Maddalena scocco-gennaio 2024
Non ha l'ottimo artista alcun concetto...
"Non ha l'ottimo artista alcun concetto"è un sonetto di Michelangelo. Fu composto tra 1538 e 1544.
Michelangelo parla della sua concenzione di arte e della sua esperienza amorosa.
Il poeta appare non disperato, bensì lacerato. Questo dolore, questa frattura interiore è resa stilisticamente anche attraverso i richiami a Petrarca ("basso ingegno" è espressione petrarchesca), noto per il proprio dissidio interiore.
Per Michelangelo l'arte è maieutica. L'artista deve solo liberare l'idea dal blocco di marmo, come ribadito anche nel successivo "Sì come per levar, donna, si pone"
Michelangelo vuole rappresentare la bellezza e il dramma. Il corpo è prigione dell'anima, e lo stesso rapporto sussiste tra il blocco di marmo e l'idea.
L'identità della donna alla quale Michelangelo si riferisce è nota, ma la bellezza di questo sonetto sta nella verità universale che esso esprime: chi di noi non ha mai provato dolore nel realizzare che per quanto bene si voglia a un altra persona, non si sarà in grado di comprenderne appieno il mistero o di proteggerla da ogni male?
Nel sonetto Michelangelo esprime il proprio dramma, l'impossibilità di abbracciare, di comprendere, di proteggere e di fare suo il bene e il mistero dell'amata. Il poeta non riesce a plasmare il cuore della donna così come riesce con la pietra, e ne risulta dolore. Per quanto l'artista ami la destinataria, lei è altro da lui, e Michelangelo lo sa: "pur ardendo", non può costringere la donna a donargli il suo amore, e non ne ha colpa nessuno.
A sinistra: Michelangelo, primo Cristo della Minerva, 1514 -1516, particolare Al centro: Michelangelo, primo Cristo della Minerva, 1514 -1516 A destra: Michelangelo, Cristo della Minerva, 1519 - 1520
Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, è stata una nobile e poetessa italiana. Sposò per volere della famiglia Fernando Francesco D'Avalos. Dopo sedici anni di matrimonio, l'uomo morì nel corso della Battaglia di Pavia e Vittoria si ritirò quindi in un convento a Roma. Era amica di personaggi importanti dell'epoca, tra questi Ariosto (che le dedica le ottave XV-XXI, canto 38 dell'Orlando Furioso) e Michelangelo: quest'ultimo la amò e le indirizzò numerose poesie. Si dice che alla morte di lei, Michelangelo si sia rammaricato di non averle baciato la fronte.
L’ottimo scultore non concepisce un’idea che il solo marmo non contenga già in sé, con la parte superflua, e la mano riesce a raggiungerla solo se ubbidisce al pensiero. Il male che io fuggo, e il bene che cerco, si nascondono così in te, donna leggiadra, altera e divina; ma la mia arte non giunge all’effetto desiderato perché io non possa continuare a vivere. Dunque non ne hanno colpa né Amore, né la bellezza, né la durezza (del cuore), né la fortuna né lo sdegno, o il mio destino o la sorte; se nel tuo cuore porti nello stesso tempo la morte e la pietà, e la mia inadeguata capacità non sappia, pur ardendo, trarne che la morte.
Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto. Il mal ch’io fuggo, e ’l ben ch’io mi prometto, in te, donna leggiadra, altera e diva, tal si nasconde; e perch’io più non viva,
contraria ho l’arte al disïato effetto. Amor dunque non ha, né tua beltate o durezza o fortuna o gran disdegno, del mio mal colpa, o mio destino o sorte;
se dentro del tuo cor morte e pietate porti in un tempo, e che ’l mio basso ingegno non sappia, ardendo, trarne altro che morte.
A Michelangelo venne commissionato un Cristo risorto da collocare a Santa Maria sopra Minerva. L'artista lavorò per mesi all'opera, finché non comparve, proprio sul viso del Cristo, una venatura nera che lo costrinse a realizzare un'altra scultura. In questa occasione l'idea che il marmo circoscriveva "col suo superchio" era ben diversa da quella che il Buonarroti si aspettava: invece di un viso bianco e glorioso, Michelangelo ha liberato un viso segnato da una linea nera, in netto contrasto con il resto dell'opera. La nostra sensibilità non può che rimanere colpita: il Cristo sembra portare sul viso il segno della passata sofferenza e del dolore vissuto, la venatura potrebbe sembrare il solco lasciato da una lacrima o dal sudore di sangue. Il marmo ha battuto l'artista lasciando un messaggio più potente di quello che avrebbe potuto comunicare il solo ingegno umano: il dolore vissuto non intacca la bellezza del volto e dell'opera tutta, la rende invece più particolare e impressionante, così come il dolore di Cristo è stato necessario per arrivare alla vittoria della vita sulla morte.
Sì come per levar, donna, si ponein pietra alpestra e dura una viva figura, che là più cresce u’ più la pietra scema; tal alcun’opre buone, per l’alma che pur trema, cela il superchio della propria carne co’ l’inculta sua cruda e dura scorza. Tu pur dalle mie streme parti puo’ sol levarne, ch’in me non è di me voler né forza.
