putta xè granda, se ghe fa el donzelon; e che co la gh'ha el donzelon, xè segno, che i soi i la vuol maridare? CHECCA Oe, sorella! (a Libera). LIBERA Fia mia. CHECCA Me voleu maridare? LIBERA Aspetta, che vegna mio mario. CHECCA Donna Pasqua: mio cugnà Fortunato no xèlo andà a pescare co paron Toni? PASQUA Sì, no lo sàstu, che el xè in tartana col mio paron, e co Beppe so fradelo? CHECCA No ghe xè anca Titta Nane co lori? LUCIETTA Sì ben: cossa voressistu dire? Cossa pretenderavistu da Titta Nane? (a Checca). CHECCA Mi? gnente. LUCIETTA No ti sa, che xè do anni, che mi ghe parlo? E che col vien in terra, el m'ha promesso de darme el segno? CHECCA (Malignaza culìa! La i vol tutti per ela!) ORSETTA Via, via, Lucietta, no star a bacilare. Avanti che Checca mia sorella se maride, m'ho da maridare mi, m'ho da maridare. Co vegnirà in terra Beppe to fradello, el me sposerà mi, e se Titta Nane vorrà, ti te poderà sposare anca ti. Per mia sorela, gh'è tempo.

Figure retoriche:

  • Ripetizione
  • Iterazione "a cornice

Analisi

SCENA TERZA

LUCIETTA (I ghe dise puinetta) (a Toffolo sorridendo). TOFFOLO (Puinetta i ghe dise?) (a Lucietta sorridendo, e guardando Checca). CHECCA Oe, digo, no so miga orba, varè. La voleu fenire? (forte verso Toffolo, e Lucietta). TOFFOLO Puina fresca, puina (forte, imitando quelli, che vendono la puina, cioè la ricotta). CHECCA Cossa xè sto parlare? Cossa xè sto puinare? (s'alza). ORSETTA No te n'impazzare (a Checca, e s'alza). LIBERA Tendi a laorare ORSETTA Che el se varda elo, sior Toffolo Marmottina. TOFFOLO Coss'è sto Marmottina? ORSETTA Sior sì; credeu, che nol sapiemo, che i ve dise Toffolo Marmottina? LUCIETTA Varè che sesti! Varè che bela prudenzia! ORSETTA Eh! via, cara siora Lucietta Panchiana. LUCIETTA Cossa xè sta Panchiana? Tendè a vu, siora Orsetta Meggiotto. ORSETTA Oh che temporale! LUCIETTA Oh che sùsio! PASQUA Oh che bissabuova! ORSETTA Oh che stramanìo!

Analisi

Figure retoriche:

  • omoteleuto continuato
  • epifora ternaria
  • iterazione anaforica

SCENA quarta

PASQUA Va' a ziogare al trottolo. LUCIETTA Va' a ziogare a chiba. TOFFOLO A mi, mare de diana? Anderò mo giusto, mo, da Checchina (s'accosta a Checca). LIBERA Via, sporco. ORSETTA Càvete. CHECCA Va' in malora. TOFFOLO A mi sporco? A mi va' in malora?

VICENZO Olà, olà! zitto, donne. Cossa diavolo gh'aveu? LUCIETTA Oe, vegnì qua, paron Vicenzo. ORSETTA Oe, sentì paron Vicenzo Lasagna. VICENZO Quietève, che xè arivà in sto ponto la tartana de paron Toni. PASQUA Oe, zitto, che xè arivà mio mario (a Lucietta). LUCIETTA Uh, ghe sarà Titta Nane! (a Pasqua). LIBERA Oe, putte, no fè, che vostro cugnà sappia gnente. ORSETTA Zitto, zitto, che gnanca Beppe no sappia. TOFFOLO Lucietta, so qua mi, no ve stè a stremire. LUCIETTA Va' via (a Toffolo). PASQUA Via (a Toffolo). TOFFOLO A mi? sangue d'un bisatto!

