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PARADISO DIVINA COMMEDIA

Rosa

Created on January 16, 2024

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Transcript

DIVINA COMMEDIA

PARADISO

PARADISO

CANTO I

CANTO III

CANTO VI

CANTO XI

CANTO XV

CANTO XVII

CANTO XXXIII

PARADISO

È il terzo dei tre regni dell'Oltretomba cristiano visitato da Dante nel corso del viaggio, con la guida di Beatrice: Dante ne dà una precisa collocazione spaziale come per Inferno e Purgatorio. Il poeta immagina la Terra sferica e immobile al centro dell'Universo, circondata da dieci Cieli che costituiscono appunto il Paradiso (la sfera del fuoco separa il mondo terreno da quello celeste): i primi nove Cieli sono sfere concentriche che ruotano attorno alla Terra, ciascuno governato da un'intelligenza angelica, mentre il X (l'Empireo) è immobile e si estende all'infinito, essendo la sede di Dio, degli angeli e dei beati. I primi sette Cieli prendono il nome del pianeta che ruota insieme ad essi, mentre l'VIII è il Cielo delle Stelle Fisse e il IX è il Primo Mobile, detto così in quanto è il primo Cielo a muoversi.

STRUTTURA PARADISO

I Cielo (della Luna) È governato dagli Angeli ed è associato agli spiriti difettivi che non portarono a termine i voti pronunciati II Cielo (di Mercurio) È governato dagli Arcangeli ed è associato agli spiriti operanti per la gloria terrena III Cielo (di Venere) È governato dai Principati ed è associato agli spiriti amanti IV Cielo (del Sole) È governato dalle Podestà ed è associato agli spiriti sapienti V Cielo (di Marte) È governato dalle Virtù ed è associato agli spiriti combattenti per la fede VI Cielo (di Giove) È governato dalle Dominazioni ed è associato agli spiriti giusti VII Cielo (di Saturno) È governato dai Troni ed è associato agli spiriti contemplanti VIII Cielo (delle Stelle Fisse) È governato dai Cherubini IX Cielo (Primo Mobile) È governato dali Serafini e imprime il movimento a tutti gli altri Cieli X Cielo (Empireo) È la sede di Dio, degli angeli, dei beati

EMPIREO

Oltre il nono cielo c'è l'Empireo, la sede della candida rosa dove si dispongono i beati. La rosa è occupata dalla Vergine Maria e da san Giuseppe Battista . La rosa è detta candida perchè i petali che la compongono, sono angeli vestiti di bianco.

CANTO I

CANTO I

Anche il Paradiso si apre con un proemio in cui viene presentata la materia della cantica: Dante è salito fino all'Empireo e ha visto cose che non è in grado di riferire compiutamente; tenterà dunque di raccontare ciò che la sua memoria ha conservato di quell'esperienza. Per riuscire in questa difficile impresa, Dante invoca l'aiuto di Apollo, dio della poesia, e lo prega di farlo degno di ricevere un giorno la corona d'alloro, simbolo della gloria poetica. A questo punto ha inizio la narrazione vera e propria. Dante rivolge il suo sguardo verso Beatrice e guardandola si sente «trasumanar», cioè passare da una condizione umana a una divina. Egli è colpito da una dolcissima armonia e da una straordinaria luminosità, che lo spingono a chiedersi in quale luogo si trovi e Beatrice, prevenendo la sua domanda, gli risponde che stanno salendo verso il cielo. Ma Dante non riesce a comprendere come sia possibile che, ancora vivo, possa salire attraverso l'aria e la sfera del fuoco. Beatrice gli spiega che l'universo è governato da un ordine che spinge ogni creatura verso il suo luogo naturale. Dante sta tornando a verso il suo fine ultimo, ovvero l'Empireo, sede di Dio. Nel Paradiso terrestre, infatti, Dante si è purifcato dai suoi peccati, perciò adesso tende verso Dio naturalmente, così come un fiume scende a valle.

FIGURE RETORICHE

-Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l’erba che ‘l fé consorto in mar de li altri dèi = similitudine (vv. 67-69). Cioè: "Nel guardarla divenni dentro come quando Glauco mangiò l'erba, che lo trasformò in una divinità marina".

