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Gian Lorenzo Bernini

Guglielmetti Sara

Created on October 5, 2023

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Transcript

I PROTAGONISTI DEL BAROCCO ROMANO

Gian Lorenzo Bernini

Guglielmetti SaraRossi Arianna Rossini Gloria

Il contesto storico-culturale

Il Barocco nacque intorno al 1630, e da quest’anno si sviluppò un nuovo linguaggio figurativo e architettonico, che segnò l’affermarsi di nuovi valori artistici. L’estetica barocca si definì nei principi di un’accentuata espressione ottenuta attraverso la libertà immaginativa, la teatralità, il gusto per il dinamismo, la ricerca della novità. Tutti questi elementi erano volti al coinvolgimento emotivo dello spettatore. Nel Barocco si affermano il virtuosismo, il decorativismo, l’illusionismo e la grandiosità delle forme. I principali protagonisti di questa corrente artistica sono: Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona. Nel periodo in cui si sviluppa il Barocco, la Chiesa utilizza le immagini per celebrare la propria potenza, infatti la sua esigenza primaria era quella di rivendicare l’universalità del proprio potere.

Gian Lorenzo Bernini

Gian Lorenzo Bernini, uno degli artisti e architetti più famosi del Barocco italiano, è nato a Napoli il 7 dicembre 1598, da madre napoletana e padre fiorentino (anche lui scultore di grande talento). All'inizio del '600 la famiglia si è trasferita a Roma, dove Bernini è rimasto fino alla sua morte, ad eccezione di un viaggio a Parigi, chiamato da Luigi XIV. La carriera di Bernini è ricca di successi: è riuscito infatti ad imporsi sugli artisti romani, ha goduto di grande fama presso i Papi, presso gli uomini più in vista e presso gli artisti del suo periodo. Bernini ha iniziato la sua carriera insieme al padre nella cappella di Paolo V in Santa Maria Maggiore. In questo modo ha attirato su di sè l'attenzione del Papa e del cardinale Scipione Borghese, sotto la cui protezione è rimasto fino al 1624, creando le statue e i gruppi che si trovano tuttora a palazzo Borghese. Dopo la salita al trono papale di Urbano VIII la sua posizione nel campo artistico si è consolidata, dal momento che ha ricevuto le le più importanti commissioni e dal 1624 fino alla sua morte è stato occupato in opere religiose. Nel 1629 è stato nominato architetto di San Pietro e, a partire da questo momento, ha realizzato le opere più prestigiose. Il suo stile scultoreo ha subito notevoli trasformazioni, coincidenti con particolari periodi della sua vita. Intorno gli anni '30 Bernini ha attraversato una fase classica, anche a causa dell'influsso della crescente pressione da parte dei sostenitori della dottrina classica. La fase centrale della scultura di Bernini è costituita dagli anni 1640/55, nei quali ha concretizzato il progetto definitivo della tomba di Urbano VIII ed ha elaborato un modello rivoluzionario di monumento funebre per unificare tutte le arti in un unico effetto imponente. Bernini non ha mai usato marmi policromi, perché il suo intento era quello di produrre l'effetto e l'impressione del colore soltanto con il marmo bianco. Nella storia della ritrattistica ha lasciato un contributo importante con il primo ritratto a mezzo busto del tardo barocco: lo Scipione Borghese.

