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Maria Pesce

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Transcript

ODISSEA

ALLA SCOPERTA DEL VIAGGIO PIU' FAMOSO DEL MONDO

L'ODISSEA E' UN POEMA EPICO SCRITTO DA OMERO NEL IX SECOLO a.C.

DUE GRANDI CAPOLAVORI DELLA MITOLOGIA GRECA

TRA MITO E STORIA

ODISSEO, IL PROTAGONISTA

Re di Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea e marito di Penelope, guerriero risoluto ed ardito, sa coraggiosamente sopportare ogni patimento e sventura durante il suo lungo viaggio di ritorno in patria, dopo la guerra di Troia, alla quale ha partecipato. Atena lo definisce "saggio"; Giove lo descrive come "il divino Ulisse, che supera in senno tutti i mortali"...

Nell'Odissea sono narrate le vicende dell'avventuroso viaggio di Odisseo, re di Itaca, più conosciuto con il nome latino di Ulisse, dalla fine della guerra di Troia al ritorno in patria. Mai viaggio di ritorno fu così avventuroso e ricco di imprevisti! L'avverso volere degli dei costrinse infatti Ulisse a vagare per dieci lunghi anni prima di poter raggiungere l'amata terra e riabbracciare i suoi cari.

L'Odissea è un'opera in 24 libri.I primi quattro libri, la cosiddetta Telemachia, non vedono Ulisse diretto protagonista, ma narrano come il figlio dell'eroe,Telemaco, cerchi di avere notizie del padre, ormai da tanto tempo lontano da casa, interrogando gli altri comandanti greci, che già avevano fatto ritorno dalla guerra di Troia. Dal quinto libro in poi è Ulisse il personaggio principale. La narrazione parte da un fatto centrale nello svolgimento degli eventi, per andare poi a ritroso nel tempo. Flashback

INDICE

1. Presentazione 17.Ermes 2.Il Pomo della Discordia 18.Nausica 3.la struttura dell'Odissea 19.Itaca 4.Il viaggio di Ulisse Troia 20.L'ira di Poseidone 5.Ciconi 21.La sfida finale 6.Lotofagi 7.Ciclopi 8.Eolo 9.Lestrigoni 10.Circe 11.Regno dei morti 12.Isola delle Sirene 13.Scilla e Cariddi 14.Isola del Sole 15.Ira di Zeus 16.Ninfa Calipso
video e giochi22.Puzzle 23.Giocoquiz 24.Cartone Ulisse e le Sirene 25.Gioca con Ulisse 26.Due cartoni animati 27.Giochi vari 28.Buon divertimento 29.Gioco con le freccette

LE TAPPE DEL VIAGGIO DI ULISSE

che durO' 10 lunghi anni

ILIADE

Tutto ebbe inizio con il pomo della discordia

Sul Monte Olimpo si stavano festeggiando le nozze fra la ninfa Teti e il mortale re Teleo. Furono invitati tutti gli dei tranne la dea della discordia.

la quale ne fu molto offesa e per vendicarsi, lanciò sulla tavola degli invitati una mela d’oro che rotolò fino a Zeus con sopra scritto… "Alla più bella"

Tutti gli sguardi si volsero verso Zeus per scoprire a che ne avrebbe fatto dono. A sua moglie Era? Alla dea della guerra Atena o alla dea della bellezza Afrodite?

Non sapendo chi decidere, affidarono ad un mortale l’ardua decisione. La scelta del mortale cadde su un bel giovane: Paride, secondo figlio del re di Troia Priamo.

Era promise a Paride che se l’avesse scelta, gli avrebbe dato il dominio dell’Asia. Atena invece gli promise la saggezza e l’invincibilità. Afrodite gli assicurò che se l’avesse fatta vincere, gli avrebbe fatto sposare la donna più bella del mondo ossia… Elena moglie di Menelao.

Se scegli me avrai in sposa la donna più bella del mondo: Elena

Se scegli me avrai l'invicibilità e la saggezza

Se scegli me avrai il domini sull'Asia.

Paride fece vincere Afrodite. La Dea perciò fece un incantesimo su Elena che non appena vide Paride se ne innamorò e fuggì con lui a Troia, ma Menelao, chiamati altri Dei Achei in aiuto, mosse guerra alla città di Troia per riprendersi sua moglie.

Il piano della dea della discordia era giunto a termine e la scelta di Paride fece scoppiare la guerra di Troia.

I Greci assediarono la città di Troia per lunghi dieci anni: gli dei litigarono fra di loro: alcuni parteggiarono per per i Greci, altri per i Troiani.

Gli dei a favore dei Greci erano

Gli dei a favore dei Troiani

Il re Menelao chiamò allora suo fratello Agamennone e insieme si allearono con molti re greci fra cui Achille e Ulisse. Presero le navi da guerra più veloci e potenti e assediarono la città di Troia e cominciò una sanguinosa battaglia che durò dieci anni.

I PERSONAGGI DELL'ILIADE

Fra le vittime vi fu il valoroso Achille: un semidio invincibile, il cui unico punto debole era il tallone. Paride si recò al tempio di Poseidone e una sacerdotessa rivelò al giovane troiano il segreto di Achille. Così Paride colpì con una freccia il tallone destro di Achille, unico suo punto debole, e lo uccise.

Ulisse volle vendicare l’amico ucciso e prese il comando dell’esercito al suo posto. Fece in modo che la guerra finisse in fretta per poter tornare a casa da sua moglie e suo figlio. Decise così di agire d’astuzia Facendo in modo che nessuno potesse vedere lui e i suoi soldati, fece costruire un enorme cavallo di legno, con uno spazio interno tale da poter nascondere una ventina di uomini.

Pensarono così che avessero costruito il cavallo come offerta alla dea che li aveva sempre protetti e che li avrebbe protetti anche durante il loro viaggio di ritorno. Qualcuno propose di bruciare il cavallo, affinché i greci potessero andare incontro a mille disgrazie durante il loro viaggio. Prima dell’astuto piano, Ulisse fece prendere apposta prigioniero dei Troiani Sinone, suo cugino. Il suo compito era quello di convincere i Troiani a portare il cavallo dentro le mura della città di Troia. Il giovane Sinone affermò che se avesserobruciato il cavallo, Atena sarebbe stata per sempre loro nemica. Portandolo a Troia, invece, si sarebbero per sempre rngraziati i favori delle divinità.

Lacoonte, un sacerdote del dio Poseidone, non si fidò e cominciò a distruggere il cavallo. Atena fece uscire allora dalle acque del mare due mostri marini a forma di serpente che catturarono i figli di Lacoonte. Il sacerdote andò in loro difesa ma venne anche egli stritolato.

Una volta costruita la macchina da guerra grazie all’architetto Epeo e con la protezione della dea Atena, Ulisse si nascose all’interno e comandò lo stesso anche i suoi più valorosi soldati. Tutti gli altri si ritirarono presso la vicina isola di Tenedo, fingendo di arrendersi e voler ritornare alla loro patria. La notizia giunse velocemente al re Priamo che però non si fidò. Al tramonto, il cavallo venne portato sulla spiaggia davanti alla città di Troia e gli stessi soldati greci incendiarono il loro accampamento. I Troiani videro l’incendio e avvertirono re Priamo. Al sorgere del sole videro l’accampamento nemico completamente deserto, credendo così al ritiro dei greci dalla guerra.

Vedendo anche il grande cavallo, uscirono tutti dalla città per osservarlo da vicino. Non capivano se a costruirlo fossero stati i Greci e per quale motivo, poi notarono che sul legno era stata incisa la figura della dea Atena.

Tutti i presenti credettero allora alle parole di Sinone e quindi che il cavallo fosse sacro. Il re Priamo ordinò così di portarlo all’interno delle mura della città di Troia dove i troiani festeggiavano con balli, canti e vino. Ulisse, dentro la pancia del cavallo, ordinò ai suoi soldati di uscire durante la notte, quando sarebbero stati tutti ubriachi.

Nel frattempo uccise con delle lance avvelenate le sentinelle di guardia. I soldati greci lanciarono il segnale, una freccia infuocata, agli altri uomini nascosti nell’isola di Tenedo.

Furtivamente, Sinone attraversò la piazza fino al cavallo e bussò tre volte su una zampa, guardandosi intorno per assicurarsi di non aver svegliato i Troiani. All’interno Ulisse sussultò. “Il segnale!” sussurrò. Era pronto a mettere in atto la seconda parte del piano geniale.

Con cautela aprì la botola, calò una scala di corda al suolo e condusse i suoi uomini fuori, nell’aria fresca della notte. “Non un fiato, uomini” bisbigliò Ulisse alle sue truppe. I guerrieri greci si sparpagliarono per la città il più silenziosamente possibile.

Le guardie agli ingressi dormivano profondamente. Senza far rumore i soldati greci tolsero i fermi e spalancarono le porte. Il resto dell’armata greca aspettava all’esterno. “Siamo pronti”, disse il soldato all’avanguardia. “Bene!” rispose Ulisse. “Ora attacchiamo!”

I re greci e le loro armate invasero la città. Quando i Troiani si svegliarono e capirono cosa stava succedendo, era ormai troppo tardi. Niente poteva fermare i nemici a questo punto.

I soldati greci irruppero nelle case e nelle strade alla ricerca della moglie di Menelao. “Dov’è Elena?” urlavano. “Consegnatecela, miserabili Troiani!”

I Greci si aggiravano razziando per tutta la città, arraffando gli oggetti di valore dei Troiani su cui riuscirono a mettere le mani e uccidendo chiunque osasse opporsi.

Presto la città fu in fiamme, illuminando scene di caos e terrore. Paride si precipitò a combattere i Greci ma, capendo che la sconfitta dei Troiani era certa, fuggì per salvarsi la vita.

Non fu abbastanza svelto. A un ordine di Menelao una freccia saettò nell’aria, e Paride cadde al suolo. “Dov’è Elena?” tuonò Menelao.

Guardando dall’alto del palazzo, Elena vide Paride cadere. Il principe troiano era morto e per lei non c’era via di fuga. “Forse Menelao mi getterà in prigione o mi ucciderà come Paride?” pensò angosciata. “Da un momento all’altro mi troverà!”

Non ci volle molto perchè Elena fosse catturata e portata al cospetto del marito. Tremava molto di paura al pensiero di quello che le sarebbe potuto accadere. Menelao era stato in collera con la moglie per lunghi dieci anni ma,...

…quando la vide in volto la sua collera sparì. “Bentornato amore mio” gridò spalancando le braccia. “Sei perdonata!”

“Finalmente la mia bellissima moglie è di nuovo al mio fianco, la nostra missione è conclusa!” disse. Elena fu scortata alle navi greche mentre alle sue spalle le rovine di Troia fumavano. Allo spuntare dell’alba, Menelao, Ulisse e l’armata greca salparono sulle navi colmi di tesori troiani.

Elena non voleva tornare in Grecia ma, non aveva altra scelta. “Almeno ho salvato la vita!” pensò mentre salpavano. Menelao ritto sul ponte, sprizzava felicità. Finalmente era di nuovo con la sua regina per la cui bellezza aveva varato migliaia di navi.

ORA FERMATI UN ATTIMO E DIVERTITI A RISOLVERE IL PUZZLE e guarrda questo breve video

IL LUNGO E AVVENTUROSO VIAGGIO DI ODISSEO

ODISSEO
INGEGNO
FEDELTA'

Sei parole su l'Odissea

MITO
ULISSE
VIAGGIO

Laerte

Poseidone

Telemaco

Proci

Era

Alcinoo

Calipso

Penelope

Polifemo

Circe

Nausicaa

PERSONAGGI PRINCIPALI DELL'ODISSEA

Hermes

Euriclea

STRUTTURA DEL POEMIO

PROEMIO

RITORNO A ITACAE VENDETTA DI ULISSE libri 13-24

LE AVVENTURE DI ULISSElibri 5-12

TELEMACHIAlibri 1-4

IL PROEMIO

L’invocazione alla Musa della poesia epica, Calliope ispiratrice del canto, sia la protasi, cioè la spiegazione dell’argomento ed esposizione rapida di ciò che sarà trattato all’interno del poema.

Narrami, o Musa, l'uomo dall'agile mente che a lungo andò vagando, poi che cadde Troia, la forte città, e di molte genti vide le terre e conobbe la natura dell'anima, e molti dolori patì nel suo cuore lungo le vie del mare, lottando per tornare in patria coi compagni, che per loro follia(come simili a fanciulli!) non poté sottrarre alla morte, poi che mangiarono i buoi del Sole, figlio del cielo, che tolse loro il tempo del ritorno. Questo narrami, o dea, figlia di Zeus, e comincia di dove tu vuoi.

LIBRO II

LIBRO I

LIBRO III

LA TELEMACHIA

LIBRO IV

TROIA

01

IL VIAGGIO DI ULISSE PARTE DALLA CITTA' DI TROIA, CHE GRAZIE A LUI E' STATA CONQUISTATA DAGLI ACHEI.

TERRA DEI CICONI

02

Ulisse sbarco’ nella terra dei Ciconi e saccheggio’ la città di Ismaro nella regione della Tracia, uccidendo molti guerrieri ciconi e facendo prigioniere le loro donne. Ulisse entrò nella casa di un signore anziano di nome Marone ma, dopo essersi reso conto che si trattava di un sacerdote, si rifiutò di fargli del male. Marone per sdebitarsi regalò a Ulisse oggetti preziosi e dodici anfore di vino con un otre dal quale Ulisse avrebbe ubriacato in seguito il ciclope Polifemo.

