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Pericle e Fabio Massimo
Angelo Longobucco
Created on December 30, 2023
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Transcript
pericle e fabio massimo
Plutarco, Vite Parallele
angelo longobucco e pietro aquino2b st
plutarco: IL PRIMO BIOGRAFO MODERNO
Come si può notare dal titolo, Rex Warner, ha definito Plutarco l'ultimo degli storici greci classici e il primo dei biografi moderni. Quest'ultimo nacque a Cheronea, situata in Boezia, nel 50 a.C. E studiò ad Atene presso il platonico Ammonio. La produzione di Plutarco fu molto ampia e vasta. Plutarco risulta uno dei più fertili autori dell’antichità greco-latina, ma anche uno dei meglio conservati, poiché sotto il suo nome sono giunte 48 biografie (di cui 44 riunite nelle famose coppie – formate da un personaggio greco e da uno romano – delle cosiddette Vite parallele) e ben 78 trattati di vario argomento. Le biografie e in particolare le Vite parallele (supremo monumento letterario al mito dell’unità culturale greco-romana, secondo un motivo ideologico assai diffuso fra I e II secolo d.C.) sono l’opera plutarchea di gran lunga più fortunata e più letta: non solo un modello per molta biografia antica e moderna, ma anche un tesoro d’ispirazione per alcuni fra i più grandi autori della modernità, da Shakespeare a Goethe, da Corneille e Racine a Schiller, senza dimenticare i nostri Alfieri e Foscolo.
Plutarco
BOEZIA
cosa lega pericle a quinto fabio massimo?
"La caratteristica più marcata di Pericle e Fabio, è la loro praotes o autocontrollo. Essi erano uomini simili oltre che per le altre virtù, soprattutto per la mitezza d'animo, la rettitudine e la capacità di sopportare le stoltezze del popolo e dei colleghi di governo, rendendosi utilissimi alla loro patria."
Pericle
Con queste parole Plutarco vuole subito mettere in evidenza il carattere dei due personaggi, che riescono a gestire perfettamente le pressioni del popolo e dei loro colleghi senza dimostrare alcun segno di cedimento psicologico.
Quinto Fabio Massimo
"Una volta, a esempio, offeso e insultato da un individuo impudente e maleducato, egli lo sopportò per un'intera giornata in silenzio, in piena agorà, continuando a sbrigare una sua faccenda urgente, e, al calar della sera, si avviò, imperturbabile, verso casa, sempre seguito da quell'uomo che gli rovesciava addosso contumelie di ogni genere; quando poi stava per varcare la soglia della sua dimora, poichè era ormai buio, ordinò a uno dei suoi servi di prendere una torcia per scortare l'uomo e riaccompagnarlo a casa."
"Entrambi esercitano la mitezza nel sopportare pazientemente l'impopolarità e l'odio. E' questa l'attitudine che ispira il comportamento di Fabio nei confronti di Minucio, Metilio, del senato e del popolo. Non diverso l'atteggiamento di Pericle in una situazione simile ( Attica invasa dagli spartani/ Italia invasa da Annibale) decide di non affrontare in campo aperto gli spartani, "sopportando con calma e in silenzio l'impopolarità"
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Con la narrazione di questo evento, Plutarco ci da conferma su come Pericle fosse sempre pacato e cordiale anche con coloro che erano contro di lui, infatti preferisce essere insultato tutta la giornata piuttosto che interrompere il lavoro da svolgere per la sua patria.
L'agorà di Atene
caratteristiche fisiche
Plutarco ci fornisce alcune notizie sul loro aspetto fisico, anche se molto limitatamente. A entrambi i personaggi erano attribuiti nomi con riferimento agli animali. Pericle era chiamato "schinocefalo", ovvero "testa di cipolla marina", proprio a causa della sua testa leggermente più allungata rispetto alla norma. Non a caso in tutte le opere scultoree, Pericle è rappresentato con un elmo, propio per non far notare questo dettaglio. Il campione della democrazia ateniese, era conosciuto anche con un altro nome, questa volta molto più decoroso e importante del precedente. Infatti per aver abbellito Atene con molte opere e monumenti era chiamato anche "Olimpio", nome che fa riferimento a Zeus. D'altra parte Fabio Massimo veniva chiamato già dalla tenera età "Ovicula" cioè "pecorella", propio per la sua mitezza e pacatezza d'animo. Un altro nome che è attribuito a Fabio, oltre a quello di "Temporeggiatore" è quello di "Verrucoso", poichè aveva una verruca su un labbro.