-Folgore, fuggendo il proprio sito, non corse come tu ch’ad esso riedi = similitudine (vv. 92-93). Cioè: "un fulmine, lasciando il suo luogo d'origine, non fu così veloce come te che torni al luogo che ti è proprio (l'Empireo)".

-E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, così de l’atto suo, per li occhi infuso ne l’imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso = similitudine (vv. 49-54). Cioè: "E come un raggio riflesso si allontana sempre dal primo per dirigersi verso l’alto, proprio come il pellegrino che vuole ritornare in patria, così al suo atteggiamento, giunto alla mia mente attraverso gli occhi, io conformai il mio, e fissai lo sguardo al sole più a lungo di quanto lo consentono le capacità umane". -Spira tue sì come quando Marsia traesti de la vagina de le membra sue = similitudine (vv. 19-21). Cioè: "ispirami tu con quella stessa intensità, proprio come quando tirasti fuori Marsia dal rivestimento della sua pelle".

-E sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo l’atterra torto da falso piacere = similitudine (vv. 133-135). Cioè: "e come si può vedere un fulmine che cade da una nuvola, così l'istinto naturale può far tendere l'uomo verso il basso, attirato dal falso piacere dei beni terreni".

CANTO III

CANTO III

Dante sta per ringraziare Beatrice per avergli a fatto comprendere l'origine delle macchie lunari, quando è attratto da una nuova visione: egli ha visto una serie di volti così evanescenti da sembrare immagini riflesse e si volta per ( scoprire da dove provengano, ma non c'è nulla. Beatrice gli spiega che non si tratta di riflessi, ma di veri spiriti: sono le anime del cielo della Luna (il più lontano dall'Empireo) che si trovano in questo cielo, per non aver adempiuto ai voti fatti in vita. Dante si rivolge a un'anima e scopre che si tratta di Piccarda Donati, la sorella del suo amico Forese, che la beatitudine ha reso così bella da non permettergli di riconoscerla. Dante le rivolge un'altra domanda: quale fu il voto che ella non ha adempiuto? Piccarda racconta che da giovane si fece suora nell'ordine delle Clarisse, ma uomini malvagi (guidati dal fratello Corso) la trassero con la violenza dal chiostro per farla sposare contro la sua volontà. Piccarda indica un'anima vicina splendente di luce, che fu anch'essa strappata al convento: è l'imperatrice Costanza, madre di Federico II. Terminato il suo discorso, Piccarda intona l'Ave Maria e, cantando, svanisce lentamente insieme alle altre anime.

FIGURE RETORICHE

Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non sì profonde che i fondi sien persi, tornan d’i nostri visi le postille = similitudine (vv. 10-13). Cioè: "Proprio come attraverso vetri trasparenti e puliti, oppure attraverso acque limpide e quiete, non tanto profonde da non vedere i fondali, tornano i riflessi dei nostri volti".

Vanio come per acqua cupa cosa grave = similitudine (vv. 122-123). Cioè: "svanì come un oggetto pesante che affonda nell'acqua profonda".

Da sé non lascia lor torcer li piedi = metafora (v. 33). Cioè: "non permette loro di allontanarsi da essa".

Quasi com’uom cui troppa voglia smaga = similitudine (v. 36). Cioè: "cominciai a parlare quasi come una persona a cui il desiderio ha tolto lucidità".

CANTO VI

CANTO VI

La luce che si è avvicinata a Dante alla fine del canto V è l'anima di Giustiniano, imperatore dell'Impero romano d'Oriente tra il 527 e il 565. Muovendo dal trasferimento della capitale dell'impero da Roma a Costantinopoli, Giustiniano ripercorre la storia dell'aquila, simbolo dell'autorità imperiale che i romani amministrarono, dal mitico arrivo di Enea nel Lazio fino all'epoca di Carlo Magno. Gli esempi di virtù e coraggio degli eroi della tradizione latina, la storia passata dell'impero, istituzione politica voluta da Dio per la salvezza dell'umanità, contrastano drammaticamente con la situazione attuale, in cui guelfi e ghibellini si contendono il controllo dell'autorità imperiale con motivazioni sbagliate, cercando di piegarla ai loro interessi di parte. Giustiniano spiega che il cielo di Mercurio è la sede degli spiriti che in vita si adoperarono per il bene degli altri, spinti però dal desiderio di gloria terrena, e per questo ricompensati con un grado di beatitudine ancora basso. Nella parte conclusiva del canto conosciamo l'anima di Romeo di Villanova, ministro del conte di Provenza ingiustamente calunniato e costretto a trascorrere i suoi ultimi anni in esilio, con un destino che lo accomuna a quello dello stesso Dante.

