La dignitas è l' auctoritas
La dignitas nell'arte
La dignitas è un concetto che gli scrittori romani riferiscono spesso all'arte e in cui confluiscono il decoro, la grandiosità, la gravità, talvolta in paragoni fra eloquenza ed arti figurative, ma soprattutto riguardo all'architettura, la più severa delle arti.L'architettura per i Romani deve unire l'utilitas alla dignitas, come esprime ad esempio Cicerone quando parla delle colonne sostenenti templi e portici con dignità e utilità,Vitruvio nell'ordine dorico parla di formae dignitas e vede accanto alla dignitas anche la venustas nelle basiliche simili a quella di Fano.
la perfidia ovvero l'antifrasi della fides
Unit 02
Non è sentito in maniera altrettanto forte e cavalleresca il valore della fides dai Greci. Secondo Teognide il dilagare della perfidia tra i Greci è associato al decadere dell’aristocrazia dei proprietari terrieri.Il poeta elegiaco denuncia la malafede come caratteristica dei kakoiv,che nel mondo greco erano gli ignobili. Al tempo della repubblica romana la slealtà veniva attribuita agli schiavi. Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[9] al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la santa protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
La perfidia plus quam punica di Annibale e quella italica di Machiavelli avrebbero comunque avuto dei maestri negli Elleni. La slealtà di Annibale sarebbe derivata da Sileno uno dei suoi maestri greci: “Il più odioso dei vitia rinfacciati ad Annibale, la sua perfidia, la slealtà maligna e senza scrupoli di cui il Cartaginese si era infinite volte macchiato, era figlia, in effetti, dell’educazione greca e non dell’indole punica”. In questo caso ciò che i Greci chiamano fides è una forma di ostinazione in un vizio riprorevole.
Riccardo III di Shakespeare parla della necessaria ipocrisia dell’uomo di potere: "dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così io rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi ritagli sottratti alla Sacra Scrittura, e sembro un santo quanto più faccio il diavolo. Queste parole costituiscono il codice dell’uomo di potere." "Ora io credo che sapere ingannare sia “odiosa sapienza”. Sicché non voterò i politici che abbiano dato prova di perfidia plus quam punica, cioè italica. Il comportamento di alcuni di loro nell’affare Cancellieri esemplarmente negativo, è stato negativamente emblematico."
Machiavelli discepolo dei Greci, in particolare di Plutarco, che ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". Di Plutarco nel Medioevo si preferivano i Moralia e fu solo l’arrivo dei dotti greci in Italia, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, a rilanciare la lettura delle Vite parallele, che divennero da allora in poi il suo principale testo di riferimento. Si pensi soltanto a Machiavelli, che ne acquistò una copia in traduzione latina a Bologna nel 1502 e ne trasse ispirazione per la sua intera opera
constantia et Inconstantia
CONSTANTIA
la fermezza,la costanza, l'invariabilità; deriva dal participio presente del verbo constare (cum stare), quindi stare fermo.La ritroviamo anche nella filosofia romana, nel De constantia sapientis di Seneca,per esempio, cui tra le citazioni più celebri ''etiam si premeris et infesta vi urgere, cedere tamen turpe est: adsignatum a natura locum tuere. Queris quis hic sit locus? Viri.'', tradotto come: ''Anche se sei incalzato e oppresso da una forza ostile,è tuttavia una vergogna ritirarsi: difendi il posto che la natura ti ha assegnato. mi chiedi quale sia questo posto? quello di uomo.''
INCONSTANTIA
indica l'incostanza, la contraddizione e in generale l'instabilità; a differenza della constantia ha un'accezione molto negativa, nella poesia di Catullo viene spesso vista in relazione con le sue relazioni amorose,per sottolinearne l'instabilità emotiva; si trova ancora nella metamorfosi di Ovideo, in cui si sottolinea il concetto di mutabilità, evidenziando come tutto nella vita sia soggetto a cambiamenti inevitabili. Si usa anche in ambito giurisdizionale,nell'espressione ''testimonorium inconstantia'', in italiano ''contraddizione delle testimonianze'', per esempio.
MOS MAIOURUM
Virtutes et vitia
la fides nel mondo romano
Unit 01
Conosciuta come Fides Publica e Fides Publica Populi Romani è la più antica virtù in veste di Dea onorata a Roma. Fides era la Dea romana della lealtà e della fedeltà, soprattutto del cittadino, civile o militare, verso Roma come suolo patrio e al suo ordinamento, sia gerarchico che legislativo. I giuramenti presi nel nome di questa Dea erano considerati i più inviolabili tra tutti. I Cristiani la rappresentavano seduta sopra un liocorno, condotto da un angelo e una vergine; perchè la castità, raffigurata nel liocorno, è sorretta dalla fede. Della Dea si hanno le prime notizie nel III secolo a.c. quando le viene dedicato un tempio sul Campidoglio dal console Aulo Atilio Calatino, un politico e generale romano che combatté durante la Prima guerra punica.
Il tempio, eretto in area Capitolina, sulla sommità del colle, probabilmente sul bordo meridionale di questa, era posto molto vicino al tempio di Opi, Dea della fertilità e della abbondanza. Come a creare un connubio tra Fides e prosperità. La sua importanza era incalcolabile, poichè, come Iside egizia era la Dea della mano sinistra e di tutto ciò che era connesso alla gestualità e le azioni di questa mano, Fides era la Dea della mano destra, e di tutto ciò che era connesso alla gestualità e le azioni di questa mano.
Eletto console nel 254 a.c., insieme a Gneo Cornelio Scipione Asina, espugnò Palermo insieme al collega, ma solo Asina ottenne il trionfo per cui è improbabile abbia dedicato il tempio in ringraziamento in questa occasione.Invece dopo il disastro della battaglia di Trapani Aulo Atilio fu eletto dittatore e guidò un esercito in Sicilia. Forse in questa occasione votò, e fece erigere un tempio alla Speranza nel Foro Olitorio e uno alla Fede sul Campidoglio. Si suppone però che il tempio fosse ricostruito su un più antico santuario dedicato alla Dea medesima, e il fatto che fronteggiasse il tempio di Giove fa ritenere che il suo culto fosse più arcaico oltre che importantissimo.
Alla Dea venivano offerti sacrifici con la mano destra avvolta in un panno bianco e nel suo tempio si sacrificava solennemente il primo d'ottobre. Il sacrificio veniva compiuto dai Flamini, forse dai tre Flamini maggiori: i sacerdoti di Giove, Marte e Quirino che si recavano al tempio su una biga coperta. La mano destra era coperta perchè considerata consacrata alla Fides, ovvero alla fedeltà, una specie di guanto bianco a garanzia di purezza e lealtà. Mucius Scaevola, che perse la sua mano destra per una promessa non mantenuta, quella di istigare i romani a non recedere dalla battaglia, sia pure per spirito patriottico, è l'illustrazione di questa mitica fede.
Il rito con la mano coperta è attestato anche in Umbria connesso al Dio Fisu Sakio, che era la copia del Dius Fidius. A Roma invece fidius era un aspetto di Jupiter che veniva onorato in realtà per onorare la Fides. Il giuramento era sostenuto come oggi dalla mano destra alzata, e come la mano sinistra cara ad Iside era la mano del cuore e dei sentimenti, quella destra è la mano della razionalità che assume e mantiene impegni nel sociale, è la mano della legge. Il suo culto venne abbandonato per buona parte del I sec. a.c. ma venne probabilmente restaurato da Augusto, così attaccato agli antichi culti, e c'è da aspettarsi che da qualche parte venga fuori la Fides Augusta, come si sono trovate l'Equitas Augusta, la Felicitas Augusta, la Concordia Augusta, la Salus Augusta, la Fortuna Augusta, la Spes Augusta e la Pax Augusta. Divenne una divinità importante soprattutto per gli imperatori che volevano assicurarsi, celebrandola, la fides militum, la lealtà dei soldati.
Il suo tempio, visibile da molte parti di Roma, garantiva la fedeltà ai contratti, alle transazioni e alle promesse deicittadini romani tra loro e tra i cittadini romani e i popoli stranieri. Trattati e documenti militari venivano scolpiti su tavole affisse sulle pareti del tempio fino alla fine del I sec. d.c. Le molte rappresentazioni di Fides sulle monete dimostrano che il suo culto si protrasse anche oltre il I sec. d.c La Bona Fides era il presupposto per ogni contratto ma pure per una promessa, che riguardasse un'amicizia o una promessa di matrimonio. Non a caso la legge attuale tiene ancora conto della salvaguardia, nei contratti, dei terzi "in buona fede".