Notevole importanza assumono i figli ed in genere le vicende familiari nella vita di Pericle. Lo stesso si può dire di Fabio per quel che riguarda il figlio. Di fronte alla morte dei propi cari entrambi mostrano un'attitudine ferma, moderazione, magnanimità, anche se alla fine Pericle, rispetto a Fabio, non riesce a trattenere le lacime e scoppia a piangere. Certo Fabio ebbe più fortuna con suo figlio, che va a Roma a vendere i campi, prende i denari e li porta al padre per il riscatto; diviene console con un alto senso dello stato e delle tradizioni familiari. Pericle invece ebbe figli scarpestrati, spendaccioni e dissennati.
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Nei confronti degli alleati Fabio al pari di Pericle usa una politica di assistenza, soccorso e comprensione: anche se poi dimentichi della mitezza, di fronte a città ribelli e riconquistate dopo un assedio, cedono alla crudeltà, (come Samo nel caso di Peicle, e Taranto nel caso di Fabio). Entrambi i personaggi non mancano di animosità, ambizione e invidia. Infatti l'invidia di Fabio nei confronti di Scipione, può essere paragonata alla discordia e l'opposizione tra Pericle e Cimone. Il tema dei prigionieri ugualmente assume un certo rilievo in una situazione obbiettivamente diversa: Pericle prende lui stesso dei prigionieri da Samo, Fabio riscatta i prigionieri romani dalle mani di Annibale, nessuno dei due però accetta denaro.
Inoltre Polibio fa un riferimento alla morte di Paolo Emilio e quella di Ciro il Grande. il console romano ferito a morte è soccorso da Cornelio Lentulo, che 'scende da cavallo' per soccorlerlo. Invece Artapate compie lo stesso gesto nei confronti del suo signore morente. Alla morte di Paolo Emilio si sovrappone quella di Ciro.
Le origini di fabio massimo
Riguardo la vita e le origini di Fabio, si dice che una ninfa, o secondo alcuni una donna del luogo, unitasi ad Ercole presso il fiume Tevere generò Fabio, l'uomo dal quale trasse origine la stirpe dei Fabi, numerosa e illustre a Roma. Questo casato generò molti e grandi uomini: a partire da Rullo, che fu il più grande e fu chiamato perciò dai Romani "Massimo", quarto fu propio Fabio Massimo il "Temporeggiatore", in latino "Cunctator".
Già dalla più tenera età, Fabio Massimo era chiamato con il nome di "Ovicula", cioè pecorella, per la sua mitezza e pacatezza di carattere. Inoltre l'indole tranquilla e taciturna, la molta cautela con la quale partecipava ai divertimenti dei ragzzi, il suo apprendere con lentezza e con fatica quanto gli veniva insegnato a scuola, la mitezza e la mansuetudine nei confronti dei compagni, facevano sospettare a chi lo conosceva superficialmente che fosse un giovane stupido e pigro. Ma negli anni successivi, sotto l'impulso dell'attività politica, Fabio dimostrò anche ai molti che lo sottovalutavano che quell'apparente pigrizia era in realtà imperturbalità, quella sua circospezione era prudenza e quella sua scarsa prontezza e lenta reattività a qualsiasi avvenimento, erano invece fermezza e costanza.
