Want to create interactive content? It’s easy in Genially!
HISTORY BREAKOUT
Caterina Iovino
Created on November 18, 2023
Start designing with a free template
Discover more than 1500 professional designs like these:
View
Adventure Breakout
View
Team Building Mission Escape Game
View
Onboarding Escape Game
View
Christmas Escape Room
View
Flags Challenge
View
Museum Escape Room
View
Education Escape Room
Transcript
le prime iscrizioni in latino
E CONFRONTO con testi italici contemporanei
INCIPE
INDEX
oggetti parlanti
cippi
EXORDIUM
ringraziamenti
ALTRI REPERTI
Tabulæ Iguvinæ
EXORDIUM
Le prime iscrizioni in latino in nostro possesso risalgono al periodo tra il VII e il VI secolo a.C.. La scrittura è utilizzata per fini pratici, per dediche di oggetti, per leggi e regolamenti. Particolare importanza rivestono gli Annales Maximi, registrazioni di avvenimenti annuali curate dal pontefice ed esposte fuori dalla sua abitazione su tavole imbiancate (tabulae dealbatae). La narrazione annalistica tipica della successiva storiografia latina dipenderà da essi. Le più antiche testimonianze di scrittura trovate a Roma, tuttavia, risalgono all'inizio dell'VIII e VII secolo e sono greche ed etrusche. Nella penisola, inoltre, sono parlate anche altre lingue come il sabino, il falisco, l'osco-umbro.
di più+
i categoria
cippi
incipe
cippusabellanus
DOV'è CONSERVATO
TESTO
COS'è
COS'è
Scoperto nel 1751 ad Avella, da parte del sacerdote di origini genovesi Remondini, che portò la pietra al Seminario di Nola, questo ritrovamento ha dato luogo a un susseguirsi di importanti studi della lingua osca (molto simile all’etrusco) da parte di eminenti studiosi, fra cui spicca il nome del Mommsen (tedesco, nel 1851 pubblicò l’opera dei dialetti dell’Italia antica e gli elementi di grammatica osca). E' una lastra di pietra calcarea alta 192,5 cm (7 piedi italici), larga 55 cm (due piedi) e spessa 27,5 cm (1 piede). Le lettere, invece, sono alte in media 3,5 cm. Il testo, abbastanza lungo, è pertinente al trattato stipulato tra le città di Abella e Nola e avente come oggetto un santuario di Ercole costruito in luogo comune. Può essere datato intorno al II secolo a.C..
TESTO
Il testo è in alfabeto sannitico di tipo evoluto, con segni divisori puntiformi o a croce. Nel lato A sono registrati i nomi dei due magistrati che presiedono le delegazioni e l'oggetto della convenzione che sono tenuti a stipulare; Nel lato B viene stabilità la norma sull'edificabilità, con disposizioni sulle rispettive proprietà e l'uso, le aree non edificabili, la gestione del tesoro e la costruzione di una strada che attraversa l'area comune.
DOV'è CONSERVATO
Ad oggi è ancora custodito presso il Seminario Vescovile di Nola
CIPPO DI PERUGIA
DOV'è CONSERVATO
TESTO
COS'è
COS'è
Rinvenuto nel 1822 sul colle San Marco, insieme a due segnacoli minori, forse piccoli cippi a colonnetta, e all’imboccatura in terracotta di un pozzo. La base del cippo, più grossa e appena sbozzata, in origine doveva rimanere interrata: solo la parte rifinita e levigata sporgeva dal terreno, mostrando l’eccezionale iscrizione etrusca.Secondo gli archeologi, si tratta di un cippo confinario tra le proprietà di due famiglie etrusche. Il testo è la trascrizione di un documento di archivio: un atto giuridico tra le due famiglie dei Velthina e degli Afuna.