Catullo: Alfeno, il traditore della fides "O Alfeno, ormai, sleale, non esiti ad ingannarmi, tradirmi? Ed agli dei del cielo non piacciono le cattive azioni degli uomini che ingannano. Ma tu non te ne dai pensiero e mi abbandoni, me sventurato, nei mali. Eppure proprio tu mi invitavi ad affidarti la mia anima. Se tu ti sei dimenticato, tuttavia gli dei ricordano, si ricorda la Fides, che un giorno farà in modo che tu ti penta della tua azione."
PUDOR il pudore è un attitudine dell'individuo dettata da un sentimento di riserbo, discrezione e intimità; è legato alla relazione con l'altro regolata da regole di comportamento vigenti in una determinata società Etimologia
Il termine pudore discende dal latino pudor (derivato di pudere, "aver vergogna"), che esprimeva sentimenti di riserbo, ma anche di disagio o avversione, nei confronti di atti, parole, allusioni, comportamenti. In tale accezione, appare simile all'impiego del sintagma greco aidôs, che univa il sentimento dell'onore, della modestia, del timore, del ritegno e del rispetto in un unico termine; anche a Roma, infatti, il pudore "fa parte dell'identità civica" e, insieme con la fides e la pietas, può essere espresso sia da uomini che da donne.
Nell'accezione che riguardava il genere femminile, il latino conosceva anche il sintagma pudicitia, rappresentato da un'apposita divinità (con la cui effigie nel 270 a.C. vennero coniate monete), titolare di templi nell'Urbe. Anche in questa declinazione, comunque, il bene tutelato era più ampio della mera sfera sessuale, estendendosi alla "difesa della dignità femminile", sia pure con riferimento alla sola matrona che, proprio in quanto tale, era "fisicamente intangibile". Lucien Lévy-Bruhl ha per primo contestato la natura costante ed invariabile del pudore, collegandolo alle varie civilizzazioni succedutesi nella storia umana. Successivamente, a partire dalle società melanesiane, Margaret Mead ha, anche sotto questo profilo, dimostrato che le differenze tra i sessi non sono solo biologiche, ma anche istituzionalizzate dalle società.
La rilevanza antropologica del pudore ne fa emergere anche le varie manifestazioni e deformazioni , nonché i nodi psicopatologici. Eppure, per Maurice Merleau-Ponty, "la stessa ragione che ci impedisce di ridurre l'esistenza a corpo o alla sessualità ci impedisce anche di ridurre la sessualità all'esistenza", visto che "il pudore, il desiderio, l'amore sono incomprensibili se si tratta l'uomo solo come un fascio d'istinti". Quando è nato il senso del pudore?
quando nasce il pudore Di pudore si parla già nella Bibbia, ma anche nell'Odissea, a proposito della vicenda di Ulisse e Nausicaa, quando Ulisse si sveglia su una spiaggia sconosciuta, al suono di voci femminili e si copre gli organi genitali con delle foglie, per non presentarsi nudo alla principessa.
La dignitas è l' auctoritas
Che cos'è la dignitas?
La dignitas romana è la dignità e la situazione economica sufficientemente decente che danno prestigio al cittadino romano. Dignitas è uno dei risultati finali volti a visualizzare i valori dell'ideale romano e il servizio dello Stato nelle forme di primato, posizione militare e magistrature. Dignitas è il valore di reputazione, onore e stima. Così, un romano che mostrasse loro Gravitas, Constantia, Fides, Pietas e altri valori, sarebbe diventato un romano in possesso di Dignitas tra i loro coetanei. Allo stesso modo, attraverso questo percorso, un romano potrebbe guadagnare auctoritas.
Che cos'è l'auctoritas?
Il concerto di auctoritas esprime la capacità di esercitare attraverso la propria influenza, una funzione dirigente nella vita politica. Essa si fonda su fattori come I legame di amicitia o di clientela e anche per esempio sulla richezza materiale. L'auctoritas per chi la riconosce è più un rapporto di fides infatti nn si danno ordini ma consigli e suggerimenti che chi riceve dovrebbe accettare è quindi una sottomissione volontaria..
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Abstinentia
Abstinentia-ae=disinteresse,onestà,integrità morale.L'abstinentia è una delle tante virtù romane interessata principalmente all'ambito politico della res publica, infatti capi di governo o coloro che avevano cariche publibiche dovevano avere questa virtù.Questo perchè non dovevano essere inclini all'abuso di potere o alla corruzione.Però può significare anche astinenza nella cultura Romana non bisognva mai esagerare nei piaceri della vita, ma allo stessto tempo non bisognava neanche astenersene .Nel culto romano la dea Clementia infondeva nei generali e imperatori romani l'astinenza dall'ira e dalla corruzione
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Gravitas
Il concetto di gravitas è un'idea che deriva dall'antica Roma, dove era considerata una delle qualità essenziali di un uomo di successo e di potere. La gravitas era vista come la capacità di una persona di mostrare serietà, dignità e autorevolezza in ogni situazione, con un comportamento riflessivo e rispettoso. Le origini del concetto di gravitas sono incerte, ma si pensa che risalgano al periodo repubblicano di Roma (509-27 a.C.). La gravitas era vista come una virtù fondamentale per i politici e i leader militari, che dovevano essere in grado di prendere decisioni importanti con saggezza e giudizio. E' citata persino da Cicerone nella sua opera "De Officiis".
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Fortitudo
“Fortitudo” in latino significa “Coraggio” o “Forza d’Animo” (“ἀνδρεία” in greco).Il coraggio chiamato anche valore o prodezza, è la scelta e la volontà di affrontare la sofferenza, il dolore, il pericolo, l'incertezza o l'intimidazione, specialmente in battaglia.La classica virtù fortezza si traduce anche con "coraggio", ma include gli aspetti della perseveranza e della pazienza. Un noto proverbio dice: "tanta pazienza, forza e coraggio, ché la vita è un oltraggio". Nella tradizione occidentale, notevoli pensieri sul coraggio sono venuti dai filosofi Socrate, Platone, Aristotele, Tommaso d'Aquino e Kierkegaard, così come dalle credenze e dai testi cristiani.Secondo Nietzsche, "Il coraggio è la mazza migliore: il coraggio ammazza anche la pietà."
Esempi di Gravitas
Nell'Impero
Una figura esempio di gravitas fu Gaio Muzio Scevola che, durante l'assedio etrusco a Roma, propose al senato di uccidere il generale rivale Porsenna. Così, si infilò nell'accampamento nemico e uccise quello che si rivelò essere un semplice comandante. Portato al cospetto di Porsenna, come punizione, si mise la mano destra in un braciere e non la tolse fino a che non fu completamente consumata. Da lì il soprannome “scevola”, ovvero “mancino”. Il re etrusco rimase colpito a tal punto dal valore del giovane che non solo decise di liberarlo, ma intavolò anche trattative di pace con i Romani.
Post-impero
Nel Rinascimento, il concetto di gravitas era un'idea importante in ambito artistico e letterario. Il poeta italiano Ludovico Ariosto, ad esempio, ha utilizzato il termine "gravità" per descrivere la serietà e l'importanza della sua poesia epica "Orlando Furioso". Il critico d'arte italiano Giorgio Vasari ha affermato che solo le opere che mostrano "peso" e "importanza", quindi gravitas, possono essere considerate veramente grandi. Inoltre, Machiavelli, in “Il Principe”, ha affermato che un principe deve essere in grado di prendere decisioni importanti con calma e razionalità.
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Frugalitas
“Frugalitas” in latino vuol dire “frugalità” o “parsimonia” (“εὐτέλεια” in greco)
La frugalità è la qualità di essere frugali, parsimoniosi, prudenti nel consumo di risorse come cibo, tempo o denaro, evitando sprechi, sfarzi o stravaganze.
Nelle fonti latine più antiche che possediamo (c. 200 a.C.), in particolare viene definito come “frugale” (frugi) quell’individuo di status umile – normalmente lo schiavo – che è ‘utile’ nel senso che è capace a portare a buon frutto gli incarichi che gli vengono assegnati dal padrone.
Sarà solo con Cicerone, poco dopo il 50 a.C., che “frugalitas” inizierà ad assumere un significato meno ‘modesto’, e a essere utilizzato per indicare un ideale di moderazione e temperanza materiale, caratteristico della filosofia storica, opposto al vizio della “luxuria” (“lusso, profusione della ricchezza”).
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Frugalitas
“Frugalitas” in latino vuol dire “frugalità” o “parsimonia” (“εὐτέλεια” in greco)
La frugalità è la qualità di essere frugali, parsimoniosi, prudenti nel consumo di risorse come cibo, tempo o denaro, evitando sprechi, sfarzi o stravaganze.
Nelle fonti latine più antiche che possediamo (c. 200 a.C.), in particolare viene definito come “frugale” (frugi) quell’individuo di status umile – normalmente lo schiavo – che è ‘utile’ nel senso che è capace a portare a buon frutto gli incarichi che gli vengono assegnati dal padrone.