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Maddalena Scocco
Created on January 5, 2024
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Maddalena scocco-gennaio 2024
Non ha l'ottimo artista alcun concetto...
"Non ha l'ottimo artista alcun concetto"è un sonetto di Michelangelo. Fu composto tra 1538 e 1544.
Michelangelo parla della sua concenzione di arte e della sua esperienza amorosa.
Il poeta appare non disperato, bensì lacerato. Questo dolore, questa frattura interiore è resa stilisticamente anche attraverso i richiami a Petrarca ("basso ingegno" è espressione petrarchesca), noto per il proprio dissidio interiore.
Per Michelangelo l'arte è maieutica. L'artista deve solo liberare l'idea dal blocco di marmo, come ribadito anche nel successivo "Sì come per levar, donna, si pone"
Michelangelo vuole rappresentare la bellezza e il dramma. Il corpo è prigione dell'anima, e lo stesso rapporto sussiste tra il blocco di marmo e l'idea.
L'identità della donna alla quale Michelangelo si riferisce è nota, ma la bellezza di questo sonetto sta nella verità universale che esso esprime: chi di noi non ha mai provato dolore nel realizzare che per quanto bene si voglia a un altra persona, non si sarà in grado di comprenderne appieno il mistero o di proteggerla da ogni male?
Nel sonetto Michelangelo esprime il proprio dramma, l'impossibilità di abbracciare, di comprendere, di proteggere e di fare suo il bene e il mistero dell'amata. Il poeta non riesce a plasmare il cuore della donna così come riesce con la pietra, e ne risulta dolore. Per quanto l'artista ami la destinataria, lei è altro da lui, e Michelangelo lo sa: "pur ardendo", non può costringere la donna a donargli il suo amore, e non ne ha colpa nessuno.
A sinistra: Michelangelo, primo Cristo della Minerva, 1514 -1516, particolare Al centro: Michelangelo, primo Cristo della Minerva, 1514 -1516 A destra: Michelangelo, Cristo della Minerva, 1519 - 1520
Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, è stata una nobile e poetessa italiana. Sposò per volere della famiglia Fernando Francesco D'Avalos. Dopo sedici anni di matrimonio, l'uomo morì nel corso della Battaglia di Pavia e Vittoria si ritirò quindi in un convento a Roma. Era amica di personaggi importanti dell'epoca, tra questi Ariosto (che le dedica le ottave XV-XXI, canto 38 dell'Orlando Furioso) e Michelangelo: quest'ultimo la amò e le indirizzò numerose poesie. Si dice che alla morte di lei, Michelangelo si sia rammaricato di non averle baciato la fronte.
L’ottimo scultore non concepisce un’idea che il solo marmo non contenga già in sé, con la parte superflua, e la mano riesce a raggiungerla solo se ubbidisce al pensiero. Il male che io fuggo, e il bene che cerco, si nascondono così in te, donna leggiadra, altera e divina; ma la mia arte non giunge all’effetto desiderato perché io non possa continuare a vivere. Dunque non ne hanno colpa né Amore, né la bellezza, né la durezza (del cuore), né la fortuna né lo sdegno, o il mio destino o la sorte; se nel tuo cuore porti nello stesso tempo la morte e la pietà, e la mia inadeguata capacità non sappia, pur ardendo, trarne che la morte.
Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto. Il mal ch’io fuggo, e ’l ben ch’io mi prometto, in te, donna leggiadra, altera e diva, tal si nasconde; e perch’io più non viva, contraria ho l’arte al disïato effetto. Amor dunque non ha, né tua beltate o durezza o fortuna o gran disdegno, del mio mal colpa, o mio destino o sorte; se dentro del tuo cor morte e pietate porti in un tempo, e che ’l mio basso ingegno non sappia, ardendo, trarne altro che morte.
A Michelangelo venne commissionato un Cristo risorto da collocare a Santa Maria sopra Minerva. L'artista lavorò per mesi all'opera, finché non comparve, proprio sul viso del Cristo, una venatura nera che lo costrinse a realizzare un'altra scultura. In questa occasione l'idea che il marmo circoscriveva "col suo superchio" era ben diversa da quella che il Buonarroti si aspettava: invece di un viso bianco e glorioso, Michelangelo ha liberato un viso segnato da una linea nera, in netto contrasto con il resto dell'opera. La nostra sensibilità non può che rimanere colpita: il Cristo sembra portare sul viso il segno della passata sofferenza e del dolore vissuto, la venatura potrebbe sembrare il solco lasciato da una lacrima o dal sudore di sangue. Il marmo ha battuto l'artista lasciando un messaggio più potente di quello che avrebbe potuto comunicare il solo ingegno umano: il dolore vissuto non intacca la bellezza del volto e dell'opera tutta, la rende invece più particolare e impressionante, così come il dolore di Cristo è stato necessario per arrivare alla vittoria della vita sulla morte.
Sì come per levar, donna, si ponein pietra alpestra e dura una viva figura, che là più cresce u’ più la pietra scema; tal alcun’opre buone, per l’alma che pur trema, cela il superchio della propria carne co’ l’inculta sua cruda e dura scorza. Tu pur dalle mie streme parti puo’ sol levarne, ch’in me non è di me voler né forza.