Analisi

FIgure retoriche:

  • parallelismo con anafora
  • anafora

SCENA decima

Toffolo, poi Beppo. TOFFOLO Sì ben, ho fatto male; ho fatto male, ho fatto male. Co Lucietta no me ne doveva impazzare. La xè novizza; co ela no me n'ho da impazzare. Checca xè ancora donzela: un de sti zorni i la metterà in donzelon, e co ela posso fare l'amore. La se n'ha avuo per male. La gh'ha rason, se la se n'ha avuo per male. Xè segno, che la me vol ben, xè segno. Se la podesse vedè almanco! Se ghe podesse un puoco parlare, la voria pasentare. Xè vegnù paron Fortunato: sì ben, che no la gh'ha el donzelon, ghe la poderia domandare. La porta xè serada; no so, se i ghe sia in casa, o se no i ghe sia in casa

Analisi

Figure retoriche:

  • opposizione
  • iterazione a cornice

SCENA tredicesima

Titta Nane con pistolese, e detti. TITTA Vàrdete, che te sbuso (contro Toffolo, battendo il pistolese per terra). TOFFOLO Agiuto! (si tira alla porta). FORTUNATO Saldi. Fermève (lo ferma). LIBERA No fè! ORSETTA Tegnilo. TITTA Lassème andare, lassème (si sforza contro Toffolo). TOFFOLO Agiuto! (dà nella porta, che si apre, e cade dentro). FORTUNATO Titta Nane, Titta Nane, Titta Nane (tenendolo e tirandolo).

LIBERA Menèlo in casa, menèlo (a Fortunato). TITTA No ghe voggio vegnire (sforzandosi). FORTUNATO Ti gh'ha ben da egnire (lo tira in casa per forza). LIBERA Oh che tremazzo! ORSETTA Oh che batticuore! PASQUA (cacciando di casa Toffolo). Va' via de qua. LUCIETTA (cacciando Toffolo). Va' in malora. PASQUA Scarcavalo (via). LUCIETTA Scavezzacolo (via, e serra la porta). TOFFOLO Cossa diseu, creature? (a Libera e Orsetta). LIBERA To danno (via). ORSETTA Magari pezo (via). TOFFOLO Sangue de diana, che li vòi querelare (parte)

Analisi

Figure retoriche:

  • iterazione a cornice
  • epifora
  • anafora

''teatro popolare''

divisione delle scene: pescatori tra loro – i pescatori dal potere (cancelleria criminale) – il potere dai pescatori

  • Titta Nane: lavora per Padron Toni, è fidanzato a Lucietta.
  • Toffolo Marmottina: non va per mare, battellante, fidanzato con checca
  • Padron Vincenzo: ex padrone di tartana, ora mercante in proprio di pesce.

famiglia a: La famiglia più ricca (relativamente)

  • Padron toni e la moglie donna pasqua
  • lucietta, sorella di toni
  • beppo, fratello di toni, fidanzato con orsetta

Società

Famiglia b: la famiglia meno ricca poichè non possiede la barca

  • Padron Fortunato e Moglie Donna Libera
  • Orsetta, sorella di Libera
  • Checca, sorella di Libera

padron vincenzo

Un uomo un poco nell'ombra, non un'ombra.

Si è “trasformato”da pescatore in mercante in proprio di pesce. È certo sempre un intermediario tra pescatore e consumatore.

Tiene lui i contatti con le autorità. Ha imparato un po’ a saperci fare, ha inoltre contatti giornalieri, anche di lavoro, con gli altri ceti più elevati. A forza di svolgere questa funzione, Padron Vincenzo ha ovviamente ceduto un poco delle sue caratteristiche popolari.

Personaggi

comandador

Una figura indimenticabile ma fatta di niente.

Il Coadiutore è il giovane funzionario, lì per caso, lui è il vecchio funzionario lì da sempre. È l’archivista, l’impersonale padrone vero, il topo, il nunzio, il messo, etc. Ogni sedici mesi si sono avvicendati tanti coadiutori e lui sempre lì, sempre a fare le stesse cose, col solito passo da secoli. Goldoni porta il suo personaggio all'estremo , per sfruttarlo comicamente

isidoro

Il coadiutore

Isidoro rappresenta il potere pubblico. Vive la sua realtà borghese subendo due forze attrattive:

Personaggi

dall’altra, l’attrazione esercitata dal popolo – da cui una tendenza anticonformista - “non son lustrissimo” – a stare in maniche di camicia, senza parrucca, magari lavorando, di mettersi in posizioni comode e poco plastiche, da darsi in fondo da fare per i popolani, senza ricevere peraltro molta gratitudine.