“Attrezzatevi per la partenza” disse Ulisse ai suoi uomini che invece si fermarono a consumare il vino. Sorpresi dai Ciconi, furono attaccati dato che prima avevano ucciso una gran parte dell’esercito. Ulisse si vide costretto a fuggire con molti guerrieri in meno.

TERRA DEI LOTOFAGI

03

UNA TEMPESTA SPINGE ULISSE QUI. I LOTOFAGI SONO I MANGIATORI DI LOTO, UN FRUTTO CHE PROCURA L’OBLÌO. I COMPAGNI DI ODISSEO LO MANGIANO E PERDONO IL DESIDERIO DI TORNARE A CASA. L’EROE, PERÒ, CON LA FORZA, LI COSTRINGE A SALIRE SULLE NAVI E RIPARTIRE PER ITACA.

ISOLA DEI CICLOPI

04

In un’isola del sud dominata da un vulcano, viveva Polifemo, un tipo un po’ strano. Non era un eroe, un Dio o un quieto campagnolo, ma una creatura selvaggia da un occhio solo. Figlio di Poseidone, il Dio del Mare, Polifemo non amava la compagnia, non era per niente un tipo cordiale. Viveva in una grotta e per cena era solito mangiare viaggiatori, che per sbaglio si trovavano lì fuori. Un giorno, un curioso e furbo navigatore, arrivò con il suo equipaggio, nella terra del sole.

Voleva esplorare, conoscere, imparare, Ulisse, questo era il suo nome, non immaginava proprio l’avventura che avrebbe dovuto affrontare! Aveva sentito parlare del Ciclope da un occhio solo e, curioso com’era, volle assolutamente conoscerlo al volo! Nella sua grotta, con i suoi uomini, volle entrare, mentre il gigante portava il suo gregge a pascolare. Ma quando il ciclope tornò e li vide lì dentro, burbero com’era, non fu affatto contento!

Chi siete voi?” -disse- “Nessuno è il mio nome” – rispose Ulisse- “Andate via viaggiatori, impiccioni. Io sono Polifemo e nella mia grotta non voglio spioni!” “Anzi, sapete cosa vi dico, adesso ho una gran fame mangerei volentieri due viaggiatori cotti con le melanzane!”

Così, Polifemo, in men che non si dica divora due uomini senza alcuna fatica! Poi mette un masso davanti la grotta per non fare scappare Ulisse e la sua flotta! Ma Ulisse, era molto ingegnoso ed escogitò un piano davvero operoso.

“Facciamogli bere questa pozione”– disse al suo equipaggio- “gli darò questo fiasco di vino in omaggio!” Nel frattempo si preparò un bel ramo di ulivo affilato, così nel sonno, sul suo unico occhio glielo avrebbe conficcato. Polifemo, dopo aver mangiato, bevve un buon bicchier di vino fruttato. Lo bevve tutto, senza lasciarne una goccia e dopo qualche minuto si appisolò su una roccia.

E così mentre il burbero Polifemo dormiva, Ulisse il viaggiatore, conficcandogli un paletto nell’occhio, il gigante tramortiva! Poi Polifemo, dolorante e imbestialito, urlò: “Nessuno” mi ha colpito!” Ma gli altri ciclopi non gli diedero ascolto e lo lasciarono solo con l’occhio tutto rotto!

Ulisse e i suoi uomini scapparono e ripresero il mare ma Polifemo era deciso a fargliela pagare. Prese otto massi e glieli scagliò con tutta la sua energia, ma Ulisse era ormai lontano e quindi scappò via!

EOLO DIO DEI VENTI

05

Ulisse non poteva neanche lontanamente immaginare che la maledizione di Polifemo potesse portargli così tanto dolore e sofferenza.Continuarono a viaggiare lungo il mare inesplorato e non sapevano esattamente dove si trovavano ma si lasciarono spingere dal vento sperando di raggiungere terra il prima possibile. Andarono avanti così prima che il vento calasse e quando successe videro davanti a loro uno spettacolo sbalorditivo.

Si trovavano vicino a un'isola completamente diversa rispetto a quelle che avevano visto sino ad allora.I lati dell'isola erano formati da scogliere altissime che scendevano a picco sul mare.In cima alla scogliera c'era un unico grosso blocco di bronzo che circondava tutta l'isola come una grande muraglia.

I marinai guardavano in alto increduli . Mentre stavano ancora guardando, si accorsero di una cosa incredibile: quell'isola galleggiava! Si muoveva sulla superficie dell'acqua, cambiando continuamente posizione. Il vento la faceva ruotare prima da una parte, poi dall'altra. Tutto l'equipaggio si chiedeva chi mai potesse abitare su un'isola così bizzarra.

Ulisse andò a prua e cominciò a gridare:"Sono Ulisse, re di Itaca, io e i miei compagni stiamo tornando a casa da Troia. Siamo benvenuti?"All'interno delle mura una voce profonda rispose:"Sei il benvenuto, Ulisse. Io sono Eolo, il re dei venti. Approdate sicuri e mettetevi in forze".Dalla cima delle mura di bronzo, alcune scale di corda vennero srotolate giù e i marinai cominciarono a salire.

Ulisse mise le navi al sicuro e raggiunse l'isola. Eolo disse loro:"Benvenuti nella mia casa, io e mia moglie viviamo qui con i nostri sei figli e le loro mogli. Qui su questa bellissima isola, abbiamo tutto ciò che ci serve". Dentro al palazzo era già allestito un ricco banchetto ed Eolo invitò tutti gli ospiti a servirsi, chiedendo in cambio soltanto il racconto delle loro avventure. Il banchetto andò avanti per un mese intero. Eolo ascoltava con estremo interesse e curiosità tutto ciò che Ulisse gli raccontava.

Lui faceva molte domande e Ulisse era ben felice di impiegare il suo tempo a rispondergli. Era anche l'occasione perfetta per rilassarsi e far tornare in forze i suoi uomini.Dopo un mese Ulisse salutò Eolo, chiedendogli la protezione per il viaggio verso Itaca.Eolo, che era il re dei venti, diede acqua e cibo in quantità a Ulisse e gli fece in segreto un regalo ancora più prezioso:"Prendi questa grande borsa di cuoio" disse Eolo, "Zeus mi ha dato il potere di controllare tutti i venti del mondo; proteggerò quindi tutte le tue navi e mi assicurerò che nel tuo viaggio verso casa abbiate sempre il vento migliore".

Aprì quindi la borsa e la riempì di tutti quei venti impetuosi e pericolosi che avevano fatto naufragare e spinto alla deriva le navi di Ulisse fino ad allora. Una volta che la borsa fu piena, la chiuse all'estremità con un filo d'acciaio e la mise nella stiva della nave di Ulisse. Guidò personalmente la nave per tutto il tempo. Al decimo giorno di tranquilla navigazione e col vento a favore, videro da lontano il profilo rossiccio di Itaca che si stagliava all'orizzonte.

Ulisse e i marinai cominciarono a tremare dall'emozione e dalla gioia di poter riabbracciare i loro cari e le loro famiglie.Ulisse commise però un grosso errore: sentendosi al sicuro si addormentò. Nove giorni sveglio a condurre la nave, avevano tolto tutte le sue forze. Crollò quindi sul colpo, tenendosi

accanto la borsa regalatagli da Eolo.Per nove giorni i marinai avevano guardato quella borsa, chiedendosi con curiosità cosa mai potesse contenere.

Uno di loro disse: "Conterrà un gran tesoro ma, Ulisse vuole tenerselo tutto per sè". "Non è giusto" rispose un altro. "Siamo stati suoi compagni di viaggio per tutto questo tempo e cosa poteremo alle nostre mogli, niente?" Anche il resto dell'equipaggio cominciò a protestare. "Perchè dovrebbe prendersi tutto lui?Abbiamo sofferto tutti quanti assieme". "Guardiamo cosa c'è dentro".

Facendo attenzione a non svegliare Ulisse, i marinai trascinarono via dal suo nascondiglio l'enorme borsa di pelle rigonfia.Sciolsero il filo di acciaio che la teneva chiusa e aprirono l'estremità.

In quel modo tutti i venti più feroci della terra schizzarono fuori in un gran turbinio. I tornado e le tempeste strapparono le vele. Le burrasche e gli uragani spinsero indietro le navi, scagliando i marinai a terra, lungo il pontile. Gli uomini si aggrapparono saldamente ai rami e all'albero maestro per non essere spazzati fuoribordo. Nella disperazione più totale guardavano le coste di Itaca scomparire all'orizzonte. Nel bel mezzo della tempesta Ulisse si svegliò e capì subito che era successo.

Pianse dalla disperazione pensando a sua moglie Penelope e a suo figlio Telemaco.Era quasi tentato di arrendersi e lasciarsi trascinare da quei venti impetuosi che l'avrebbero gettato fuori dalla nave e fatto annegare.La tentazione era forte, ma la voglia di rivedere Itaca lo era ancora di più.Si coprì la testa col mantello e si chiuse a riccio, chiuse gli occhi e si

preparò a resistere alla tempesta, all'amara delusione e al tradimento dei suoi compagni.

Passò davvero parecchio tempo prima che i venti calarono e le onde scemassero. Ulisse alzò la testa e si rese conto di essere stato respinto indietro, fino all'isola galleggiante di Eolo. Per un attimo pensò che quella poteva essere la sua fortuna: era stato accolto a braccia aperte da Eolo che avrebbe potuto aiutarli di nuovo. Per la seconda volta, Ulisse chiamò in direzione delle mura di bronzo, al di sopra delle scogliere. Stavolta Eolo non gli diede il benvenuto. Appena scoprì cosa era successo rispose con indifferenza.

"Andatevene via dalla mia isola!" gridò. "Gli Dei vi detestano ed io non aiuterò nessun uomo odiato dagli Dei. Andatevene e non tornate mai più".A Ulisse e ai suoi marinai non restò altro da fare che issare le vele e riprendere il viaggio, travolti dalla disperazione.Cosa aveva in serbo il destino per loro? Sarebbero mai riusciti a rivedere le loro case?

TERRA DEI LESTRIGONI

06

Lontano da Itaca, Ulisse e i suoi uomini avevano ripreso a navigare lungo il mare vuoto e sconosciuto. Si accorsero che le notti si facevano sempre più brevi, e i giorni sempre più lunghi. Fino a quando raggiunsero una terra su cui la notte non scendeva mai. Dietro il tramonto, infatti, nasceva subito un'alba.

Appena la luce della sera iniziava a svanire, ecco che l'alba spuntava in cielo e un altro sole sorgeva.Questo non lasciava agli uomini tempo per dormire o riposare.Erano giunti nella terra dei Lestrigoni: dei terribili giganti.Se Ulisse avesse saputo quanto fossero cattive quelle creature, avrebbe ordinato ai suoi marinai di tornare subito indietro.

Purtroppo non lo poteva sapere: vedendo un porto sicuro, lontano dalla portata delle onde, decise di ancorare lì le navi. La baia era formata da due lunghi promontori che si inarcavano l'uno verso l'altro, fino a quasi toccarsi, le cui ripide scogliere proteggevano uno specchio d'acqua calmo e grande abbastanza per tutte e dodici le navi di Ulisse. Undici navi si avviarono verso la stretta apertura tra i due promontori e verso le calme acque del porto.

Qualcosa, però, trattenne Ulisse dal seguirle. Non c'era un motivo particolare e non sapeva spiegarne il motivo ma, non si fidava a procedere dietro le altre navi,decise così di seguire il proprio istinto, restò fuori dalla baia e ancorò la nave a uno scoglio che si trovava in fondo a uno dei due promontori. Raggiunse quindi la riva e si arrampicò sulla collina, per esaminare l'entroterra

Non vide nessuna costruzione, nessun campo, nessuna casa, nessun gregge. L'unico segnale che indicasse la presenza umana era un filo di fumo. Ordinò a tre uomini a riva di raggiungerlo e chiese loro di andare in cerca di cibo e acqua e scoprire chi abitava quell'isola. Gli uomini si misero subito in viaggio e imboccarono un largo sentiero che scendeva dalle colline. Non dovettero camminare a lungo per incontrare una sorgente d'acqua fresca. Lì sotto videro una ragazza grande, grossa e forte che stava riempiendo d'acqua una giara.

Gli uomini la salutarono cordialmente e le chiesero dove fossero finiti."Siete nella terra di mio padre" rispose la ragazza "Il re Antifate che vive laggiù".La ragazza si alzò e indicò il palazzo dove viveva il padre.Appena la donna si alzò, gli uomini si accorsero di quanto fosse grossa e molto più alta di tutti e loro tre. Ne ebbero quasi paura, ma visto che dava l'impressione di essere una persona amichevole, la seguirono verso il palazzo.

Il palazzo era alto e immenso. Si trovava alle pendici di una collina ed era circondato da una piccola città. Appena entrarono nel giardino del palazzo, la moglie di Antifate andò incontro ai tre uomini salutandoli. Quando i marinai la videro rimaserp pietrificati dalla paura. Era una donna alta come una montagna, con braccia grosse come tronchi e mani grandi come prosciutti. Ormai era troppo tardi per scappare.

La moglie chiamò Antifate, che li raggiunse fuori dal palazzo leccandosi le labbra.Aprì la sua mano gigante e afferrò uno dei marinai che strinse nel suo pugno.Spalancò la bocca in un orribile sorriso e "Cena!" disse.Gli altri due marinai, terrorizzati, corsero via a più non posso in direzione della baia. Antifate li rincorse prontamente, chiamando a raccolta anche il resto dei Lestrigoni: i giganti abitanti di quell'isola.