Ratto di Proserpina

Questa è una delle opere più famose di Gian Lorenzo Bernini ed è stata realizzata intorno al 1620. Quando realizzò questo capolavoro, Gian Lorenzo Bernini era poco più che ventenne. A commissionargli il lavoro fu il cardinale protettore Scipione Caffarelli-Borghese. Pochi anni dopo però l’opera venne data in dono al cardinale Ludovico Ludovisi che la espose nella propria villa. Prima di fare un’analisi dell’opera è importante conoscere il mito del Ratto di Proserpina, mito che fa parte delle famose Metamorfosi di Ovidio. Figlia della dea Cerere (dea delle messi), Proserpina attirò lo sguardo di Plutone, dio dei morti che si innamorò di lei mentre era intenta a raccogliere un mazzolin di fiori. Sapendo però che la sua proposta di matrimonio sarebbe stata rifiutata, decise di rapirla. Con l’aiuto di Giove salì sul suo carro e, nonostante le urla della giovane riuscì a rapirla. Durante il loro passaggio sul fiume Acheronte che divide il mondo dei vivi e quello dei morti, la giovane riuscì però a lasciar cadere la sua cintura di fiori per far arrivare il messaggio alla sua cara mamma. Per giorni la dea Cerere cercò la figlia in lungo e in largo ma senza mai trovarla. Solo nove giorni e nove notti dopo si sedette stanca e disperata lungo la riva del fiume e vide la cintura di fiori della figlia. Da allora la dea non si curò più della terra lasciando cessare, di conseguenza, la fertilità dei campi. Giove cerca di convincere Plutone a risparmiare Proserpina: lei, però, ha già ingerito il cibo dei morti, ossia dei chicchi di melograno. Ciò significa che il suo ritorno nel mondo dei vivi è impossibile. Tuttavia il diplomatico Giove riesce a stipulare un accordo: Proserpina sarebbe tornata in vita sei mesi l'anno mentre avrebbe dovuto trascorrere gli altri sei nell'oltretomba, sposando Plutone. In sostanza il mito di Proserpina serve agli avi per dare una spiegazione all'alternarsi delle stagioni. Quando la ragazza è sulla Terra, quindi, l'uomo vive la primavera e l'estate. Nel momento in cui Proserpina discende negli inferi, giungono l'autunno e l'inverno. Da allora, il giorno del ritorno di Proserpina sulla terra coincide con il primo giorno di Primavera mentre, il giorno di discesa nel mondo dei morti è il primo giorno di autunno. La statua del Ratto di Proserpina del Bernini narra il momento del rapimento della giovane dea per mano di Plutone. Un momento altamente espressivo grazie alle abili mani dello scultore che ha saputo ricreare le emozioni dei due soggetti tramite le espressioni del volto e la gestualità. Oltre ai due dei è raffigurato anche Cerbero, il guardiano a tre teste dell’Ade. Plutone invece è arricchito con la corona e lo scettro. L'artista fa emergere dal marmo i muscoli tesi di Plutone, mentre si sforza di sorreggere Proserpina. Quest'ultima, anche se piccola e indifesa rispetto al suo aggressore, cerca di divincolarsi per fuggire. Il particolare della mano del dio che affonda nella carne della coscia della ragazza, con le dita che fanno pressione, è incredibilmente reale. La pietra appare davvero come materia viva richiamando la morbidezza della carne umana. Proserpina, nel suo dimenarsi e scalciare, agita violentemente le mani. È così che finisce per colpire il viso del rapitore con un movimento imprevisto, quasi goffo ma naturalissimo. Da notare il commovente dettaglio della lacrima sul volto di Proserpina. Le figure restano frontali rispetto allo spettatore che le osserva: per mantenere questo schema l'autore mette a rischio la stabilità della statua. I corpi, infatti, divergono in direzioni opposte. In ogni caso il gruppo scultoreo è concepito per essere ammirato girandoci intorno, così chi guarda può confrontarsi sia con il dolore di Proserpina, sia con la furia di Plutone. Il Ratto di Proserpina è visibile nella Galleria Borghese di Roma.

David

Il David di Bernini è un’opera realizzata in marmo bianco, datata intorno al 1623-1624 ed è un’opera che rovescia radicalmente l’iconografia tradizionale dell’eroe, in quanto David non è ritratto in attesa di combattere o dopo la vittoria, ma nel momento di massima tensione dell’azione, quando sta per scagliare con tutta la sua forza la pietra contro Golia. Anche quest’opera era stata commissionata a Bernini da Scipione Borghese. Inoltre, come il Caravaggio, Bernini parte sempre dal vero, infatti, rappresenta l’eroe dell’Antico Testamento come un uomo qualunque. Il David di Bernini agisce, è protagonista immortalato nel pieno di un’azione risolutiva; Golia, pur non essendo rappresentato, prende consistenza in quel punto dello spazio in cui si concentra lo sguardo del giovane. David si lascia il peso dell’armatura offertagli dal re Saul alle spalle e, munito unicamente di una fronbola, affronta il gigante filisteo Golia con quel coraggio, quella forza e quella concentrazione resi manifesti dall’espressione del volto. Bernini riesce a cogliere abilmente il momento cardine, lasciando pregustare all’osservatore la sconfitta di Golia, preannunciata inoltre dalla presenza, ai piedi del David, di una cetra, strumento musicale con il quale il giovane, certamente intonerà il suo canto di vittoria. Lo strumento qui, in modo significativo, termina in una testa d’aquila, uno degli animali araldici dei Borghese, quale evidente testimonianza della committenza dell’opera e dell’intento celebrativo del casato. La scultura in origine era addossata a una parete, come testimoniato dal fatto che posteriormente non è rifinita ed è priva di parte del tallone sinistro (completato nei restauri moderni). Essa, infatti, ha un solo punto di vista, un principio compositivo che rimane fondamentale in tutta la produzione dell’artista. Qui è posto esattamente sull’asse centrale tra la figura e l’occhio dell’osservatore: in tal modo, e grazie anche all’accorgimento tecnico di un basamento più piccolo dell’attuale, il coinvolgimento dello spettatore nello spazio dell’azione drammatica risultava accresciuto. Egli, infatti, si doveva trovare di fronte alla statua esattamente al posto di Golia, per essere emotivamente coinvolto e riuscire a “vedere” con l’immaginazione l’imminente lancio del sasso. La percezione dello sviluppo dell’azione era affidata alla torsione del corpo e delle braccia contratte sulla fionda, e alla visione del volto concentrato nello sforzo del momento. Si pensa che il David possa rappresentare lo stesso Bernini.