L'ascesa politica di Fabio inizia nel 233 a.C., quando durante il suo primo anno di consolato, ottenne molteplici vittorie sui Liguri, che costretti a ritirarsi verso le Alpi, cessarono di danneggiare le vicine regioni d'Italia. Dopo aver violato il patto di Sagunto, Annibale penetrò in Italia oltrepassando le Alpi. E giunto in penisola, sconfisse molteplici volte i Romani. Più precisamente nel 217 a.C., presso il lago Trasimeno, Annibale sconfisse brutalmente i Romani che persero anche il loro valoroso generale Flaminio. In seguito come si legge dalla fonte Fabio divenne dittatore.
lA CARRIERA POLITICA DI FABIO MASSIMO
"E convennero che una sola persona, cioè Fabio Massimo, possedeva saggezza e nobiltà di carattere adeguate alla grandezza della carica e inoltre era in un'età nella quale il corpo col suo vigore fa ancora da sostegno alle decisioni dello spirito e l'intelligenza si mescola alla prudenza."
Il soldato gallo Ducario decapita il generale Flaminio
"Dopo di che cominciò la sua dittatura nel migliore dei modi, cioè venerando gli dei e facendo capire al popolo che la confitta era stata causata dalla negligenza e dal disprezzo del generale per la divinità e non la viltà dei combattenti; e cosi' egli esortò i Romani a non temere i nemici, ma piuttosto a onorare e a rendersi propizi gli dei. Non per questo alimentò in loro la superstizione, ma ne rafforzò il valore con la religiosità e con la speranza nell'aiuto divino eliminò la paura del nemico e li confortò. In quell'occasione vennero consultati molti di quei libri oracolari segreti che venivano chiamati Sibillini e si dice che alcune profezie in essi contenute si dimostrarono corrispondenti alla situazione e agli avvenimenti del momento"
Le divinità per fabio massimo
Il Pantheon dei Romani
"Cosi' Fabio, ancorando alla divinità i pensieri della massa dei concittadini, li rese più fiduciosi nel futuro.Per parte sua invece egli ripose in se stesso tutte le speranze di vittoria, perchè convinto che anche la divinità concede il successo alle azioni umane condotte con valore e saggezza."
Da questa fonte notiamo come Plutarco voglia far capire quanto era importante la divinità nell'antica Roma, ed è propio tramite quest'ultima che Fabio esorta il popolo romano a non temere il nemico ma piuttosto ad onorare gli dei.
Lo scontro tra annibale e fabio massimo
"La figura del Temporeggiatore si precisa e si determina nella dialettica fra la stima di pochi e il disprezzo di molti, nell'altalena tra successi e rovesci, nello scontro- diretto o mediato- con i protagonisti della vita politica. Al centro si pone naturalmente la lotta con Annibale, colui che fu l'unico a capire le abilità strategiche di Fabio nel modo di combattere. Infatti per tutti i Romani e nemici: "un codardo, una nullità". Solo Annbale pensava che bisognasse distogliere Fabio dal suo piano che garantiva la sicurezza ai romani. Fece ricorso infatti ad ogni sorta di stratagemma per spingerlo a combattere in campo aperto. Ma come sappiamo Fabio è fermo e saldo nei suoi propositi. Persistendo nella tecnica di logoramento."
"Conoscendo le straordinarie abilità del suo nemico nel combattere in campo aperto, Fabio Massimo si volse contro Annibale, non però con l'intenzione di battersi apertamente con lui, ma piuttosto deciso a logorare e a consumare col tempo la sua forza, e col denaro i suoi scarsi mezzi e con l'abbondanza di uomini le sue esigue milizie. Pertanto, accampandosi sempre in luoghi montuosi, al sicuro dalla cavalleria nemica, minacciava dall'alto i Cartaginesi, e quando Annibale si fermava, se ne stava anche lui tranquillo, quando invece quello si muoveva, scendeva dai monti aggirandolo e gli compariva davanti, ma a distanza tale da non essere costretto a combattere contro la sua volontà e da incutere tuttavia al nemico, con lo stesso indugiare, la paura che gli avesse davvero intenzione di attaccare battaglia."
