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UGO FOSCOLO

Arianna Clemente

Created on May 5, 2023

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Transcript

i sonetti di ugo foscolo

Cerquetella Viola, Clemente Arianna, Della Ceca Sara, Merola Alessia e Vincenzetti Arianna

cenni autobiografici

Foscolo nacque a Zacinto, isola appartenente alla repubblica di Venezia nel 1778. Il padre era medico e la madre greca e ciò lo fece sentire vicino alla cultura classica. L’isola rimase per sempre nella sua memoria e fu nominata più volte nelle sue opere. La famiglia si trasferì a Spalato in Dalmazia dove frequentó il seminario, alla morte del padre la madre si trasferì a Venezia e lui la raggiunse a 15 anni. A Venezia si dedica allo studio dei classici ed entra nel salotto di Isabella Albrizzi con la quale ha una relazione amorosa.

cenni autobiografici

Con il trattato di Campoformio del 1797 , con cui Napoleone cede Venezia all’Austria, Foscolo subisce un grande trauma che verrà esplicitato nelle ultime lettere di Jacopo Ortis. Successivamente si trasferì a Milano. Dopo la sconfitta di Napoleone nel 1814, Foscolo sceglie l’esilio piuttosto che la fedeltà al nuovo regime. Dopo una breve tappa a Zurigo, Foscolo si stabilisce a Londra dove morirà in miseria nel 1827.

la storia dei sonetti

I Sonetti di Ugo Foscolo furono composti tra il 1798 ed il 1803. Nell'ottobre del 1802 sul fascicolo IV del "Nuovo Giornale dei letterati" di Pisa, vengono pubblicati, con il titolo di "Poesie", otto sonetti e l'ode "A Luigia Pallavicini caduta da cavallo". Nel 1803 il poeta riprende i suoi otto sonetti e ne aggiunge tre, oltre una seconda ode, che vengono pubblicati con lo stesso titolo di "Poesie" e con una dedica all'amico fiorentino Giovanni Battista Niccolini da Destefanis a Milano. Sempre nel 1803 il Foscolo fa pubblicare, sempre a Milano, un'altra edizione di queste poesie lasciandone invariato il titolo ma aggiungendo un dodicesimo sonetto.

la storia dei sonetti

La maggior parte dei primi otto sonetti sono ispirati dall'amore per la Roncioni, uno all'autoritratto del poeta e un altro di polemica politica per la soppressione dell'insegnamento del latino e tutti anteriori o contemporanei all'Ortis. Lo stile è ancora incerto perché oscilla tra un linguaggio lirico e un linguaggio drammatico, i successivi sonetti sono stilisticamente molto più equilibrati, Foscolo usa spesso l'endecasillabo I temi dei 12 sonetti sono quelli tipici dell'intera produzione foscoliana: l'esilio, la patria, le illusioni, gli affetti familiari e il presagio della tomba illacrimata.

i 12 sonetti

1. Non son chi fui, perì di noi gran parte

7. Meritamente, però ch'io potei

2. Che stai? già il secol l'orma ultima lascia

8. Solcata ho fronte

9. Alla sera

3. Te nudrice alle Muse

4. E tu ne' carmi avrai perenne vita

10. A Zacinto

11. Alla Musa

5. Perché taccia il rumor di mia catena

6. Così gl'interi giorni in luogo incerto

12. In morte del fratello Giovanni

alla musa

Eppure tu, o Musa, un tempo versavi sulle mie labbra una feconda abbondanza di poesia, quando la prima stagione della mia giovinezza fuggiva e dietro di lei veniva questa età presente, che scende con me per una via dolorosa verso la muta riva del fiume Lete: ora ti invoco senza essere ascoltato; ohimè, solo una scintilla dell’antica ispirazione poetica è ancora viva in me. E tu, o Dea, fuggisti con lo scorrere del tempo, e mi lasci ai pensosi ricordi e ad un timore cieco del futuro. Perciò mi accorgo, e amore me lo ripete, che rare poesie, frutto di faticosa elaborazione, non riescono a sfogare il dolore che ormai inevitabilmente mi accompagna.

