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Giorgia Urbano

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Transcript

giacomo leopardi

Il passero solitario

canti

Index

introduzione

SECONDA strofa

Pag. XX

Pag. XX

tERZA STROFA

struttura

Pag. XX

Pag. XX

prima strofa

temi principali

Pag. XX

Pag. XX

Introduzione

Il passero solitario è una poesia di Giacomo Leopardi probabilmente scritta negli anni 1829-1830 (sulla datazione del poema, comunque, esiste un ampio dibattito) e pubblicata nel 1835 nell'edizione napoletana dei Canti. Nel componimento Leopardi vede sulla torre campanaria di Recanati un passero, e riflette su un'identificazione malinconica tra l'uccello e se stesso: entrambi, infatti, sono destinati a condurre un'esistenza solitaria. Il passero solitario, desiderando la solitudine per natura, non percepisce tuttavia il suo dolore e dunque non può che provare felicità: Leopardi, al contrario, è purtroppo consapevole di non godersi gli anni della sua giovinezza, che rimpiangerà quando sarà anziano.

Struttura

Si può ancora notare la collocazione simmetrica, in forte rilievo all'inizio del verso, dei due pronomi personali: «tu pensoso in disparte» (v. 12) / «Io solitario» (v. 36).

Il canto è impostato su una similitudine tra il passero e il poeta: come il passero vive solitario, non partecipando ai giochi degli altri uccelli, così il poeta si isola dagli altri giovani e non cura i loro divertimenti. La costruzione è simmetrica: la prima strofa è dedicata al passero, la seconda al poeta, la terza, più breve, riprende il confronto ponendo a contrasto la vecchiezza di entrambi. Tra le prime due strofe si può notare una simmetria rovesciata nella disposizione dei temi:

Anche nel Passero solitario, come in A Silvia, Leopardi sceglie la forma dello pseudo-dialogo, cioè un dialogo fittizio, nel quale l’interlocutore – in questo caso un passero – non risponde.

-Strofa I A) Solitudine del passero (vv. 1-1) B) La festa degli uccelli (vv. 5-11) C) Il passero non cura i divertimenti (w. 12-16)

-Strofa II C) Il poeta non cura sollazzo, riso e amore (vv. 17-26) B) La festa dei giovani (vv. 26-35) A) Solitudine del poeta (vv. 36-14)

Prima strofa

Spiegazione

Nella prima strofa Leopardi descrive un gioioso paesaggio bucolico in cui tutti gli esseri viventi esultano per il ritorno della primavera (simbolo della gioventù): i greggi di pecore belano, le mandrie muggiscono e, soprattutto, si scorgono stormi di uccelli che volano insieme nel cielo sereno. In questo quadretto idillico emerge la figura di un passero appollaiato sul campanile della chiesa recanatese di Sant’Agostino. L'uccello cui si riferisce il poeta non è il passero comune, ma proprio una specie chiamata passero solitario (Monticola solitarius), una sorta di merlo dal piumaggio azzurrino che usa vivere proprio sui vecchi palazzi delle città, ripudiando la vita di gruppo. Quest'uccello non partecipa all'atmosfera di rinnovamento dovuta alla bella stagione, bensì guarda i propri simili in disparte, assorto nei propri pensieri, diffondendo il proprio canto melodioso per la campagna fino al tramonto che rappresenta la fine della vita.