Dalla sua nave ancorata al promontorio, Ulisse vide comparire i due suoi compagni che correvano per mettersi in salvo. Dietro di loro una moltitudine di giganteschi Lestrigoni che li inseguiva, gridando per l'eccitazione. Prima ancora che Ulisse avesse il tempo di reagire, i Lestrigoni avevano già raggiunto la cima delle colline e iniziato a lanciare in mare delle pietre enormi. Tutte undicin le navi ancorate al porto, colpite dalle pietre, andarono in mille pezzi.

Tra lamenti e grida, i marinai, feriti, finirono in mare. I Lestrigoni allora si lanciarono giù lungo le colline e si precipitarono in acqua, iniziando ad infilzare gli uomini che stavano affogando come fossero pesci.Non c'era modo di fermare quel massacro. L'unica cosa che Ulisse poteva fare era quella di mettere in salvo i marinai della sua nave. Estrasse quindi la sua spada dal fodero e tranciò la corda che li teneva ormeggiati gridando più forte che poteva.

"Remate, remate! Se ci tenete alla vostra vita!" E così, singhiozzando per il dolore e per la paura,m i marinai si allontanarono da quelle coste terribili, con nelle orecchie l'eco delle urla strazianti dei loro compagni. Non smisero di remare, finchè la terra dei Lestrigoni non scomparve alla loro vista e furono di nuovo in mare aperto. Loro si erano salvati, ma le altre navi, con tutti i loro equipaggi, erano andate perdute. Ulisse aveva lasciato Troia con dodici navi, cariche di eroi diretti a Itaca. Adesso ne restava soltando una, piena di marinai sfiniti, disperati e ancora lontani da casa.

La lunga nave di Ulisse solcava il mare, in balia della corrente.I marinai erano troppo scossi per capire in che direzione stavano navigando.Quando finalmente raggiunsero terra, nessuno gioì o se ne rallegrò come al solito.Una volta ancorata la nave, raggiunsero la riva, si stesero sulla spiaggia e lì rimasero due giorni interi troppo stanchi e demoralizzati persino per muoversi.

Al terzo giorno, Ulisse orese la spada e l'arco e partì in esplorazione.Si arrampicò in cima ad una collina e vide che erano approdati su un'isola bassa e boscosa, ricoperta da un fitto strato di alberi e da un querceto. L'unico spazio libero era una radura non molto distante da lì. mentre la maggior parte dell'isola era nascosta da alberi altissimi. Ulisse poi sollevò lo sguardo e vide un fumo rossastro che saliva dai rami. Era chiaro che là viveva qualcuno.

Tornò alla spiaggia per riprendere i suoi compagni e li invitò a seguirlo.Dovevano scoprire dove erano finiti.Quando Ulisse disse ai suoi marinai del fumo, rimasero atterriti dalla paura ricordandosi della precedente terribile esperienza. I suoi compagni erano uomini che avevano combattuto nsanguinose battaglie senza battere ciglia e senza timore, ora piangevano per la morte dei loro compagni divorati dai Lestrigoni.

"Non possiamo rimanere qui" si disperavano, "Altrimenti incontreremo altri mostri!" "Cosa dobbiamo fare allora?" disse Ulisse. "Ci siamo persi. Dobbiamo trovare qualcuno che ci dica come tornare a Itaca o moriremo lontani da casa". Gli uomini continuarono a piangere e a protestare ma, Ulisse aveva smesso di ascoltarli. Li divise in due gruppi. Uno guidato da lui e l'altro da Euriloco.

Tirò a sorte per decidere quale gruppo sarebbe andato in avanscoperta nell'entroterra, e toccò al gruppo di Euriloco.Ancora in lacrime, gli uomini si addormentarono nella foresta, mentre Ulisse e gli altri si sedettero ad aspettarli.Non c'era nessun sentiero che portasse alla radura, perciò Euriloco e i suoi uomini si aprirono un varco in quella sterpaglia.

MAGACIRCE

07

Ulisse approda nell'isola di EEA Dal palazzo di pietra uscì una donna con lunghi capelli fluenti. Si fermò all'ingresso e sorrise ai marinai che la stavanoguardando ra rapiti. "Benvenuti, sono Circe" disse la donna. "So che il vostro viaggio è stato lungo e faticoso: entrate nel mio palazzo, mangiate e riposatevi". Euriloco, ormai molto cauto viste le brutte esperienze, disse ai suoi uomini di stare molto attenti ma, gli altri nemmeno lo ascoltarono, incantati dalla donna e dall'idea di un lauto banchetto.

Euriloco, ormai molto cauto viste le brutte esperienze, disse ai suoi uomini di stare molto attenti ma, gli altri nemmeno lo ascoltarono, incantati dalla donna e dall'idea di un lauto banchetto.Euriloco, esitante, decise di nascondersi dietro alcuni alberi ad osservare la casa, pronto a intervenire in caso di bisogno.Circe, che in realtà era una potente maga, preparò cibi deliziosi, accompagnati da buon vino.I marinai non si accorsero, però, che mentre cucinava aveva messo nel calderone un potente veleno.

Gli uomini mangiarono con gusto quei deliziosi piatti sino a quando Circe gridò:"MAIALI"" Nello stesso istante gli uomini si trasformarono in grufolanti porci. La sua voce ora non era più morbida e accogliente, prese un bastone e li percosse per condurli nel porcile. Una volta entrati, Circe sprangò la porta e diede loro da mangiare qualche manciata di ghiande secche. Gli uomini grugnirono miseramente e annusarono la paglia con i loro musi umidi e brutti.

Anche se avevano corpi di maiale, le loro menti erano ancora umane. Per questo motivo si misero a piangere, mentre mangiavano le ghiande.Vista la scena, Euriloco, sconvolto e singhiozzante, uscì di corsa dalla foresta in cerca di Ulisse.Appena lo vide raccontò sconvolto del palazzo di pietra, della voce soave che aveva attratto i marinai e della potente magia della maga..

"Circe deve aver ucciso i marinai, ho sbirciato nella stanza dei banchetti: era tutto in disordine e dei nostri compagni nemmeno la traccia. Questa donna malefica deve averli uccisi". Ulisse chiese a Euriloco di condurlo al palazzo ma, l'uomo era così sconvolto che si rifiutò. "Scappiamo" disse Euriloco, "Salviamoci almeno noi". Ulisse non lo ascoltò, lasciò il resto dell'equipaggio e partì da solo.

Era quasi arrivato al palazzo di Circe quando, all'improvviso, vide un giovane venirgli incontro lungo il sentiero."Dove stai andando?" disse l'uomo, "Stai forse pensando di andare alla casa di Circe per salvare quei poveri marinai tramutati in maiali? Scappa, o tramuterà in maiale pure te!"Il giovane stese il braccio e Ulisse vide che in mano teneva una strana pianta, con radici nere e un fiore bianco come il latte. Era la magica erba chiamata Moly.

Nessun essere umano avrebbe mai osato strappare dal terreno una pianta così pericolosa. Mentre la fissava, Ulisse capì che il giovane era in realtà Ermes, il messaggiero degli dei. Ulisse chinò la testa a ascoltò le istruzioni del dio. "Circe ti darà del cibo avvelenato" disse Ermes. "Ma questa pianta priverà il veleno del suo potere e ti proteggerà dai suoi malvagi incantesimi. Mangia tutto quello che ti darà e aspetta il momento in cui ti colpirà con la bacchetta magica.

Quando lo farà, tu sfodera la spada e minaccia di ucciderla. Vedrai che obbedirà ai tuoi ordini".Ulisse fece scivolare una foglia di Moly sotto la lingua e riprese il cammino.Quando arrivò davanti al palazzo urlò:"C'è qualcuno? Sono uno stanco viaggiatore in cerca di aiuto". Circe, bellissima come al solito, attraversò la radura e, con le sue mani bianchissime, fece cenno ad Ulisse di seguirla.

Ulisse entrò nella casa con prudenza, Circe lo fece sedere su una magnifica sedia d'argento e gli porse uno sgabello su cui poggiare i piedi. "Devi essere stanco" disse Circe, "Lascia che ti prepari una bevanda che ti metterà in forze". Ulisse bevve tutta la bevanda fino all'ultima goccia; poi Circe tirò fuori la sua bacchetta e lo colpì sulla spalla dicendo in tono sprezzante:"Bene bene, ora raggiungi i tuoi amici nel porcile". Ulisse, però, non si trasformò come invece la donna si aspettava.

Con la foglia di Moly sotto la lingua, balzò in piedi, sguainò la spada e le andò incontro rabbioso, facendole credere che l'avrebbe uccisa. Circe strillò e si gettò ai suoi piedi:"Chi sei? Come hai potuto bere il mio veleno senza venire stregato?"Abbracciò i piedi di Ulisse e scoppiò in lacrime. Era talmente spaventata che avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di salvarsi la vita."Pensi che io sia bella? Se mi risparmierai la vita, diventerò la tua amante fedele e sincera. Riponi la spada nel fodero, sii gentile".

"Come posso essere gentile con te quando i miei amici sono racchiusi in un porcile?" disse Ulisse bruscamente. "Non metterò via la spada sinchè non avrai giurato su tutti gli dei che non farai del male a nessuno di loro". Circe giurò solennemente, quindi ordinò ai suoi servi di allestire un banchetto ma, Ulisse si rifiutò di mangiare. Andò allora dritta alla porcilaia e aprì il cancello. Con la bacchetta in mano li guidò poi nella sala dei banchetti e spalmò un unguento magico su ognuno di loro.

Così, mentre Circe massaggiava la loro pelle, uno dopo l'altro, si trasformarono negli uomini che Ulisse conosceva. In quel momento riacquistarono anche la memoria. E, appena riconobbero Ulisse, iniziarono a piangere così tanto di felicità. che persino Circe si commosse"Nobile Ulisse" disse poi, "Porta qui tutto il resto del tuo equipaggio e troveranno da me tutto il ristoro di cui hanno bisogno, poi ti indicherò come trovare la rotta per Itaca".

Ulisse sapeva che Circe non avrebbe avuto il coraggio di infrangere la sua promessa. Così tornò indietro con Euriloco fino alla costa e condusse i suoi uomini al palazzo. Circe preparò per loro un banchetto così sontuoso che Ulisse e i compagni restarono da lei per un anno intero, durante il quale si ripresero dalla stanchezza e dalle loro pene. In estate i marinai ed Ulisse decisero di riprendere il loro viaggio.

Ulisse andò da Circe e le ricordò l'aiuto che aveva promesso di dargli."non ti basterà conoscere la giusta direzione" disse la donna facendosi seria. "Prima di salpare dovrai consultare l'ombra del profeta Tiresia nel regno dei Morti".

REGNO DEI MORTI

08

"Il Regno dei Morti?" disse Ulisse sconcertato, "Nessuno è mai riuscito a navigare sin là, come può una nave raggiungere un posto del genere?" "Basterà che issi le vele e ti lasci guidare dal vento del nord" rispose Circe. "Devi farlo Ulisse, o non tornerai più a casa!" Ulisse era terrorizzato di trovarsi faccia a faccia con la morte. Ma sapeva anche che avrebbe fatto tutto quello che Circe gli chiedeva se era l'unico sistema per tornare a Itaca da Penelope.

Per tutta la notte ascoltò la donna. All'alba svegliò i suoi uomini e ordinò loro di prepararsi. Il marinaio Elpenore, la notte prima aveva bevuto troppo vino e si era addormentato sul tetto del palazzo.Quando Ulisse chiamò i suoi uomini, non ricordandosi più dove fosse, si alzò e cadde dal tetto, rompendosi l'osso del colli e morendo sul colpo. Nessuno però se ne accorse: i marinai erano troppo impegnati ad ascoltare Ulisse che spiegò loro del futuro viaggio.

Dopo aver spinto le navi in acqua, videro Circe che portava loro un montone e una pecora nera. "Ricordati" disse a Ulisse, "che dovrai navigare fino a quando non incontrerai un bosco di pioppi e di salici dalle foglie lunghe. Lì punterai verso l'entroterra e, nel punto esatto in cui i due fiumi si incontrano, sacrificherai questi due animali". Sollevò poi la bacchetta in aria ed evocò i venti favorevoli del nord. Ulisse e i suoi uomini navigarono tutto il giorno, sino a quando non videro il bosco che Circe aveva descritto loro. Poco dopo avvistarono una ripida guglia rocciosa che si stagliava contro il buio, segnando il punto in cui Flegetone, il fiume del Fuoco, incrociava il Cocito, il fiume dei Lamenti.

Insieme scorrevano verso il grande e oscuro Acheronte che attraversava il Regno dei Morti."Ecco, è qui che dobbiamo sacrificare gli animali" disse Ulisse ai marinai, "appena sentiranno l'odore del sangue, le anime dei morti risaliranno in superficie e noi gli chiederemo di portarci Tiresia". Ulisse seguì alla lettera il rituale spiegato da Circe, mischiò il miele coi grani d'orzo, sacrificò i due ovini e sguainò la spada.

Tra lamenti cupi e inquietanri, le anime dei morti risalirono dal sottosuolo fluttuando come fantasmi. In migliaia si raccolsero intorno ad Ulisse, che tremava dalla paura sul ciglio della cavità. Fantasmi di tutti i tipi ondeggiavano attorno ai marinai e si spingevano fra loro per attirare l'attenzione di Ulisse. Tra queste anime Ulisse ne riconobbe una familiare. "Elpenore!" disse sbigottito Ulisse, "Cosa ci fai tra i morti?" Elpenore raccontò la sua sfortunata vicenda, chiedendo ad

Ulisse di dargli una degna sepoltura, perchè il suo corpo giaceva ancora nel palazzo di Circe."Lo farò" gli promise Ulisse. "Prima, però, devo parlare con il profeta Tiresia"."Ecco che viene verso di noi", esclamò Elpenore.Ulisse vide così il vecchio profeta cieco che risaliva dall'oscurità."Nobile Ulisse" disse Tiresia, "So che il tuo desiderio è tornare a Itaca, ma hai fatto infuriare Poseidone accecando suo figlio Ciclope, e ora lui ti renderà il viaffio un inferno".

