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Alexandr Isaevic Solzenicyn

Giada Rossi

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Alexander isaevic salzenicyn

Aleksandr Isaevic Solzenicyn nasce a Kislovodsk, nel Caucaso, nel 1918. Figlio di contadini, rimane presto orfano di padre. Si trasferisce con la madre a Rostov sul Don, dove si laurea in Matematica e inizia a insegnare. Nel 1941 parte per il fronte, dove si comporta con onore. Nel 1945, però, una sua lettera a un amico contenente alcune critiche a Stalin è intercettata dal controspionaggio sovietico: Solzenicyn viene condannato a otto anni di lavoro forzati nel campo di lavoro di Karlag. Qui rimane fino al 1953; in seguito sconta altri tre anni di confino in Kazakistan.

Alexander isaevic salzenicyn

Nel gulag vorrebbe dedicarsi alla narrativa, per tramandare la memoria delle sue esperienze; ma nei campi di lavoro è proibito scrivere. Solo dopo la liberazione (1956) può coronare il suo proposito. Deve però attendere l’inizio del disgelo politico per vedersi pubblicato sulla rivista Novyj Mir (Il Nuovo Mondo) Una giornata di Ivan Denisovic (1962), romanzo largamente autobiografico.Sulla stessa rivisa progressista esce, nel 1963, La casa di Matriona. La fortuna di Solzenicyn in patria, però, dura poco. L’inasprimento del regime costringe le opere successive a uscire all’estero: Divisione Cancro (1968), Agosto 1914 (1971) e Arcipelago Gulag (1973-76).

UNA GIORNATA DI IVAN DENISOVIC (SC-854)

In un giorno qualsiasi del 1951, in un gulag siberiano, con una temperatura di 27° sotto zero il prigioniero Ivan Denisovič Šuchov si sveglia come ogni mattina alle 5; il breve arco di tempo tra il risveglio e la magra colazione è uno dei pochi momenti "liberi" della giornata. Ma in quel giorno Šuchov si rende conto di avere la febbre. Intenzionato a marcare visita in infermeria, viene invece minacciato di punizione da una guardia, detta il Tartaro, disposta a non denunciarlo se Šuchov laverà i pavimenti delle baracche dei capisquadra.

TRAMA

Una giornata di Ivan Denisovič è un romanzo di Aleksandr Solženicyn pubblicato il 18 novembre 1962 sulla rivista letteraria sovietica Novyj Mir. Racconta la brutale esistenza quotidiana in un gulag sovietico di un prigioniero, detenuto politico, negli anni Cinquanta. L'idea dell'Autore, che fa da sfondo a tutto il racconto, è quella di mostrare come sia possibile per l'uomo conservare intatta la propria dignità umana pur essendo immerso in un "inferno"

La giornata di lavoro trascorre come sempre, la squadra costruisce un edificio, embrione di un nuovo centro abitato. Šuchov è fra i muratori più esperti, è lui che posa i mattoni mentre i compagni trasportano a spalla il materiale, dal momento che la gru si è guastata.

Il freddo è terribile, ma anche questa giornata ha termine. Le guardie mettono i prigionieri in fila per cinque in modo da contarli, poi una seconda conta ha luogo all'ingresso dell'area cintata, dove c'è anche la perquisizione. I prigionieri infatti nascondono sempre nei vestiti frammenti di legna per le stufe.

La magra cena è un altro dei rari momenti di soddisfazione nella vita del prigioniero, ma è comunque una lotta per conquistare un posto prima degli altri. Prima di essere liberi di dormire c'è ancora l'ultima conta per assicurarsi che nessun prigioniero sia riuscito a fuggire, malgrado il campo si trovi nel mezzo del nulla e nella stagione più terribile dell'anno, l'inverno. Šuchov si addormenta pensando che quella è stata comunque una giornata positiva perché non era ancora morto

STRUTTURA E STILE

GENESI

SOLZENICYN E CALVINO

PERSONAGGI

Alexander isaevic salzenicyn

Il Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1970 aggrava la persecuzione: il 13 febbraio 1974 Solzenicyn è espulso dall’URSS.Si stabilisce in Svizzera, poi negli Stati Uniti, dove pubblica La quercia e il vitello (1975), volume in gran parte di memorie. Diventa un punto di riferimento per gli esuli che combattono il regime. Intraprende una vasta storia della Russia ed elabora intanto una concezione politica e culturale imperniata sul recupero dell’ortodossia religiosa, delle tradizioni rurali e del panslavismo. Può ritornare in Russia nel 1994, ma nella nuova realtà post-comunista non trova spazi né consenso popolare.