Pur tu copia versavi alma di canto su le mie labbra un tempo, Aonia Diva, quando de' miei fiorenti anni fuggiva la stagion prima, e dietro erale intanto questa, che meco per la via del pianto scende di Lete ver la muta riva: non udito or t'invoco; ohimè! soltanto una favilla del tuo spirto è viva. E tu fuggisti in compagnia dell'ore, o Dea! tu pur mi lasci alle pensose membranze, e del futuro al timor cieco. Però mi accorgo, e mel ridice amore, che mal ponno sfogar rade, operose rime il dolor che deve albergar meco.

sintesi

Per Foscolo, la poesia è il vertice dell'attività umana, in grado di vincere la sofferenza: in questo caso, però, egli risulta triste e nostalgico, poiché non reputa soddisfacenti i risultati del suo lavoro. Alla musa di Ugo Foscolo è un canto di smarrimento, di incertezza. In questo sonetto il poeta dà voce alla propria angoscia: è un uomo che sente di aver perduto l’ispirazione, la forza e la volontà di scrivere. Ciò che un tempo gli offriva riparo e conforto ora è soltanto fonte di dolore. Il poeta trasforma in poesia la sua crisi esistenziale: ovvero l’immagine di un “poeta-non-poeta” e che si appella alla sua musa ispiratrice che l’ha abbandonato. Nell’ultima terzina infatti, il poeta si concentra sul proprio dolore dando libero sfogo alla propria passione. Ecco che l’intero sonetto acquisisce così il tono accorato di una preghiera alla tanto citata “musa”. Sente di non aver più nulla da dire, di essersi perduto in un vicolo cieco, ed è invece proprio scrivendo che si ritrova. Foscolo in questo canto afferma un’angoscia molto contemporanea: dice che i versi ormai non riescono più a lenire le pene del suo cuore né lo sconforto provato per la sua patria, l’Italia, che è stata tradita.

analisi

Per quanto riguarda lo stile, il componimento poetico si articola in due quartine, di cui una è incrociata, seguendo lo schema ABBA, l'altra invece alternata ABAB, e da due terzine che seguono lo schema CDE. Nel primo periodo suoni e termini sono caratteristici del Dolce Stil Novo, mentre in seguito diventano progressivamente più aspri, in particolar modo con l'utilizzo di “r” spesso accompagnate da consonanti quali “t”, “m”, “c”. - PERSONIFICAZIONE dell’ispirazione poetica cioè la “musa” - IPERBATI: "Pur tu copia versavi alma di canto" e "de’ miei fiorenti anni fuggiva/la stagion prima" - ANASTROFI: "scende di Lete ver la muta riva", "e del futuro al timor cieco" e "mal ponno sfogar rade, operose/rime il dolor" - METAFORA: "la riva del Lete" per indicare la morte. Il ritmo della poesia è infine animato da molti enjambement: vv. 3-4, 4-5, 7-8, 10-11, 13-14.

a zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura.

...E io non toccherò mai più le sacre sponde dove trascorsi la mia infanzia o mia Zacinto, che ti specchi nelle onde del mare greco da cui nacque vergine Venere, e [ella] rese fertili quelle isole con il suo primo sorriso, così che non si esentò dal descrivere le tue limpide nuvole e i tuoi alberi la poesia illustre di Omero, che cantò le navigazioni volute dal Fato e il vario esilio per cui Ulisse, reso bello dalla fama e dalla sventura, baciò la sua rocciosa Itaca; tu, del figlio, non avrai che il canto, o mia terra natia a noi il fato impose una tomba sulla quale nessuno giungerà a versare le sue lacrime.

sintesi

Il componimento è dedicato all'isola del mar Ionio (Zacinto, nota anche come Zante) dove nacque Foscolo, ed affronta il tema dell'esilio, da lui autoproclamato dopo la cessione della Repubblica di Venezia da parte di Napoleone agli Austriaci, e della nostalgia della sua terra. Il poeta si paragona a Ulisse, che però fu più fortunato di lui in quanto riuscì a tornare nella sua amata Itaca, mentre Foscolo è condannato ad una "illacrimata sepoltura" (una sepoltura in una tomba su cui nessuno potrà venire a piangere) in terra straniera. Il sonetto inizia con un'invocazione alla musa Calliope, chiamata a ispirare il poeta. Foscolo esprime subito il suo amore per Zacinto, definendola "verde gemma" del Mar Ionio e "splendido fiore dell'Asia e d'Europa". In seguito, il poeta descrive i paesaggi e le bellezze naturali dell'isola, evocando l'immagine del mare cristallino, delle montagne, dei fiori e degli uccelli. Il sonetto si conclude con un'invocazione al cielo, perché possa preservare l'isola dalla guerra e dalla distruzione.

analisi

Il sonetto si compone di 14 endecasillabi divisi in 2 quartine a rima alternata (ABAB ABAB) e 2 terzine a rima invertita (CDE CED) Il sonetto inizia con una triplice negazione, «né più mai», con cui Foscolo ribadisce l'impossibilità del ritorno a Zacinto. I primi e gli ultimi versi sono legati tra di loro grazie all'utilizzo del tempo futuro, contrapposto ai passati delle strofe centrali.