Tramite questa accurata fonte, Plutarco ci fornisce la descrizione della tecnica utilizzata da Fabio nella lotta contro Annibale. Infatti propio per questo suo stratagemma riusciva a battere i Cartaginesi soprattutto dal punto di vista psicologico, costantemente intimoriti da un possibile attacco dei Romani. Ben presto però conducendo la guerra in questo modo Fabio divenne il "Temporeggiatore" e si attirò il disprezzo di tutti.
Busto di Annibale
"Lo stratagemma fu il seguente: fece radunare circa duemila dei bovini che facevano parte delle sue prede e ordinò che alle corna di ciascun animale venisse legata una torcia formata da un fascio di sarmenti o di rami secchi; successivamente, nel cuore della notte si sarebbe dovuto dar fuoco ai fastelli e spingere le bestie in direzione dei valichi, controllati dalle sentinelle nemiche. Mentre i soldati che ne avevano ricevuto l'ordine preparavano l'occorrente, Annibale fece partire il resto dell'esercito e pian piano parti' nelle tenebre ormai calate. Le vacche, finchè il fuoco era scarso e bruciava solo le foglie, avanzarono tranquillamente verso il monte, e i mandriani che videro le fiamme dall'alto pensarono che si trattasse di un esercito in marcia; ma quando il fuoco, bruciate le corna fino alle radici, si appiccò alle carni, le vacche impazzirono dal dolore e incendiavano gran parte dei boschi attraverso i quali fuggivano. I Romani, in preda al panico credettero che il nemico era in corsa per attacarlo, ma intanto Annibale con una compagnia di Iberici, piombò sui fanti Romani, e dopo averne uccisi non pochi, costrinsero Fabio alla ritirata."
Ad un certo punto Annibale commise un errore: volendo allontanare da Fabio il proprio esercito per occupare luoghi piani che offrissero pascolo ai cavalli, ordinò a delle guide locali di portarli, subito dopo il pasto serale, nel territorio di Cassino; ma quelle avendo frainteso per la pronuncia straniera, li portarono nella città di Casilino, controllata dai romani e divisa da un fiume di nome Volturno. Fabio per prudenza e anche per intuizione dell'inganno non attaccherà, ma verrà sconfitto da Annibale con un geniale stratagemma
Lo stratagemma di annibale
"Ma intanto continuamente lo infastidiva il suo magister equitum, Minucio, desideroso di combattere anche quando non era il caso, temerario e deciso a conquistarsi il favore delle truppe che aveva riempito di furore aggressivo e di infondate speranze; i soldati deridevano e disprezzavano Fabio chiamandolo il "pedagogo di Annibale", mentre giudicavano Minucio un grand'uomo e un generale degno di Roma."
Le critiche VERSO FABIO MASSIMO
"La notizia giunta a Roma, provocò calunnie contro Fabio e i tribuni della plebe tuonarono contro di lui alla presenza del popolo, spinti e stimolati a ciò soprattutto da Metilio, non tanto perchè questi nutrisse inamicizia verso il dittatore, ma perchè essendo parente del capo della cavalleria Minucio, riteneva che le calunnie contro l'uno avrebbero recato onore e gloria all'altro."
Dopo la disfatta di Casilino, uno dei colleghi che va maggiormente contro Fabio è Minucio, il suo magister equitum. Quest'ultimo arriva ad insultare pesantemente il dittatore, chiamandolo vigliacco e codardo. Un altro personaggio che va contro Fabio è il tribuno della plebe Marco Metilio,nonchè parente di Minucio.
In seguito alla disfatta di Casilino, i sacerdoti chiamarono Fabio a Roma per assistere a certi sacrifici ed egli affidò l'esercito a Minucio ordinandogli di non combattere e di non impegnarsi direttamente con il nemico. Quest'ultimo però, disobbedisce al suo superiore e attacca Annibale, ottenendo una vittoria.
il perdono di fabio verso minucio
Dopo il discorso di Metilio, Minucio diventò dittatore e per la prima volta nella storia di Roma a tenere questa carica erano due persone contemporaneamente. I due divesero l'esercito in due fazioni, una sotto Fabio e una sotto Minucio. Quest'ultimo desideroso di sconfiggere nuovamente Annibale, attaccò i Cartaginesi, ma non riscontrando lo stesso esito avuto in precedenza. Fabio mandò il suo esercito in suo aiuto e scacciò i Cartaginesi. Dopo la battaglia, Fabio nonostante le critiche ricevute da quest'ultimo, perdona Minucio, che lo abbraccia e lo chiama "padre" per avergli salvato la vita. In seguito Fabio depose la carica e vennero eletti i consoli.