PADIGLIONE CANCRO

+ INFO

È la storia di un piccolo gruppo di pazienti del padiglione 13, il reparto oncologico di un ospedale dell'Asia Centrale sovietica, due anni dopo la morte di Stalin. Solženicyn esplora la responsabilità morale di coloro che hanno eseguito le Grandi Purghe staliniane, quando milioni di individui furono uccisi, mandati nei gulag, o esiliati.

"In quei momenti, il senso della sua propria esistenza, [...] gli si rivelava [...] nella misura in cui ciascuno era riuscito a evitare che s'intorbidasse, si avvizzisse, si deformassel'immagine di eternità deposta in lui. Riflesso di luna in placido stagno."

Aleksandr Solzenicyn, Divisione cancro, 1966

IL PRIMO CERCHIO

"Il Primo Cerchio" (1968) racconta del periodo di detenzione nella Śaraśka, l'ultimo prima della scarcerazione definitiva dello scrittore sovietico.

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ARCIPELAGO GULAG

Arcipelago Gulag (1974) è una raccolta di più testimonianze che Solzenicyn riporta per far conoscere al mondo la verità sull'Unione Sovietica di Stalin

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Introduzione al libro

Fustigatore di quello che fu il sistema dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), al di la dell'attribuzione del premio Nobel del 1970 per la letteratura, ebbe in Patria vita tribolata, fatta di censure, arresti fino alla privazione della cittadinanza e relativa espulsione dal Paese, ancorché poi ritirata.Solzhenicyn ha avuto successo in Italia per opere come "Una giornata di Ivan Denisovic" e "Divisione Cancro" ma, credo, pochi ricordino "La quercia e il vitello" del 1975. Questo "titolo", ha radici in un modo di dire russo: "La renna che prende a cornate la quercia".

La quercia e il vitello

L'adagio sta ad indicare imprese inutili, disperate e, in una certa qual misura, stupide. Solzhenicyn sostituisce nel titolo del suo libro la renna con il vitello a scopo narrativo. Resta la formidabile metafora dell'onnipotenza, dello strapotere dello Stato sovietico (la quercia) nei confronti dell'impotenza di chi gli si oppone la cui azione viene rappresentata, appunto, dallo "strofinio" delle corna dell'alce o, comunque, del muso del vitello, che dir si voglia.

Significato simbolico

Il libro non parla solo degli ostacoli che il potere creava al letterato, ma anche dei letterati sottomessi alle autorità. Gli scrittori non scelgono questo mestiere. Scrivono perché non possono non scrivere. Sotto l'Urss avevano due scelte: scrivere e mettere tutto in un cassetto o scendere a compromessi per superare la censura. La cosa più triste è che gran parte dei letterati accettarono le regole del gioco. Dovevano iscriversi all'Unione degli scrittori, un'organizzazione burocratica che soffocava i dissidenti con le mani dei loro stessi colleghi

DISCORSI

Solzenicyn sulla lingua russa, Literaturnaya Gazeta

Solzenicyn sulla censura, IV congresso degli scrittori sovietici

«Negli ultimi tempi è di moda parlare del livellamento delle nazioni, della scomparsa delle differenze tra i popoli nel crogiolo della civiltà contemporanea. Io non lo credo affatto […]. Le nazioni costituiscono la ricchezza dell’umanità, ne rappresentano in ogni singolo popolo le diverse personalità incarnate, e ognuna di esse, anche la più piccola, è rivestita dei suoi propri colori, e serba in sé una sfaccettatura tutta sua del disegno di Dio». Aleksandr Solženicyn, Discorso per il premio Nobel, 1972

libertà e responsabilità dei mezzi d'informazione

libertà: dell'irresponsabilità?

un mondo in frantumi: il declino del coraggio

padiglione cancro

TRAMA

Pàvel Nikolàevič Rusànov, burocrate del partito, accompagnato dalla moglie, viene ricoverato nel padiglione oncologico di una città, non nominata, dell'Asia centrale, per un sospetto gonfiore al collo. Qui fa conoscenza, suo malgrado, con gli altri ammalati del reparto. Tra questi prova un'istintiva antipatia per Olèg Filimonovič Kostoglòtov, "Spolpaossi" come lo definisce Rusànov, Dèmka, Ackmadžàn e tanti altri, provenienti dalle varie parti del vasto territorio sovietico.