Apollo e Dafne

Apollo e Dafne è un gruppo scultoreo a tutto tondo in marmo, realizzato da Bernini tra il 1622 e il 1625. Anche quest’opera gli era stata commissionata da Scipione Borghese e da sempre si trova nella Galleria Borghese a Roma. E’ la prima volta in cui una statua di marmo rappresenta una corsa e una trasformazione. La statua si ispira a un mito presente nelle Metamorfosi di Ovidio, nel quale il dio Apollo, figlio di Zeus, vantandosi di saper usare come nessun altro arco e frecce, incorra nell’ira di Cupido. Quest’ultimo, per punire la superbia del giovane dio, lo colpisce con una freccia facendolo innamorare della bella ninfa Dafne (il cui nome in greco significa ”alloro”), figlia del dio fluviale Peneo e di Gea, la Terra. Dafne però, ha consacrato la sua vita alla sorella di Apollo, la dea Artemide, votata alla castità e al mantenimento della verginità, valori di cui è tale sostenitrice da costringere le ninfe del suo seguito a seguire il suo esempio, pena una esemplare punizione. Apollo, innamorato, cerca disperatamente di raggiungere l’amata Dafne che chiede aiuto al padre per custodire la propria innocenza. Peneo, quindi, per evitare che i due giovani si possano congiungere, fa in modo che la forma umana della figlia si dissolva al tocco del dio. Apollo, infatti, insegue Dafne fino a quando, raggiungendola e toccandola, non la vede trasformarsi in un albero di alloro (la corona di alloro è uno dei simboli del dio Apollo). Apollo è raffigurato nell’atto di correre, col piede destro a terra e il sinistro sospeso; il panneggio, che gli copre i fianchi e la spalla sinistra, accompagna il suo movimento. Egli, giunto al termine dell’inseguimento, poggia la mano sinistra sul corpo di Dafne. Sotto il tocco del dio, la ninfa, istantaneamente bloccata nella sua fuga con le braccia protese in alto e il volto che tenta di volgersi all’indietro, ha già mutato i suoi piedi in radici e le mani e i capelli in fronde di alloro. In “Apollo e Dafne” il minuzioso trattamento del marmo, dalla dettagliata resa del fogliame e del panneggio sollevato dal vento alla corteccia del tronco, dalla fluente chioma dei protagonisti allo sguardo smarrito e sorpreso di Dafne, concorre a rendere perfettamente l’azione che sembra svolgersi davanti all’attento sguardo dell’osservatore.

