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Chiesa Caterina Irmina Maria

Created on May 30, 2023

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Transcript

"quello che cerco l'ho nel cuore come te"

Indice

1.

INTRODUZIONE

cosa definisce il cuore di ogni uomo?

2.

ULISSE

3.

ULISSE E CALIPSO

4.

UNGARETTI

5.

ALTRE FONTI

6.

CONCLUSIONE

ULISSE

ULISSE E CALIPSO

Ulisse mi ha accompagnato nel mio viaggio.

Rapporto di possesso, nascosti dalla vita e dal dolore.

UNGARETTI

ALTRE FONTI

Scivere di sè per parlare dell'uomo.

Commozione.

Ulisse

"Queste il cantore illustre vicende cantava. Ed Ulisse l’ampio purpureo mantello con ambe le valide mani si trasse sopra il capo, nascose il suo nobile volto, ché lo pungea vergogna di piangere innanzi ai Feaci."

Libro VIII (vv. 81-84)

Demodoco, l’aedo dei Feaci comincia a cantare e a raccontare delle gesta degli eroi durante la guerra di Troia. In questo momento in Ulisse emerge un ricordo di morte, di guerra, di sofferenza, ma soprattutto il ricordo del suo essere un eroe. Ulisse era un eroe glorioso, conosciuto da tutti e amato. Il suo rendersi conto di essere cambiato, di essere bisognoso come ogni uomo, di essere uomo, lo porta a piangere, a commuoversi. Ulisse piange un'altra parte di sé che desidera, e questo desiderio arde nel suo cuore fino alla commozione perché la riscoperta di sé porta alla commozione.

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Ulisse

"Così dunque cantava l’insigne poeta. Ed Ulisse struggeasi; e il pianto giù dal ciglio bagnava le guance. Come una donna piange protesa sovresso lo sposo, che per la sua città, pei suoi cittadini è caduto, per tener lungi il giorno fatal dalla rocca e dai figli: essa, che cader morto lo vide e dar gli ultimi guizzi, amaramente piange, rotesa sul corpo: e i nemici di dietro, con le lance, le battono gli omeri e il collo, e via schiava l’adducon, ché soffra fatiche e dolori; e a lei pel più doglioso tormento s’emacian le guance; così bagnava Ulisse di misero pianto le ciglia"

Libro VIII (vv. 516-526)

All’interno dello stesso libro vediamo poi Ulisse piangere un’altra volta; un pianto che deriva sempre dal canto di Demodoco e che è in grado quindi di risvegliare nell’uomo ricordi e che rende nuovamente presenti fatti necessari per la vita di ogni uomo. All'interno di questi versi addirittura l’eroe viene paragonato a una donna che, rimasta vedova, piange una passata compagnia e unità, una parte di sé che ha perso, che prima c’era e ora non c’è più. Ulisse sente di aver perso la migliore parte di sé, ogni uomo desidera essere eroe invece di essere bisognoso, nonostante questa posizione permetta a ognuno di crescere e cambiare. L’eroe si rende conto che è morta la sua gloria, il suo passato eroico.

Ulisse

Ma nuovamente – tant’ira m’ardeva nel cuore – gridai: “Se ti dovesse qualcuno degli uomini chieder, Ciclope, conto dell’occhio, com’è che cieco sei sì sconciamente, digli che Ulisse te l’ha cavato, il figliuol di Laerte, quegli che Troia espugnò, che in Itaca vive ed impera”.

Libro IX (vv. 497-501)

Una volta saliti sulla nave dopo essere scappati da Polifemo, Ulisse sente l’esigenza di gridare il suo nome. Infatti, sull’isola del Ciclope, l’eroe si era presentato con il nome “Nessuno” affinché chiunque non conoscesse l’eroe pensasse a un uomo qualunque di cui non preoccuparsi. Ulisse innanzitutto è come se avesse bisogno di errare che non solo vuol dire viaggiare, ma anche sbagliare. L'errore è uno dei più grandi aspetti che rende l’uomo tale e il suo cuore umano; infatti, potremmo dire che l’esigenza di dire il suo nome sia stata un bisogno che ha sentito perché è uomo. Prima abbiamo parlato di come Ulisse abbia perso una parte di sé dopo la guerra. Ecco, in questa tappa ancora si sente un eroe e dicendo il suo nome al ciclope lo afferma, afferma la sua dignità di uomo.