Sarà solo con Cicerone, poco dopo il 50 a.C., che “frugalitas” inizierà ad assumere un significato meno ‘modesto’, e a essere utilizzato per indicare un ideale di moderazione e temperanza materiale, caratteristico della filosofia storica, opposto al vizio della “luxuria” (“lusso, profusione della ricchezza”).
La superbia nei diversi campi
In teologia
Nella religione cristiana la superbia è il più grave dei sette peccati capitali e consiste in una considerazione talmente alta di sè stessi da giungere al punto di stimarsi come principio e fine di sè, distaccandosi e disconoscendo la propria natura in quanto creatura di Dio offendendo il Creatore. A parlare di questo peccato è Dante, nel primo canto della Divina Commedia, quando incontra il leone (animale della superbia) assieme ad altri due animali. Questo si presenta in religione e mitologia greca nella forma della hybris, ovvero la orgogliosa tracotanza dell'uomo che si impone sugli dei sfidando il loro potere. Un esempio fondamentale di hybris è l'episodio di Aracne e Atena.
Nell'antica Roma
Nell'antica Roma, l'aggettivo superbo è associato all'ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo. Lucio Tarquinio, infatti, si è guadagnato questo soprannome con l'usurpazione del trono, l'assassinio e la negazione alla sepoltura del precedente re Servio Tullio. Quest'ultimo aveva dato in sposa a Lucio Tarquinio sua figlia Tullia Maggiore, poi uccisa dal marito per poter sposare sua sorella Tullia Minore. Con lei aveva poi organizzato una congiura contro Servio Tullio usurpandogli il trono, reclamandolo suo e della stirpe dei Tarquini
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Audacia
Il termine “audacia” deriva dal latino “audacia-ae” (dal verbo “audeo, es, ausus sum, asum, audere”) ed è il comportamento o disposizione istintiva in cui al coraggio si unisce la noncuranza o lo sprezzo del pericolo o del rischio. Audacia è una vox media, ovvero un termine che può avere più significati, anche opposti tra loro. Audacia possiede infatti un significato positivo ("determinazione", “coraggio”), ma anche uno negativo (“sfrontatezza”, “imprudenza”), che viene frequentemente usato in contesto politico per indicare l'animo rivoluzionario e distruttore nei confronti dell'autorità.
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Audacia
“Audentes fortuna iuvat” di Virgilio, è l'esortazione ad attaccare Enea rivolta da Turno ai suoi uomini, è un'espressione latina arrivata fino ai giorni nostri e tradotta letteralmente significa “il destino favorisce chi osa”.
“Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?” Cicerone qui è interessato solo nel rendere il suo nemico agli occhi dei senatori presenti un delinquente privo di sfumature positive e di rara crudeltà.
“Sed in iis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora conmiserat.” dal “De Catilinae coniuratione” di Sallustio. Nel caso di Sempronia c’è un’ulteriore stratificazione, dal momento che l'audacia viene connotata come “virile”, avvicinando il vocabolo al suo concetto positivo di “coraggio”. Per quanto non manchino nella tradizione romana esempi di donne coraggiose sembra di scorgere nell'uso di questo termine una connotazione negativa, come se Sempronia non fosse capace di stare al proprio posto, cosa che non poteva essere vista positivamente nella società tradizionale romana.
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Superbia
Il termine superbia deriva dal latino superbia, -ae (dall'aggettivo superbus, -a, -um, dal quale deriva inoltre il verbo superbio, -is, -ire ovvero "essere orgoglioso" e "insuperbire") e indica un'esagerata stima di se stessi e dei propri meriti (presunti o reali), che si manifesta con comportamenti altezzosi e sprezzanti nei confronti degli altri e con un ostentato senso di superiorità. Questo termine potrebbe anche essere inteso in modo positivo come "fierezza" o "orgoglio", ma in generale è considerato un tratto molto negativo nel carattere di una persona.
Luxuria
Da cosa deriva?
La parola "luxuria" è di origine latina. Deriva dal latino "luxuriosus", che a sua volta deriva dalla radice "luxus", che significa "eccesso" o "abbondanza". "Luxuria" in latino ha significati legati a "eccesso", "abbondanza", "profusione" e può essere associata all'idea di lussuria, lussuosità o sensualità eccessiva.
Qualche citazione
"Luxuria peccati, miseria puniti." - Seneca
(Traduzione: "La lussuria è il peccato, la miseria è la punizione.") "Luxuria sine temperantia, incendium sine modo." - Seneca (Traduzione: "La lussuria senza temperanza è un fuoco senza misura.") "Luxuriae aviditas fames perpetua est." - Seneca (Traduzione: "La cupidigia della lussuria è una fame perpetua.")
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Libido
“Libido” è un termine latino, che significa ‘desiderio’, da libere "essere piacevole, piacere," dalla radice *leubh- "prendersi cura, desiderare, amare".
Nella letteratura psicoanalitica, il termine può essere interpretato almeno in due modi: secondo Freud o secondo Jung.
Da un punto di vista sociolinguistico si evince immediatamente la disparità di considerazione tra i sessi maschile e femminile: a testimonianza del ruolo centrale della virilità nella cultura romana i sostituti di mentula (oscenità primaria per indicare l'organo maschile) sono infatti in netta maggioranza rispetto a quelli di cunnus (oscenità primaria per l'organo femminile).
La Pietas
La Pietas era l'atteggiamento romano del dovuto rispetto verso gli Dei, la patria, i genitori, i parenti, famigli e schiavi. All'inizio riguardava la famiglia e la fiducia e rispetto tra coniugi poi la concezione del rapporto si estese tra uomo e divinità, un senso di dovere morale nell'osservanza dei riti (il cultus) e nel rispetto agli Dei.
La definizione della pietas
come il comportamento di chi soddisfa a tutti i suoi doveri verso la divinità e il
prossimo ha il suo punto di partenza in Virgilio. Solo in Enea la pietas si realizza nella totalità dei suoi
aspetti – in propinquos, in socios, in patriam, in deos – e ne fa il più complicato
e tormentato dei personaggi virgiliani
Come anche altre vitù romane, anche la pietas era personificata come una dea, divinità preposta al compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato, delle divinità e della famiglia, i cui attributi erano dei bambini o una cicogna.
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L'invidia
<<Quando l’invidia infuria in tutta la sua violenza contro di essa risulta impotente il singolo e persino un’intera istituzione.>>- Cicerone Il termine invidia deriva dal latino invidia-invidiae e in greco si traduce con il termine φθόνος-ou. Essa si riferisce al sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbe per sé. L’invidia per i Romani era uno dei vitia (vizi) e vi era l’idea che la diffusione avrebbe portato alla decadenza della res publica (stato). L’invidia genera dolore e tristezza per i beni altrui che l’invidioso desidera ardentemente (pensando che il possessore non sia meritevole dell'avere ricevuto). “Il malocchio del triste e invidioso” è una statua raffigurante un uomo che spia da lontano, con il viso accigliato, quel fortunato felice possessore che vorrebbe far soffrire di una sofferenza che invece, come in un contrappasso, colpisce lui.
L'invidia
Erodoto reputa che anche gli dei provino questo sentimento quando la loro gloria e il loro potere viene messo in discussione da degli uomini che possiedono grandi competenze. Questo avviene anche nel mito di aracne, dove una fanciulla, dalle incredibili doti tessili, osa proclamarsi più brava della dea Atena e per questo motivo verrà trasformata in un ragno. La divinità che raffigura l’invidia e la contesa è “Discordia” (per i greci Eris) e la sua figura è legata alla “mela della discordia”. L’episodio più significativo è quello dove Discordia era l'unica tra gli dei a non essere stata invitata al banchetto nuziale di Teti e Peleo; per vendicarsi scelse di giungere il luogo in cui si teneva il banchetto, far rotolare una mela d'oro, e dichiarare che quella era destinata "alla più bella" fra le divine convitate. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione del frutto e del relativo titolo, condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena che originò la guerra di Troia. Inizialmente la scelta spettava a Zeus, ma egli non voleva scegliere, perché avrebbe scatenato le ire delle dee "perdenti" in eterno. Decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride, perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare. Atena gli promise l’imbattibilità, Era la ricchezza, mentre Afrodite la donna più bella, che ai quei tempi era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta.
Pudor
II pudor"pudore" era una virtù fondamentale nell'antica Roma. Indica sia riservatezza e discrezione sulle faccende private sia castità e dignità. Può avere anche il significato di modestia. Sia nel periodo repubblicano sia in quello imperiale si usava in sentenze riguardanti casi giuridi di trasgressione sessuale. Da questa parola derivava la parola italiana pudore.