“I ragazzi a scuola scrivono temi sull’infelice, tragica, distrutta e non so che altro ancora vita di Anna Karenina. Ma Anna era forse infelice? Ha scelto la passione ed ha pagato per la passione: questa è felicità! Essa era una persona orgogliosa e libera! ma se nella casa dove siete nati e vivete dalla nascita, entrano, in tempo di pace, uomini col pastrano e il berretto militare e ordinano a tutta la famiglia di lasciare quella casa e quella città entro ventiquattro ore prendendo con sé soltanto quello che riescono a portare le vostre deboli braccia? […] Perché dovrei rileggere Anna Karenina? Forse che questo non mi basta? […] Dove leggere un libro che parli di noi, di noi? fra cent’anni soltanto?”

Lo scrittore delinea i tratti salienti di ciascun personaggio e, in particolare, si sofferma proprio su Olèg Filimonovic, un ex topografo deportato dopo aver trascorso vari anni in un gulag: chiaro riferimento alla personale vicenda di Solženicyn. Olèg, segnato dalla dura prigionia, prova una particolare attrazione per la giovane infermiera Zòja.

A. Solzenicyn, "Padiglione Cancro", 1966

I PERSONAGGI:

La ragazza, lusingata dalla sua corte discreta, per non pregiudicare la libido dell'uomo, disobbediendo alle prescrizioni dei medici, evita di praticargli iniezioni di ormoni femminili che dovrebbero rallentare il progredire del suo male. Kostoglòtov è attratto anche dalla dottoressa Vèra Kornìl'evna, gentile e sorridente: un delicato sentimento, ricambiato da Vèra, che il carattere riservato di entrambi non consentirà di manifestare apertamente.

  • Oleg Filimonovic Kostoglotov;
  • Vera Kornil'evna Gangart;
  • Pavel Nikolaevic Rusanov;
  • Demka;
  • Zoja;
  • Ljudmila Afanas'evna Doncova

Olèg, dopo la diagnosi, viene temporaneamente dimesso: dovrà rientrare al reparto per sottoporsi periodicamente alla terapia. Uscito dall'ospedale, prima di prendere il treno per tornare nel confino di Uš-Terék, vaga per la città, indeciso se recarsi in casa di Vèra la quale, superando dubbi e timori, gli aveva fornito il suo indirizzo.

I PERSONAGGI

VALORI ESPRESSI DAI PERSONAGGI

  • Ivan Denìsovič Šuchov: il protagonista;
  • Alëška: un prigioniero di fede battista;
  • Bujnovskij: ex capitano della marina militare;
  • Fetjukòv: detto lo sciacallo;
  • Pavlo: l'ucraino vicecaposquadra;
  • Tsezar': intellettuale, spesso riceve pacchi di cibo che condivide;
  • Volkovoj: il rigido tenente delle guardie;
  • Andrej Prokof'evič Tjurin: il caposquadra della 104;
  • Kil'gas: il lettone;
  • Sen'ka Klevšin: il sordastro;
  • Gopčik: il ragazzo.

la passione per il lavoro preciso e compiuto, il snenso di responsabilità, l'onostà, l'umiltà, la disponibilit verso gli altri, la compassione, ecc.