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Ulisse

"Tiresia, i Numi stessi tramaron così questi eventi. Ma dimmi questo, adesso, rispondimi senza menzogna: io della madre mia già spenta qui l’anima veggo, ed essa presso al sangue sta senza parola, e sul figlio non leva pur lo sguardo, a lui non rivolge parola; dimmi, signore, come potrà riconoscer suo figlio”.

Libro XI(vv. 139-144)

Anche nel libro XI all’interno del quale Ulisse si reca nell’oltretomba per parlare all’indovino Tiresia, capiamo che lui ascolta prima il cuore: come ogni uomo, un uomo ascolta prima il cuore perché è casa del suo essere. Poi non è detto che lo ascolti fino in fondo, ma ogni uomo si accorge di cosa arde nel cuore. L’eroe, infatti, desidera incontrare la madre ancor più di sapere del suo futuro, di come morirà, del fatto che morirà da solo di vecchiaia, in mezzo al mare senza che gli sia reso alcun onore. Questo non solo è un desiderio, ma è un’esigenza che quindi non si può oltrepassare, evitare.

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E bieco lo guardò Ulisse e rispose: “Neppure se tutti quanti mi deste, Eurimaco, i beni paterni, quanti n’avete, quanti altri possiate trovarne a impinguarli, neppure allor vorrei trattenere le man’ da la strage, prima d’avere tutti puniti i Proci. Ora vi restan due strade: combattere o darvi alla fuga, chi con la fuga potrà schivare il destino e la morte; ma niuno sfuggirà, ne son certo, l’estrema rovina” Così diceva; e a tutti mancarono cuore e ginocchia.

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Conclusione del capitolo

Riepilogando, grazie a questi episodi abbiamo capito che Ulisse ha un grande desiderio di conoscenza, di casa e di verità. Questi desideri lo caratterizzano e lo rendono un uomo vero anche nella sofferenza del pianto. Anzi, è proprio il pianto, il dolore, che ancora di più lo rende umano in quanto essere che vive. Inoltre, abbiamo visto che essendo uomo Ulisse ha bisogno di essere sicuro che si sappia chi è, di dire il suo nome e infine che, sempre per lo stesso motivo, sente il bisogno di vendetta, uccide molti uomini senza dimostrare né onore, né eroicità, ma solo umanità.

Ulisse e Calipso

Nel dialogo di Pavese Calipso parla di Ulisse come di un sogno giunto durante il suo sonno cominciato chissà quando.

Infatti l’eroe è per lei la salvezza dal dolore, dal risveglio che verrà quando Ulisse se ne andrà. Al risveglio tornerà il dolore, perché in qualche modo continuerà a vivere. L’arrivo di Ulisse, provocando il risveglio, ha portato un'altra isola in sé, un’isola in cui vivere, non dormire, risvegliarsi.

Ulisse e Calipso

Calipso propone l’immortalità a Ulisse che, però, in quanto uomo con un cuore, non può accettare.

Gli propone si fermarsi, di smettere di errare, ma Ulisse, se avesse saputo il motivo, lo scopo, il risultato del suo viaggiare, avrebbe già smesso

Conclusione del capitolo

Grazie a Ulisse la dea si rende conto che ciò che cerca è un senso che è una via, una direzione e la tappa ultima di una via a senso unico è la morte. Quindi rifiutando la vita e perciò la morte, Calipso non può avere una direzione, un senso. Allo stesso modo, senza casa sua, senza amare, senza una direzione, senza un senso, a causa dell’immortalità, Ulisse non può vivere. Quindi nonostante questo dialogo sia utile a entrambi, la distanza tra Ulisse e Calipso è grande e la libertà di uno coincide con il dolore dell’altro.

Ungaretti

Dannazione

DANNAZIONE Mariano il 29 giugno 1916 Chiuso fra cose mortali (Anche il cielo stellato finirà) Perché bramo Dio?

L’esperienza, del limite, della fine, dell’impotenza, il tentativo di cercare un senso, genera in lui una domanda, un grido, un grido a Dio che è qualcosa di infinito. Infatti, nonostante in guerra non creda più, non speri più in niente, non riesce a togliersi dal cuore questo desiderio di infinito; dopotutto chi non desidera qualcosa che non finisce? Il suo grido però non trova risposta, torna sentirsi dannato in quanto brama Dio, ma è come se non potesse incontrarlo; la risposta alla sua preghiera vuole trovarla attraverso l’incontro con il divino. Questo desiderio di infinito lo tiene in vita. Il desiderio di infinito è caratteristico del cuore dell’uomo in quanto uomo. Ogni creatura, per tenersi in vita, desidera il divino al suo fianco. L’incontro con il divino o il desiderio grande di averlo accanto alimenta l’essere uomo di ogni uomo, l’essere vivo.