FIGURE RETORICHE

Fu di tal volo = metafora (v. 86). Cioè: "di grande importanza, l'aquila".

E chi ‘l s’appropria e chi a lui s’oppone = perifrasi (v. 33). Per indicare i Ghibellini e i Guelfi.

Diverse voci fanno dolci note; così diversi scanni in nostra vita rendon dolce armonia tra queste rote = similitudine (vv. 124-126). Cioè: "Note diverse creano armoniosi accordi; così i diversi gradi della nostra beatitudine rendono una dolce armonia in questi Cieli".

Ma tema de li artigli ch’a più alto leon trasser lo vello = metafora (vv. 107-108). Cioè: "ma abbia timore dei suoi artigli che scuoiarono leoni più feroci di lui" per indicare l'impero che affronta pericoli più gravi.

GIUSTINIANO

Lo spirito di Giustiniano appare a Dante alla fine del V canto e incarna la figura ideale dell'imperatore, uomo di fede cristiana che, attraverso una buona azione politica, garantisce pace e giustizia all'impero. Giustiniano nel canto VI narra le vicende dell'aquila , ripercorrendo la storia di Roma. L'aquila diventa quasi una forza sovrannaturale, con il compito di guidare il mondo verso la salvezza. In questo canto Dante critica la decadenza delle istituzione dell'epoca, causa dell'ingiustizia e del disordine nelle città italiane

CANTO XI

CANTO XI

La parte centrale del canto XI è didicata a Francesco d'Assisi, ammirato da Dante per la sua lotta contro il possesso dei beni terreni della Chiesa.

I personaggi di questo canto sono Tommaso d'Aquino e Francesco d'Assisi. Tommaso comincia a narrare la vita di Francesco d'Assisi, partendo dalle nozze tra Francesco e la Povertà fino alla comparsa delle stimmate e alla sua morte. La narrazione della sua vita può essere divisa in 6 parti.

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FRANCESCO D'ASSISI

• Il luogo in cui nacque Francesco: la presentazione avviene attraverso una serie di elementi geografici - le città di Perugina, Nocera, Gualdo Tadino e Assisi.. • Il contrasto di Francesco con il padre e le nozze con la Povertà: il santo appare come un eroe, che combatté per la sua «donna» (allegoria della povertà), che egli di giorno in giorno «amò piú forte»; il linguaggio è qui ricco di termini cavalleresco-cortesi. • La storia della Povertà da Cristo a Francesco, e sviluppata attraverso un'altra metafora: la «vedova» di Cristo, cioè la Povertà, che è stata abbandonata e trascurata fino ai tempi di Francesco, il suo secondo amante. La nascita dell'Ordine francescano: continuando l'allegoria delle nozze tra Francesco e Povertà, il loro amore è descritto con il linguaggio proprio dell'esperienza amorosa («concordia», «lieti sembianti», «amore», «dolce sguardo»). Il ritmo narrativo si fa incalzante, anche per le frequenti riprese lessicali («si scalzò», «Scalzasi», «scalzasi»; «corse», «correndo»; «sposo», «sposa»). • La predicazione in Oriente e il ritorno in Italia: nel contesto narrativo, il miracolo delle stimmate, metafora dell'ultimo sigillo, quello di Cristo, è l'unico cui accenna Dante, mentre l'agiografia francescana è tradizionalmente ricca di eventi miracolistici. • La morte di Francesco: anche in quest'ultima parte Dante insiste sul tema della povertà, filo conduttore di tutto il racconto.