- RIPETIZIONE DELLA VOCAZIONE («Zacinto mia», «o materna mia terra») - abbondante uso di ENJAMBEMANTS («le sacre sponde / ove il mio corpo»; «nell'onde / del greco mar»; «da cui vergine nacque / Venere»; «non tacque / le tue limpide nubi»; «colui che l'acque / cantò fatali»; «a noi prescrisse / il fato») - CONGIUNGIMENTI SINTATTICI («ove», «che», «e», «onde», «di colui che», «per cui») - 4 ANASTROFI: («Né più mai»; «greco mar»; «da cui vergine nacque / Venere»; «colui che l'acque / cantò fatali») - ALLITTERAZIONI: ( «sacre sponde»; «vergine… Venere »; «fea... feconde »; «o materna mia terra») - un OSSIMORO al v. 7 («limpide nubi») - una METAFORA («sacre») sta a indicare la patria di Ugo

SOLCAta ho la fronte

Ho la fronte rugosa, gli occhi infossati e penetranti, capelli rossicci, guance pallide, aspetto fiero, labbra grosse, di colore acceso e denti bianchi, il capo chino, un bel collo, il petto ampio; braccia proporzionate, abiti semplici, ma eleganti; la camminata veloce, così come i pensieri, i gesti e le parole; semplice, umano, leale, generoso, sincero; in aperto contrasto col mondo come il mondo lo è con me; valoroso sia nello scontro verbale che in quello fisico; malinconico e solo per la maggior parte del tempo, sempre pensieroso, pronto, facile all'ira, inquieto, tenace: dotato sia di vizi che di virtù, seguo la ragione, ma poi agisco secondo ciò che mi dice il cuore: Solo la morte potrà darmi fama e riposo.

Solcata ho fronte, occhi incavati intenti; Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto; Labbro tumido acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto; Giuste membra, vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo, avversi a me gli eventi. Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquieto, tenace: Di vizi ricco e di virtù, do lode Alla ragion, ma corro ove al cor piace: Morte sol mi darà fama e riposo.

sintesi

Il sonetto, anche conosciuto come "Solcata ho la fronte" manifesta la necessità per Foscolo di autorappresentazione poetica nell'arco di 25 anni. Inizia con una descrizione fisica ma non solo dell'aspetto esteriore, scrive “solcata ho fronte”, ma quando scrisse questo sonetto aveva solo 24 anni, quindi non poteva avere segni d'età, Foscolo vuole infatti evidenziare la riflessione, l'atteggiamento chiuso in se stesso. Il poeta si descrive così: ha la fronte alta, solcata da rughe, i capelli rossi, i denti bianchi, un corpo proporzionato, si veste elegantemente, agisce velocemente, ha un carattere impulsivo e tenace, è sempre in lotta con il destino. Foscolo chiude il componimento affermando che solo con la morte potrà trovare la fama e il riposo, tema che ricorre in tutti i sonetti. Tuttavia questi versi furono modificati nell'ultima riedizione, in cui scompare la parola "fama" e abbiamo: “e sol da morte aspetterò riposo”. Si attenua quasi questo gesto di sfida nei confronti della morte e nell’ultima versione si ha un Foscolo un po’ più malinconico e disincantato rispetto all’idea che il poeta, attraverso le proprie opere, possa avere una gloria eternatrice. C’è solo l’attesa della “fatal quiete” che abbiamo visto ne La sera e ne "il nulla eterno".