La ritrattistica a mezzo busto

Nella produzione artistica di Bernini, un settore particolare è rappresentato dai ritratti, a cui si dedica per tutto il corso della sua carriera. Un consistente gruppo di essi si concentra soprattutto nel periodo giovanile, perchè durante l'intensissima attività dei decenni successivi l'artista è assorbito da lavori di maggiore impegno, e i ritratti vengono eseguiti tra un'impresa e l'altra. Definiti “ritratti parlanti”, nei suoi busti raffigurano il soggetto in movimento, avendo egli individuato il modo più efficace per rendere l’individualità del soggetto nella raffigurazione della transitorietà di uno stato d’animo piuttosto che nella copia minuziosa del volto in posa. L'incredibile galleria di tipi umani che ci ha lasciato Bernini, oltre a rivelarci una straordinaria sensibilità di analisi psicologica, permette di risalire alla rete di relazioni professionali e umane che costituivano la vita dell'artista. Bernini sosteneva che per poter cogliere la vera essenza di una persona bisogna studiarla nella sua vita di tutti i giorni e nelle occupazioni e atteggiamenti abituali, e non attraverso una messa in posa artificiale. Da testimonianze dirette sappiamo che infatti Bernini frequentava i suoi personaggi per osservarli in movimento, nei vari momenti della giornata. In queste occasioni realizzava una serie di schizzi, studi, disegni e bozzetti in argilla dei suoi modelli, fino ad ottenere una specie di reportage visivo. Altre considerazioni spiegate dallo stesso Bernini riguardano il problema del colore reale dei tratti di un viso da tradurre sul bianco del marmo. Egli sosteneva che sarebbe molto difficile riconoscere qualcuno se per ipotesi questo si tingesse faccia, capelli, occhi e sopracciglia di bianco. Perciò lavorare un ritratto sul marmo è difficilissimo ottenere la somiglianza. Perchè un soggetto sia riconoscibile è necessario inserire delle varianti, dei tratti che non appartengono al modello reale, ma che nella versione "in bianco" gli somigliano di più, perchè suggeriscono quei colori che sono propri del viso. Il risultato di tutto ciò è che i suoi ritratti possiedono un dinamismo particolare, riescono a trasmettere una personalità , attraverso le espressioni, i modi di volgersi, di guardare e di atteggiarsi, sono immagini instabili, in movimento, sembrano delle istantanee di marmo.

I maggiori ritratti

BUSTO DI COSTANZA BONARELLI Questa è un’opera legata alla vita privata del Bernini, realizzata intorno al 1637-1638, alta 72cm. Il soggetto del busto è Costanza Bonarelli, moglie di un allievo del Bernini, Matteo Bonarelli. Secondo la biografia redatta dal figlio del Bernini, questa donna sarebbe stata amante dello stesso Gian Lorenzo, ma contemporaneamente avrebbe frequentato il fratello dello scultore, Luigi. Stando alla storia, un giorno, con la scusa di recarsi in campagna, Gian Lorenzo va allo studio in zona San Pietro, proprio di fronte alla casa della donna, proprio dall’abitazione vede uscire suo fratello Luigi, mentre Costanza ha ancora un aspetto trasandato, lasciando intuire che i due avessero trascorso del tempo insieme. Colmo d’ira, Gian Lorenzo insegue Luigi ed arriva a rompergli due costole, fino ad essere fermato da un passante. Questo incidente non ebbe ripercussioni sulla carriera dello scultore poiché Papa Urbano VIII riuscì a tramutare la punizione in una semplice multa. Il soggetto non è rappresentato in modo aulico e perfetto, ma nella sua semplice quotidianità. Costanza ha la bocca leggermente aperta, i capelli spettinati, lo sguardo semplice e leggermente sorpreso; scolpendo la donna con i capelli all’indietro, la luce riesce ad illuminare la fronte e permette di apprezzare i minimi dettagli realizzati dal Bernini; infine la veste indossata da Costanza, è molto scollata, lasciando scorgere il seno della donna. Tutti questi dettagli, la luminosità e la superficie levigata, lasciano trasparire il forte impegno che lo scultore ha posto in quest’opera, dando forza alla teoria del legame tra il Bernini e Costanza, come auspicato nella biografia dello stesso figlio del Bernini. E’ possibile osservare quest’opera al Museo Nazionale del Bargello a Firenze.

I maggiori ritratti

BUSTO DEL CARDINALE SCIPIONE BORGHESE E’ un’opera realizzata in marmo bianco alta 78 cm, realizzata nel 1632 per commissione dello stesso Cardinal Scipione. Ci sono due versioni di quest’opera, la prima, che venne sostituita a causa di un difetto del marmo che si era manifestato a lavoro ormai finito e la seconda che è una riproduzione che è stata realizzata in quindici notti. L’importanza del committente giustificava la necessità di rimediare al più presto all’errore. Le due versioni, a prima vista identiche, si differenziano per alcuni dettagli. Rispetto al primo ritratto, l’espressione è meno assorta, le spalle sono meno rotonde, mentre la mozzetta è attraversata in basso da una piega orizzontale che attraversa l’ultima coppia di bottoni e la levigatura è più uniforme. Anche qui nel marmo si è aperta un’incrinatura che attraversa il centro della mozzetta da sinistra in basso verso destra in alto. In questa opera traspaiono la personalità, l’indole, la vitalità e la fisicità del personaggio, che è ritratto nella fugacità di un attimo: sembra infatti si stia girando verso un interlocutore e che stia per dire qualcosa. L’artista dà nel ritratto di Scipione un’ennesima prova della sua fluidità nella lavorazione del marmo, riuscendo a rendere la sensazione tattile del cardinale e insieme quella cromatica, della seta della mozzetta, in cui le pieghe suggeriscono la marezzatura. Entrambi i busti sono conservati oggi nella galleria Borghese a Roma.