TESTO
L’iscrizione, redatta nell’alfabeto usato nell’Etruria settentrionale interna e in particolare a Perugia tra il III e il II sec. a.C., si svolge da destra a sinistra per 24 righe sulla faccia principale, e prosegue per altre 22 righe sul fianco sinistro (secondo la stessa logica dell’andamento della scrittura etrusca). Sulla faccia principale si individuano almeno quattro paragrafi. Sul fianco sinistro le parole sono separate da un punto, mentre sulla fronte tale scansione sembra fatta solo per evidenziare parti del testo (nomi di persona, formule, ecc.). Simmetrie nella collocazione di parole simili o assonanti farebbero pensare a una struttura retorica para-poetica.
DOV'è CONSERVATO
Oggi è conservato nel Museo Archeologico Nazionale dell'Umbria (MANU)
CIPPO DEL FORO
DOV'è CONSERVATO
COS'è
TESTO
COS'è
Durante la campagna di scavo del 1899, a Roma, l’archeologo Giacomo Boni portò alla luce il cosiddetto “Cippo del Foro”(VI secolo a.C.), al di sotto di una pavimentazione quadrangolare in marmo nero nota come lapis niger, e lo associò a un frammento di Sesto Pompeo Festo, un grammatico latino di II-III secolo d.C..La collocazione del cippo piramidale in pietra tufacea nell’area del Comitium, una zona del Foro Romano in cui, in epoca repubblicana, i cives Romani erano soliti adunarsi per eleggere i magistrati e votare le leggi, segnava un locus funestus, cioè il luogo in cui scomparve il fondatore dell’Urbe (però diversi studiosi escludono che fosse la tomba di Romolo). Data l’importanza del luogo, il testo inciso doveva avere uno scopo particolare: siccome, in epoca molto antica, soltanto un’élite di cittadini sapeva leggere, l’epigrafe, per essere fruibile ai più, richiedeva la mediazione di un sacerdote-interprete e le sue lettere apparivano magiche e sconvolgenti pure agli occhi degli analfabeti.
TESTO
Il cippo reca su ogni lato un'iscrizione bustrofedica in alfabeto di derivazione greco-etrusca.Tutto il contesto fa pensare a una lex sacra, contenente norme e disposizioni relative alle penalità, se non addirittura alle ἀποτροπαί (“maledizioni”) da scagliare contro quanti avessero tentato di violare l’area consacrata. Non a caso, sul monumento compare la formula sakrod esed (corrispondente al latino “classico” sacer esto). La storiografia romana di epoca repubblicana ha abituato a pensare che fino alla seconda metà del V secolo a.C. i Tarquini spadroneggiassero su Roma senza legge, decidendo le sorti dei cittadini secondo il loro capriccio. Evidentemente, l’iscrizione del Lapis Niger dimostra l’esatto contrario, e cioè che almeno fin dalla metà del secolo precedente la comunità romana disponesse di un’auto-regolamentazione scritta.
DOV'è CONSERVATO
Un calco è esposto al Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano. L'originale è presso il foro.
II CATEGORIA
OGGETTI PARLANTI
INCIPE
FIBULA PRAENESTINA
COS'è
TESTO
VII secolo a.C.
DOV'è
VASO DI DUENO
COS'è
TESTO
VII-V secolo a.C.
DOV'è
CISTA FICORONI
COS'è
TESTO
DOV'è
IV secolo a.C.
LE tavole eugubine
Le Tavole eugubine (Tabulæ Iguvinæ) sono sette tavole bronzee rinvenute nel XV secolo nel territorio dell'antica Ikuvium (Gubbio), sulle quali è iscritto un testo in umbro, relativo a complessi cerimoniali di lustrazione ed espiazione della città. Le tavole furono vendute al comune di Gubbio nel 1456.
Le tavole sono l'unica fonte per lo studio del popolo umbro e della sua lingua, oltre che per le sue pratiche religiose. Sembrano essere scritte in un metro poetico simile al saturnio, metro che si incontra nella prima poesia latina. Se si escludono brevissime iscrizioni epigrafiche sono anche gli unici testi in lingua umbra.