da una parte l’aristocrazia, da cui ha tratto: il vestire, certe attitudini, lo spadino, il tricorno, il mantello forse scarlatto insomma l'eleganza aristocratica avvillita da stoffa di non molto prezzo, dalla scarpa un po’ scalcagnata, dal buco nella suola, dai capelli un poco spettinati sotto la parrucca e da mille segni di parsimonia.

isidoro

''Ero stato nella mia gioventù a Chiozza in qualità di coadiutore del cancelliere criminale; impiego che corrisponde a quello di sostituto del luogotenente criminale. Avevo dunque trattato con quella numerosa e tumultante popolazione di pescatori, di marinari e donnicciuole, che altro luogo non hanno di conversazione se non se la pubblica via. Conoscendo i loro costumi, il loro linguaggio, il loro brio e la loro malizia, mi trovavo in istato di dipingerli; e nella capitale, non più di venticinque miglia distante da questa città, si conoscevano perfettamente i miei originali; la commedia adunque ebbe un successo dei più splendidi, e con essa restò chiuso il carnevale.'' Memorie - Carlo Goldoni

Goldoni stesso?

LOREM IPSUM DOLOR

RITRATTO DEL POPOLO

  • MAGGIORE LIBERTÀ DI DESCRIZIONE
  • SPONTANEITÀ DEI SENTIMENTI
  • PREGI E DIFETTI

LE ANIME DELLA SCENA

Donne

Scena XVI

ORSETTAChiò, vara (si batte nel gomito). LUCIETTA Va' al turo (si ritira). ORSETTA Povera sporca! Con chi credistu aver da fare? Mi sì, che me mariderò; ma ti? No ti troverà nissun, che te voggia. Uh! quel povero desgrazia, che te voleva, el stava fresco; el giera conzà co le ceolette. Nol te vol più, ve, Titta Nane, no, ve', nol te vol più, ve.

LUCIETTA (torna al balcone). Mi no me n'importa; che anca se el me volesse, mi no lo voggio. ORSETTA La volpe no vol ceriese. LUCIETTA Sì, sì, el sposerà quella sporca de to sorella. ORSETTA Oe! parla ben.

ORSETTA

LOREM IPSUM DOLOR

LOREM IPSUM DOLOR

I VALORI CHIOZZOTTI

Le donne cominciano ad avere maggiore libertà poiché conseguono il loro obiettivo anche nel campo amoroso, ma sostanzialmente il matrimonio rimane ancora un patto tra le famiglie, concordato quasi come se fosse un accordo economico per garantirsi una vita serena all’interno della propria classe sociale.

DONNE E UOMINI

  • LUCIETTA - TITTA NANE
  • ORSETTA - BEPPO
  • PASQUA - PADRON TONI

Donne

Scena XXVI

LUCIETTA Ti me vuol lassare? TITTA Me farastu più desperare? LUCIETTA No. TITTA Me vorastu ben? LUCIETTA Si.

LUCIETTA Cossa vustu? TITTA Coss'è sto fiffare? LUCIETTA Can, sassin (a Titta Nane con passione). TITTA Tasi (con imperio).

TITTA Cossa gh'astu? (a Lucietta rusticamente). LUCIETTA Gnente (piangendo). TITTA Via, animo (a Lucietta).

  • LUCIETTA - TITTA NANE
  • PASQUA - PADRON TONI

LOREM IPSUM DOLOR

LOREM IPSUM DOLOR

DONNE E UOMINI

Scena II

ORSETTA E mi cossa gh'oggio da intrare? ВЕРРО Marmottina no xè vegnù a parlare co ti? (a Orsetta). L'ha parlao co Lucietta? E Titta Nane l'ha licenzià? ORSETTA Sì, can, no ti me credi, baron? No ti credi alla to povera Orsetta, che te vol tanto ben; che ho fatto tanti pianti per ti; che me desconisso per causa toa? Cossa donca me vienle a dire quelle petazze? LIBERA Per scaregarse ele le ne càrega nu.

Scena XXV

ISIDORO Se no farè far giudizio a vostra muggier... TONI Ho sentio, ho sentio, lustrissimo, ho sentio. Animo; fa' pase (a Pasqua). PASQUA No voggio. TONI Fa' pase (minacciandola). PASQUA No, no voggio. TONI Fa' pase, te digo; fa' pase (tira fuori un legno). PASQUA Sì, sì, mario, farò pase (mortificata s'accosta).