D’in su la vetta della torre antica, Passero solitario, alla campagna Cantando vai finché non more il giorno; Ed erra l’armonia per questa valle. Primavera dintorno Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sì ch’a mirarla intenerisce il core. Odi greggi belar, muggire armenti; Gli altri augelli contenti, a gara insieme Per lo libero ciel fan mille giri, Pur festeggiando il lor tempo migliore: Tu pensoso in disparte il tutto miri; Non compagni, non voli, Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; Canti, e così trapassi Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Analisi metrica

Parafrasi

Dalla cima della torre antica, passero solitario, continui a cantare rivolto alla campagna fino a che la giornata non termina; e il suono del tuo canto si diffonde attraverso questa vallata. Tutto intorno brilla nell’aria la primavera e i campi sono nel pieno del loro rigoglio, al punto tale che ad ammirarla il cuore si commuove. Senti i greggi belare e le mandrie di buoi muggire; gli altri uccelli sono felici e insieme gareggiano facendo mille giri nel cielo libero, festeggiando il periodo migliore della loro vita: invece tu, pensieroso e in disparte, osservi tutto ciò; non ti interessa dei compagni, dei voli, dell’allegria ed eviti i divertimenti; canti, e proprio così passi la migliore epoca dell’anno e della tua vita.

Seconda strofa

Oimè, quanto somiglia Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, Della novella età dolce famiglia, E te german di giovinezza, amore, Sospiro acerbo de’ provetti giorni Non curo, io non so come; anzi da loro Quasi fuggo lontano; Quasi romito, e strano

Analisi metrica

Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera Questo giorno ch'omai cede alla sera Festeggiar si costuma al nostro borgoOdi per lo sereno un suon di squilla, Odi spesso un tonar di ferree canne, Che rimbomba lontan di villa in villa. Tutta vestita a festa La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; E mira ed è mirata, e in cor s’allegra. Io solitario in questa Rimota parte alla campagna uscendo, Ogni diletto e gioco Indugio in altro tempo: e intanto il guardo Steso nell’aria aprica Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua, e par che dica Che la beata gioventù vien meno.

Spiegazione

Nella seconda strofa Leopardi stabilisce un parallelismo tra la propria condizione e quella del passero solitario. Così come il volatile trascorre solitario la primavera, Leopardi si rifiuta di godere dei passatempi caratteristici della gioventù, sentendosi del tutto incompreso e diverso dagli altri ragazzi del villaggio. L'estraneità che Leopardi si è diagnosticato in questi versi, infatti, si contrappone all'immagine degli altri giovani recanatesi che, animati da un interno fervore, corrono per le strade del borgo a celebrare le ricorrenze, tra suoni e colori, in una vaga illusione di felicità. Infine, al pari del passero, Leopardi decide di allontanarsi da quell'aria di divertimento così aliena, avviandosi verso una meta indefinita e remota nella campagna attorno a Recanati. Egli è schivo di fronte ai divertimenti effimeri della vita, e il sole che tramonta e «par che dica / che la beata gioventù vien meno» (vv. 43-44) gli fa capire che, quando giungerà alla vecchiaia, rimpiangerà il mancato godimento degli anni migliori della giovinezza, perché «diletto e gioco / indugio in altro tempo» (vv. 38-39).

Parafrasi

Ahimè, quanto assomiglia il mio al tuo modo di vivere! Del divertimento e della gioia, dolce compagnia della giovinezza, e dell’amore, fratello della giovinezza, rimpianto amaro dell’età matura, non mi importa, non so perché; anzi quasi fuggo lontano da loro; trascorro la mia giovinezza solitario e quasi estraneo al mio luogo nativo. Questo giorno, che ormai giunge a termine, si usa festeggiarlo al mio paese. Si sente per l’aria serena un suono di campana, si sente spesso lo scoppio di colpi di fucile, che rimbomba lontano di borgo in borgo. La gioventù del luogo, tutta vestita da festa, abbandona le case e si sparge per le vie; e ammira ed è ammirata, e in cuor suo si rallegra. Io, invece, uscendo da solo in questa remota parte della campagna, rimando ad altro tempo ogni gioco e divertimento: e intanto il sole mi ferisce lo sguardo perso per l’aria luminosa, (il sole) che tra i monti lontani, dopo una giornata serena, tramontando si dilegua, e sembra annunciare che la beata gioventù sta finendo.