Il comando e le guardie del campo

I detenuti che guidano le squadre e controllano i servizi (pridurki + criminali comuni)

I lavoratori delle squadre, i rabotjagi

La pubblicazione dell'opera - un resoconto della repressione e oppressione stalinista - costituì un evento straordinario per la storia letteraria dell'URSS, rompendo la tradizione consolidata delle manipolazioni grossolane del presente, tipiche del realismo socialista. Fu Nikita Chruščëv in persona a dare il proprio assenso alla sua diffusione, difendendolo davanti al presidium del Politburo, per dare forza alla sua campagna di destalinizzazione seguita al XX Congresso del 1956. Ciò che aveva colpito Chruščëv era la forza accusatoria dell'opera di Solženicyn contro i campi staliniani in un momento politico nel quale l'equilibrio di potere all'interno del Presidium tra lui e i suoi avversari s'era fatto precario: l'anno prima egli aveva clamorosamente deciso l'espulsione della salma di Stalin dal Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa a Mosca.

Il titolo originale, Sč-854 (numero di matricola nel Gulag del protagonista, Ivan Denisovič Šuchov), venne modificato prima della pubblicazione perché ritenuto troppo brutale dai censori sovietici. Il manoscritto fu sottoposto dall'autore già nel 1960 al direttore della rivista, Aleksandr Tvardovskij: comparve con un editing concordato col direttore, in diversi punti modificato e attenuato, per gli stessi problemi di censura. La pubblicazione del primo romanzo sui lager staliniani ebbe un effetto dirompente, svelando al popolo russo la verità fino allora occultata dei campi di lavoro coatto dell'Asia centrale, della Siberia Orientale, dell'estremo nord, dove milioni di esseri umani erano morti. La tiratura iniziale di centomila copie della rivista andò esaurita in poche ore.

LA GENESI

UNA GIORNATA DI IVAN DENISOVIC (FILM)

"Amerigo Ormea uscì di casa alle cinque e mezzo del mattino". "Come sempre, alle cinque del mattino, suonarono la sveglia".

L. Calvino, "La giornata d'uno scrutatore"

solzenicyn e calvino

A. Solzenicyn, "Una giornata di Ivan Denisovic"

I. Calvino, "La coscienza imbalsamata"

I. Calvino sulla situazione in URSS

IL PRIMO CERCHIO

Solzenicyn, laureato in fisica e matematica, fu mandato nella Śaraśka, il gulag dove venivano inviati gli "intellettuali". In questo "campo di prigionia leggera", come veniva chiamato, i prigionieri svolgevano lavori tecnici, di aiuto allo Stato.

ARCIPELAGO GULAG

Nell'opera, l'autore fa luce sulle condizioni di vita dei prigionieri dei gulag, descrivendo nel dettaglio le continue torture, fisiche e psicologiche, a cui erano sottoposti i prigionieri.