"Non torneremo più a casa?" pianse Ulisse. "Avete solo una possibilità" disse Teresia. "Ma solo se terrai a bada i tuoi uomini. Quando raggiungerai le terre della Trinacria, non permettere loro di toccare i greggi del dio del Sole. Perchè se uccideranno quei greggi, la tua nave sarà persa per sempre insieme a te e ai tuoi marinai. "Tu Ulisse sopravviverai, ma se non farai come ho detto, passeranno molti anni prima che tu possa rientrare ad Itaca e quando ci riuscirai, sarai ridotto in miseria e la tua terra sarà in subbuglio" disse Tiresia.

"A questo punto Poseidone sarà soddisfatto?" chiese Ulisse.

Tiresia allora rispose scuotendo la testa: "Per liberarti dalla maledizione di Poseidone, dovrai compiere un ultimo viaggio. Partirai verso l'entroterra, con un remo sulle spalle, fino a quando sarai così lontano dal mare che qualcuno confonderà il tuo remo con un ventilabro.

Allora ti fermerai e offrirai dei sacrifici a Poseidone; lui ti lascerà andare in pace". Tiresia scomparve e Ulisse rimase solo con i suoi marinai. Con i cuori affranti, si misero in viaggio per ritornare al palazzo di Circe e dare una degna sepoltura al loro amico Elpenore. Circe li accolse come degli eroi e portò loro da mangiare e da bere. Al tramonto costruirono nuna pira funeraria e cremarono il loro amico con le sue armi. Quando le ceneri si freddarono, costruirono una tomba sulla costa perchè nessuno dimenticasse il suo nome. Circe prese per mano Ulisse e lo portò in un posto appartato. "Ti imbatterai in molti pericoli" disse e incominciò a raccontare...

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ISOLA DELLE SIRENE

09

Circe aveva evocato un vento favorevole, così Ulisse, dopo aver ascoltato tutta notte le indicazioni della bella maga, decise di riprendere il viaggio. "Un grosso pericolo ci attende", disse Ulisse ai marinai. "Presto arriveremo nella terra dove cantano le Sirene. Chiunque le senta, prova il desiderio di fermarsi ad ascoltarle per sempre. Se non riuscirete ad evitare che le vostre orecchie ascoltano i loro canti, non tornerete mai più a casa e non vedrete mai più le vostre mogli e i vostri figli".

Sollevò quindi una palla di cera d'api che Circe gli aveva dato e cominciò ad ammorbidirla con le mani."Ora vi tapperò le orecchie per il vostro bene. Non tapperò le mie: voglio ascoltare il canto delle Sirene e Circe mi ha spiegato come fare senza correre pericoli: mi legherete all'albero maestro della nave, stringerete bene le funi in modo che non possa muovermi e se vi dovessi implorare di slegarmi, allora le stringerete ancora più forte".

Dopo aver riempito di cera le orecchie dei compagni, Ulisse venne legato, i marinai tornarono alla navigazione. Poco dopo si avvicinarono ad una pianura ricoperta di fiori che correva lungo la costa e là videro le Sirene, circondate dagli scheletri degli uomini che si erano fermati ad ascoltarle. Appena videro la nave di Ulisse, cominciarono a cantare verso di loro, in modo che il suono li raggiungesse fluttuando sull'acqua. "Venite a noi, fermate il vostro viaggio senza pace" cantavano. "Venite e ascoltate il suono della saggezza, ascoltate le conoscenze della terra distillate dalla melodia del nostro canto. Venite a noi... venite a noi... venite a noi..."

Questo fu il canto che sentì Ulisse e lo riempì di un desiderio così forte da farlo gridare contro i suoi uomini, dicendo loro di mettere giù i remi e di andare a slegarlo. I marinai non potevano sentirlo per via della cera, così Ulisse continuò a inveire alzando gli occhi al cielo, in una smorfia di sofferenza dopo l'altra."Slegatemi" gridava, "Quello che vi ho detto prima non ha senso. Niente ha senso, tranne il canto delle Sirene. Lasciatemi andare da loro!"

I marinai seguirono però alla lettera le sue istruzioni. Due uomini si alzarono e strinsero più forte i nodi e le corde che lo tenevano legato. Alcuni marinai erano tentati di togliersi la cera dalle orecchie, ma si fidarono del loro re.

Appena il canto delle Sirene svanì in lontananza, Ulisse smise di gridare e di agitarsi. Quando i marinai videro che si era calmato, corsero a slegarlo e si tolsero la cera dalle orecchie. “Grazie. Siete degli amici fidati e leali” disse. “C’è però un altro pericolo di cui devo avvisarvi…”

Non fece in tempo a finire la frase che una grossa nube di spruzzi gli esplose davanti. Un assordante scroscio d’acqua si schiantò contro le rocce. I marinai sussultarono di paura ma Ulisse restò in piedi davanti alla nube, con l’eco del secondo ammonimento di Circe ancora nelle orecchie.

“Se riuscirai a superare le Sirene, raggiungerai le Pietre Erranti. Distruggono qualunque nave gli si avvicini. Dovrai stargli lontano ma ci riuscirai soltanto prendendo una decisione terribile”. Quel getto d’acqua violentissimo avrebbe distrutto la nave. L’unica altra via possibile era passare nello stretto, tra i due promontori rocciosi. Come poteva raccontare ai suoi uomini i pericoli che si nascondevano laggiù? Con la loro fedeltà, gli avevano appena salvato la vita. Adesso, l'unica cosa che poteva offrire loro era scegliere tra la morte e la morte. SCILLA O CARIDDI. UN MOSTRO O UN GORGO.

SCILLA E CARIDDI

10

Il nascondiglio di Scilla era una caverna che si trovava in cima alla montagna più alta. Quando una nave passava di là, i suoi lunghi colli schizzavano fuori e le sue sei teste affamate si avventavano sui marinai. Le navi che cercavano di starsene alla larga erano costrette a passare vicino all'altra montagna e finivano dritte nel grosso gorgo chiamato Cariddi. Significava andare incontro alla morte certa.

Tre volte al giorno, infatti, l'avida bocca del gorgo si spalancava, risucchiando tutto quello che aveva a tiro. E tre volte al giorno cambiava direzione, risputando su tutto con tanta forza da distruggere ogni nave e uccidere ogni equipaggio. "Naviga vicino a Scilla" gli aveva detto Circe "E rema più forte che puoi. Anche così, perderai sei uomini. Ma sarà comunque meglio che vedere tutto l'equipaggio risucchiato da Cariddi". Ulisse non poteva fare altrimenti, Non aveva il coraggio di dire la verità ai suoi uomini, per paura che si spaventassero e non riuscissero più a remare, disse perciò loro una mezza verità:"Fate molta attenzione.

Vedete quell'albero di fichi che cresce sulla roccia più piccola? Proprio là sotto, c'è un gorgo gigantesco. Noi dobbiamo starne alla larga".Alzò la spada, si mise in piedi sulla prua della nave, con lo sguardo dritto davanti a sè.

I marinai remavano nervosi, con gli occhi fissi sull''albero di fico. Quando lo raggiunsero, sotto di loro il mare cominciò a vorticare e a ribollire. Un enorme buco si aprì dalla superficie dell'acqua risucchiando ogni cosa. I marinai, pallidi per la paura, facevano forza sui remi per navigare il più lontano possibile dal buco.

Fu allora che Scilla li attaccò. Tirò fuori dalla caverna le sue reste orribili e afferrò i sei uomini più forti dell'equipaggio. "Ulisse! Salvaci!" gridarono i marinai Cosa poteva fare? Non c'era modo di raggiungere la caverna di Scilla. Perciò rimase a guardare i suoi fedeli compagni che pendevano dalle fauci del mostro, finchè quelle orrende teste spiccarono un salto all'indietro e strisciarono di nuovo. Per un istante riecheggiarono le grida dei marinai. Poi fu solo silenzio. "Remate!" gridò Ulisse. "Remate più veloci che potete!" Ormai non c'era più niente da fare. Superato lo stretto, Scilla e Cariddi scomparvero e una nuova isola apparve all'orizzonte.

ISOLA DEL SOLE

11

Man mano si avvicinarono, ne scorsero le meraviglie: cascate di acqua cristallina luccicavano come oro nella luce della sera. Dalla costa all'entroterra, tutta l'isola era un grande prato rigoglioso e verdeggiante, mentre sul mare risuonavano i belati dei greggi. Ai marinai esausti e addolorati, quell'isola sembrava il paradiso. Immaginavano di remare fino a riva e di sentire il meraviglioso aroma della carne appena cotta sul fuoco. Ulisse ricordava bene ciò che però gli aveva detto il profeta

Tiresia nel regno dei morti:"Quando raggiungerai le terre della Trinacria, non permettere ai tuoi uomini di toccare i greggi del dio Sole. Perchè se uccideranno quei greggi, la tua nave sarà persa per sempre. E anche i tuoi marinai".Ulisse pensò quindi che quella dovesse essere l'isola citata da Teresia. "Non possiamo sbarcare qui" disse Ulisse. "Tiresia mi ha messo in guardia da questo posto, e anche Circe. Appartiene al dio Sole. Dobbiamo trovare un altro luogo in cui gettare l'ancora". I marinai sopravvissuti però protestarono:"Sei così insensibile?" disse Euriloco. "Pensi che potremo remare all'infinito? Che pericolo corriamo se restiamo soltando stanotte?

Vogliamo solo mangiare un pasto senza venire sballottati dalle onde". Anche gli altri uomini erano d'accordo e continuarono a dire che Ulisse doveva permettere loro di trascorrere almeno la notte sulla terraferma. Alla fine, seppur a malincuore, Ulisse cedette. "E va bene. Dovete però giurarmi di non uccidere mucche o pecore". Gli uomini promisero che sarebbero rimasti vicino alla nave e che non avrebbero mangiato nient'altro che il cibo che Circe aveva loro dato. Fidandosi di quel giuramento, Ulisse li lasciò guidare la nave verso un'insenatura riparata.

Misero piede il mare contro la costa. a terra e mangiarono il loro pasto in silenzio, senza nè parlare nè scherzare, ancora sotto choc per i compagni uccisi da Scilla. Si addormentarono accanto alla nave, con l'intenzione di tornare a bordo l'indomani mattina. Durante la notte, però, si alzò un forte vento di burrasca e riprendere il mare era praticamente impossibile. L'unica cosa che potevano fare era trascinare la nave dentro una caverna, per metterla al sicuro dalla tempesta.

Ulisse ricordò ai suoi uomini la promessa che avevano fatto."Ricordate che su qust'isola non potete toccare nè mucche nè pecore. Appartengono a Iperione, il grande dio i cui occhi vedono tutto".Per la seconda volta i marinai promisero che avrebbero lasciato stare gli animali.Erano sinceri: sulla nave avevano pane e vino in abbondanza, poi non ci sarebbero stati che qualche giorno. Ma il vento era cambiato: per un mese intero il vento del sud soffiò senza tregua, facendo gonfiare il mare contro la costa.

IPERIONE "COLUI CHE PRECEDE IL SOLE"

I marinai iniziarono a vagare per l'isola per catturare qualche uccellino o pescare del pesce. Eppure, per quanto cacciassero, non riuscivano ad avere cibo necessario per tutti. Più sentivano i morsi della fame, più i loro occhi cadevano sui greggi del dio Sole. Ulisse se ne accorse. Sapeva che si sarebbero cacciati nei guai, se non fossero salpati di lì al più presto. Il vento contrario però non calava. Soltando gli dei potevano cambiarlo.

Ulisse, una mattina, lasciò quindi i suoi marinai sulla costa e si avviò nell'entroterra. Trovato un posto solitario e riparato, chiese agli dei dell'Olimpo di cambiare la direzione del vento.Pregò così a lungo e con così tanto trasporto che alla fine si addormentò.Mentre Ulisse dormiva, i marinai si lamentavano:"Non possiamo andare avanti così" disse Euriloco. "Ulisse ci ha spaventati dicendo che se avessimo toccato le greggi del dio Sole saremmo incorsi in una sciagura, ne esiste però una peggiore che morire di fame?Se non mangiamo subito, anche qualora il vento dovesse cambiare, saremmo così deboli da non riuscire a navigare".

I marinai non sapevano davvero cosa fare: non volevano tradire la fiducia del loro re. Euriloco allora cercò di convincerli:"Scegliamo le mucche più belle e sacrifichiamole agli dei. In questo modo avremo carne in abbondanza. Una volta arrivati a Itaca, erigeremo un magnifico tempio al dio Sole per ripagarlo del suo gregge". Così li convinse. Smisero di parlare e andarono in cerca delle mucche più belle e allestirono un bel fuoco sulla spiaggia per arrostirle.

Sulla vetta del Monte Olimpo, intanto, gli dei ascoltavano la voce arrabbiata di Iperione, il dio del Sole. "Oh Zeus, padre mio!" si lamentava. I marinai di Ulisse hanno ucciso il mio bellissimo gregge! Vendicami! Altrimenti scenderò nel regno dei morti e porterò la mia luce laggiù, lasciando la Terra al buio per sempre"."Calmati Iperione" disse Zeus, "Resta dove sei, lascia a me gli assassini dei tuoi greggi. Quando la loro nave sarà in mare aperto, la copirò con un fulmine e la ridurrò a pezzi".