CUPIDITAS
termine latino va a significare: IL DESIDERIO SFRENATO, ARDENTE DI QUALCOSA, BRAMA DI BENI MATERIALI E IMMATERIALI
I latini chiamavano così il DIO DELL' AMORE caratteristico della poesia e arte greca (considerato da loro EROS), capace di far innamorare e fornire un ardente desiderio tra divinità e immortali tramite freccie e arco d' oro
Al verbo cupio gli si può dare sia un significato positivo: BRAMARE, DESIDERARE, ASPIRARE, ESSERE BEN DISOSTO, sia negativo: AGOGNARE (associato alla rabbia e al desiderio smodato di denao, successo o potere
Pudicitia e impudicitia
La pudicitia era una delle virtù più importanti dell'Antica Roma. In italiano possiamo tradurla con "castità o onestà". Era prevalentemente una virtù femminile e molto raramente veniva associata a degli uomini. La figura per eccellenza che rappresenta la pudicitia latina è Lucrezia, matrona romana, che dopo aver subito violenza da Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo, si suicida. Tra gli scrittori latini che hanno approfondito il tema della pudicitia troviamo Livio, Tacito e Cicerone. Esisteva anche una dea chiamata pudicitia e si divideva in pudicitia patrizia e pudicitia plebea. Deriva dal latino pudor "pudore", da pudicitia deriva la parola italiane pudicizia. L'impudicitia è il suo contrarioe deriva da pudicitia.
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Temperantia
Traduzione: Temperanza, moderazione, autocontrollo
Contrario: Intemperantia
Sequitur ut de una reliqua parte honestatis dicendum sit, in qua verecundia et quasi quidam ornatus vitae, temperantia et modestia omnisque sedatio perturbationum animi et rerum modus cernitur.
Cicerone De Officiis, 44 a.C.
Rimane da trattare della quarta ed ultima parte dell'onestà, cioè di quella parte che comprende in sé, anzitutto il ritegno, e poi - come ornamento della vita - la temperanza e la moderazione, vale a dire il pieno acquietamento delle passioni e la giusta misura in ogni cosa.
La Patientia
La Patientia nel mondo romano
Giunone era la più importante divinità femminile dell’olimpo romano; si occupava principalmente del matrimonio e del parto. Non era, infatti, raro trovarla rappresentata nelle vesti di una donna intenta ad allattare. Una funzione, quella di nutrice, che più tardi ne farà anche la dea protettrice dello stato romano e della sua prosperità.
Moglie di Giove, la dea iniziò ad apparire, agli occhi di qualche poeta dell’epoca piuttosto paziente.
Ognuno, infatti, sapeva quanto Giove fosse incline a tradimenti. Tanto che, lo stesso Catullo scrisse: «Quante volte fu Giunone, la Regina, a soffocare, comprensiva, il giusto sdegno, di fronte ai troppi tradimenti del marito!». Tutt’altro che fedele, insomma, il re degli dèi tradiva sistematicamente la moglie, con donne umane o altre dee. E, sebbene ogni tanto le sue continue avventure amorose suscitassero episodi di gelosia da parte di Giunone, ogni volta la dea era costretta a mandare giù il boccone amaro. Come anche quella volta in cui, con la figlia Venere, generò Eros, Dio dell’amore.
Concludendo, i romani veneravano Giunone in più occasioni. A tal proposito, esistevano svariati epiteti associati alla dea. Tra questi, “Viriplaca”, cioè “dea che placa gli uomini”.
La parola pazienza ha origine dal latino volgare patire (dal greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale) ed indica la facoltà umana di rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei confronti dello stimolo un atteggiamento neutro.
La pazienza è una qualità e un atteggiamento interiore proprio di chi accetta il dolore, le difficoltà, le avversità, le molestie, le controversie, la morte, con animo sereno e con tranquillità, controllando la propria emotività e perseverando nelle azioni. È la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi impresa.
La prima Catilinaria_ Cicerone
"Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?"
Non appena Catilina entrò in senato, il console cominciò a pronunciare la prima Catilinaria, che viene considerata da molti commentatori antichi e moderni come il capolavoro della retorica ciceroniana. Cicerone inizia rivolgendosi direttamente a Catilina, e non ai senatori che lo circondano: “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? “tradotta letteralmente: “Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”. A questa apostrofe segue una sequenza incalzante, composta da ben cinque interrogative retoriche, che terminano infine nella celebre esclamazione “O tempora! O mores!”. Il fine del console era probabilmente quello di mettere Catilina sotto pressione, per fargli credere di possedere più prove nei suoi confronti di quelle che realmente aveva, con la segreta speranza che in questa maniera l’accusato avrebbe fatto passi falsi mostrando a tutti la propria colpevolezza.: il console non poteva attaccare Catilina in maniera ufficiale, dato che in senato sedevano molte persone che in passato avevano favorito Catilina e che senza prove certe si sarebbero levati ancora una volta ad aiutarlo. In secondo luogo eliminare Catilina non avrebbe salvato la repubblica, dato che sarebbero rimasti ancora in vita i suoi complici. Ma se Catilina avesse abbandonato Roma portandosi dietro tutti i suoi compagni, la città si sarebbe liberata finalmente da una minaccia mortale. L’orazione si chiude significativamente con una preghiera a Giove, nel cui tempio si stava svolgendo la riunione del senato e a cui si affidava la salvezza della patria.
La prima Catilinaria è la redazione scritta dell’orazione tenuta da Cicerone di fronte al senato l’8 Novembre del 63 a.C.Il 7 Novembre di quell’anno, Catilina e i suoi complici si erano riuniti nella casa di Leca e avevano deciso di uccidere il console all’interno della sua abitazione. Ma Cicerone venne a sapere del complotto grazie alla propria informatrice Fulvia e pose l’ingresso di casa sua sotto stretta sorveglianza, facendo così fallire l’attentato. Il mattino dopo Cicerone decise di convocare d’urgenza il senato per denunciare pubblicamente Catilina e la sua congiura
Avaritia,ae
La parola avarizia, dal latino avaritia,ae, derivato di "avarus" ovvero "avaro" è un atteggiamento restio nello spendere e nel donare, per uno squallido attaccamento al denaro e a ciò che si possiede. Secondo la chiesa cattolica I'avarizia è elencata tra i sette vizi capitali, seguita e spesso associata all"invidia, infatti questa non è soltanto linteresse ad accumulare più denaro ma anche l'invidia verso la proprietà altrui, oppure ad esempio un desiderio eccessivo di accumulare cibo (gola) Questo vizio infatti può essere applicato in molti ambiti della vita e in se comprende molti più vizi.
Per questo motivo, nella divina commedia, Dante ritiene che l'avarizia sia il peggiore dei mali: nel testo questo vizio è rappresentato allegoricamente da una lupa, l'unico dei tre animali a spaventare cosi tanto Dante da fargli rinunciare di salire quel colle che si trova d'avanti dopo aver attraversato la "selva oscura".
I buddhisti invece ritengono che sia un erronea associazione tra benessere materiale e la felicità. Pensano infatti che essa sia sia provocata da una visione llusoria che esagera gli aspetti positivi di un oggetto e porta quindi l'avaro a desiderarne sempre di più, alimentando la tendenza ad accumulare grandi quantità di quel determinato oggetto.
Avaritia,ae
Spesso è associata all'idea di denaro, infatti ricordiamo molti personaggi della letteratura di ogni tempo che sono stati associati al concetto di avarizia come ad esempio "Mazzarò", protagonista della novella di Verga "la roba" o più vicino a noi il famosissimo zio Paperone, accumulatore e geloso custode delle sue ricchezze, apparso per la prima volta nel noto fumetto nel 1947, o ancora Ezebener Scrooge in "canto di Natale" di Charles Dickens.
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Freud introdusse il termine per indicare, a livello di inconscio, l’energia psichica innata, biologicamente determinata e correlata strettamente al principio del piacere. Nell’accezione freudiana la libido si trova alla base degli impulsi e dei comportamenti umani ed indica l’energia della pulsione sessuale nei suoi aspetti psichici. (Pertanto è errato considerare la libido come un’eccitazione sessuale puramente somatica, come normalmente si tende a fare; per dirla con Freud essa è “l’espressione dinamica della pulsione sessuale nella vita psichica”).
Il termine libido in Jung assume un significato più ampio, presentandosi come energia psichica in generale, come impulso non inibito da istanze morali o d’altro genere, che comprende sia la sessualità sia altri bisogni, appetiti, affetti.
Non solo la quantità è indicativa in questo senso: gli stessi significati originari di termini impiegati metaforicamente per gli organi genitali danno un'idea della distanza esistente tra i due sessi. Tra i sostituti di mentula sono frequenti infatti parole che connotano la virilità come dominazione ai limiti della violenza, come ad esempio i nomi di armi quali gladium o hasta, mentre il sesso femminile è designato da metafore che la caratterizzano come un campo da coltivare, una porta da varcare o un limen da conquistare.