<<Guardando il mondo con occhi e intuizioni da artista, lo scrittore scopre, prima degli altri e sotto forme inattese, molti fenomeni sociali. In questo sta il suo talento, e da ciò gli deriva il dovere di parlare alla società di ciò che vede o perlomeno di ciò che è insano e rappresenta un pericolo. La letteratura russa si è sempre rivolta a quelli che soffrono. Da noi a volte si sostiene che bisogna abbellire la realtà e scrivere del domani: ma questo è un falso, la letteratura che ne deriva è una pericolosa forma di cosmesi... L'obbligo più importante dello scrittore è nei confronti dell'uomo prima che della società. La vita dell'individuo non è sempre identica a quella della società, non sempre il collettivo aiuta la persona... L'uomo è un'individualità fisiologica e spirituale prima che un membro della società [..]. Nel nostro tempo in cui la tecnica s'impadronisce della vita, il benessere è considerato il massimo traguardo, s'affievolisce ovunque lo spirito religioso, lo scrittore ha doveri particolari, deve preoccupare più di un posto lasciato vuoto. Nel problema dei rapporti reciproci tra il proprio tempo e l'eterno tra lo scrittore deve mantenere una posizione di equidistanza. Se le sue opere saranno semplicemente attuali, se non vedranno il mondo sub specie aeternitatis, esse avranno vita breve. Se invece egli dedicherà troppa attenzione all'eternità trascurando il presente, allora la sua opera perderà colore, forza, respiro. Lo scrittore è sempre tra Scilla e Cariddi: non deve dimenticare né l'una né l'altra... D'altra parte non è un errore irreparabile se la società è stata ingiusta verso un suo scrittore: ciò deve servirgli da prova. Non è bene viziare troppo gli scrittori. In molti casi la società è stata davvero ingiusta verso uno scrittore, ma questi è spesso riuscito ad assolvere ugualmente la sua missione. Lo scrittore deve essere pronto a sopportare l'ingiustizia: qui sta il rischio mai facile. L’unione scrittori non può più tollerare l'asservimento che la nostra letteratura patisce da decenni ad opera della censura, un istituto illegale, non previsto dalla Costituzione, che mascherandosi dietro la sigla del Glavlit consente ad analfabeti di intervenire arbitrariamente sul lavoro degli scrittori impedendo loro di esprimere giudizi sulla vita morale dell'uomo e della società. Opere eccellenti di giovani autori sconosciuti vengono oggi respinte dalle redazioni soltanto perché ' non passerebbero'. Molti membri dell'Unione scrittori e anche delegati di questo congresso sanno di non aver resistito alla pressione della censura: hanno accettato di cambiare pagine e titoli pur di vedere pubblicate le loro opere... La parte migliore della nostra letteratura vede la luce travisata. Questo è tanto più grave quanto più cambiano sotto i nostri occhi i criteri usati dalla censura. Certe etichette (« ideologicamente dannoso», « viziato», « controrivoluzionario », « antisovietico») applicate a scrittori come Dostoevskij, Esenin, Majakovskij, Achmatova, Bunin, Bulgakov, Platonov, eccetera sono abolite o mutate in breve volgere di tempo. Soltanto la morte dello scrittore riesce talvolta a far rivivere certi nomi; così è per Pasternak, i cui versi oggi vengono perfino citati nelle cerimonie ufficiali. Ma la pubblicazione postuma dei libri e l'autorizzazione al ritorno di questi nomi non compensa né il danno sociale né quello artistico subito dal nostro popolo per questi ritardi mostruosi e per l'asservimento della coscienza artistica. Scrittori degli anni venti come Pil'njak, Platonov avevano denunciato molto presto i germi del culto della personalità e il carattere di Stalin, ma essi furono eliminati o soffocati anziché ascoltati. La letteratura non può svilupparsi entro i limiti del 'questo si può, questo non si può’. Una letteratura che non respira l'atmosfera della società a lei contemporanea, che non osa trasmettere alla società il proprio dolore e la propria ansia, che non è in grado di preavvertire al momento giusto sui pericoli morali e sociali incombenti, non merita nemmeno il nome di letteratura: al massimo può aspirare a quello di cosmesi. Una simile letteratura non ha neppure la fiducia del popolo, e i libri che la costituiscono non sono per la lettura ma per il macero. La nostra letteratura ha perso la posizione di preminenza che ebbe nel mondo alla fine del secolo scorso e al principio del Novecento, e lo splendore sperimentale degli anni venti. La vita letteraria del nostro paese oggi si presenta a tutto il mondo incomparabilmente più povera, uniforme e mediocre di quanto in effetti non sia per le limitazioni espressive che subisce. Questo comporta per il nostro paese un danno di fronte all'opinione pubblica mondiale e per la letteratura mondiale un impoverimento: se questa potesse disporre dei frutti della nostra letteratura, liberata dalle pastoie, sarebbe resa più profonda dalla nostra esperienza spirituale, e tutta l'evoluzione artistica del mondo prenderebbe una piega diversa, si rafforzerebbe, raggiungerebbe addirittura un nuovo livello di sviluppo.>>