Dopo che la notizia era giunta a Roma, Fabio disse che quel successo di Minucio gli faceva più paura di un insuccesso. D'altra parte il popolo si esaltò e si recò frettolosamente nel foro, dove Marco Metilio parlò alla folla elogiando Minucio e incolpando Fabio non solo di debolezza e vigliaccheria, ma addirittura di tradimento e accusandolo, di aver provocato la guerra fin dall'inizio per abbattere il potere del popolo e di avere affidato alla prima occasione la repubblica a un'autorità assoluta e incontrollabile.
La fine della dittatura di fabio
Dopo il salvataggio di Minucio, la carica di Fabio non verrà rinnovata, e verranno eletti due nuovi consoli: Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. Varrone era un uomo di oscuri natali, e con presunzione e inesperienza, fece subito capire che si sarebbe giocato la guerra in un solo colpo. Infatti nelle pubbliche assemblee andava gridando che la guerra non si sarebbe conclusa fino a quando la repubblica si fosse affidata a uomini come Fabio. Quest'ultimo preoccupato per le intenzioni di Varrone, cercò di incoraggiare Emilio Paolo a opporsi alla folle idea del collega. Ma Paolo preferisce cadere sotto le lancie in battaglia piuttosto che cadere ancora una volta sotto il voto dei suoi concittadini; e detto ciò a Fabio parti' per il fronte. L'esercito Romano si stabili' lungo il fiume Aufido, presso la città di Canne, pronti per attaccare i Cartaginesi in inferiorità numerica.
Marco Terenzio Varrone
Lucio Emilio Paolo
Nel 216 a.C., a Canne, l'attuale Puglia, si svolse una delle più sanguinose battaglie della storia di Roma, che verrà sconfitta proprio per la inesperienza dei loro generali e per degli stratagemmi geniali di Annibale. Facendo rimpiangere cosi' la tattica di Fabio Massimo
La battaglia di canne
"In quella battaglia Annibale si servì di due stratagemmi. Il primo fu di scegliere il luogo dello scontro facendo in modo che i suoi soldati avessero alle spalle il vento, che si era scatenato simile a un turbine infocato e, sollevando dalla pianura piatta e sabbiosa un acre polverone al disopra dello schieramento cartaginese, lo spingeva contro i Romani e li colpiva in pieno viso costringendoli a voltarsi e a scompaginare le loro file. Il secondo stratagemma riguardò il modo di disporre le truppe: infatti Annibale schierò alle ali estree quelle più forti e combattive, mentre formò il centro con i più fiacchi. Con questa tattica quando i Romani, sfondato il fronte avversario e portatisi contro il punto di maggior cedimento, si fossero trovati all'interno dello schieramento nemico, sarebbero stati circondati dai soldati più forti.
Battaglia di Canne, 216 a.C.
Per i Romani fu una strage e morirono molti soldati, Varrone riuscì a fuggire insieme ad alcuni superstiti nella città di Venosa, mentre Emilio Paolo morì durante la battaglia, e in punto di morte disse al soldato Lentulo: "Riferisci a Fabio Massimo che io fui vinto prima da Varrone e poi da Annibale."