CANTO XV

CANTO XV

Dopo che Dante e Beatrice sono giunti nel cielo di Marte, le anime si sono disposte in forma di croce e hanno intonato una dolcissima lode a Cristo. La musica cessa affinché Dante possa rivolgersi ai beati e dal braccio destro della croce una luce scende verso di lui e gli rivolge parole solenni in latino; lo spirito afferma di essere un suo antenato e di avere atteso a lungo questo momento. Dante lo ringrazia, dispiaciuto per non riuscire a esprimere con le parole i suoi sentimenti e l'anima narra la storia della propria vita. Nacque al tempo in cui Firenze viveva semplice e serena, abitata da cittadini laboriosi e da donne pudiche, senza il lusso e la corruzione che imperversano ai tempi di Dante. Il suo nome è Cacciaguida e fu il capostipite del casato degli Alighieri. Partecipò alla seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III, dal quale ricevette il titolo di cavaliere. Morì in Terrasanta e per questo martirio è salito qui nel cielo di Marte.

CACCIAGUIDA

Cacciaguida è il padre del bisnonno di Dante. Di lui sappiamo solo quello che il poeta dice in questo canto. Nacque nel 1091. Da Corrado Cacciaguida ricevette il titolo di cavaliere; la sua morte nel corso della crociata gli fece acquistare il diritto all'eterna pace nel paradiso. Secondo quanto afferma Boccaccio, sposò una Aldighiera, emiliana, da cui ebbe un figlio detto Aldighiero o Alighiero I; da costui nacque Bellincione e da questi Alighiero II, padre di Dante.

Cacciaguida
Alighiero
Bellincione
Alighiero ||
Dante

FIGURE RETORICHE

O fronda mia in che io compiacemmi pur aspettando, io fui la tua radice = metafora (vv. 88-90). Si usano termini legati all'albero per indicare un certo legame fra i due personaggi. Con il termine "fronda" (ramoscello di foglie) s'intende che Dante è un suo discendente, con il termine "radice" s'intende che lui fu il capostipite o progenitore della famiglia di Dante.

Quel da cui si dice tua cognazione e che cent’anni e piùe girato ha ‘l monte in la prima cornice = perifrasi (v. 91-93). Per indicare Alighiero I, che si trova nella prima cornice del Purgatorio.

Né si partì la gemma dal suo nastro, ma per la lista radial trascorse, che parve foco dietro ad alabastro = similitudine (vv. 22-24). Cioè: "e l'anima preziosa non si separò dal suo nastro, ma percorse il braccio della croce simile a un fuoco dietro una lastra di alabastro".

Che questa gioia preziosa ingemmi = metafora (v. 86). Viene usata la metafora delle pietre preziose per indicare i beati e gli astri celesti.

CANTO XVII

CANTO XVII

In questo canto si conclude il lungo colloquio tra Dante e Cacciaguida. Dopo aver ripercorso la storia del suo antenato e aver analizzato le cause che hanno portato Firenze alla rovina, Dante affronta il tema del proprio destino e quello del significato stesso della sua opera. Sono così chiarite le oscure profezie che molte anime hanno fatto al poeta nell'inferno e nel purgatorio. Il trisavolo profetizza infatti che, pur innocente, egli dovrà lasciare Firenze per le trame di papa Bonifacio VIII, e sarà costretto all'umiliazione di chiedere ospitalità. Ma il peggio sarà accorgersi della stoltezza dei propri compagni di partito: meglio farà a staccarsi da loro e far parte per se stesso. Tuttavia, pur nel dolore dell'esilio, egli troverà ospitalità presso Bartolomeo della Scala, a Verona, dove potrà conoscere Cangrande, al quale viene predetto un glorioso futuro. Cacciaguida esorta quindi Dante a non portare rancore ai concittadini: la sua gloria e la sua fama, infatti, andranno ben oltre il tempo in cui le loro malvagità saranno punite. Dante chiede poi al trisavolo se dovrà riferire ciò che ha visto nell'aldilà, rischiando di inimicarsi molte persone, o tacere, rinunciando alla gloria presso i posteri. Cacciaguida lo invita a dire il vero, anche se le sue parole risulteranno sgradite a molti; poiché il poeta ha conosciuto anime che «son di fama note», il suo insegnamento sarà più credibile e salutare per i lettori.