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La dignitas è l' auctoritas
La dignitas nell'arte
La dignitas è un concetto che gli scrittori romani riferiscono spesso all'arte e in cui confluiscono il decoro, la grandiosità, la gravità, talvolta in paragoni fra eloquenza ed arti figurative, ma soprattutto riguardo all'architettura, la più severa delle arti.L'architettura per i Romani deve unire l'utilitas alla dignitas, come esprime ad esempio Cicerone quando parla delle colonne sostenenti templi e portici con dignità e utilità,Vitruvio nell'ordine dorico parla di formae dignitas e vede accanto alla dignitas anche la venustas nelle basiliche simili a quella di Fano.
la perfidia ovvero l'antifrasi della fides
Unit 02
Non è sentito in maniera altrettanto forte e cavalleresca il valore della fides dai Greci. Secondo Teognide il dilagare della perfidia tra i Greci è associato al decadere dell’aristocrazia dei proprietari terrieri.Il poeta elegiaco denuncia la malafede come caratteristica dei kakoiv,che nel mondo greco erano gli ignobili. Al tempo della repubblica romana la slealtà veniva attribuita agli schiavi. Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[9] al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la santa protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
La perfidia plus quam punica di Annibale e quella italica di Machiavelli avrebbero comunque avuto dei maestri negli Elleni. La slealtà di Annibale sarebbe derivata da Sileno uno dei suoi maestri greci: “Il più odioso dei vitia rinfacciati ad Annibale, la sua perfidia, la slealtà maligna e senza scrupoli di cui il Cartaginese si era infinite volte macchiato, era figlia, in effetti, dell’educazione greca e non dell’indole punica”. In questo caso ciò che i Greci chiamano fides è una forma di ostinazione in un vizio riprorevole.
Riccardo III di Shakespeare parla della necessaria ipocrisia dell’uomo di potere: "dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così io rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi ritagli sottratti alla Sacra Scrittura, e sembro un santo quanto più faccio il diavolo. Queste parole costituiscono il codice dell’uomo di potere." "Ora io credo che sapere ingannare sia “odiosa sapienza”. Sicché non voterò i politici che abbiano dato prova di perfidia plus quam punica, cioè italica. Il comportamento di alcuni di loro nell’affare Cancellieri esemplarmente negativo, è stato negativamente emblematico."
Machiavelli discepolo dei Greci, in particolare di Plutarco, che ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". Di Plutarco nel Medioevo si preferivano i Moralia e fu solo l’arrivo dei dotti greci in Italia, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, a rilanciare la lettura delle Vite parallele, che divennero da allora in poi il suo principale testo di riferimento. Si pensi soltanto a Machiavelli, che ne acquistò una copia in traduzione latina a Bologna nel 1502 e ne trasse ispirazione per la sua intera opera
constantia et Inconstantia
CONSTANTIA
la fermezza,la costanza, l'invariabilità; deriva dal participio presente del verbo constare (cum stare), quindi stare fermo.La ritroviamo anche nella filosofia romana, nel De constantia sapientis di Seneca,per esempio, cui tra le citazioni più celebri ''etiam si premeris et infesta vi urgere, cedere tamen turpe est: adsignatum a natura locum tuere. Queris quis hic sit locus? Viri.'', tradotto come: ''Anche se sei incalzato e oppresso da una forza ostile,è tuttavia una vergogna ritirarsi: difendi il posto che la natura ti ha assegnato. mi chiedi quale sia questo posto? quello di uomo.''
INCONSTANTIA
indica l'incostanza, la contraddizione e in generale l'instabilità; a differenza della constantia ha un'accezione molto negativa, nella poesia di Catullo viene spesso vista in relazione con le sue relazioni amorose,per sottolinearne l'instabilità emotiva; si trova ancora nella metamorfosi di Ovideo, in cui si sottolinea il concetto di mutabilità, evidenziando come tutto nella vita sia soggetto a cambiamenti inevitabili. Si usa anche in ambito giurisdizionale,nell'espressione ''testimonorium inconstantia'', in italiano ''contraddizione delle testimonianze'', per esempio.
MOS MAIOURUM
Virtutes et vitia
la fides nel mondo romano
Unit 01
Conosciuta come Fides Publica e Fides Publica Populi Romani è la più antica virtù in veste di Dea onorata a Roma. Fides era la Dea romana della lealtà e della fedeltà, soprattutto del cittadino, civile o militare, verso Roma come suolo patrio e al suo ordinamento, sia gerarchico che legislativo. I giuramenti presi nel nome di questa Dea erano considerati i più inviolabili tra tutti. I Cristiani la rappresentavano seduta sopra un liocorno, condotto da un angelo e una vergine; perchè la castità, raffigurata nel liocorno, è sorretta dalla fede. Della Dea si hanno le prime notizie nel III secolo a.c. quando le viene dedicato un tempio sul Campidoglio dal console Aulo Atilio Calatino, un politico e generale romano che combatté durante la Prima guerra punica.
Il tempio, eretto in area Capitolina, sulla sommità del colle, probabilmente sul bordo meridionale di questa, era posto molto vicino al tempio di Opi, Dea della fertilità e della abbondanza. Come a creare un connubio tra Fides e prosperità. La sua importanza era incalcolabile, poichè, come Iside egizia era la Dea della mano sinistra e di tutto ciò che era connesso alla gestualità e le azioni di questa mano, Fides era la Dea della mano destra, e di tutto ciò che era connesso alla gestualità e le azioni di questa mano.
Eletto console nel 254 a.c., insieme a Gneo Cornelio Scipione Asina, espugnò Palermo insieme al collega, ma solo Asina ottenne il trionfo per cui è improbabile abbia dedicato il tempio in ringraziamento in questa occasione.Invece dopo il disastro della battaglia di Trapani Aulo Atilio fu eletto dittatore e guidò un esercito in Sicilia. Forse in questa occasione votò, e fece erigere un tempio alla Speranza nel Foro Olitorio e uno alla Fede sul Campidoglio. Si suppone però che il tempio fosse ricostruito su un più antico santuario dedicato alla Dea medesima, e il fatto che fronteggiasse il tempio di Giove fa ritenere che il suo culto fosse più arcaico oltre che importantissimo.
Alla Dea venivano offerti sacrifici con la mano destra avvolta in un panno bianco e nel suo tempio si sacrificava solennemente il primo d'ottobre. Il sacrificio veniva compiuto dai Flamini, forse dai tre Flamini maggiori: i sacerdoti di Giove, Marte e Quirino che si recavano al tempio su una biga coperta. La mano destra era coperta perchè considerata consacrata alla Fides, ovvero alla fedeltà, una specie di guanto bianco a garanzia di purezza e lealtà. Mucius Scaevola, che perse la sua mano destra per una promessa non mantenuta, quella di istigare i romani a non recedere dalla battaglia, sia pure per spirito patriottico, è l'illustrazione di questa mitica fede.
Il rito con la mano coperta è attestato anche in Umbria connesso al Dio Fisu Sakio, che era la copia del Dius Fidius. A Roma invece fidius era un aspetto di Jupiter che veniva onorato in realtà per onorare la Fides. Il giuramento era sostenuto come oggi dalla mano destra alzata, e come la mano sinistra cara ad Iside era la mano del cuore e dei sentimenti, quella destra è la mano della razionalità che assume e mantiene impegni nel sociale, è la mano della legge. Il suo culto venne abbandonato per buona parte del I sec. a.c. ma venne probabilmente restaurato da Augusto, così attaccato agli antichi culti, e c'è da aspettarsi che da qualche parte venga fuori la Fides Augusta, come si sono trovate l'Equitas Augusta, la Felicitas Augusta, la Concordia Augusta, la Salus Augusta, la Fortuna Augusta, la Spes Augusta e la Pax Augusta. Divenne una divinità importante soprattutto per gli imperatori che volevano assicurarsi, celebrandola, la fides militum, la lealtà dei soldati.
Il suo tempio, visibile da molte parti di Roma, garantiva la fedeltà ai contratti, alle transazioni e alle promesse deicittadini romani tra loro e tra i cittadini romani e i popoli stranieri. Trattati e documenti militari venivano scolpiti su tavole affisse sulle pareti del tempio fino alla fine del I sec. d.c. Le molte rappresentazioni di Fides sulle monete dimostrano che il suo culto si protrasse anche oltre il I sec. d.c La Bona Fides era il presupposto per ogni contratto ma pure per una promessa, che riguardasse un'amicizia o una promessa di matrimonio. Non a caso la legge attuale tiene ancora conto della salvaguardia, nei contratti, dei terzi "in buona fede".