Ulisse si svegliò e si rimise in cammino verso la spiaggia. Non aveva fatto molta strada che riconobbe l'odore della carne arrostita e, capendo cosa era successo, cominciò a correre. "Che cosa avete fatto?" gridò. "Credete che gli dei siano ciechi?" Presi dal rimorso, i marinai si misero le mani nei capelli. Il danno, però, era ormai fatto. L'unica cosa che restava loro da fare adesso era attendere la punizione degli dei. In quel momento, attorno a loro, vedero uno spettacolo terrificante.

I pellami delle mucche sventrate si gonfiarono ed iniziarono ad avanzare verso la spiaggia.Sopra il fuoco, la carne arrostita sugli spiedi iniziò a lamentarsi.E da ogni parte, per tutto il giorno e tutta la notte, si sentì il minaccioso muggito del gregge fantasma. Per sei giorni i marinai dovettero convivere con quello che avevano fatto, mangiando la carne rubata e aspettando la punizione divina.

Il settimo giorno, il vento del sud cessò all'improvviso. I marinai spinsero la nave in acqua, salirono a bordo e remarono da quella spiaggia con tutte le forze. Un attimo dopo l'isola era scomparsa dietro l'orizzonte.

L'IRA DI ZEUS

Quando furono in mare aperto, una nuvola nera spuntò fuori dal nulla e si posò proprio sopra la nave. Tutto intorno i raggi del sole si riflettevano sull'acqua, la loro nave era invece al buio, oscurata dalla nuvola. All'improvviso, da ovest, si alzò un vento violentissimo che investì l'imbarcazione comee un uragano. I tiranti del ponte si spezzarono e l'albero maestro cadde, frantumando la testa al timoniere e spedendolo furibondo. Mentre rimbombavano tuoni giganteschi, un fulmine scosse la nave e scagliò gli uomini in mare.

I marinai non avevano alcuna possibilità di sopravvivere in mezzo a quel mare agitato. Uno dopo l'altro, unfatti, vennero sopraffatti dalle onde e i loro corpi iniziarono a galleggiare attorno ai resti dello scafo. Non sarebbero mai più ritornati a casa. Il loro viaggio era finito per sempre. La maledizione per aver mangiato gli animali del gregge del dio Sole era compiuta.Soltando Ulisse riuscì a sopravvivere.

Quando le onde mandorono in frantumi la nave, Ulisse agguantò una corda e la fissò all'albero maestro e a una tavola della chiglia. Tenendosi stretto a quei due pezzi di legno, riuscì a restare a galla nonostante l'uragano. Quella zattera di fortuna, però, non poteva essere manovrata. Per tutta la notte Ulisse venne quindi rimbalzato da un'onda all'altra, impotente di fronte a un vento che lo respingeva indietro, verso Scilla e Cariddi. Allo giungere dell'alba, Ulisse era quasi arrivato all'imbocco dello stretto, tra due montagne acuminate.

Raggiunto l'albero del fico, l'acqua iniziò a vorticare e Cariddi si preparò a spalancare la sua avida bocca.Non c'era modo di evitare il vortice. Gli restava soltando una via di fuga possibile. Appena la zattera si trovò sotto l'albero di fico, Ulisse balzò in piedi e afferrò il ramo più vicino, rimanendovi appeso per le braccia. Sotto di lui l'acqua era sempre impetuosa.

Con un gorgoglio terribile e vorace, Cariddi si aprì in un buco che finiva dritto nelle profondità del mare. La zattera venne risucchiata nel vortice. Cariddi spalancò la bocca di nuovo in attesa che Ulisse si stancasse e mollasse la presa del ramo. In qualche modo, però, Ulisse riuscì a resistere. Ora dopo ora , rimase là appeso, con gli occhi fissi sul gorgo sotto di lui, in attesa del momento in cui il vortice avrebbe iniziato a girare dall'altro verso. Il sole tramontò e, quando il cielo si oscurò, la direzione dell'acqua cambiò e Cariddi risputò fuori tutto quello che aveva ingoiato.

Per un attimo fu in balia di Cariddi e iniziò a ruotare in mezzo a quel vortice violento. Poi riuscì ad aggrapparsi alla zattera e vi si arrampicò sopra. Appena la zatteratornò in superficie, Ulisse schiuse la mani stanche e si lasciò cadere in acqua.

Remò rabbiosamente con entrambe le mani, col terrore che anche Scilla potesse vederlo e inghiottirlo in un solo boccone. Il buio e le ombre della sera, però, lo tennero nascosto agli occhi del mostro. In questo modo Ulisse uscì sano e salvo da quello stretto pericoloso, finendo di nuovo in mare aperto.

PAUSA LETTURA GIOCA CON ULISSE!

NINFA CALIPSO

12

Per nove lunghi giorni Ulisse rimase in balia del mare, senza cibo né acqua. Al decimo giorno venne sospinto sulle coste di un’isola deserta. Era arrivato ad Ogigia, dimora della dea Calipso. Fu proprio lei a trovare Ulisse: disteso sulla spiaggia, debole ed esausto. Se ne prese cura, lo portò nella sua casa, lo nutrì, lo curò finché Ulisse non si rimise in salute.

Sarebbe stata la fine delle sue pene, se non fosse che Calipso si innamorò del re di Itaca. Era un amore inarrestabile:preparò grandi banchetti in suo onore, lo vestì con tonache suntuose e organizzò spettacolari intrattenimenti per rallegrarlo.

Ogni giorno Ulisse poteva avere qualsiasi cosa volesse, ad eccezione dell'unica cosa che Ulisse desiderasse veramente: tornare a Itaca. Calipso era così innamorata da non consentirgli di tornare. Ulisse era disperato: voleva rivedere sua moglie e suo figlio Telemaco. Non gli interessava l'amore di Calipso nè tutti i suoi doni. Giorno dopo giorno scendeva in spiaggia e guardava l'oceano sognando di ripartire. Come poteva però opporsi un mortale al volere di una dea?

L'unica cosa che poteva fare era sognare di tornare a casa.Giorno dopo giorno. Anno dopo anno, dopo anno...Dal Monte Olimpo gli dei continuavano a tenerlo d'occhio. La sua infelicità commosse Atena:"Zeus, Padre mio" disse, "Ulisse ti ha sempre onorato. Perchè sei così cattivo con lui?"

"Non sono io il responsabile delle sue sventure" rispose Zeus. "E' stato Poseidone che si sta vendicando perchè Ulisse ha accecato suo figlio Ciclope". "Ormai ha sofferto abbastanza!" disse Atena con impeto. "E' vero" disse Zeus. "In questo momento, inoltre, Poseidone è occupato all'altro capo del mondo. Lasciaci decidere come possiamo forlo tornare a casa". Atena aveva già un piano. "Manda Ermes da Calipso" disse. "E ordinate di lasciare andare Ulisse e di aiutarlo nel viaggio di ritorno". "E' così sia" disse Zeus. Convocò Ermes per dargli il messaggio.

Sul Monte Olimpo gli dei si riunirono in consiglio.

NEL FRATTEMPO...

Anche a Itaca gli anni passavano: Telemaco, il figlio di Ulisse era cresciuto ed era diventato forte quasi quanto il padre. Penelope ne era molto orgogliosa, ma sapeva che presto sarebbe diventato un uomo e, alloeìra, cosa ne sarebbe stato di lei? C'erano anche altre persone che tenevano gli occhi su Telemaco. Quando compì diciassette anni, alcuni uomini iniziarono a recarsi a palazzo, in qualità di pretendenti, invitando Penelope a scegliere un nuovo marito.

La donna non voleva sposare nessuno di loro, ma erano ospiti e lei aveva il dovere di intrettenerli.Quegli uomini si approfittarono della sua ospitalità. Ogni giorno banchettavano e bevevono a sue spese, seducendo e serve e offrendo i servitori: erano proprio persone sgradevoli e maleducate.In poco tempo questi uomini, quasi un centinaio, le invasero la casa. "Telemaco è cresciuto" le dicevano in continuazione. "Ed è chiaro che Ulisse non tornerà mai più. Dovete sposare uno di noi".

Disperata Penelope riuscì ad aggrapparsi ad una nuova scusa. "Non posso ancora sposarmi", disse. "Il padre di Ulisse è anziano e morirà presto. Io non ho ancora tessuto un sudario in cui possa essere avvolto il suo corpo. Non sposerò nessuno finchè non l'avrò terminato". A denti stretti i pretendenti accettarono quella giustificazione, ma le fecero promettere che, appena avesse finito il sudario, avrebbe scelto un nuovo marito. Penelope iniziò a tessere la tela e, mentre sedeva al telaio, fissava gli occhi per cercare di intravvedere il luccichio della nave di Ulisse. Era indecisa a non terminare il lavoro finchè lui non fosse tornato a casa.

Di giorno, così, tesseva ma ogni notte, quando i pretendenti tornavano alle loro case, Penelope tornava al telaio e con cura disfaceva ciò che aveva tessuto di giorno.

Il messaggio di Ermes

Ermes sorvolò le acque blu del mare fino all'isola di Calipso. La trovò a casa, nella sua grotta, a tessere con una spola dorata.Calipso riconobbe subito Ermes, ma non poteva immaginare quale fosse il messaggio che le portava. Quando ascoltò gli ordini di Zeus, iniziò a tremare. "Voi dei avete il cuore di pietra" disse con amarezza. "Non potete tollerare che una dea abbia scelto un mortale come marito. Ho salvato Ulisse dal naufragio e l'ho portato a casa con me. Mi sono persino offerta di farlo diventare immortale.

Perchè mai dovrei lasciarlo andare, adesso?""Questi sono gli ordini di Zeus" replicò Ermes. "Vuoi forse andare incontro alla sua ira?"Calipso sapeva che doveva obbedire. Perciò, anche se a malincuire, scese lungo la costa per rintracciare Ulisse. Lo trovò lì, come sempre, seduto sugli scogli, con gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo in direzione di Itaca.Quando lo vide, Calipso provò pietà per lui."Non piangere più" disse. "Ti aiuterò a tornare a casa.

Posso darti i materiali per costruirti una nuova zattera, abiti caldi e cibo per il viaggio".Andò quindi a prendere una grossa ascia di bronzo e una scure di metallo lucido. Portò Ulisse dall'altro capo dell'isola dove crescevano gli alberi più alti, e Ulisse, si mise subito al lavoro, abbattendo gli alberi a trasformandoli nelle assi per la zattera. Ci mise quattro giorni a costruirla.

Dopo aver fabbricato l’albero maestro, sistemò il timone per poterla guidare e, quando la barca fu pronta, la trascinò in acqua spingendola su dei rulli. Calipso gli diede poi vino e acqua, una sacca di cuoio piena di chicchi di grano e una scorta di carne arrostita. “Se vuoi tornare a Itaca” disse, “procedi sempre seguendo la costellazione di Orione alla tua destra”. Ulisse la ringraziò per tutto quello che aveva fatto per lui e si imbarcò sulla sua zattera, con il cuore pieno di felicità. Issò le vele e partì nella direzione che Calipso gli aveva indicato, determinato a tornare a casa una volta per tutte.

Il diciottesimo giorno vide delle montagne all’orizzonte. Pieno di gioia, riconobbe il contorno della costa dei Feaci. Era quasi a casa! Non aveva però fatto i conti con Poseidone. Il dio vide la minuscola zattera che oscillava in mezzo al vasto oceano. Quando vide che Ulisse era sulla strada verso Itaca, andò su tutte le furie. “Miserabile vigliacco!” strillò con rabbia. “Pensi forse di essere sfuggito alla mia ira? Guarda che cosa succede a chi offende Poseidone!” Dopo aver agitato il tridente e trasformato il mare in una furia, Poseidone chiamò a raccolta delle enormi nuvole nere e oscurò il cielo. I venti iniziarono a soffiare scatenando tutta la loro potenza, l’oceano si raccolse in un immenso muro d'acqua.

La sua zattera, però, era ancora in balia delle onde. La vela e il timone erano andati e anche le assi stavano iniziando a rompersi, ma era comunque la sua unica speranza. La raggiunse a fatica e si issò a bordo, arramoicandosi sui legni ormai fradici. Il mare lo spingeva avanti e indietro, investendolo da ogni lato. Non poteva difendersi dalla forza dell'acqua in alcun modo. Non gli rimase perciò che chiudere gli occhi e aspettare la sua morte. Qualcuno però lo stava osservando.

Dove l'acqua era profonda, due occhi stavano seguendo ogni singolo movimento della zattera.Era Ino, la dea che viveva nelle profondità del mare. Un tempo era stata mortale, e sapeva cosa significava soffrire."Povero uomo!" disse. "Ti sei inimicato Poseidone e ora lui sta cercando di ucciderti. Lascia che la tua zattera affondi e nuota il più velocemente possibile verso le coste dei Fauci. Là sarai salvo".

"Ma così affogherò!" rispose Ulisse. Ino scosse la testa. "No, se ci sarò io ad aiutarti. Prendi il mio velo e legatelo attorno alla vita. Ti proteggerà dalle ferite e dalla morte. Ma appena raggiungerai la costa dovrai togliertelo. Quando le tue mani toccheranno la terraferma, dovrai slegartelo e gettarlo in mare. Ricordati di distogliere lo sguardo quando lo farai, e il velo tornerà da me". Gli mise quindi il velo fra le mani e sprofondò di nuovo nel mare in tempesta. Ulisse osservò il velo con diffidenza. Doveva fidarsi di Ino o era un'altra imbrogliona come Circe?