Terza strofa

Tu, solingo augellin, venuto a sera Del viver che daranno a te le stelle, Certo del tuo costume Non ti dorrai; che di natura è frutto Ogni vostra vaghezza. A me, se di vecchiezza La detestata soglia Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all’altrui core, E lor fia voto il mondo, e il dì futuro Del dì presente più noioso e tetro, Che parrà di tal voglia? Che di quest’anni miei? che di me stesso? Ahi pentirommi, e spesso, Ma sconsolato, volgerommi indietro.

Analisi metrica

Spiegazione

Con la strofa finale ritorna l'immagine del passero. Leopardi si rivolge nuovamente al piccolo animale, con una sorta di nostalgica invidia: il passero, difatti, pur avendo anche lui innata la sofferenza, non la percepisce poiché vive seguendo il suo istinto, e pertanto rimane nella sua illusoria condizione di felicità. Il raffronto con la condizione del poeta è il passo successivo e finale, coi canoni tipici del vero: malinconia e infelicità, la terribile ombra della vecchiaia che, rendendo il «dì presente più noioso e tetro» (v. 55), toglierà ogni senso al miserando vagare sulla terra che è l'esistenza dell'uomo.

Parafrasi

Tu, solitario uccellino, arrivato alla fine della vita che il destino ti concederà, non ti addolorerai certamente per come hai vissuto; perché ogni vostro desiderio è frutto della natura. A me, invece, se non ottengo di evitare l’odiosa soglia della vecchiaia, quando i miei occhi non diranno più nulla al cuore degli altri e il mondo apparirà loro privo di senso, e l’indomani più noioso e cupo dell’oggi, che cosa penserò della mia voglia di solitudine? Che cosa di questi anni giovanili? Che cosa di me stesso? Ah, mi pentirò, e più volte mi rivolgerò sconsolato al passato.

Temi principali

Il tema dell'effimero
Il tema della solitudine

il tema dell'effimero è un elemento centrale e profondamente radicato nella visione del poeta sulla vita umana. Il passero, con il suo canto malinconico, incarna l'effimero in quanto esprime un senso di bellezza e tristezza che, come la vita stessa, è destinato a finire. L'effimero è anche legato al concetto di transitorietà della vita umana. Leopardi riflette sulla fugacità del tempo, la risorsa più importante dell’uomo. La vita stessa è descritta come un breve percorso, segnato dalla sofferenza e dalla tristezza. A ciò si ricollega la teoria del piacere: la felicità è identificata con il piacere che però, dal momento che l’uomo non ha limiti, è temporaneo e provoca eterna insoddisfazione. Inoltre, l'effimero è evidente anche nella struggente bellezza del linguaggio poetico utilizzato da Leopardi. La sua scelta di parole e il ritmo dei versi catturano l'idea di una bellezza che è preziosa proprio perché è destinata a svanire.

Il passero solitario rappresenta la solitudine umana. Il poeta vede in questo uccello un riflesso della sua stessa condizione di isolamento: come il passero canta solitario, “pensoso” e “in disparte”, allo stesso modo il poeta non partecipa né ai divertimenti della gioventù, né all’amore che la rende vitale e piacevole. A Recanati, un piccolo borgo rurale dello Stato pontificio, tra il 1809 e il 1816, Giacomo si dedica completamente allo studio: sono i “sette anni di studio matto e disperatissimo.” In solitudine, trascorre giorno e notte sui libri della biblioteca del padre, acquisendo un’erudizione straordinaria e dimostrando piena padronanza di diverse materie, ma a prezzo di irreversibili danni alla sua salute fisica e della sua gioventù. Il passero è quindi il riflesso di Leopardi, il suo alter ego. Tuttavia, se quella del passero è una scelta necessaria e indolore, perché indotta dalla natura, per Leopardi invece la solitudine è una sorta di costrizione dolorosa. Lui stesso, infatti, una volta venuta meno “la beata gioventù”, si pentirà di non averla saputa cogliere nel momento in cui gli si offriva.