La spaccatura del nostro mondo è evidente perfino a uno sguardo frettoloso. Qualsiasi nostro contemporaneo distingue infatti nel mondo quantomeno due forze contrapposte ormai in grado di annientarsi reciprocamente. Ma spesso ci si limita proprio a questa raffigurazione politica e all'illusione che il pericolo possa comunque essere scongiurato grazie a opportuni contatti diplomatici o all'equilibrio degli armamenti. In realtà il mondo è percorso da crepe più profonde, più larghe e più numerose di quanto non appaia al primo sguardo e questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per tutti noi di vari rischi mortali. Secondo l'antica verità per la quale qualsiasi regno diviso contro se stesso — oggi la nostra Terra — è destinato a perire.IL DECLINO DEL CORAGGIO Il declino del coraggio è nell'Occidente d'oggi forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Il coraggio civico ha disertato non solo il mondo occidentale nel suo insieme, ma anche ognuno dei paesi che lo compongono, ognuno dei suoi governi, ognuno dei suoi partiti, nonché, beninteso, l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante, e da qui deriva l'impressione che il coraggio abbia disertato la società nel suo insieme. Naturalmente ci sono ancora numerose persone individualmente coraggiose, ma non sono loro a dirigere la vita della società. I funzionari politici e intellettuali manifestano questo declino, questa fiacchezza, questa irresolutezza nei loro atti, nei loro discorsi e soprattutto nelle considerazioni teoriche che si premurano di esibire per dimostrarvi che questo modo d'agire, che basa la politica di uno Stato sulla vigliaccheria e il servilismo, è pragmatico, razionale e giustificato da qualsiasi elevato punto di vista intellettuale perfino morale lo si consideri. Questo declino del coraggio, che sembra talvolta arrivare fino alla perdita di ogni traccia di virilità, assume poi una particolare sfumatura ironica nei casi in cui i medesimi funzionari sono presi da subitanei accessi di braveria e intransigenza nei confronti di governi senza forza, di paesi deboli che nessuno sostiene o di correnti condannate da tutti che manifestamente non sono in grado di reagire in alcun modo. Ma la loro lingua si secca e le loro braccia si paralizzano di fronte ai governi potenti e alle forze minacciose, di fronte agli aggressori e all'Internazionale del terrore. C'è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato, sin dai tempi antichi, il segno precorritore della fine?

La "verità" in nome della quale Solgenitsin parla è qualcosa che sta tra il senso co-mune, l'umanitarismo tolstoiano e lo spirito d'una Russia eterna. Non è la coscienza intellettuale, ma il fondo tradizionale della coscienza popolare, che riprende forza quando lo sviluppo della coscienza rivoluzionaria è imbalsamato dal sistema: la coscienza religiosa. Non si può sottovalutare la componente religiosa esplicita o implicita nella morale di Solgenitsin e d'altri scrittori del dissenso. L'inettitudine della cultura ufficiale che ha avuto paura di usare il marxismo per spiegare cos'è accaduto del socialismo da Stalin in poi, ha avuto come risultato inevitabile la rivincita della religione come solo punto di riferimento comune tra gli intellettuali e le masse. Questi caratteri distanziano Solgenitsin, più ancora che dall'intellighenzia sovietica ufficiale, da tutti i modi di pensare vigenti tra gli intellettuali d'occidente: lo confermano come figlio di quella rivoluzione, di quel socialismo cui egli rifiuta di rendere omaggi verbali; lo fanno d'ora in poi un esule senza integrazione possibile.

I. Calvino, la coscienza imbalsamata (L'esilio di Solzenitsin), Settegiorni, VIII, 347, 24 febbraio 1974, p.49

Il romanzo non presenta interruzioni né divisione in capitoli: gli avvenimenti e i pensieri dei personaggi, specialmente di Ivàn, sono descritti con calda partecipazione. La lingua scelta da Solženicyn è quella usata nei Gulag: un parlato scorretto e sorgivo, in aperta ribellione al frasario normativo artificiale del regime, agli obblighi linguistici del realismo socialista.