Non era invece più sensato restare a bordo della zattera? Non fece in tempo a prendere una decisione, che un'onda gigante si schiantò sulla zattera mandandola in mille pezzi. Ora non aveva più nulla, nemmeno i vestiti. Non gli restava altra scelta che affidarsi al velo della dea. Se lo legò così in vita mentre dall'alto Poseidone sbuffò di sdegno e lasciò Ulisse in balie delle onde: ora sì che si sentiva soddisfatto.

Per due giorni e due notti Ulisse rimase in balia delle onde e pensò che sarebbe morto. Invece non morì: il velo di Ino lo tenne a galla e lo spinse poco a poco verso le coste dei Feaci.

Title 2

BUONA VISIONE

NAUSICAA

13

Guardando verso Itaca, la dea Atena vide che anche per Telemaco era arrivato il momento di partire, ora che era diventato un uomo. Prese le sembianze di una vecchia amica di famiglia e comparve fuori dal palazzo di Itaca. L'intero palazzo era nel caos: i pretendenti di Penelope, ubriachi, correvano lungo l'ingresso, mentre Telemaco sedeva cupo in un angolo. "Come va?" disse Atena al giovane. "Non ho mai visto un caos simile, mio padre non l'avrebbe mai permesso. Che cosa gli sarà successo, perchè non torna più?", rispose Telemaco. "Vai a cercarlo" disse Atena dolcemente. "Tutti gli altri re greci sono tornati molto tempo fa e potrebbero avere notizie di tuo padre. Ma dovrai solcare il mare per chiederglielo, sei abbastanza coraggioso? Prendi una nave e salpa,ma non dirlo a tua mamma, lei non te lo permeterebbe".

Quando tutto fu pronto per la partenza, Telemaco rivelò solo alla sua vecchia nutrice Euriclea del suo progetto. "Vado a Sparta, dal re Menelao, giura di non dire nulla a mia madre finchè la nave non sarà al sicuro in mare aperto": Quando Penelope scoprì cosa aveva fatto Telemaco ne fu sconvolta:"Oltre a mio marito, adesso ho perso anche mio figlio" disse. E si chiuse nelle sue stanze dove pianse disperata.

I pretendenti di Penelope, invece, furono molto contenti. “E’ la nostra occasione” si dissero l’un con l’altro. “Per tornare a Itaca, dovrà passare per forza dall’isola di Asteride. Mandiamo là una barca ad aspettarlo e tendiamogli un’imboscata. Lo uccideremo e così Penelope sarà costretta a sposare uno di noi e saremo proprietari di tutto il regno”. Mentre Ulisse dormiva nella terra dei Feaci, Atena era al lavoro per organizzarne il salvataggio. Si recò al palazzo del re Alcinoo e trovò Nausicaa, la figlia del re, addormentata. Facendosi passare per una delle amiche di Nausicaa, volteggiò attorno al letto della principessa e le bisbigliò mentre la ragazza stava sognando: “Guarda che stanza, Nausicaa! Il pavimento è ricoperto di vestiti sporchi!

Non troverai un marito, se continuerai ad essere così disordinata. Dì a tuo padre di portarci un carro domani mattina, così andremo al fiume e faremo il bucato. Poi, quando sarai pronta, qualche bell'uomo verrà a farti la corte". Atena sapeva che in quel modo la giovane ragazza sarebbe corsa al fiume, proprio nel punto in cui si era nascosto Ulisse. Detto questo la dea tornò all'Olimpo. Nausicaa si svegliò e ricordò il sogno che aveva fatto. Chiese al padre un carro e raccolse i vestiti suoi e del genitore per tutto il palazzo. Nausicaa andò così alle pozze del fiume con le sue amiche per fare il bucato.

Non avevano idea che Ulisse stava dormendo laggiù. Dopo aver lavato i vestiti, li stesero su dei ciottoli per farli asciugare, si spogliarono e si fecero un bagno ristoratore nel fiume. presero una palla e cominciarono a lanciarsela. Fu proprio a causa di un lancio sbagliato che la palla finì in acqua e venne trasci- nata dalla corrente. Le ragazze iniziarono così a

fare un pò di baccano. Ulisse si svegliò e volle vedere da dove provenisse quel baccano. Si coprì le nidità con delle foglie e camminò verso il fiume. Quando le rafazze videro Ulisse, urlarono e corsero via in ogni direzione. Era uno spettacolo orrendo: la sua pelle era lercia e ricoperta di graffi, i suoi occhi allucinati e disperati, e il suo corpo tutto incrostato di sale. Solo Nausicaa rimase ferma sul prato. "Principessa" disse Ulisse, "noto che sei coraggiosa oltre che bella. Abbi pietà di me. Sono stato portato alla deriva dall'oscuro mare per diciannove giorni. Ieri sono riuscito a raggiungere la città più vicina". "Signore" disse Nausicaa, "io sono la figlia di Alcinoo, il re

di questa terra. Noi ti aiuteremo, ti daremo dei vestiti e ti porterenno in città". Chiamò le domestiche che uscirono dal luogo dove si erano nascoste e portarono dei vestiti appena asciugati. Ulisse si lavò e, pulito dalla testa ai piedi, a Nausicaa parve l'uomo più bello che avesse mai visto. "Questo è il tipo di marito che vorrei" bisbigliò alle sue domestiche. Saggiamente decise di non portarlo subito al palazzo perchè la gente avrebbe potuto sparlare di lei. Chiese perciò ad Ulisse di aspettarla in un boschetto appena fuori città.

"Dacci il tempo di rientrare a casa" disse. "E poi quando saremo arrivate, potrai venire. Troverai il palazzo senza alcun problema. Ti basterà camminare dritto. Lì parla con mia madre, Arete. Gettati ai suoi piedi e chiedele aiuto. Se riuscirai a conquistarla, lei farà in modo che tu torni a casa sano e salvo". Rimasto solo, Ulisse pregò Atena:"Fa che i Feaci mi trattino con gentilezza" disse. Non ricevette nessuna risposta, ma mentre era in cammino verso la città, Atena in persona gli andò incontro sotto le spoglie di una giovane ragazza che trasportava una giara d'acqua.

"Sapresti indicarmi la strada per il palazzo?" le chiese Ulisse. "Ti ci porterò" disse Atena. "Ma lungo la via non rivolgere la parola a nessuno. Alla gente di qui non piacciono gli stranieri". Detto questo lo avvolse in una nebbia magica che lo rese invisibile a chiunque incontrasse. Lo condusse al molo e da qui fino al palazzo del re Alcinoo.

ULISSE NEL REGNO DI ALCINOO

"Ora prosegui dritto" disse Atena. "Non parlare finchè non ti troverai davanti alla regina Arete. Lei è saggia e nobile e se riuscirai a conquistarla, avrai buone possibilità di tornare a casa".Ulisse allora entrò al palazzo e si trovò in una sala gigantesca. L'intero palazzo era in gran via vai, ma Ulisse non poteva essere visto. Superò quindi tutti quanti e continuò ad avanzare, finchè non arrivò al cospetto della regina. Si gettò ai suoi piedi e, in quel momento, la nebbia magica si dissolse. "Nobile Arete" disse Ulisse volgendole lo sguardo. "Possano gli dei benedire te e la tua famiglia.

Ho sofferto molti stenti e sciagure, ora mi serve il tuo aiuto per tornare a casa". Quindi si inchinò educatamente e sedette vicino al focolare. Un uomo saggio e anziano di nome Echeno ruppe il silenzio. "Re Alcinoo" disse, "non è tua abitudine lasciare che gli ospiti siedano vicino la cenere. Non vuoi dare il benvenuto a quest'uomo?". Subito il re ordinò che gli venisse portata dell’acqua perché Ulisse potesse sciacquarsi le mani e disse alle domestiche di servirgli vino e cibo.

“Rinfrescatevi e nutritevi” disse Alcinoo “Dormite nel mio palazzo stanotte. Domani vi chiederò di raccontarmi le vostre avventure, e così potremo pensare a come farvi tornare a casa”. La regina Arete ordinò alle domestiche di preparare un letto per Ulisse, che poté finalmente dormire profondamente sino al mattino. Il giorno dopo, il re Alcinoo ordinò di preparare una nave con cinquantadue giovani rematori. “Questa è per voi, straniero” disse a Ulisse “Ma prima che partiate, lasciate che vi mostri l’ospitalità dei Feaci”. Il poeta Demodoco, dopo pranzo, iniziò a cantare così la storia della guerra di Troia. Ulisse si commosse. Dopo il poeta fu la volta degli atleti che cominciarono a fare volteggi, a saltare, correre e fare gare di lancio del disco. Anche Ulisse partecipò alla gara, lanciando il disco più

Ulisse si commosse. Dopo il poeta fu la volta degli atleti che cominciarono a fare volteggi, a saltare, correre e fare gare di lancio del disco. Anche Ulisse partecipò alla gara, lanciando il disco più lontano di tutti. Alcinoo, impressionato da tanta forza, disse a Ulisse: “Siete il tipo di uomo che vorrei far sposare a mia figlia”. “Nausicaa è una bellissima e saggia ragazza” rispose Ulisse “ma io ho già una moglie e anche un figlio e devo tornare a casa da loro”. “Allora vi lascerò riprendere presto il vostro cammino, ma accetta in segno di riconoscenza questa spada di bronzo e d’argento”.

Anche gli atri Feaci fecero così tanti doni ad Ulisse, che Alcinoo dovette dargli un grosso forziere di legno per contenerli tutti. Demodoco riprese a raccontare le vicende della guerra di Troia e Ulisse, commosso, scoppiò a piangere. Alcinoo fece un cenno al poeta perché smettesse di raccontare. “Signore” disse a Ulisse, “abbiamo visto quanto siete nobile, ma non ci avete raccontato niente su di voi. Chi siete? E perché questo racconto vi fa soffrire così tanto?” Ulisse prese un gran respiro. “Io sono Ulisse, figlio di Laerte” disse. “Sono uno di quegli uomini che si era

accovacciato dentro il cavallo di legno. Ho visto Troia cadere e l'intera città bruciare. Ed è da allora che sto cercando di tornare a casa, nella mia Itaca". Alcinoo lo guardò con attenzione. "Ma sono passati quasi dieci anni dalla fine della guerra, perchè il vostro viaggio dura da così tanto tempo?" Ulisse sospirò ancora e iniziò a raccontare la storia tragica di tutte le sue peripezie. Nel frattempo a Sparta anche Telemaco stava ascoltando i racconti dei viaggi del padre. "Ulisse è un uomo assai ingegnoso" disse la regina Elena.

"Pensa che una volta si mise addosso degli stracci luridi per farsi passare schiavo e riuscire a intrufolarsi dentro le mura di Troia per spiare i segreti dei Troiani". "Se era cosìm ingegnoso come dici, perchè non è riuscito a mettersi in salvo?" disse Telemaco triste. "E' morto e ora la nostra casa è piena di uomini vili che vogliono sposare mia madre". "Non è morto!" disse il re Menelao. "Ne sono sicuro. Dopo essere partito da Troia, le mie navi sono rimaste immobili in Egitto per la bonaccia, per venti giorni di seguito. E sarebbero ancora là se una ninfa, figlia del Vecchio del Mare, non avesse avuto compassione di noi e non ci avesse aiutato".

Menelao aggiunse: “Fu così che venni anche a sapere di tuo padre, intrappolato sull’isola di Calipso, senza una nave che potesse riportarlo a casa”. “Dove si trova quell’isola” chiese Telemaco impaziente. Menelao scosse le spalle e aggiunse “Solo gli dei lo sanno”. Intanto nel palazzo di Alcinoo Ulisse ringrazio il re e sua figlia Nausicaa e, appena spuntarono le stelle, salì a bordo della nave portando con sé tutti i tesori. Per tutta la notte la nave scivolò veloce sull’acqua e quando in cielo apparve la stella del mattino, era già nei pressi di Itaca.Ulisse stava ancora dormendo profondamente e i marinai non lo svegliarono.

Lo sollevarono dolcemente e lo portarono a riva, adagiandolo sulla spiaggia. Infine, posarono i suoi tesori all’ombra di un olivo. La nave ripartì poi verso la terra dei Feaci. Poseidone, però, non dormiva affatto e quando vide che Ulisse era riuscito ad arrivare a Itaca pieno di tesori, venne assalito da un furore cieco e terribile…

In questa slide trovate tanti giochi

ITACA

14

Fortunatamente Ulisse aveva la dea Atena dalla sua parte ed era disposta a fare di tutto per aiutarlo. Quando Atena vide Ulisse dormire beatamente sulla spiaggia di Itaca, capì che era in pericolo: i pretendenti di penelope, vedendolo, avrebbero potuto ucciderlo. Doveva tenerlo lontano dal suo palazzo sino a quando le acque non si sarebbero calmate. Fece così scendere una fitta nebbia magica su tutta la spiaggia. Quando Ulisse si svegliò non capì più dove si trovava e pensò che i feaci lo avessero ingannato e condotto chissà dove. "Mi hanno abbandonato in uno strano posto e, sicuramente, avranno rubato tutti i miei tesori".

II suoi tesori, invece, erano ammassati sotto un ulivo. Ulisse non capì! Atena arrivò sulla spiaggia nelle sembianze di un giovane pastore e accolse Ulisse festosamente. Ulisse non aveva idea di chi fosse quel pastore, così per paura si presentò con un nome falso e gli racconrò una bugia. Atena scoppiò a ridere: “Davvero non mi riconosci? Davvero non riconosci la tua cara Itaca? Con un movimento della mano fece scomparire la nebbia e Ulisse capì, le si buttò ai piedi piangendo di gioia. “Oh Atena, sei sempre stata gentile con me!” “Avrai ancora bisogno del mio aiuto” rispose la dea.