Donne

  • LUCIETTA - TITTA NANE
  • PASQUA - PADRON TONI

).

LOREM IPSUM DOLOR

Scena XXV

LOREM IPSUM DOLOR

DONNE E UOMINI

Scena XXVI LUCIETTA

“Sior sì, balemo, devertìmose, za che semo novizzi; ma la senta, lustrissimo, ghe vorave dire do parolette. Mi ghe son obbligà de quel che l'ha fatto per mi, e anche ste altre novizze le ghe xè obbligae; ma me despiase, che el xè foresto e col va via de sto liogo, no vorave, che el parlasse de nu, e che andasse fuora la nomina, che le Chiozzotte xè baruffante; perché quel, che l'ha visto, e sentìo, xè stà un accidente. Semo donne da ben, e semo donne onorate; ma semo aliegre, e volemo stare aliegre, e volemo balare, e volemo saltare. E volemo che tutti possa dire: e viva le Chiozzotte, e viva le Chiozzotte.”

Donne

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Carlo Goldoni, Le baruffe chiozzotte, a cura di Guido Davico Bonino Einaudi 1964Carlo Goldoni, Le baruffe chiozzotte a cura di Piermario Vescovo introduzione fi Giorno Strehler, Marsilio Editori 1993 R. Carnero e G. Iannaccone, Classe di letteratura dal Seicento al primo Ottocento, Treccani Giunti TVP https://www.giorgiostrehler.it/spettacoli/goldoni/le-baruffe-chiozzotte-1964/ https://core.ac.uk/download/pdf/197694243.pdf https://www.youtube.com/watch?v=f1BXUxYd5Ag&t=1637s

grazie!

A cura di: Paola Dossi, Valentina Romito e Rachele Rozza

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I soprannomi

Ecco un tipico procedimento del realista Goldoni. Egli non fornisce nessuna spiegazione sui caratteri e sui tipi dei personaggi. Tutto è racchiuso nel testo e nei rapporti tra i personaggi.

  • Toffolo Marmottina – l’immagine popolare corrisponde a quel tanto di subdolo un po’ femmineo, sornione, che ha il personaggio. Forse ne indica anche la pigrizia o l’andare in letargo, a tratti, o lo svagarsi, o il dormire troppo.

Lucietta, il soprannome Panchiana, “conta frottole”, “conta balle”, indica un che di ambiguo del personaggio, una mancanza di franchezza in genere, o forse meglio una tendenza all’amoreggiare, al farsi corteggiare

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L'AUTORE A CHI LEGGEIl fondo del linguaggio di questa città è veneziano; ma la gente bassa principalmente ha de' termini particolari, ed una maniera di pronunziare assai differente. I veneziani, pronunziando i verbi dicono, per esempio «andar», «star», «vegnir» (per venire), «voler» ecc. ed i chiozzotti dicono: «andare», «stare», «vegnire», «volere» ecc. Pare perciò, che pronunzino i verbi, come i toscani, terminandoli colla vocale senza troncarli; ma non è vero, poiché allungano talmente la finale, che diviene una caricatura. Io ho appreso un poco quel linguaggio, e quella pronunzia nel tempo ch'io era colà impiegato nell'uffizio di Coadiutore del Cancelliere Criminale, come accennai nella prefazione del tomo ottavo di questa edizione, ed ho fatto una fatica grandissima ad instruire i miei comici, affine di ridurli ad imitare la cantilena, e l'appoggiatura delle finali, terminando i verbi, per così dire, con tre o quattro e, come se dicessero «andareeee», «sentireeee», «stareeee» ecc. Quando il verbo è sdrucciolo, come «ridere», «perdere», «frigere», ecc., i veneziani troncano la finale, e dicono: «rider», «perder», «friger» ecc. ed i chiozzotti, che non potrebbero pronunziare, come negli altri verbi, «ridereeee», «perdereeee», «frigereeee», perché ciò sarebbe troppo duro anche alle loro orecchie, troncano la parola ancora di più, e dicono: «ridè», «perdè», «frizè» ecc. Ma io non intendo qui voler dare una grammatica chiozzotta: accenno qualche cosa della differenza che passa fra questa pronunzia e la veneziana, perché ciò ha formato nella rappresentazione una parte di quel giocoso, che ha fatto piacer moltissimo la commedia.

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