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<<Sin dai tempi di Pietro il Grande la lingua scritta è sofferente: sia il vocabolario sia la struttura grammaticale e sintattica hanno risentito negativamente degli interventi autoritari, dell'influsso esercitato dal ceto istruito che pensava in francese, della disinvoltura dei traduttori, della fretta di chi conosceva il prezzo del tempo e del pensiero ma non della parola. Il patrimonio lessicale si è costantemente impoverito, perché non ci si è sforzati di trovare le parole giuste, ci si è vergognati della « rozzezza» di certi termini russi, considerati inadeguati ad esprimere alti e moderni pensieri, e si è fatto ricorso, spesso senza necessità, a parole straniere. Per esempio, si è dato la preferenza ai sostantivi verbali di genere neutro, sul modello tedesco, e si sono trascurati quelli, tanto più agili e forti, di genere maschile e femminile. Analogamente, si è sovrabbondato in sostantivi astratti, si è rinunziato alle possibilità offerte dal russo per la formazione degli avverbi. Soprattutto si è perduta la capacità di manovrare le parole, di combinarle e disporle con quella grazia vivace che è tuttora testimoniata dai proverbi. È proprio la struttura della lingua russa che è stata sconvolta. Poiché tuttavia, nella lingua parlata, i guasti sono assai minori, abbiamo motivo di sperare. Se gli scrittori, agendo con la debita cautela, sapranno ampliare il loro vocabolario, molti tesori nascosti torneranno in vita, e tutta la nostra letteratura ne uscirà rafforzata [..].A mio avviso stiamo vivendo decenni decisivi, e siamo ancora in tempo a correggere gli sbagli, discutendone tutti insieme, mettendoci a confronto, costringendoci a una critica severa. Siamo noi stessi, con la nostra penna frettolosa, i responsabili dei danni inferti alla lingua scritta. Bisogna andare più piano, verificare la corsa. Siamo ancora in tempo a eliminare il gergo giornalistico, a correggere la struttura della lingua russa per restituirle facilità e libertà di discorso. Seguendo il consiglio di Dal', potremo tutti insieme, a poco a poco, sostituire il brutto col bello, il lungo col breve, lo scuro col chiaro, l'insulso con l'espressivo. »

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Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio fra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. Un uomo politico che voglia realizzare, nell'interesse del suo paese, una qualche opera importante, si trova costretto a procedere a passi prudenti e perfino timidi, assillato da migliaia di critiche affrettate (e irresponsabili) e bersagliato com'è dalla stampa e dal Parlamento. Deve giustificare ogni passo che fa e dimostrarne l'assoluta rettitudine. Di fatto è escluso che un uomo fuori dell'ordinario, un grande uomo che si riprometta di prendere delle iniziative insolite e inattese, possa mai dimostrare ciò di cui è capace: riceverebbe tanti di quegli sgambetti da doverci rinunciare sin dall'inizio. Ed è così che col pretesto del controllo democratico si assicura il trionfo della mediocrità. Per contro è cosa facilissima scalzare l'autorità dell'Amministrazione, e in tutti i paesi occidentali i poteri pubblici si sono considerevolmente indeboliti. La difesa dei diritti del singolo giunge a tali eccessi che la stessa società si trova disarmata davanti a certi suoi membri: è giunto decisamente il momento per l'Occidente di affermare non tanto i diritti della gente, quanto i suoi doveri. Al contrario della libertà di fare il bene, la libertà di distruggere, la libertà dell'irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d'azione. La società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro l'utilizzo della libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch'esso una libertà, il cui contrappeso teorico è la libertà per i giovani di non andarli a vedere. Così la vita basata sul giuridismo si rivela incapace di difendere perfino se stessa contro il male e se ne lascia a poco a poco divorare. E che dire degli oscuri spazi in cui si muove la criminalità vera e propria? L'ampiezza dei limiti giuridici (specialmente in America) costituisce per l'individuo non solo un incoraggiamento a esercitare la sua libertà ma anche un incitamento a commettere certi crimini, poiché offre al criminale la possibilità di sfuggire al castigo o di beneficiare di un'immeritata indulgenza, grazie magari al sostegno di un migliaio di voci che si leveranno in suo favore. E quando in un paese i poteri pubblici affrontano con durezza il terrorismo e si prefiggono di sradicarlo, l'opinione pubblica li accusa immediatamente di aver calpestato i diritti civili dei banditi. Ci sono al riguardo numerosi esempi. La libertà non ha così deviato verso il male in un colpo solo, c'è stata un'evoluzione graduale, ma credo che si possa affermare che il punto di partenza sia stato la filantropica concezione umanistica per la quale l'uomo, padrone del mondo, non porta in sé alcun germe del male, e tutto ciò che vi è di viziato nella nostra esistenza deriva unicamente da sistemi sociali erronei che è importante appunto correggere. Una cosa è strana: l'Occidente, dove le condizioni sociali sono le migliori, presenta una criminalità indiscutibilmente elevata e decisamente più forte che nell'Unione Sovietica, con tutta la sua miseria e disprezzo della legge. (Da noi, nei campi di lavoro, ci sono moltissimi detenuti definiti comuni, che in realtà, nella stragrande maggioranza, non sono affatto dei criminali, ma gente che ha cercato di difendersi con mezzi non giuridici contro uno Stato senza legge.)