Cinque delle sette tavole sono scritte su entrambe le facce, mentre due (la terza e la quarta) sono scritte su un'unica faccia, per un totale di dodici facce. Il testo è redatto in lingua umbra e in alfabeto latino e umbro (un alfabeto simile agli altri alfabeti italici).
- Le prime tavole (dalla I alla IV) sono state scritte, probabilmente, intorno al III o al II secolo a.C., in caratteri umbri e lingua umbra.
- Le tavole VI e VII sono scritte in lingua umbra, ma con alfabeto latino e sembra che possano risalire al I secolo a.C.
- La tavola V è scritta in caratteri etruschi nella faccia a e nelle prime sette righe della faccia b. Le rimanenti righe (8-18) sono invece in caratteri latini.
III CATEGORIA
ALTRI REPERTI
INCIPE
PIETRA DI SATRICO
Il lapis Satricanus ("pietra di Satrico") è una pietra giallastra rinvenuta a Satricum (oggi località Le Ferriere nel comune di Latina) nel Latium vetus, datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. Il testo riportato è il seguente: [...]...IEI STETERAI POPLIOSIO VALESIOSIO / SUODALES MAMARTEI ovvero: "... posero di Publio Valerio / i compagni a Marte", oppure "I compagni di Publio Valerio donarono a Marte" Si tratta della base di un donario, reimpiegato come blocco nelle fondamenta del tempio dedicato alla Mater Matuta, dove venne trovato nel 1977 . L'iscrizione è in latino arcaico. Il nome di Publio Valerio, citato nell'iscrizione, ha fatto pensare che si potesse trattare di Publio Valerio Publicola, primo console repubblicano, insieme a Lucio Giunio Bruto nel 509 a.C.; l’iscrizione non si limita solo alla prova della storicità di Publio Valerio Publicola, ma conferma il ruolo di guida ricoperto dalla gens Valeria negli anni della difficile transizione dal regime monarchico a quello repubblicano consolare.
iscrizione funeraria di barbatO
Dalla prima metà del III secolo, la prestigiosa casata dei 𝐶𝑜𝑟𝑛𝑒𝑙𝑖𝑖 𝑆𝑐𝑖𝑝𝑖𝑜𝑛𝑒𝑠 ebbe il proprio mausoleo appena fuori 𝑃𝑜𝑟𝑡𝑎 𝐶𝑎𝑝𝑒𝑛𝑎, lungo la 𝑣𝑖𝑎 𝐴𝑝𝑝𝑖𝑎, secondo una consuetudine che cominciava proprio allora a consolidarsi in seno all’𝑒́𝑙𝑖𝑡𝑒 gentilizia romana. In effetti, la posizione di questi sepolcri appena fuori dagli accessi principali dell’Urbe, lungo gli assi viari più importanti, consentiva ai membri delle 𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒𝑠 di celebrare la gloria degli avi ed esaltare la propria autorappresentazione.
Come annotò Adriano La Regina (1968, 173), il sarcofago di Scipione Barbato (console nel 298 a.C.) ha suscitato più di una volta l’attenzione dell’indagine storico-filologica per la complessità e l’importanza dei problemi che esso pone. E si può dire che, sotto certi aspetti, lo studio del documento sia stato tutt’altro che completo e definitivo.
grazie per l'attenzione
Un lavoro della III CLM: Iovino Caterina, Dell'Orfano Greta, Mauriello Angela, Ragazzo Arianna
- Righe 1-2: menzionato un giudice o testimone ([t]eurat) di nome Larth Rezu, in presenza del quale è stretto (ame) un patto (vachr) tra le due famiglie.
- Riga 5: presente il concetto di “etrusco” o “pubblico” (rasnes), in connessione con la fonte del diritto cui si fa riferimento.
- Righe 5-6: la parola naper davanti al numerale XII indica probabilmente una misura di superficie.
- Riga 8: si fa esplicita menzione di confini (tularu).