“Il tuo palazzo è infestato da uomini che vogliono sposare tua moglie e uccidere tuo figlio. Se ci andrai da solo, uccideranno anche te”. “Che cosa devo fare allora?” chiese Ulisse. “Vai a trovare Eumeo, il tuo guardiano dei porci “gli disse Atena. “Lui ti ospiterà nella sua capanna fino a quando io non ti porterò Telemaco. Ma è meglio che Eumeo non sappia chi sei davvero”. Prese quindi la sua bacchetta e lo toccò sulla spalla. L’attimo dopo la sua pelle liscia si riempii di rughe. I suoi capelli ricci e folti divennero grigi, fini e radi.

E le belle vesti regalategli dal re Alcinoo, si trasformarono negli stracci di un mendicante. Atena gli porse poi un sacco di tela e un bastone di legno grezzo. “Vai nella capanna di Eumeo e aspetta là Telemaco. È partito per un viaggio, ma io lo riporterò a casa”. Appena Atena se ne andò, Ulisse nascose i suoi tesori e si avviò lentamente lungo il sentiero che portava alla capanna del porcaro. Eumeo era seduto fuori dalla porta, in compagnia dei suoi cani che, appena videro Ulisse, gli si scagliarono incontro abbaiando con fare minaccioso. Lo avrebbero morso se Eumeo non fosse intervenuto. “Entra nella mia capanna e riposati. Ti è andata bene che c’ero qui io” disse Eumeo e mentre gli preparava da mangiare gli diede un pezzo di pane.

“Non è un granché, ma tutti i maiali più belli se li sono presi quegli ingordi dei pretendenti che stanno a palazzo. Ora che il mio padrone è morto e sepolto, passano tutto il giorno nel palazzo a fare baldoria e a ingozzarsi col suo vino”. “Probabilmente di Ulisse saranno rimaste solo le ossa ormai”. Eumeo scosse tristemente la testa. “Vent’anni fa era partito per andare a combattere la guerra di Troia, ma non è più tornato. Oh, quanto mi manca!” “Dimmi come si chiama” chiese Ulisse curioso, “Anch’io ho combattuto quella guerra, potrei avere delle notizie su di lui".

Ulisse fu tentato di rivelare la sua vera identità, ma obbedì agli ordini di Atena. Nella capanna di un guardiano di porci, Ulisse trascorse la sua prima notte a Itaca. Nel frattempo, Atena stava correndo a Sparta per riportare a casa Telemaco. Una volta arrivata, apparve in sogno al ragazzo. "Perchè sei ancora a Sparta, Telemaco?" gli disse. "Hai lasciato incostudita tua madre e i tuoi tesori. Ora quei perfidi pretendenti stanno tramando per ucciderti. Tenderanno un'imboscata alla tua nave subito dopo l'isola di Asteride". "E come posso salvarmi?" disse Telemaco.

"Conosco già questo tipo di notizie" disse Eumeo scuotendo la testa. "ogni mendicante che arriva in città dice di avere qualche storia da raccontare a Penelope, la mia padrona". Lei li ascolta sempre tutti

quanti e li ricopre di doni, che era ciò di cui i mendicanti andavano in cerca. Sarei felice di ascoltare la tua storia, straniero, ma non raccontarmi bugie su Ulisse".

"Non fermarti ad Asteride per la notte" gli rispose Atena. "Continua a navigare anche quando sarà buio, e non fermarti sino a quando non sarai tornato ad Itaca. Non rimanere però a bordo mentre la nave sta attraccando. Ordina ai tuoi marinai di farti scendere prima, al prima promontorio. Poi vai dritto alla capanna di Eumeo. Di lui puoi fidarti".ora Telemaco era sveglio ed ansioso di tornare a casa. Appena fu mattino, salutò Menelao ed Elena, che prima di lasciarlo andare lo riempirono di tesori. Stava per andarsene, quando una grossa aquila sorvolò il cielo, stringendo tra gli artigli una grossa oca.

"E' un segno divino!" disse Elena piangendo di gioia. "Così come l'aquila discende dalle montagne e scende in picchiata su quella grossa oca, allo stesso modo Ulisse farà ritorno e piomberà sui pretendenti che sono all'ingresso del suo palazzo". A queste parole Telemaco inizia il suo viaggio e, seguendo le indicazioni di Atena, si fece lasciare dai marinai prima del promontorio. Di primo mattino raggiunse la capanna di Eumeo, che scoppiò a piangere dalla gioia appena vide il giovane. Telemaco vide il mendicante cencioso e gli si rivolse con gentilezza:"Saluti a te, straniero". "Questo nostro ospite è un viaggiatore" disse Eumeo "Ora che sei tornato ospitalo nel tuo palazzo".

"Lo inviterei a casa mia" disse Telemaco, "ma sono sicuro che quei pretendenti gli mancherenno di rispetto"."Buon Eumeo, vai a dire a mia madre che sono tornato per favore. Assicurati però che nessun altro ti senta". "Fidati di me" disse Eumeo. Indossò i sandali e si mise in cammino. Quando Eumeo fu abbastanza lontano, Atena comparve sotto le sembianze di una donna alta e bella, e si fermò dove Telemaco non poteva vederla, ma dove potevano vederla soltando Ulisse e i cani, che cominciarono ad abbaiare. Ulisse riconobbe subito Atena e corse fuori dalla capanna. "Ulisse è venuto il momento di dire subito la verità a Telemaco. Starà a voi decidere come

liberarvi dai pretendenti che stanno mandando in rovina Itaca! Dopo aver pronunciato quelle parole, Atena ondeggiò il bastone e subito il travestimento cencioso di Ulisse svanì. Il corpo di Ulisse riprese subito le sue sembianze e il suo vigore. Quando tornò dentro la capanna, Telemaco lo vide e rimase senza parole: non credeva ai suoi occhi. Di fronte a lui c'era suo padre. Telemaco lo abbracciò, piangendo di gioia. Ulisse raccontò al figlio tutte le sue sventure."Dobbiamo liberarci di quei pretendenti che stanno distruggendo la nostra isola, se solo ci fosse un modo..." replicò Telemaco. "So che sei un grande guerriero, padre, ma loro sono più di cento. Come potremmo sconfiggerli da soli?"

"Non siamo soli!" rispose Ulisse. "Abbiamo Atena dalla nostra parte. “Atena e Zeus saranno anche dalla nostra parte, ma dobbiamo Sconfiggere oltre cento uomini “disse Telemaco. “Ascoltami attentamente, ho un piano” rispose Ulisse. In città, intanto, Eumeo aveva riferito il messaggio a Penelope, ma la speranza di mantenere il segreto era andata in fumo. I marinai, infatti, erano tornati e avevano già diffuso la notizia “Telemaco è vivo”! gridarono appena rientrati. I pretendenti e Penelope erano furibondi. Appena Eumeo se ne andò, Penelope disse: “Che razza di uomini siete? State vivendo a spese di Ulisse, siete ospiti e avete cercato di uccidere suo figlio”. “La sola cosa che vogliamo e che voi scegliate un altro marito, invece vuoi continuare a ignorarci”

Risponderò i pretendenti. “Prima ci avete detto che non avreste scelto fino a quando Telemaco non fosse diventato un uomo. Adesso state facendo finta di tessera una tela”. Una delle domestiche di Penelope, infatti, aveva tradito la sua padrona e riferito ai pretendenti che la notte la tela veniva disfata. “Non potete rimandare in eterno” gridarono i pretendenti “È arrivato il momento di scegliere!” Ovviamente Penelope non sapeva che proprio in quel preciso momento Ulisse e Telemaco si trovano nella capanna di Eumeo a studiare un modo per liberarla. Quando il porcaro fece ritorno, Atena aveva già trasformato di nuovo Ulisse in mendicante. Ulisse, nei panni del mendicante, continuava a dire che il giorno seguente avrebbe voluto essere portato a visitare il palazzo.

Telemaco finse di perdere la pazienza:” io ho troppo da fare per portarti con me. Quando Eumeo sarà pronto, verrai con lui” “Per me è anche meglio” disse Ulisse, “preferisco aspettare che faccia più caldo” e così Telemaco si diresse al palazzo di primo mattino, seguito dai due uomini. Re Ulisse torno nel suo palazzo ricoperto di stracci e poggiandosi a un bastone. “Entra tu per primo, Telemaco, io ti seguirò” disse Ulisse. A quelle parole, un vecchio cane alzò la testa dal cumulo di letame in cui dormiva: era Argo, il cane adorato di Ulisse. Ma non riuscì ad alzarsi e ad andare loro incontro. Era troppo debole per muoversi. Appena Ulisse riconobbe il cane, gli occhi gli si riempirono di lacrime.

Un altro mendicante comparve nella sala d'ingresso. Era un uomo gigantesco e ingordo chiamato Iro. Vedere un rivale nella sala l'aveva fatto infuriare parecchio, così si scagliò contro il povero Ulisse con la chiara intenzione di buttarlo fuori."Rissa, rissa, rissa!" gridarono i pretendenti. Saltarono in piedi e si ammassarono intorno ai due, facendo il tifo per Iro ed esultando quando videro l'altro mendicante rincalzarsi gli stracci. Ulisse sapeva di poterlo vincere facilmente, ma non voleva fargli troppo male. Lo colpì quanto basta per fargli sanguinare il naso, guadagnandosi un'ovazione dei pretendenti. E così Ulisse lo cacciò dalla sala. In quel preciso momento comparve Penelope. Stava scendendo le scale ed era così bella

che tutti i pretendenti smisero subito di gridare e restarono in silenzio. Penelope si avvicinò a Telemaco:"Non dovresti permettere che trattino i tuoi ospiti in questo modo" bisbigliò, indicando Ulisse. “Come posso tenerli a bada?” brontolò Telemaco. “Sarà anche un mendicante” sussurrò penelope, “Ma è sotto la nostra protezione. Inoltre, porta magari notizie di tuo padre. Ci parlerò io, stasera, appena i pretendenti se ne saranno andati. Telemaco disse a Ulisse e ai pretendenti di avvicinarsi a Penelope per porgerle i loro omaggi e mettersi in mostra. “Non sprecate il fiato in lusinghe” disse Penelope. “Le uniche parole che apprezzerei sarebbero quelle di Ulisse.

Tuttavia, so che quei giorni sono finiti. E l’unica cosa che posso fare è obbedire ai suoi desideri”. I pretendenti smisero di parlare, domandandosi di che cosa stesse parlando. Penelope sospirò di nuovo. “Prima che Ulisse se ne andasse a combattere la guerra di Troia, mi mise in guardia dicendomi che sarebbe potuto rimanere ucciso. E mi disse anche che, se lui non fosse tornato, avrei dovuto aspettare che Telemaco diventasse un uomo e poi risposarmi. Quel momento è arrivato” disse. Domani farò quello che Ulisse avrebbe voluto. Sceglierò un nuovo marito!”

L'IRA DI POSEIDONE

Quando Poseidone si accorse che Ulisse era arrivato a Itaca sano e salvo e con più tesori di quando era partito, venne assalito da un furore cieco e terribile. Zeus cercò di calmarlo: Poseidone voleva accanirsi contro la città dei Feaci e i suoi abitanti, colpevoli di aver aiutato Ulisse. Lo convinse invece ad un gesto eclatante:"Aspetta che la nave ritorni coi suoi marinai al porto presso la città dei Feaci e tramutala in pietra. In questo modo tutti i cittadini la vedranno e ti temeranno per sempre".Poseidone allora volò in picchiata sulla città dei Feaci e, appena tutti quelli che erano sulla costa videro arrivare l'imbarcazione, la colpì con una mano tramutandola in pietra. La nave si bloccò di colpo, incastrandosi nei fondali marini.

Re Alcinoo capì subito cosa fosse successo e nei giorni a venire pregò Poseidone e sacrificò in suo onore un gran numero di tori. Il dio così si calmò e li perdonò.

BUONA VISIONE

BUON DIVERTIMENTO!

LA SFIDA FINALE

Quando Penelope annunciò che avrebbe sposato uno dei pretendenti, fecero i salti di gioia e si ubriacarono a più non posso. Ovviamente il piano di Ulisse era un altro. Quando i pretendenti se ne andarono, Ulisse e Telemaco controllarono tutta la sala facendosi luce con la torcia. Tolsero le armature e le lame attaccate alle pareti e le rinchiusero in un magazzino. Il giorno seguente non ci sarebbero così state altre armi oltre le loro. Dopo aver compiuto questa operazione, Telemaco tornò in camera sua e Ulisse si sedette accanto al fuoco. Proprio in quel momento giunse anche Penelope. "Siediti accanto a me, mendicante, e raccontami le tue avventure.

Hai per caso avuto notizie di mio marito durante i tuoi viaggi?" chiese la donna. Ulisse fu tentato di rivelarle chi era ma, prima doveva liberarsi dei pretendenti. Per consolarla le disse così che aveva incontrato suo marito a Creta. "Adesso sulla strada di ritorno" concluse. "Prima che finisca il mese, hai la mia parola che sarà qui da te". Quell’idea calzava a pennello col piano che Ulisse aveva in mente, perciò annuì in segno di approvazione. “Fai pure ciò che hai deciso” disse. “Prima che la gara sia finita, Ulisse sarà qui per salvarti”. Penelope scosse la testa e si alzò, ordinando ad Euriclea, sua serva e nutrice di Ulisse, di rifocillare il mendicante e di lavargli i piedi.