Catullo: Alfeno, il traditore della fides "O Alfeno, ormai, sleale, non esiti ad ingannarmi, tradirmi? Ed agli dei del cielo non piacciono le cattive azioni degli uomini che ingannano. Ma tu non te ne dai pensiero e mi abbandoni, me sventurato, nei mali. Eppure proprio tu mi invitavi ad affidarti la mia anima. Se tu ti sei dimenticato, tuttavia gli dei ricordano, si ricorda la Fides, che un giorno farà in modo che tu ti penta della tua azione."
PUDOR il pudore è un attitudine dell'individuo dettata da un sentimento di riserbo, discrezione e intimità; è legato alla relazione con l'altro regolata da regole di comportamento vigenti in una determinata società Etimologia Il termine pudore discende dal latino pudor (derivato di pudere, "aver vergogna"), che esprimeva sentimenti di riserbo, ma anche di disagio o avversione, nei confronti di atti, parole, allusioni, comportamenti. In tale accezione, appare simile all'impiego del sintagma greco aidôs, che univa il sentimento dell'onore, della modestia, del timore, del ritegno e del rispetto in un unico termine; anche a Roma, infatti, il pudore "fa parte dell'identità civica" e, insieme con la fides e la pietas, può essere espresso sia da uomini che da donne. Nell'accezione che riguardava il genere femminile, il latino conosceva anche il sintagma pudicitia, rappresentato da un'apposita divinità (con la cui effigie nel 270 a.C. vennero coniate monete), titolare di templi nell'Urbe. Anche in questa declinazione, comunque, il bene tutelato era più ampio della mera sfera sessuale, estendendosi alla "difesa della dignità femminile", sia pure con riferimento alla sola matrona che, proprio in quanto tale, era "fisicamente intangibile". Lucien Lévy-Bruhl ha per primo contestato la natura costante ed invariabile del pudore, collegandolo alle varie civilizzazioni succedutesi nella storia umana. Successivamente, a partire dalle società melanesiane, Margaret Mead ha, anche sotto questo profilo, dimostrato che le differenze tra i sessi non sono solo biologiche, ma anche istituzionalizzate dalle società. La rilevanza antropologica del pudore ne fa emergere anche le varie manifestazioni e deformazioni , nonché i nodi psicopatologici. Eppure, per Maurice Merleau-Ponty, "la stessa ragione che ci impedisce di ridurre l'esistenza a corpo o alla sessualità ci impedisce anche di ridurre la sessualità all'esistenza", visto che "il pudore, il desiderio, l'amore sono incomprensibili se si tratta l'uomo solo come un fascio d'istinti". Quando è nato il senso del pudore? quando nasce il pudore Di pudore si parla già nella Bibbia, ma anche nell'Odissea, a proposito della vicenda di Ulisse e Nausicaa, quando Ulisse si sveglia su una spiaggia sconosciuta, al suono di voci femminili e si copre gli organi genitali con delle foglie, per non presentarsi nudo alla principessa.
La dignitas è l' auctoritas
Che cos'è la dignitas?
La dignitas romana è la dignità e la situazione economica sufficientemente decente che danno prestigio al cittadino romano. Dignitas è uno dei risultati finali volti a visualizzare i valori dell'ideale romano e il servizio dello Stato nelle forme di primato, posizione militare e magistrature. Dignitas è il valore di reputazione, onore e stima. Così, un romano che mostrasse loro Gravitas, Constantia, Fides, Pietas e altri valori, sarebbe diventato un romano in possesso di Dignitas tra i loro coetanei. Allo stesso modo, attraverso questo percorso, un romano potrebbe guadagnare auctoritas.
Che cos'è l'auctoritas?
Il concerto di auctoritas esprime la capacità di esercitare attraverso la propria influenza, una funzione dirigente nella vita politica. Essa si fonda su fattori come I legame di amicitia o di clientela e anche per esempio sulla richezza materiale. L'auctoritas per chi la riconosce è più un rapporto di fides infatti nn si danno ordini ma consigli e suggerimenti che chi riceve dovrebbe accettare è quindi una sottomissione volontaria..
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Abstinentia
Abstinentia-ae=disinteresse,onestà,integrità morale.L'abstinentia è una delle tante virtù romane interessata principalmente all'ambito politico della res publica, infatti capi di governo o coloro che avevano cariche publibiche dovevano avere questa virtù.Questo perchè non dovevano essere inclini all'abuso di potere o alla corruzione.Però può significare anche astinenza nella cultura Romana non bisognva mai esagerare nei piaceri della vita, ma allo stessto tempo non bisognava neanche astenersene .Nel culto romano la dea Clementia infondeva nei generali e imperatori romani l'astinenza dall'ira e dalla corruzione
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Gravitas
Il concetto di gravitas è un'idea che deriva dall'antica Roma, dove era considerata una delle qualità essenziali di un uomo di successo e di potere. La gravitas era vista come la capacità di una persona di mostrare serietà, dignità e autorevolezza in ogni situazione, con un comportamento riflessivo e rispettoso. Le origini del concetto di gravitas sono incerte, ma si pensa che risalgano al periodo repubblicano di Roma (509-27 a.C.). La gravitas era vista come una virtù fondamentale per i politici e i leader militari, che dovevano essere in grado di prendere decisioni importanti con saggezza e giudizio. E' citata persino da Cicerone nella sua opera "De Officiis".
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Fortitudo
“Fortitudo” in latino significa “Coraggio” o “Forza d’Animo” (“ἀνδρεία” in greco).Il coraggio chiamato anche valore o prodezza, è la scelta e la volontà di affrontare la sofferenza, il dolore, il pericolo, l'incertezza o l'intimidazione, specialmente in battaglia.La classica virtù fortezza si traduce anche con "coraggio", ma include gli aspetti della perseveranza e della pazienza. Un noto proverbio dice: "tanta pazienza, forza e coraggio, ché la vita è un oltraggio". Nella tradizione occidentale, notevoli pensieri sul coraggio sono venuti dai filosofi Socrate, Platone, Aristotele, Tommaso d'Aquino e Kierkegaard, così come dalle credenze e dai testi cristiani.Secondo Nietzsche, "Il coraggio è la mazza migliore: il coraggio ammazza anche la pietà."
Esempi di Gravitas
Nell'Impero
Una figura esempio di gravitas fu Gaio Muzio Scevola che, durante l'assedio etrusco a Roma, propose al senato di uccidere il generale rivale Porsenna. Così, si infilò nell'accampamento nemico e uccise quello che si rivelò essere un semplice comandante. Portato al cospetto di Porsenna, come punizione, si mise la mano destra in un braciere e non la tolse fino a che non fu completamente consumata. Da lì il soprannome “scevola”, ovvero “mancino”. Il re etrusco rimase colpito a tal punto dal valore del giovane che non solo decise di liberarlo, ma intavolò anche trattative di pace con i Romani.
Post-impero
Nel Rinascimento, il concetto di gravitas era un'idea importante in ambito artistico e letterario. Il poeta italiano Ludovico Ariosto, ad esempio, ha utilizzato il termine "gravità" per descrivere la serietà e l'importanza della sua poesia epica "Orlando Furioso". Il critico d'arte italiano Giorgio Vasari ha affermato che solo le opere che mostrano "peso" e "importanza", quindi gravitas, possono essere considerate veramente grandi. Inoltre, Machiavelli, in “Il Principe”, ha affermato che un principe deve essere in grado di prendere decisioni importanti con calma e razionalità.
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Frugalitas
“Frugalitas” in latino vuol dire “frugalità” o “parsimonia” (“εὐτέλεια” in greco) La frugalità è la qualità di essere frugali, parsimoniosi, prudenti nel consumo di risorse come cibo, tempo o denaro, evitando sprechi, sfarzi o stravaganze. Nelle fonti latine più antiche che possediamo (c. 200 a.C.), in particolare viene definito come “frugale” (frugi) quell’individuo di status umile – normalmente lo schiavo – che è ‘utile’ nel senso che è capace a portare a buon frutto gli incarichi che gli vengono assegnati dal padrone. Sarà solo con Cicerone, poco dopo il 50 a.C., che “frugalitas” inizierà ad assumere un significato meno ‘modesto’, e a essere utilizzato per indicare un ideale di moderazione e temperanza materiale, caratteristico della filosofia storica, opposto al vizio della “luxuria” (“lusso, profusione della ricchezza”).
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Frugalitas
“Frugalitas” in latino vuol dire “frugalità” o “parsimonia” (“εὐτέλεια” in greco) La frugalità è la qualità di essere frugali, parsimoniosi, prudenti nel consumo di risorse come cibo, tempo o denaro, evitando sprechi, sfarzi o stravaganze. Nelle fonti latine più antiche che possediamo (c. 200 a.C.), in particolare viene definito come “frugale” (frugi) quell’individuo di status umile – normalmente lo schiavo – che è ‘utile’ nel senso che è capace a portare a buon frutto gli incarichi che gli vengono assegnati dal padrone. Sarà solo con Cicerone, poco dopo il 50 a.C., che “frugalitas” inizierà ad assumere un significato meno ‘modesto’, e a essere utilizzato per indicare un ideale di moderazione e temperanza materiale, caratteristico della filosofia storica, opposto al vizio della “luxuria” (“lusso, profusione della ricchezza”).