Ungaretti

Destino

DESTINO Mariano il 29 giugno 1916 Volti al travaglio come una qualsiasi fibra creata ci lamentiamo noi?

Forse la sofferenza a cui Ungaretti è costretto è per una vita eterna, infinita, dopo la morte. Già con la prima poesia parlavamo di desiderio di infinito e desiderando l’infinito bisogna passare dal travaglio, desiderando la vita. Infatti, ogni uomo in quanto creato e voluto, è destinato alla sofferenza, al travaglio: vive. Perché allora ci lamentiamo del travaglio se sappiamo che c’è vita dopo averlo vissuto? Ognuno di noi se lo chiede perché ogni uomo desidera un destino buono per sé. La risposta è che l’uomo in quanto uomo non capisce, almeno all’inizio, che Dio ha fatto si che la sofferenza fosse salvata dalla vita. Il suo destino è quindi il travaglio. Se si è dannati, se si è in una situazione in cui il destino vive insieme all’impossibilità del suo compiersi, l’uomo non può neanche vivere il travaglio e quindi non vive, non è più uomo.

Ungaretti

“Allegria, perché Allegria di naufragi? Ebbene, perché, insomma, la poesia, l’uomo in tutte le sue imprese anche quando crede di essere arrivato in porto, sì ci arriva, ma ci arriva da naufrago, ci arriva dopo aver lasciato molte illusioni se non aver subito dei veri disastri. Ma il fatto di essere comunque arrivato in porto anche dopo un naufragio, dà un certo piacere, no?, dà un’allegria. Ecco: Allegria di naufragi.”

La poesia, l'uomo

Ungaretti sott’intende che la poesia e l’uomo, con il suo desiderio di arrivare in porto, sono simili se non uguali. Li separa da una virgola come per dire: “La poesia, quindi l’uomo…”. La poesia è “quando le cose che ci stanno più a cuore (…) ci appaiono nella loro più umana verità” “La poesia è dunque un dono . . . o meglio, essa è il frutto di un momento di grazia, cui non sia stata estranea, specie nelle lingue di vecchia cultura, una paziente, disperata sollecitazione.” L’uomo quindi, come la poesia, è frutto di un momento di grazia, di un miracolo, per questo cerca il miracolo in tutto, per questo, seguendo il suo cuore, cerca il miracolo in tutto, per questo “tutto gli sa di miracolo”.

Ungaretti

SPECCHIO di Salvatore Quasimodo Ed ecco sul tronco si rompono le gemme: un verde più nuovo dell'erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato sul botro. E tutto mi sa di miracolo; e sono quell'acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c'era.

Specchio

Ho scelto di collegare ciò che dicono Ungaretti e Quasimodo, perché mi sono accorta che entrambi vogliono comunicare la stessa cosa: l’uomo in quanto momento di grazia, vede o desidera di vedere il miracolo attorno a sé.

Rose Busingye, L'imperatore di Portugallia, La leggenda del santo bevitore

Altre fonti

La leggenda del santo bevitore.

L'imperatore di Portugallia

Rose Busingye

In questo capitolo parlerò di alcune fonti che mi hanno particolarmente colpito e che mi hanno aiutata a parlare di Ulisse, Calipso e Ungaretti.

Rose Busingye Nasce nel 1968, Kampala Infermiera professionale specializzata in malattie infettive. Fonda il Meeting Point International di Kampala.

L'imperatore di Portugallia Scritto da Selma Lagerlöf Il primo capitolo parla di un uomo, Jan Andersson, che aspetta la nascita della figlia con rabbia e tristezza,

La leggenda del santo bevitore Libro di Joseph Roth Una storia molto corta ma piena di significato.

Conclusione

spazio per le mie domande, per le mie risposte a queste domande, per ragionamenti nuovi e soprattutto per scoperte grandi. Ho capito che anche io desidero l’infinito, che anche io desidero la commozione, desidero cercare le risposte nel mio cuore: io desidero che mi batta il cuore!

Questo lavoro è stato un viaggio, un viaggio di cui ho fatto parte. Mi ha colpito l’immensa scoperta di come la storia di ognuno di questi protagonisti corrisponda con quella di ogni uomo, con la mia, anche se in circostanze differenti. Soprattutto, però, mi ha affascinata il fatto che nella scrittura della tesina ci sia stato