Il "bel composto"

A partire dal 1645 la ricerca figurativa di Bernini si arricchì di nuove sperimentazioni formali orientate verso un tipo di composizione nel quale tutte le arti figurative e le tecniche si fondono in un'unità indiscibile. È il cosiddetto “bel composto”, nel quale architettura, pittura e scultura concorrono a raccontare una storia. Qui le opere divengono “macchine teatrali” in cui l’illusionismo della realtà e la complessità delle soluzioni formali determinano un’accentuazione dell’aspetto emotivo.

Cattedra di San Pietro

La Cattedra di San Pietro è pensata come un grande dipinto da osservare a distanza, in modo tale che le colonne del Baldacchino facciano da cornice e che la scena si riveli al fedele come un evento sovrannaturale. L’effetto illusorio è quello di sfondamento del muro perimetrale dell’abside: qui una vetrata ovale irrompe un abisso di luce dorata che si diffonde anche sulle pareti, coprendo la trabeazione e le colonne dell’ordine gigante. Questa luce è circondata da un’apoteosi caotica e turbinosa di nubi e angeli che accompagnano la “discesa” della Cattedra di San Pietro: si tratta di un enorme trono di bronzo. Il messaggio teologico e dottrinale è tradotto in termini sensibili ed emozionali. Diversi materiali concorrono a comporre un insieme policromo equilibrato, dove architettura, scultura e pittura si integrano nella rappresentazione.

Statua equestre di Costantino

Quest’opera è stata realizzata intorno al 1677, è alta 376cm e si doveva basare inizialmente su una statua romana classica. Il lavoro cominciò effettivamente nel 1671 e ci vollero ben sei anni per completare tutta l’opera, ma per motivi sconosciuti, solo nel 1684 la scultura arrivò effettivamente a Parigi. La statua realizzata dal Bernini prevedeva una trasposizione di Re Luigi XIV in veste divine, il quale stava scalando la vetta della virtù, proprio come aveva fatto Eracle prima di lui. Nella versione originale della “Statua equestre di Re Luigi XIV” realizzata dal Bernini, vi erano tutti gli elementi atti a celebrare la maestosità e nobiltà del soggetto: il mantello, mosso dal vento avvolgeva il corpo del Re, la parrucca era stracolma di riccioli, la postura sicura e reale ed infine uno sguardo fiero, caratteristico di un sovrano. Nonostante la severa critica del Re e la futura Rivoluzione Francese, la statua fortunatamente è sopravvissuta, ma in tempi più recenti, è stata vittima di attacchi vandalistici; dopo anni di attenti restauri, attualmente la statua è ammirabile a Versailles.

Monumento funebre di Urbano VIII

Il Monumento funebre di Urbano VIII è espressione della drammatica religiosità barocca e della potenza della Chiesa. Bernini crea una struttura polimaterica dove il dinamismo della composizione è raggiunto con le variazioni di colore. La composizione è costruita su una piramide: al vertice vi è la monumentale statua bronzea di Urbano VIII; alla base si trovano il sarcofago e ai lati sono raffigurate le due virtù moderatrici dell’autorità papale: la Carità e la Giustizia. In questo modo, con questa concezione compositiva, Bernini fa entrare realismo e vitalità nell’arte sacra e funebre, generando una vera rivoluzione nell’iconografia del genere. Così facendo realizza un’opera nella quale più generi convivono in un crescendo dinamico di passioni e affetti.

Opere a confronto

La Tomba di Alessandro VII, di Gian Lorenzo Bernini, e la Tomba di Leone XI, di Alessandro Algardi, appartengono a due movimenti diversi del XVII secolo; eppure, la loro presenza nella Basilica di San Pietro sintetizza un aspetto tipico del Barocco: la compresenza degli opposti, la convivenza di diverse esperienze figurative anche in contraddizione tra loro.

Alessandro Algardi, Tomba di Leone XI

Gian Lorenzo Bernini, Tomba di Alessandro VII

Alla prorompente immaginazione di Bernini si contrappone il più controllato e composto classicismo barocco del bolognese Alessandro Algardi. Il suo stile deriva dal realismo attenuato dal classicismo assimilato all’Accademia di San Luca a Bologna. La Tomba di Leone XI fu eseguita negli stessi anni in cui Bernini lavorava a quella di Urbano VIII; nonostante sia stata influenzata dai progetti di Bernini, la Tomba di Leone XI se ne distanzia in molti aspetti importanti: - alla policromia del modello, gli oppone il candore del marmo bianco di Carrara; - rimanda ogni elemento narrativo a un bassorilievo nel corpo del sepolcro dove si ricorda il ruolo dell’allora cardinale nelle guerre di religione in Francia; - il gruppo scultoreo di Algardi è impostato classicamente su un solenne senso della morte.