analisi

E' un sonetto (2 quartine e 2 terzine) di endecasillabi che rimano ABAB BABA CDE CED Anastrofe = "Solcata ho fronte"; "Mesto i più giorni e solo" (invece che mesto e solo i più giorni) Sineddoche = "emunte guance" Ossimoro = "semplice eletto" Parallelismo = "talor...spesso" Latinismi = intento, eletto, umano (concetto di humanitas) Enumerazione = praticamente tutta la poesia Enjambement = "do lode/alla ragion" sottolinea il conflitto tra istinto e razionalità Climax = "Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto" e "Pronto, iracondo, inquieto, tenace:"

foscolo e alfieri

La principale influenza in questo sonetto è il sonetto autobiografico di Alfieri, "Il sublime specchio di veraci detti"; una differenza però è che nel sonetto di Foscolo è presente un autoritratto, la metafora del sonetto di Alfieri, invece, è quella dello specchio, le parole quindi mirano a restituire la realtà così com’è. In entrambi i sonetti si tende a procedere dalla dimensione interiore alla descrizione fisica, dalla testa ai piedi. La differenza principale è che Alfieri non nasconde i suoi difetti, descrive il fatto di avere i capelli radi o la corporatura mingherlina, Foscolo, invece, quando parla dei suoi aspetti come “l’irsuto petto” o il “crin fulvo” dà un’immagine di qualcuno che è forte anche nei propri difetti. Foscolo è molto più netto e preciso nell’affermare il proprio egoismo. Un esempio: quando parla del proprio essere iracondo, non lo mette come un difetto, ma fa un riferimento esplicito, accorpandolo ad altri aspetti come la facilità di azione, al “crin fulvo”, quasi come se lui fosse la versione presente dell’eroe omerico per eccellenza, ossia quell’Achille che oscilla tra il valore battagliero e l’ira funesta. Con questo, Foscolo fa un’operazione abbastanza inusuale a livello letterario, cioè non si rifà a un modello, ma lo prende per agire in completa autonomia e piegarlo alle proprie esigenze

in morte del fratello giovanni

Un giorno, se io non andrò sempre vagando di nazione in nazione, mi vedrai stare sulla tua tomba, fratello mio, piangendo per la tua morte prematura Solo nostra madre, che si trascina dietro il peso dei suoi anni, ora parla di me alle tue spoglie mute. Intanto io tendo le mani verso di voi senza speranza e saluto soltanto da lontano i tetti della mia patria Sento l’ostilità del destino e i reconditi tormenti interiori che rovinarono la tua esistenza, e anche io invoco la pace nella morte insieme a te Di tante speranze oggi mi resta solo questo! Popoli stranieri, quando morirò, restituite le mie spoglie alle braccia della madre inconsolabile.

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quïete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta.

sintesi

Questo famosissimo sonetto tratta temi molto cari al poeta: innanzitutto, quello dell’esilio, unito a quello del tormento interiore per la scomparsa tragica dell’amato fratello Giovanni, suicidatosi a vent’anni per debiti di gioco, davanti alla madre, qui rappresentata come anziana e sola. Foscolo, ha un forte tormento interiore dovuto dal non aver potuto vedere il sepolcro del fratello in quanto si trovava in esilio. Si tratta di tematiche tipicamente romantiche. Il ricongiungimento con la madre e la terra natale è l’unico punto fermo nella condizione di esule, ma è impossibile, pertanto l’unica alternativa praticabile resta la morte che consente quel ricongiungimento con gli affetti familiari che in vita sembrava negato per sempre. La morte, dunque, se è fonte di lacrime per i propri cari, permette un legame con la vita: la restituzione delle ossa consente l’illusione della sopravvivenza, del ritorno tra le braccia della madre. È, infatti, proprio la madre che, pur colpita da tante sciagure, tenta pietosamente di ricomporre l’unità della famiglia accanto a un simbolo di morte, il sepolcro. La morte vista come quiete in contrapposizione alla tempesta della vita, presente anche nel sonetto Alla sera;

analisi

Sonetto di 14 versi endecasillabi, ripartiti in 4 strofe con schema: ABAB ABAB CDC DCD.In questo sonetto i pronomi personali e gli aggettivi possessivi sono particolarmente numerosi – s’io, me, tua, mio, tuoi, me, voi, miei, tuo, io, tuo, mi – dovuti alla tematica che riguarda la sfera intima degli affetti familiari. - ANASTROFI: gentili anni ; dì tardo traendo ; deluse a voi le palme ; i miei tetti saluto ; avversi Numi ; al viver tuo furon tempesta ; prego anch’io nel tuo porto quiete ; Questo di tanta speme oggi mi resta!. - ANTITESI: parla…muto, - METONIMIA: - su la tua pietra = pietra sta per tomba – la parte per il tutto - le palme tendo = palme sta per mani - la parte per il tutto - METAFORE: - fior de’ tuoi gentili anni = fior degli anni per dire giovinezza, immagine che risale agli autori classici; - suo dì tardo traendo = dì tardo per indicare con il giorno al tramonto il declino della vita, la vecchiaia; - avversi numi = essendo ateo Foscolo utilizza numi non nel senso di divinità ma come metafora del destino; - RIFERIMENTI A CATULLO : Il motivo della visita alla tomba del fratello morto è ricalcato sul carme 51 del poeta latino Catullo, scritto anch’esso per la morte del fratello.