"Dove si descrive il Temporeggiatore a Roma dopo la battaglia di Canne: "mentre tutti erano sprofondati in un cordoglio senza fine e tanto turbati da non essere più in grado di agire, lui solo si aggirava per la città con passo calmo e volto composto, salutando amabilmente la gente, facendo cessare i lamenti delle donne e vietando gli assembramenti di quanti si radunavano per piangere in pubblico i lutti comuni."
l'AMMIRAZIONE VERSO FABIO
In seguito alla battaglia di Canne, il popolo provò una certa ammirazione e rispetto verso Fabio. Infatti quella che prima della battaglia di Canne veniva chiamata vigliaccheria e incapacità di Fabio, subito fu giudicata addirittura intelligenza soprannaturale o divina, dal momento che aveva previsto in anticipo una sventura così grande, da riuscire a stento credibile a quelli stessi che l'avevano subita. Di fatti Roma, ripose nuovamente in lui le speranze per la vittoria su Annibale
Con la fonte, Plutarco ribadisce mette nuovamente in evidenza il carattere di Fabio, che nonostante la pesante sconfitta subita, non si perde d'animo e cerca in tutti i modi di far riprendere forza e coraggio al popolo Romano.
Quando i Romani seppero che dopo la battaglia di Canne Annibale si era diretto verso altre regioni d'Italia, ripreso coraggio, inviarono eserciti e generali; i più illustri tra questi furono Fabio Massimo e Claudio Marcello. Date le loro diverse ideleogie di combattimento, i Romani chiamavano Fabio lo scudo e Marcello la spada e che la salda fermezza del primo unita all'intensa attività del secondo furono la salvezza di Roma. Durante il suo quinto consolato però, Claudio Marcello venne ucciso in battaglia da Annibale, quest'ultimo provò ad uccidere Fabio con un inganno ma senza avere successo.
lA RICONQUISTA DI TARANTO
Marco Claudio Marcello
La città di Taranto, che i Romani avevano perduto per tradimento, fu riconquistata da Fabio nel modo seguente: militava nelle sue file un giovane tarantino il quale aveva a Taranto una sorella, di lei si era innamorata un guerriero del Bruzio che faceva parte dell'esercito di Annibale. Il loro intento era quello di convincere il soldato Bruzio a passare dalla parte dei Romani per aiutarli nella conquista. Infatti con il suo aiuto, Fabio dopo sei giorni di assedio, conquistò la città saccheggiandola, ma decise di lasciare ai tarantini i loro dei. Anche se prese solo il colosso di Ercole che poi eresse in Campidoglio. Dopo la vittoria, Fabio venne celebrato e onorato da tutta la città.
Intanto Cornelio Scipione, avendo sconfitto molteplici volte i Cartaginesi in Iberia, ottenne a Roma una grande fama e popolarità. E una volta eletto console, propose di smettere di attaccare Annibale in Italia e di spostare la guerra in Africa per distruggere la stessa Cartagine e la Libia.
fabio contro scipione: l'ultima lotta
Fabio, colta la notizia, cercò in tutti i modi di dissuadere i cittadini da quella decisione. Il Temporeggiatore pensava che se la guerra si fosse spostata in Africa, Annibale combattendo in patria avrebbe distrutto completamente l'esercito Romano. Da una parte riuscì a far passare il senato dal suo punto di vista, mentre il popolo si convinse che egli attaccava Scipione per invidia dei suoi successi, e per timore che , se avesse riuscito nell'imprese, tutti lo avrebbero considerato incapace dato che non aveva scacciato il nemico dall'Italia in tutto quel tempo. Da questo comportamento politico si nota che Fabio abbia ceduto al suo temperamento.
Busto di Publio Cornelio Scipione
"Ma Fabio Massimo non visse abbastanza per vedere la fine della guerra, non seppe che Annibale era stato sconfitto nè vide il grande e sicuro successo della patria, infatti morì di malattia mentre Annibale lasciava l'Italia nel 203 a.C. La sua morte fu circondata da onore e gloria adeguati alla sua vita."
Bibliografia
Plutarco, Vite Parallele di Pericle-Fabio Massimo, Bur, Milano, settima edizione febbraio 2017
A. Brancati- T. Pagliarini- P. Motta, Epoche e spazi volume 1, La Nuova Italia, Milano, gennaio 2020
Libro di testo
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