- Righe 20-21: si allude alla tomba dei Velthina (Velthinathuras thaura).
TESTO
L'iscrizione recita MANIOS MED FHEFHAKED NUMASIOI, che in latino classico corrisponde a Manius me fecit Numerio ("Manio mi fece per Numerio"). L'andamento della scrittura è destrorso; le lettere hanno forma arcaica e sono simili a quelle greche rinvenute a Cuma.
la morfologia è arcaica, con il nominativo in –os, il dativo in –oi, il pronome personale di prima persona all'accusativo med, il verbo al perfetto nella forma con raddoppiamento: fhe fhaked; Nel 1977, la spilla venne esposta a Parigi a una mostra al Petit Palais sulla nascita di Roma. Grazie ai recenti esami, si è inoltre scoperto che la fibula era stata riparata anticamente con una lamina a foglia d'oro per nascondere una piccola frattura che si era formata nella staffa.
Gubbio era uno dei centri religiosi più importanti del “popolo antichissimo” degli Umbri che occupavano, al tempo dell’espansione di Roma, un territorio comprendente parti delle attuali Umbria, Marche e Romagna. Grazie alla sua posizione centrale, il territorio umbro è luogo di comunicazione, scambio e circolazione di materiali, tecniche, ideologie e modelli culturali. I riti di cui si parla nelle tavole sono officiati dai 12 membri della confraternita degli Atiedii (devoti al dio Ju-pater), che doveva aver avuto, in un primo momento, anche un ruolo nella gestione politica delle comunità coinvolte nelle cerimonie.
COS'è
Vaso in bucchero composto di tre tazze combacianti (kèrnos) rinvenuto a Roma, nel 188o, da Heinrich Dressel presso il versante sud del Quirinale, nel luogo dove era probabilmente un auguraculum con ufficio divinatorio, dedicato al culto di Iuppiter Latialis. La datazione di questo vaso oscilla dal VII sec. al III a. C.; più probabilmente, può essere datato alla seconda metà del V sec. a. C. L'iscrizione incisa sul kèrnos è uno dei più antichi documenti della lingua latina.La leggenda narra che il vaso contenesse una pomata che agiva come filtro d'amore. Nel mondo latino arcaico era diffusa l'usanza di incidere sugli oggetti artigianali una frase in prima persona (l'oggetto stesso spiegava la propria funzione, parlava del committente o del destinatario).
DOV'è CONSERVATO
Oggi, il vaso è conservato presso i Musei statali del castello di Charlottenburg, a Berlino.
TESTO
Solitamente l'attenzione dei visitatori è attirata dalla ricca decorazione incisa, ma non meno importante è l’iscrizione latina sul coperchio, ai piedi del gruppo di figure che forma la presa: "novios . plautios . med romai . fecid / dindia . macolnia . fileai . dedit" “Novio Plauzio mi ha fatto a Roma / Dindia Macolnia mi ha dato a (sua) figlia”.
COS'è
La Fibula Prenestina venne ritrovata nel 1876 nella Tomba Bernardini (Preneste - odierna Palestrina), situata nella necropoli che durante l’anno 1875 ricevette più attenzioni grazie al nuovo direttore Giuseppe Fiorelli, che iniziò ad usare nuove tecniche stratigrafiche e a musealizzare i reperti.
Tra la comunità scientifica iniziò fin da subito un acceso dibattito riguardo l’autenticità. Nel 1888 Giacomo Lignana analizzò la scritta e concluse le sue ricerche affermando che si trattasse di un falso. Su questa scia Giovanni Pinza la confrontò con altre fibule ritrovate a Chiusi e Volterra, e insieme all’orefice Augusto Castellani, concluse che si trattava di un falso, suggerendo persino il nome dell’artefice. Una delle voci più veementi nel sostenere la falsità fu sicuramente quella della glottologa, epigrafista e archeologa Margherita Guarducci, che in un convegno tenutosi all’Accademia del Lincei a Roma nel 1978 espose un’aspra critica nei confronti dell’archeologo e dell’antiquario, romanzando le loro vicende personali e ricostruendo i vizi e le poche virtù dei due che insieme avrebbero creato questo falso storico. Nel 2011, raffinate tecniche d'indagine (microscopio elettronico a scansione e microsonda elettronica) ne hanno dimostrato l'autenticità.