FIGURE RETORICHE

Qual si partio Ipolito d’Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene = similitudine (vv. 46-48). Cioè: "Ti sarà inevitabile lasciare Firenze, come Ippolito lasciò Atene a causa della spietata e perfida matrigna". Significa che Dante è innocente come lo era Ippolito.

Che ‘n su la scala porta il santo uccello = perifrasi (vv. 71-72). Per indicare Bartolomeo Della Scala, signore di Verona, che sul suo stemma ha raffigurato il simbolo della famiglia "della Scala" e quello dell'aquila imperiale.

Il punto a cui tutti li tempi son presenti = perifrasi (vv. 17-18). Per indicare Dio, che essendo eterno per lui non esiste il passato o il futuro ma solo il presente

Ma perchét’ausi a dir la sete, sì che l’uom ti mesca = metafora (vv. 11-12). Cioè: "ma affinché tu ti abitui a manifestare i tuoi desideri, in modo che essi vengano esauditi". La sete qui è intesa non come desiderio di acqua ma di conoscenza.

Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca = metafora (vv. 49-51). È un accusa verso il Papa e la Chiesa corrotta di Roma diventata un luogo di mercato dei benefici ecclesiastici.

Lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale = metafora (v. 60). Cioè: "salire e scendere le scale altrui", è inteso come accettare l'aiuto dei potenti salendo, appunto, le scale dei loro palazzi.

CANTO XXXIII

CANTO XXXIII

Il viaggio ultraterreno di Dante giunge in questo canto, l'ultimo della Commedia, a compimento. -Siamo nell'Empireo: qui i beati, assisi in seggi disposti in figura di candida rosa, contemplano Dio in eterno. Beatrice ha ormai ripreso il proprio posto, Dante è ora insieme a san Bernardo: quest'ultimo l'ha condotto fino alla contemplazione della Vergine, e ora rivolge la propria preghiera alla madre di Dio, affinché acconsenta a intercedere per Dante, a liberarlo da ogni legame terreno, e permetta che la visione di Dio si conceda senza impedimenti al pellegrino. Grazie all'intercessione di Maria, di fronte agli occhi di Dante si palesano così Dio, la Trinità, l'Incarnazione.

SAN BERNARDO

Chi parla è san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), monaco cistercense. Bernardo rappresenta la contemplazione, lo stato di grazia dovuto alla fede proprio dei mistici, unica condizione spirituale che permetta una visione pura di Dio. A questo punto, infatti, nemmeno la Teologia può più essere sufficiente al pellegrino, che per accostarsi a Dio necessita di un abbandono alla fede ancora più completo.

SAN BERNARDO PREGA LA VERGINE

San Bernardo rivolge una preghiera alla Vergine Maria esaltando la sua figura di donna e di madre del Cristo nonché la sua privilegiata posizione d'intermediaria tra l'uomo e Dio. A tale riguardo il santo, domanda alla Vergine, insieme a Beatrice e agli altri beati, di intercedere presso l'Altissimo perché Dante possa godere della visione di Dio. Accolta l'orazione, gli occhi di Maria si spostano da San Bernardo verso Dio; Dante allora, che vede vicina la realizzazione del suo massimo desiderio, incoraggiato dal santo, fissa lo sguardo in alto, penetrando nella luce della divina verità.

VISIONE DI DIO

II poeta afferma che da questo momento in poi le parole non possono esprimere quanto i suoi occhi hanno potuto vedere, ne la memoria e capace di conservarlo in se, anche se nel cuore gli e rimasta la sensazione di dolcezza che ne è derivata. Dante chiede quindi a Dio l'aiuto necessario per poter narrare almeno una scintilla della sua gloria, e quanto più il poeta fissava Dio, tanto maggiore era il desiderio di ammirarlo, al punto che diveniva impossibile distoglierne lo sguardo.

IL PADRE, IL FIGLIO E LO SPIRITO SANTO

Mentre guarda l'essenza divina, a Dante appaiono tre cerchi di colore diverso, ma di uguale circonferenza. Il secondo, osservato attentamente, mostra l'immagine di una figura umana, perciò Dante concentra la sua attenzione su di esso. Ma, nonostante la sua mente non sia in grado di spiegare il fenomeno, egli si sente appagato nel suo desiderio di conoscenza.

ROSA LEMBO