La Tomba di Alessandro VII di Gian Lorenzo Bernini innova il modello del monumento funebre, conferendogli dinamismo e varietà. L’opera non si limita a ritrarre un personaggio ma racconta una storia, sostituendo a un’immagine statica e univoca più figure legate da una fitta trama di relazioni. Quattro allegorie (Giustizia, Carità, Prudenza e Verità) di marmo fanno da corona alla figura centrale del papa in preghiera. Bernini utilizza la porta preesistente nella nicchia e la inserisce nel gruppo assegnandole un ruolo e un significato: è l’entrata del mondo dei morti. Sopra si scorge uno scheletro che agita una clessidra all’indirizzo del papa per indicargli che la sua ora è giunta. L’attenzione è sull’idea del trapasso inteso come una transizione dinamica tra la vita e la morte. La complessità compositiva è accentuata dalla variazioni di colore e dagli effetti pittorici ottenuti con l’uso di marmi policromi e di materiali diversi, come il bronzo, lo stucco dipinto e il legno dorato.

FOCUS

Nel campo della scultura Bernini fornì interpretazioni magistrali: la verosimiglianza delle sue opere e il virtuosismo nella resa degli incarnati e delle vesti è tale che il marmo è trasfigurato in qualcosa di più vero del vero, quasi superando i limiti stessi della materia. Dal marmo alla carne Bernini, a differenza di Michelangelo, non riservò mai grande cura alla scelta del marmo. L’artista conosceva a fondo le proprietà e la lavorabilità dei materiali, che sfruttava abilmente a fini espressivi: scolpiva il marmo in spessori così esili da simulare effetti di trasparenza e utilizzava con fantasia le qualità cromatiche e i disegni delle venature sottili sottili e cangianti dei marmi screziati. TECNICA: Bernini prima sbozzava il marmo, successivamente interveniva a raffinare le forme utilizzando gli strumenti in un ordine costante: prima la subbia, poi la gradina, lo scalpello a varietà di punte, il ferro tondo, il trapano, la raspa. Da ultimo utilizzava abrasivi, acidi a potenzialità diverse sia per levigare sia per lucidare il marmo. Affrontava il blocco di marmo in modo deciso ed energetico, non senza incappare in errori. Dall’idea all’opera: schizzi, bozzetti, modelli Quando Bernini entrò al servizio del pontefice come architetto e urbanista, cambiò il suo approccio al lavoro scultoreo. La componente ideativa e preparatoria prese sempre maggior peso. In questa fase matura della sua ricerca andò definendosi un’articolata prassi scultorea. Il punto di partenza nella progettazione di un’opera erano gli schizzi grafici a penna e matita. Seguivano poi studi di terracotta con vari gradi di rifinitura, essi testimoniano il metodo di lavoro del maestro e, al tempo stesso, sono dotati di un valore estetico autonomo per l’estrema quantità di sintesi. Primo passo erano dunque i “bozzetti”; a questi seguivano i cosiddetti “modelletti”, sempre in terracotta: più rifiniti, venivano utilizzati per presentare il progetto ai committenti e ai collaboratori che avrebbero dovuto successivamente scolpire l’opera. Per le opere più complesse venivano elaborate, da ultimo, anche dei “modelli grandi”, cioè riproduzioni in scala naturale e in materiali poveri dell’opera finale.

Le fontane

Espressione della grande libertà creativa di Bernini è la progettazione delle fontane romane. Con queste opere Bernini abbandona il lessico tardorinascimentale, trasformando la fontana da elemento urbanistico decorativo ad autentica scultura “vivente”, concepita in funzione della sua collocazione, della sua immagine e dell’acqua. Bernini, infatti, si definiva “Amico delle acque”: l'acqua è protagonista indiscussa delle sue fontane, diviene infatti lo strumento essenziale della forma, il catalizzatore del “bel composto” tra architettura e scultura. Mediante il movimento dell’acqua la statua acquista dinamismo e il suo aspetto risulta mutevole e provvisorio. L’altro elemento innovativo è la spettacolarità: le fontane di Bernini diventano “macchine” scenografiche composte da divinità, conchiglie, pesci, delfini, barche, rocce, getti d’acqua, al fine di creare un illusorio mondo marino.