La superbia nei diversi campi
In teologia
Nella religione cristiana la superbia è il più grave dei sette peccati capitali e consiste in una considerazione talmente alta di sè stessi da giungere al punto di stimarsi come principio e fine di sè, distaccandosi e disconoscendo la propria natura in quanto creatura di Dio offendendo il Creatore. A parlare di questo peccato è Dante, nel primo canto della Divina Commedia, quando incontra il leone (animale della superbia) assieme ad altri due animali. Questo si presenta in religione e mitologia greca nella forma della hybris, ovvero la orgogliosa tracotanza dell'uomo che si impone sugli dei sfidando il loro potere. Un esempio fondamentale di hybris è l'episodio di Aracne e Atena.
Nell'antica Roma
Nell'antica Roma, l'aggettivo superbo è associato all'ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo. Lucio Tarquinio, infatti, si è guadagnato questo soprannome con l'usurpazione del trono, l'assassinio e la negazione alla sepoltura del precedente re Servio Tullio. Quest'ultimo aveva dato in sposa a Lucio Tarquinio sua figlia Tullia Maggiore, poi uccisa dal marito per poter sposare sua sorella Tullia Minore. Con lei aveva poi organizzato una congiura contro Servio Tullio usurpandogli il trono, reclamandolo suo e della stirpe dei Tarquini
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Audacia
Il termine “audacia” deriva dal latino “audacia-ae” (dal verbo “audeo, es, ausus sum, asum, audere”) ed è il comportamento o disposizione istintiva in cui al coraggio si unisce la noncuranza o lo sprezzo del pericolo o del rischio. Audacia è una vox media, ovvero un termine che può avere più significati, anche opposti tra loro. Audacia possiede infatti un significato positivo ("determinazione", “coraggio”), ma anche uno negativo (“sfrontatezza”, “imprudenza”), che viene frequentemente usato in contesto politico per indicare l'animo rivoluzionario e distruttore nei confronti dell'autorità.
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Audacia
“Audentes fortuna iuvat” di Virgilio, è l'esortazione ad attaccare Enea rivolta da Turno ai suoi uomini, è un'espressione latina arrivata fino ai giorni nostri e tradotta letteralmente significa “il destino favorisce chi osa”.
“Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?” Cicerone qui è interessato solo nel rendere il suo nemico agli occhi dei senatori presenti un delinquente privo di sfumature positive e di rara crudeltà.
“Sed in iis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora conmiserat.” dal “De Catilinae coniuratione” di Sallustio. Nel caso di Sempronia c’è un’ulteriore stratificazione, dal momento che l'audacia viene connotata come “virile”, avvicinando il vocabolo al suo concetto positivo di “coraggio”. Per quanto non manchino nella tradizione romana esempi di donne coraggiose sembra di scorgere nell'uso di questo termine una connotazione negativa, come se Sempronia non fosse capace di stare al proprio posto, cosa che non poteva essere vista positivamente nella società tradizionale romana.
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Superbia
Il termine superbia deriva dal latino superbia, -ae (dall'aggettivo superbus, -a, -um, dal quale deriva inoltre il verbo superbio, -is, -ire ovvero "essere orgoglioso" e "insuperbire") e indica un'esagerata stima di se stessi e dei propri meriti (presunti o reali), che si manifesta con comportamenti altezzosi e sprezzanti nei confronti degli altri e con un ostentato senso di superiorità. Questo termine potrebbe anche essere inteso in modo positivo come "fierezza" o "orgoglio", ma in generale è considerato un tratto molto negativo nel carattere di una persona.
Luxuria
Da cosa deriva?
La parola "luxuria" è di origine latina. Deriva dal latino "luxuriosus", che a sua volta deriva dalla radice "luxus", che significa "eccesso" o "abbondanza". "Luxuria" in latino ha significati legati a "eccesso", "abbondanza", "profusione" e può essere associata all'idea di lussuria, lussuosità o sensualità eccessiva.
Qualche citazione
"Luxuria peccati, miseria puniti." - Seneca (Traduzione: "La lussuria è il peccato, la miseria è la punizione.") "Luxuria sine temperantia, incendium sine modo." - Seneca (Traduzione: "La lussuria senza temperanza è un fuoco senza misura.") "Luxuriae aviditas fames perpetua est." - Seneca (Traduzione: "La cupidigia della lussuria è una fame perpetua.")
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Libido
“Libido” è un termine latino, che significa ‘desiderio’, da libere "essere piacevole, piacere," dalla radice *leubh- "prendersi cura, desiderare, amare".
Nella letteratura psicoanalitica, il termine può essere interpretato almeno in due modi: secondo Freud o secondo Jung.
Da un punto di vista sociolinguistico si evince immediatamente la disparità di considerazione tra i sessi maschile e femminile: a testimonianza del ruolo centrale della virilità nella cultura romana i sostituti di mentula (oscenità primaria per indicare l'organo maschile) sono infatti in netta maggioranza rispetto a quelli di cunnus (oscenità primaria per l'organo femminile).
La Pietas
La Pietas era l'atteggiamento romano del dovuto rispetto verso gli Dei, la patria, i genitori, i parenti, famigli e schiavi. All'inizio riguardava la famiglia e la fiducia e rispetto tra coniugi poi la concezione del rapporto si estese tra uomo e divinità, un senso di dovere morale nell'osservanza dei riti (il cultus) e nel rispetto agli Dei.
La definizione della pietas come il comportamento di chi soddisfa a tutti i suoi doveri verso la divinità e il prossimo ha il suo punto di partenza in Virgilio. Solo in Enea la pietas si realizza nella totalità dei suoi aspetti – in propinquos, in socios, in patriam, in deos – e ne fa il più complicato e tormentato dei personaggi virgiliani
Come anche altre vitù romane, anche la pietas era personificata come una dea, divinità preposta al compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato, delle divinità e della famiglia, i cui attributi erano dei bambini o una cicogna.
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L'invidia
<<Quando l’invidia infuria in tutta la sua violenza contro di essa risulta impotente il singolo e persino un’intera istituzione.>>- Cicerone Il termine invidia deriva dal latino invidia-invidiae e in greco si traduce con il termine φθόνος-ou. Essa si riferisce al sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbe per sé. L’invidia per i Romani era uno dei vitia (vizi) e vi era l’idea che la diffusione avrebbe portato alla decadenza della res publica (stato). L’invidia genera dolore e tristezza per i beni altrui che l’invidioso desidera ardentemente (pensando che il possessore non sia meritevole dell'avere ricevuto). “Il malocchio del triste e invidioso” è una statua raffigurante un uomo che spia da lontano, con il viso accigliato, quel fortunato felice possessore che vorrebbe far soffrire di una sofferenza che invece, come in un contrappasso, colpisce lui.
L'invidia
Erodoto reputa che anche gli dei provino questo sentimento quando la loro gloria e il loro potere viene messo in discussione da degli uomini che possiedono grandi competenze. Questo avviene anche nel mito di aracne, dove una fanciulla, dalle incredibili doti tessili, osa proclamarsi più brava della dea Atena e per questo motivo verrà trasformata in un ragno. La divinità che raffigura l’invidia e la contesa è “Discordia” (per i greci Eris) e la sua figura è legata alla “mela della discordia”. L’episodio più significativo è quello dove Discordia era l'unica tra gli dei a non essere stata invitata al banchetto nuziale di Teti e Peleo; per vendicarsi scelse di giungere il luogo in cui si teneva il banchetto, far rotolare una mela d'oro, e dichiarare che quella era destinata "alla più bella" fra le divine convitate. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione del frutto e del relativo titolo, condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena che originò la guerra di Troia. Inizialmente la scelta spettava a Zeus, ma egli non voleva scegliere, perché avrebbe scatenato le ire delle dee "perdenti" in eterno. Decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride, perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare. Atena gli promise l’imbattibilità, Era la ricchezza, mentre Afrodite la donna più bella, che ai quei tempi era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta.
Pudor
II pudor"pudore" era una virtù fondamentale nell'antica Roma. Indica sia riservatezza e discrezione sulle faccende private sia castità e dignità. Può avere anche il significato di modestia. Sia nel periodo repubblicano sia in quello imperiale si usava in sentenze riguardanti casi giuridi di trasgressione sessuale. Da questa parola derivava la parola italiana pudore.