alla sera

Forse perché tu sei l’immagine della quiete voluta dal fato, a me giungi così gradita, Sera! Sia quando le nubi estive e gli zefiri sereni ti accarezzano con dolcezza, sia quando nel cielo nevoso rechi con te all’universo tenebre lunghe e inquiete, sempre scendi invocata, e le vie nascoste del mio cuore governi soavemente. Mi fa vagare di pensiero in pensiero sulle orme che conducono al nulla eterno; e intanto fugge questo tempo malvagio, e con lui se ne vanno tutte le ansie, nelle quali esso si distrugge con me; e mentre contemplo la tua pace, si placa quello spirito guerriero che in me ruggisce.

Forse perché della fatal quiete
Tu sei l’immago, a me sí cara vieni,
 O Sera! E quando ti corteggian liete
 Le nubi estive e i zeffiri sereni, E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all’universo meni, Sempre scendi invocata, e le secrete
 Vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
 Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Questo reo tempo, e van con lui le torme Delle cure onde meco egli si strugge;
 E mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

sintesi

“Alla sera” è un componimento pubblicato nel 1803. Foscolo decide di collocare “Alla sera” come primo sonetto della raccolta come premessa a un momento di turbamento umano e politico affrontati in quel periodo. In questa poesia affronta temi già viste nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis; Foscolo parla di come la sera, momento della giornata silenzioso, offra un’immagine momentanea dello sparire di ogni forma di vita. Il momento del crepuscolo in questa poesia non è avvertito dall’autore come una sfida drammatica a cui lo sottopone il destino, ma come un dolce perdersi della vita stessa. Foscolo in “alla sera” crea un parallelismo e inaugura una riflessione sulla morte. L’ambientazione notturna di Foscolo in questo componimento si può considerare anticipatrice di quelle che saranno poi le atmosfere tipiche di alcuni componimenti di Leopardi, in cui spesso la notte è momento di meditazione, quieta e angosciosa allo stesso tempo. Il periodo in cui Foscolo compone l’opera è un momento di grande turbamento, di angoscia e di amarezza dovute ai gravosi impegni militari e alle disillusioni amorose del poeta.

analisi

Il sonetto Alla sera che si compone di 14 versi endecasillabi suddivisi in 2 quartine e 2 terzine, con schema rimico ABAB ABAB CDC DCD. Nelle 2 quartine viene descritta la sera, invocata al v. 3 e personificata. Il poeta trova conforto in questo momento della giornata, sia che giunga con i venti e le nubi della stagione primaverile sia che arrivi burrascosa e fredda com’è tipico dei mesi invernali. Nelle terzine si dà spazio alle riflessioni del poeta sulla quiete serale, che nella sua mente coincide con la morte, cioè quel “nulla eterno” (ossimoro) che pone fine agli affanni della vita, in modo definitivo e irreparabile. Già al v. 1 Foscolo qualifica la morte come fatal quiete, cioè “pace stabilita dal fato”. Nella terzina finale, il poeta presenta la metafora dell’animo come leone ruggente, che trova pace al suo tormento al pensiero che la pace della sera un giorno diventerà definitiva e porrà fine al conflitto tra il soggetto e il proprio tempo, reo poiché portatore di delusioni, ingiustizie, dolore. Oltre alle figure retoriche sopra citate ci sono molti enjambement (in quasi tutto il sonetto), l’anafora "e quando", la sineddoche "zeffiri", l’allitterazione: della s: Sempre, Scendi, Secrete e della r: spiRto, gueRRieR, entRo, Rugge, ed un'antitesi: "e mentre io guardo la tua pace, si placa / quello spirito guerriero che si agita nel mio animo".

i sonetti di ugo foscolo

Cerquetella Viola, Clemente Arianna, Della Ceca Sara, Merola Alessia e Vincenzetti Arianna