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Una giornata di Ivan Denisovič (One Day in the Life of Ivan Denisovich) è un film del 1970 diretto da Caspar Wrede. Film di produzione norvegese-britannica basato sull'opera omonima di Aleksandr Isaevič Solženicyn.

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"Si rimane preoccupati da una atmosfera che si è creata in queste ultime settimane e che ha avuto manifestazioni rilevanti nelle riunioni di Mosca con gli scrittori e con gli artisti. Nell'URSS la letteratura è una tribuna dell'opinione pubblica e quindi un conflitto tra potere socialista e scrittori, che si risolve in un giro di vite dato alle possibilità di critica, diventa ancor più negativo perché segna un arresto o un passo indietro in un processo che sembrava portare a una maggiore dialetica tra potere e opinione pubblica."

Le parole di Calvino sono riportate in un articolo di Giuseppe Longo (G. Longo, Il giro di vite, «Il Gazzettino», 24 marzo 1963).

Anche la stampa (uso il termine «stampa» per designare tutti i mass-media) gode naturalmente della massima libertà. Ma come la usa? Lo sappiamo già: guardandosi bene dall'oltrepassare i limiti giuridici ma senza alcuna vera responsabilità morale se snatura i fatti e deforma le proporzioni. Un giornalista e il suo giornale sono veramente responsabili davanti ai loro lettori o davanti alla storia? Se, fornendo informazioni false o conclusioni erronee, capita loro di indurre in errore l'opinione pubblica o addirittura di far compiere un passo falso a tutto lo Stato, li si vede mai dichiarare pubblicamente la propria colpa? No, naturalmente, perché questo nuocerebbe alle vendite. In casi del genere lo Stato può anche lasciarci le penne, ma il giornalista ne esce sempre pulito. Anzi, potete giurarci che si metterà a scrivere con rinnovato sussiego il contrario di ciò che affermava prima. La necessità di dare un'informazione immediata e che insieme appaia autorevole costringe a riempire le lacune con delle congetture, a riportare voci e supposizioni che in seguito non verranno mai smentite e si sedimenteranno nella memoria delle masse. Quanti giudizi affrettati, temerari, presuntuosi ed erronei confondono ogni giorno il cervello di lettori e ascoltatori e vi si fissano! La stampa ha il potere di contraffare l'opinione pubblica e anche quello di pervertirla. Così, la vediamo coronare i terroristi del lauro di Erostrato, svelare perfino i segreti della difesa del proprio paese, violare impudentemente la vita privata delle celebrità al grido «Tutti hanno il diritto di sapere tutto» (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n'è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l'uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affatto bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti). È nella stampa che si manifestano, più che altrove, quella superficialità e quella fretta che costituiscono la malattia mentale del XX secolo. Penetrare in profondità i problemi le è controindicato, non è nella sua natura, essa si limita ad afferrare al volo qualche elemento di effetto. E, con tutto questo, la stampa è diventata la forza più importante degli Stati occidentali, essa supera per potenza i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma chiediamoci un momento: in virtù di quale legge è stata eletta e a chi rende conto del suo operato? Se nell'Est comunista un giornalista viene apertamente designato dall'alto come ogni altro funzionario statale, chi sono gli elettori cui i giornalisti occidentali devono invece la posizione di potere che occupano? E per quanto tempo la occupano? E con quale mandato? E infine c'è un altro tratto inatteso per un uomo che proviene dall'Est totalitario, dove la stampa è rigidamente unificata: se si considera la stampa occidentale nel suo insieme, si scopre che anch'essa presenta degli orientamenti uniformi, nella stessa direzione (quella del vento del secolo), dei giudizi mantenuti entro determinati limiti accettati da tutti, e forse anche degli interessi corporativi comuni, e tutto ciò ha per risultato non la concorrenza ma una certa unificazione. E se la stampa gode di una libertà senza freno, non si può dire altrettanto dei suoi lettori: infatti i giornali danno rilievo e risonanza soltanto a quelle opinioni che non sono troppo in contraddizione con quelle dei giornali stessi e della tendenza generale della stampa di cui si è detto.