Bernini architetto

Giovan Lorenzo Bernini nacque a Napoli nel 1598. E’ stato uno scultore, urbanista, architetto, pittore, scenografo, commediografo e costumista italiano. Venne definito un’artista poliedrico e multiforme, è considerato il protagonista della cultura figurativa barocca. Egli iniziò a dedicarsi all’architettura in età più matura, risentì sia dell'influenza di Michelangelo, artefice di un'architettura plastica e chiaroscurale, sia delle rimanenze strutturali della Roma imperiale, edifici che riuscivano a coprire spazi di immense dimensioni con l'impiego di superfici curvilinee. E' ancora giovanissimo quando papa Urbano VIII Barberini, con il quale l'artista stabilirà un durevole e proficuo rapporto di lavoro, gli commissiona il "Baldacchino di S. Pietro" nel 1624. Nel 1629 Papa Urbano VIII nomina Bernini architetto sovrintendente alla Fabbrica di S. Pietro. Dopo la morte del papa Urbano VIII egli cadde in disgrazia e solo all’età di sessant’anni riprese con la realizzazzione di opere architettoniche come le tre chiese di S. Andrea al Quirinale (1658), di Castelgandolfo (1660), dell'Ariccia (1668).

Chiesa di Sant'Andrea al quirinale

Bernini ribaltò la concezione prevalente in fatto di architettura religiosa: la chiesa ha infatti una pianta ellittica, dove l’asse più lungo è quello orizzontale, mentre il più corto va dall’ingresso all’altare maggiore. La facciata, incassata in un proscenio ricurvo con un effetto di grande contrasto, è totalmente costituita da elementi dell’architettura classica (fregio con motivo greco consistente in un serrato alternarsi di forme ovali e piccoli parallelepipedi, colonne corinzie, triangoli e semicerchi romani), ma tutti sottoposti ad una compressione laterale che ne esalta la verticalità. Un’elegante scalinata curvilinea conduce al protiro sorretto da due colonne ed ornato dal grande stemma cardinalizio del principe Camillo Pamphilj, committente dell’opera; due alte lesene sorreggono invece il grande timpano modanato. L’interno, da molti definito “la perla del Barocco”, è un gioco di luci e ombre che prelude al Rococò. Splendida la cappella maggiore con altare in bronzo dorato e lapislazzuli, disegnata dallo stesso Bernini ed ornata da una bellissima raggiera dorata con angeli e cherubini di Antonio Raggi; al centro si trova una tela con la raffigurazione del “Martirio di S.Andrea”, opera del Borgognone.

Baldacchino di San Pietro

Nel Baldacchino, Bernini riesce a fondere alla perfezione le varie arti, che si integrano e si esaltano a vicenda attraverso il suo stile del “bel composto”. Il Baldacchino doveva inserirsi sopra l’altare maggiore e sotto l’immenso spazio vuoto della cupola di Michelangelo. Bernini non frena la sua fantasia e il risultato è un’opera estremamente diversa da qualsiasi altra. Quattro grandissimi piedistalli rivestiti con marmi colorati e stemmi pontifici a rilievo sorreggono le quattro colonne tortili in bronzo dorato. Ogni colona, alta 11 metri e riempita di calcestruzzo per renderla più robusta. La copertura sovrastante vede la collaborazione di Borromini con quattro grandi volute sagomate a dorso di delfino che si elevano dai quattro angoli opposti per congiungersi verso il centro, che sostiene la croce. Il Baldacchino è straordinario perché “riempie senza ingombrare” la basilica michelangiolesca, integrandosi perfettamente, nonostante le dimensioni enormi (alto come un edificio di nove piani), apparendo esile e proporzionato. Le colonne slanciano verso l’alto, come se fossero quattro enormi spirali. Il Baldacchino è l’esempio di armonia tra scultura e architettura barocca, arte che falsa volutamente la percezione della realtà.