CUPIDITAS
termine latino va a significare: IL DESIDERIO SFRENATO, ARDENTE DI QUALCOSA, BRAMA DI BENI MATERIALI E IMMATERIALI
I latini chiamavano così il DIO DELL' AMORE caratteristico della poesia e arte greca (considerato da loro EROS), capace di far innamorare e fornire un ardente desiderio tra divinità e immortali tramite freccie e arco d' oro
Al verbo cupio gli si può dare sia un significato positivo: BRAMARE, DESIDERARE, ASPIRARE, ESSERE BEN DISOSTO, sia negativo: AGOGNARE (associato alla rabbia e al desiderio smodato di denao, successo o potere
Pudicitia e impudicitia
La pudicitia era una delle virtù più importanti dell'Antica Roma. In italiano possiamo tradurla con "castità o onestà". Era prevalentemente una virtù femminile e molto raramente veniva associata a degli uomini. La figura per eccellenza che rappresenta la pudicitia latina è Lucrezia, matrona romana, che dopo aver subito violenza da Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo, si suicida. Tra gli scrittori latini che hanno approfondito il tema della pudicitia troviamo Livio, Tacito e Cicerone. Esisteva anche una dea chiamata pudicitia e si divideva in pudicitia patrizia e pudicitia plebea. Deriva dal latino pudor "pudore", da pudicitia deriva la parola italiane pudicizia. L'impudicitia è il suo contrarioe deriva da pudicitia.
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Temperantia
Traduzione: Temperanza, moderazione, autocontrollo Contrario: Intemperantia
Sequitur ut de una reliqua parte honestatis dicendum sit, in qua verecundia et quasi quidam ornatus vitae, temperantia et modestia omnisque sedatio perturbationum animi et rerum modus cernitur. Cicerone De Officiis, 44 a.C. Rimane da trattare della quarta ed ultima parte dell'onestà, cioè di quella parte che comprende in sé, anzitutto il ritegno, e poi - come ornamento della vita - la temperanza e la moderazione, vale a dire il pieno acquietamento delle passioni e la giusta misura in ogni cosa.
La Patientia
La Patientia nel mondo romano
Giunone era la più importante divinità femminile dell’olimpo romano; si occupava principalmente del matrimonio e del parto. Non era, infatti, raro trovarla rappresentata nelle vesti di una donna intenta ad allattare. Una funzione, quella di nutrice, che più tardi ne farà anche la dea protettrice dello stato romano e della sua prosperità. Moglie di Giove, la dea iniziò ad apparire, agli occhi di qualche poeta dell’epoca piuttosto paziente. Ognuno, infatti, sapeva quanto Giove fosse incline a tradimenti. Tanto che, lo stesso Catullo scrisse: «Quante volte fu Giunone, la Regina, a soffocare, comprensiva, il giusto sdegno, di fronte ai troppi tradimenti del marito!». Tutt’altro che fedele, insomma, il re degli dèi tradiva sistematicamente la moglie, con donne umane o altre dee. E, sebbene ogni tanto le sue continue avventure amorose suscitassero episodi di gelosia da parte di Giunone, ogni volta la dea era costretta a mandare giù il boccone amaro. Come anche quella volta in cui, con la figlia Venere, generò Eros, Dio dell’amore. Concludendo, i romani veneravano Giunone in più occasioni. A tal proposito, esistevano svariati epiteti associati alla dea. Tra questi, “Viriplaca”, cioè “dea che placa gli uomini”.
La parola pazienza ha origine dal latino volgare patire (dal greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale) ed indica la facoltà umana di rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei confronti dello stimolo un atteggiamento neutro. La pazienza è una qualità e un atteggiamento interiore proprio di chi accetta il dolore, le difficoltà, le avversità, le molestie, le controversie, la morte, con animo sereno e con tranquillità, controllando la propria emotività e perseverando nelle azioni. È la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi impresa.
La prima Catilinaria_ Cicerone
"Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?"
Non appena Catilina entrò in senato, il console cominciò a pronunciare la prima Catilinaria, che viene considerata da molti commentatori antichi e moderni come il capolavoro della retorica ciceroniana. Cicerone inizia rivolgendosi direttamente a Catilina, e non ai senatori che lo circondano: “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? “tradotta letteralmente: “Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”. A questa apostrofe segue una sequenza incalzante, composta da ben cinque interrogative retoriche, che terminano infine nella celebre esclamazione “O tempora! O mores!”. Il fine del console era probabilmente quello di mettere Catilina sotto pressione, per fargli credere di possedere più prove nei suoi confronti di quelle che realmente aveva, con la segreta speranza che in questa maniera l’accusato avrebbe fatto passi falsi mostrando a tutti la propria colpevolezza.: il console non poteva attaccare Catilina in maniera ufficiale, dato che in senato sedevano molte persone che in passato avevano favorito Catilina e che senza prove certe si sarebbero levati ancora una volta ad aiutarlo. In secondo luogo eliminare Catilina non avrebbe salvato la repubblica, dato che sarebbero rimasti ancora in vita i suoi complici. Ma se Catilina avesse abbandonato Roma portandosi dietro tutti i suoi compagni, la città si sarebbe liberata finalmente da una minaccia mortale. L’orazione si chiude significativamente con una preghiera a Giove, nel cui tempio si stava svolgendo la riunione del senato e a cui si affidava la salvezza della patria.
La prima Catilinaria è la redazione scritta dell’orazione tenuta da Cicerone di fronte al senato l’8 Novembre del 63 a.C.Il 7 Novembre di quell’anno, Catilina e i suoi complici si erano riuniti nella casa di Leca e avevano deciso di uccidere il console all’interno della sua abitazione. Ma Cicerone venne a sapere del complotto grazie alla propria informatrice Fulvia e pose l’ingresso di casa sua sotto stretta sorveglianza, facendo così fallire l’attentato. Il mattino dopo Cicerone decise di convocare d’urgenza il senato per denunciare pubblicamente Catilina e la sua congiura
Avaritia,ae
La parola avarizia, dal latino avaritia,ae, derivato di "avarus" ovvero "avaro" è un atteggiamento restio nello spendere e nel donare, per uno squallido attaccamento al denaro e a ciò che si possiede. Secondo la chiesa cattolica I'avarizia è elencata tra i sette vizi capitali, seguita e spesso associata all"invidia, infatti questa non è soltanto linteresse ad accumulare più denaro ma anche l'invidia verso la proprietà altrui, oppure ad esempio un desiderio eccessivo di accumulare cibo (gola) Questo vizio infatti può essere applicato in molti ambiti della vita e in se comprende molti più vizi.
Per questo motivo, nella divina commedia, Dante ritiene che l'avarizia sia il peggiore dei mali: nel testo questo vizio è rappresentato allegoricamente da una lupa, l'unico dei tre animali a spaventare cosi tanto Dante da fargli rinunciare di salire quel colle che si trova d'avanti dopo aver attraversato la "selva oscura".
I buddhisti invece ritengono che sia un erronea associazione tra benessere materiale e la felicità. Pensano infatti che essa sia sia provocata da una visione llusoria che esagera gli aspetti positivi di un oggetto e porta quindi l'avaro a desiderarne sempre di più, alimentando la tendenza ad accumulare grandi quantità di quel determinato oggetto.
Avaritia,ae
Spesso è associata all'idea di denaro, infatti ricordiamo molti personaggi della letteratura di ogni tempo che sono stati associati al concetto di avarizia come ad esempio "Mazzarò", protagonista della novella di Verga "la roba" o più vicino a noi il famosissimo zio Paperone, accumulatore e geloso custode delle sue ricchezze, apparso per la prima volta nel noto fumetto nel 1947, o ancora Ezebener Scrooge in "canto di Natale" di Charles Dickens.
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Freud introdusse il termine per indicare, a livello di inconscio, l’energia psichica innata, biologicamente determinata e correlata strettamente al principio del piacere. Nell’accezione freudiana la libido si trova alla base degli impulsi e dei comportamenti umani ed indica l’energia della pulsione sessuale nei suoi aspetti psichici. (Pertanto è errato considerare la libido come un’eccitazione sessuale puramente somatica, come normalmente si tende a fare; per dirla con Freud essa è “l’espressione dinamica della pulsione sessuale nella vita psichica”). Il termine libido in Jung assume un significato più ampio, presentandosi come energia psichica in generale, come impulso non inibito da istanze morali o d’altro genere, che comprende sia la sessualità sia altri bisogni, appetiti, affetti.
Non solo la quantità è indicativa in questo senso: gli stessi significati originari di termini impiegati metaforicamente per gli organi genitali danno un'idea della distanza esistente tra i due sessi. Tra i sostituti di mentula sono frequenti infatti parole che connotano la virilità come dominazione ai limiti della violenza, come ad esempio i nomi di armi quali gladium o hasta, mentre il sesso femminile è designato da metafore che la caratterizzano come un campo da coltivare, una porta da varcare o un limen da conquistare.