Parte Anteriore: Con Maggio Vestirico - figlio di Maio - che ha il sommo potere in Avella e con Maggio Justio, figlio di Maio - Rettore e Governatore di Nola - come pure con i legati Avellani e con i legati Nolani, che per ordine del proprio Senato - hanno gli uni e gli altri funzionato da Ambasciatori - si è fatta questa Convenzione: che il Tempio di Ercole il quale trovasi sul confine - e quella terra che sta presso quel Tempio, e si trova di fuori tra i termini, dove esattamente confina la pietra terminale per comune legge - quel Tempio e quella saranno comuni in un comune territorio. Nel frutteto pio di quel tempio e di quella terra, saranno i frutti comuni all'uno ed all'altro popolo. Ma i frutti dei Nolani saranno nel confine del Tempio di Ercole: quelli degli Avellani..... Parte Posteriore: Se poi qualcuno vorrà dividere il loro territorio, limiterà soltanto quel terreno - che sta dopo di là - dove si stabilì il confine del Tempio di Ercole - oltre quelle contrade limitate dal detto Tempio - alla via ove si trova. Dopo tal confine, per ordine del proprio Senato, sarà lecito dividere il terreno e con tal misura - che tutto ciò che spetterà alla divisione di Nola - per diritto sia dei Nolani. Parimenti, se qualche cosa, apparterrà ad Avella; sia degli Avellani - con tale misura e con tale diritto. Ma in quella terra che è limitata dietro le borgate e non occupata dalla Divisione Nolana ed Avellana - non vi è appartenenza, né di Nola, né di Avella. Se scoprono un tesoro in quella Terra, per ordine pubblico, tutto ciò che si trovi in esso fuori dal diritto altrui, lo consegnino all'altro. Se tra il confine di Avella e di Nola - vi si trova una strada curva - in mezzo a tale strada si pianti un termine.
DOV'è CONSERVATA
La cista fu ritrovata a Palestrina da Francesco de' Ficoroni, antiquario, nel 1738. Passò poi al Museo kircheriano per poi finire nella collezione del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, dove tuttora si trova.
COS'è
La Cista Ficoroni probabilmente è la più bella cista giunta fino a noi e sicuramente la più famosa: si tratta di un contenitore per oggetti da toeletta e cosmetici realizzato fra il 350 e il 330 a. C. Deve il nome a Francesco Ficoroni, antiquario settecentesco e primo possessore.Fu prodotta da Novio Plauzio, un artigiano tanto abile e celebre da attirare presso la propria bottega clienti da varie città del Lazio.
Fu (quasi) certamente un dono di nozze destinato alla figlia di Dindia Macolnia, una ricca dama di Praeneste (l’odierna Palestrina), e accompagnò la proprietaria per il resto della sua vita, prima di essere deposta nella sua tomba.
DOV'è CONSERVATA
La fibula è esposta al Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini a Roma. Una sua riproduzione moderna è esposta nella collezione epigrafica del Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano.
TESTO
- L'iscrizione recita:
- La trascrizione in latino arcaico potrebbe essere:
- In italiano, la traduzione più accreditata è la seguente:
"iovesat deivos, q<u>oi med mitat: nei ted endo cosmis virco sied, as(t)ted noisi ope toitesiai pacari vois! duenos med feced en manom einom duenoi: ne med malos (s)tatod!"
"Giura per gli dèi, colui che mi manda, che se una ragazza non sarà carina con [te, . . . vuoi diventarle amico. Una persona onesta mi ha fabbricato per un buon uso: . . . non usarmi per un [fine cattivo."