Palazzo Montecitorio

Palazzo Montecitorio a Roma è la sede della Camera dei Deputati e rappresenta uno dei luoghi più importanti a livello politico, istituzionale e amministrativo del nostro Paese. Esso è importante anche dal punto di vista artistico, in quanto ospita innumerevoli dipinti, sculture e incisioni. Montecitorio si trova sul Quirinale, uno dei sette colli romani. In origine, il palazzo era una residenza privata commissionata dal papa Urbano VIII al Bernini per la famiglia dei Ludovisi. Il Bernini, straordinario interprete del barocco romano, realizzò un edificio che, sia nella struttura sia nelle decorazioni, si adatta all'assetto urbanistico preesistente. L'unica testimonianza del progetto berniniano è rappresentata dal dipinto attribuito a Mattia de' Rossi, allievo prediletto di Bernini (Roma, collezione Doria-Pamphili). La facciata del palazzo, costituita da una poligonale di cinque partiture che segue l'andamento curvo della strada prospiciente e gli elementi di pietra appena sbozzata, dai quali fuoriescono foglie e rametti spezzati, simulano un edificio costruito nella viva roccia.

PALAZZO CHIGI-ODESCALCHI

L'edificio originario, rimaneggiato da Carlo Maderno, apparteneva alla famiglia Colonna, che nel 1622 lo vendette ai Ludovisi, per poi riacquistarlo pochi anni dopo. Nel 1661 il palazzo, ceduto in usufrutto al cardinale Flavio Chigi, fu oggetto di una significativa trasformazione ad opera di Gian Lorenzo Bernini (1665 circa). La facciata ideata dal Bernini può essere considerata un vero e proprio modello per i prospetti dei palazzi barocchi italiani ed europei. Bernini, infatti, la ripropose anche in un suo progetto per la facciata del Louvre, poi non realizzata. Prima dei successivi ampliamenti, essa presentava un risalto nella parte centrale, definito mediante lesene giganti e coronato da una balaustra alla sommità. Tale risalto fu celato nel corso del Settecento, quando la facciata fu raddoppiata, riprendendo però lo stile del disegno berniniano. Essa risulta aperta da due portali, dai quali si accede al cortile porticato realizzato da Carlo Maderno, ornato con numerose statue. Decisamente eclettica la facciata su via del Corso, edificata in stile neorinascimentale sul modello dei palazzi fiorentini del XV secolo.

I PROGETTI PER IL LOUVRE

Nel 1665 la fama di Gian Lorenzo Bernini aveva oramai raggiunto livelli altissimi. Bernini, durante la sua carriera, non aveva quasi mai abbandonato Roma. Nello stesso anno si trasferì a Parigi con l’intento di completare, niente meno, che la ristrutturazione del palazzo del Louvre. Per questo lavoro, in totale, Bernini presentò tre progetti più una scultura equestre mai realizzati che testimoniavano la sua ricerca radicale sull’articolazione dei volumi e sulla contrapposizione tra piani concavi e convessi.

BERNINI, IDEE PROGETTI PER SAN PIETRO

A progettare il noto colonnato di piazza San Pietro è stato Gian Lorenzo Bernini che voleva far sentire i visitatori simbolicamente abbracciati e accolti dalla chiesa. L’attuale piazza fu voluta nel 1656 da papa Alessandro VII e commissionata a Gian Lorenzo Bernini per valorizzare lo spazio antistante la basilica. Il papa impone all’architetto molteplici vincoli come il rispetto degli edifici esistenti ponendo particolare attenzione al fatto di non nascondere le finestre degli appartamenti papali dove regolarmente compare il pontefice. Impose anche di avere un grande spazio vuoto per accogliere i fedeli ed un passaggio al coperto per le processioni. Bernini, nello spirito dell’architettura barocca, trova un’elegante soluzione urbanistica e simbolica per creare un effetto di sorpresa progettando un colonnato che devia dalla basilica di San Pietro come due braccia che accolgono la folla. L’artista creò questo complesso architettonico dal 1658 al 1667 e avrebbe voluto chiudere completamente la piazza con una terza ala o un arco trionfale per avere un maggior effetto sorpresa al pellegrino che uscendo dalle stradine del Rione Borgo si ritrovava al cospetto della grande piazza e della basilica. La terza parte non venne più costruita con la morte del papa Alessandro VII.

THE END

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la fontana dei quattro fiumi

La fontana fu realizzata tra il 1648 e il 1651. L’ideazione di questa fontana rientrava nei piani di risistemazione di Piazza Navona voluti da Innocenzo X Pamphilj. L’opera è un vero e proprio spettacolo teatrale e si accorda perfettamente con l'organizzazione generale della piazza e il messaggio ideologico che essa doveva trasmettere. Su una bassa vasca circolare, domina un piedistallo di roccia naturale traforato sui quattro lati che imita una rupe con grotte, piante ed è abitata da animali esotici. Su questo piedistallo sono poste le personificazioni dei fiumi dei quattro continenti sui quali la Chiesa voleva.