Detto questo, Euriclea cominciò a darsi da fare con una tinozza d’acqua, lavando i piedi sporchi di Ulisse. Quando ebbe finito di asciugarli, le sue dita sfiorarono una vecchia cicatrice sulla gamba. Le mani si fermarono di colpo e, per un attimo, la donna sembrò come paralizzata. Con le dita tremanti scostò le vesti cenciose dell’uomo e la osservò meglio. “Te lo sei fatto durante una caccia al cinghiale” sussurrò. “Quando eri appena un ragazzo”. Quindi, lentamente, alzò lo sguardo verso l’uomo “Oh, mio caro padrone” disse. “Zitta!” disse Ulisse mettendole un dito sulle labbra. “Devi mantenere il segreto, se vuoi che io riesca a cacciare quei malvagi pretendenti”. “Lo farò” disse Euriclea.

“Hanno corrotto la servitù e per poco non hanno mandato in rovina l’intera isola ed ucciso tuo figlio Telemaco. Meritano di essere puniti”. “Domani lo saranno” rispose Ulisse. Quindi si distese accanto al focolare e restò a riscaldarsi aspettando l’arrivo del giorno.

euriclea

ARGO

Appena l'alba comparve in cielo, Penelope corse a prendere il grosso arco di Ulisse. Lo afferrò reggendo la lunga corda e prese una feretra di frecce. Ordinò quindi ad Euriclea di portare tutte le asce di bronzo e di acciaio che Ulisse aveva vinto nelle sue gare.Quando i pretendenti iniziarono ad arrivare a palazzo, era già tutto pronto per la sfida. Telemaco aveva allineato le asce in mezzo alla sala e Penelope si era seduta accanto al focolare col grande arco fra le mani. "Ecco come sceglierò il mio nuovo marito. Sposerò colui che riuscirà a tendere questo arco e ad usarlo per scagliare una freccia che attraverserà i cunei di queste dieci asce allineate".

Il mio sposo sarà colui che saprà tendere l'arco di Ulisse...

"Devo provarci anch'io, allora" disse Telemaco. "Nessuno può toccare l'arco di mio padre senza che io abbia messo alla prova la mia forza e le mie capacità". Afferrò l'arco con entrambe le mani e provò tre volte a piegarlo, senza riuscire a tenderlo a sufficienza per legare la corda al proprio posto. Al quarto tentativo Ulisse lo dissuase con un leggero cenno della testa. Non era quello il loro piano. Appena Telemaco posò l'arco, tutti i pretendenti gli si accalcarono intorno. Erano tutti decisi a superare la prova e a vincere la mano di Penelope. Uno dopo l'altro imbracciarono l'arco e provarono a tenderlo, ma nessuno era abbastanza forte da riuscirci.

Mentre loro ce la mettevano tutta, Ulisse uscì dalla stanza e raggiunse Eumeo "Amico fidato" disse. "E' giunto il momento di rivelarti chi sono davvero". Scostò gli stracci per mostrargli la lunga cicatrice argentea che aveva sulla gamba. Quando Eumeo la vide, gli si illuminò il volto e spalancò la bocca dalla sorpresa. Stava per gridare di gioia, ma Ulisse gli intimò di fare silenzio. "Devo sbarazzarmi di quegli uomini malvagi. Fai il giro della sala e chiudi tutte le entrate, in modo che nessuno possa scappare". "Con molto piacere!" disse Eumeo entusiasta.

"E quando l'avrò fatto, tornerò a combattere al tuo fianco, e con me porterò il mandriano. Hai ancora dei servi fedeli qui". Eumeo fece ciò che gli aveva ordinato il Re. Ulisse tornò dentro la sala a godersi lo spettacolo dei pretendenti che cercavano di vincere la sfida. Erano circa un centinaio e, uno dopo l'altro, fallivano. Alla fine, quando il sole tramontò, l'ultimo pretendente poggiò l'arco in un angolo e sulla sala scese il silenzio. Allora Ulisse fece un passo in avanti. "Signora" disse rivolgendosi a Penelope, "potrei provare anch'io a tendere l'arco?" i pretendenti si sentirono offesi e iniziarono a gridargli contro, ma Penelope fece loro cenno di spostarsi. "Se ci riuscirai non

ti sposerò, ma riceverai una ricca ricompensa". Anche Telemaco finse di sentirsi offeso. "Permetterai un mendicante di toccare l'arco di mio padre? Vai a dormire, madre. Queste sono cose da uomini". Penelope chinò la testa e li lasciò, e Ulisse afferrò l'arco. ignorando le battute e le offese dei pretendenti, impugnò saldamente l'arco e lo piegò senza alcuna difficoltà. Nella sala calò il silenzio. Ulisse pizzicò la corda facendoneuscire una nota chiara come il cinguettio di una rondine. Prese quindi una freccia, la incoccò sulla corda e mirò in direzione delle asce. Mosse l'arco finchè non vide tutti i cunei allineati, tirò indietro la freccia e si fermò un istante. Poi la lasciò andare.

La freccia schizzò via dritta e precisa, e attraverso tutti i cunei delle asce, andando a conficcarsi nel muro in fondo alla sala. Allora Ulisse si voltò verso Telemaco. “Non ti ho disonorato, figlio mio” disse. “E ora serviamo la cena ai pretendenti, e poi guardiamoli danzare”. “Sì, padre!” rispose Telemaco. Con gli occhi pieni di terrore, i pretendenti capirono chi fosse in realtà quel mendicanteUlisse corse verso la porta di ingresso e Telemaco balzò al suo fianco, brandendo spada e lancia. Quando Eumeo e il mandriano spuntarono dietro di loro, Ulisse prese un’altra freccia dalla faretra. I pretendenti entrarono nel panico, specialmente quando scoprirono che tutte le porte erano bloccate. .

“Ti pagheremo ogni boccone che abbiamo mangiato” balbettarono. “Ti daremo mille pile di oro e interi greggi di buoi, se ci lascerai andare”. “Ori e buoi non possono ripagare quello che avete fatto!” disse Ulisse deciso. “Io voglio solo giustizia. Avete disonorato la mia e casa e portata Itaca quasi alla rovina con la vostra avidità. Alzatevi dunque e combattete!” Anche se loro erano quasi un centinaio, mentre gli uomini sulla soglia soltanto quattro, i pretendenti conoscevano bene la reputazione di Ulisse. E mentre sfoderavano le spade, le loro mani iniziarono a tremare. E così la battaglia cominciò…

Fu una battaglia terribile e sanguinosa. Ulisse concesse solo a pochi uomini di scappare, ma da tutti gli altri pretese che pregassero per i crimini commessi. Prima che lo scontro finisse, quasi tutti i pretendenti erano morti. Ulisse ordinò che i corpi venissero portati via, poi pulì la sala e la purificò con fuoco e zolfo. Quando tutto tornò come era prima, mando Euriclea al piano di sopra ad annunciare a Penelope che Ulisse era tornato a casa. La vecchia nutrice corse nella stanza di Penelope e si chinò sul suo letto. “Svegliati!” disse. “Le tue preghiere sono state ascoltate.

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Ulisse è qui!” Penelope sollevò la testa dal cuscino. “Non prenderti gioco di me” disse. “Dico sul serio” insistette Euriclea. “Il vecchio mendicante era Ulisse travestito. Ha appena ucciso tutti i tuoi malvagi pretendenti. Vieni a vedere". penelope ancora non la credeva. "Come può un uomo solo sconfiggere così tante persone? Se i pretendenti sono stati uccisi davvero, allora devono essere stati gli dei a farlo. Ulisse è morto molto tempo fa, in una qualche terra straniera". "Che sciocchezza!" disse Euriclea. "Scendi le scale e lo vedrai coi tuoi occhi". "Andrò da Telemaco" replicò Penelope, "ma non permetterò che qualche

Ulisse è qui!” Penelope sollevò la testa dal cuscino. “Non prenderti gioco di me” disse. “Dico sul serio” insistette Euriclea. “Il vecchio mendicante era Ulisse travestito. Ha appena ucciso tutti i tuoi malvagi pretendenti. Vieni a vedere". penelope ancora non la credeva. "Come può un uomo solo sconfiggere così tante persone? Se i pretendenti sono stati uccisi davvero, allora devono essere stati gli dei a farlo. Ulisse è morto molto tempo fa, in una qualche terra straniera". "Che sciocchezza!" disse Euriclea. "Scendi le scale e lo vedrai coi tuoi occhi". "Andrò da Telemaco" replicò Penelope, "ma non permetterò che qualche

imbroglione si prenda gioco di me". Scese dal letto e camminò fino alle scale e da lassù guardò di sotto e vide la grande sala vuota e pulita, spazzata da un vento fresco. telemaco si trovava al centro della sala, al fianco del mendicante cencioso. Possibile che quell'uomo fosse davvero Ulisse? Penelope aveva paura a crederlo. L'avevano ingannata già troppe volte prima di allora, e aveva ascoltato troppe bugie. " Andò dritta da Telemaco e lo abbracciò. "Che cosa ti succede?" le disse il figlio. "Non vedi mio padre, qui accanto a me? Lo hai atteso per tutto questo tempo. Perchè non lo saluti adesso?" "Se sei davvero mio marito come dici" disse

"lo scopriremo presto. Io e Ulisse condividiamo alcuni segreti che nessun altro conosce". "Lascia a tua madre il tempo per decidere da sola" disse Ulisse a Telemaco. "Andiamo a farci un bagno e lavarci di dosso il sangue della battaglia". Dopo essersi lavato, Ulisse indossò i suoi vestiti regali e tornò nella sala. penelope ascoltava la musica vicino al fuoco. "Che strana donna che sei" le disse Ulisse sedendosi accanto a lei. "Sono tornato a casa dopo vent'anni e non mi hai nemmeno rivolto la parola. Qualunque altra donna si sarebbe già lanciata tra le braccia del marito". Alzò poi la voce e chiamò Eumeo. "Stanotte dormirò da solo, preparami un letto. Non posso

dormire con mia moglie. Il suo cuore è duro come la pietra. "Che strano uomo che sei" rispose Penelope. "Io non ho il cuore duro come la pietra. Sono rimasta fedele a Ulisse vent'anni e non lascerò che un impostore mki raggiri". Euriclea portò un grande letto nella sala. Ulisse si alzò gridando, in preda alla rabbia. “Cosa hai fatto? Avevo costruito quel letto attorno a un vecchissimo olivo. E, per non sradicarlo dal terreno, avevo ricavato la prima colonna del letto proprio dal tronco di quell’albero. Perché hai permesso che qualcun altro tagliasse il tronco e spostasse il nostro letto?” Penelope corse ad abbracciare Ulisse, piangendo di gioia: era una cosa che solo lui poteva sapere.

“Nessuno ha tagliato la colonna del letto. Avevo solo paura che uno sconosciuto venisse qua e cercasse di ingannarmi fingendo di essere te. Così ho escogitato questo trucco, per assicurarmi di non essere raggirata” disse la donna. Ulisse abbracciò la moglie, trattenendo a stento le lacrime. “Promettimi che non te ne andrai mai più” le disse Penelope. Ulisse stava però pensando alla profezia del vecchio Tiresia nel regno dei morti: “Per liberarti dalla maledizione di Poseidone dovrai compiere un altro viaggio. Dovrai partire verso l’entroterra con un remo sulle spalle, fino a quando sarai lontano dal mare. Quando qualcuno confonderà il tuo remo con un ventilabro, offrirai dei sacrifici a Poseidone e lui ti lascerà vivere in pace".

Lentamente ripeté quelle parole a Penelope. Il suo cuore andò in mille pezzi, al pensiero di perderlo di nuovo. Ma non esitò. “Non possiamo vivere in pace” disse, “se un dio ti è nemico. Se questo è il prezzo da pagare per vivere una vecchiaia felice, allora farai quel viaggio”. Ulisse l’abbracciò ancora e capì che, dopo tutti quei viaggi, l’avrebbe atteso un lieto fine. Insieme alla moglie salirono poi le scale che conducevano alla camera da letto e iniziarono a raccontarsi l’un l’altro la lunga storia di quello che era capitato loro negli ultimi vent’anni.

Finalmente erano insieme: lui, lei , il figlio Telemaco e tutti coloro che gli volevano bene. Avrebbero trascorso insieme il resto dei loro anni, in pace nella loro Itaca.

ULISSE NEL TEMPOGLI AUTORI CHE NELLA STORIA LETTERARIA HANNO RIPRESO LA FIGURA DELL'EROE

GABRIELE D'ANNUNZIO

DANTE ALIGHIERI

UMBERTO SABA

PRIMO LEVI

ITACA(Lucio Dalla)L’EPICA ANTICA AVEVA UN MARCHIO ARISTOCRATICO E FOCALIZZAVA L’ATTENZIONE SUL SINGOLO EROE, LA CANZONE DEL CANTAUTORE BOLOGNESE È DEDICATA INVECE AI COMPAGNI DI ULISSE: PRENDE A CUORE I RISCHI DEI DIMENTICATI,DEGLI AIUTANTI DEL PROTAGONISTA, CHE SPESSO APPAIONO COME APPENDICI PRIVE DI VITA AUTONOMA..

L'ULISSE DI KAVAFIS

FRA GLI ANTICHI E I MODERNI NON SONO MANCATI COLORO CHE HANNO VISTO NELLE PEREGRINAZIONI DI ULISSE IL SIMBOLO DELL'UOMO CHE PER TUTTA LA VITA SI ANGUSTIA, PONENDOSI ANCH'EGLI IDEALMENTE IN VIAGGIO,PER CONSEGUIRE LA FELICITA', LA SAGGEZZA, LA TRANQUILLITA'. SECONDO IL POETA GRECO KAVAFIS (1863-1933) I VERI OSTACOLI CHE L'UOMO PUO' INCONTRARE NEL SUO PEREGRINARE NON SONO NE' I LESTRIGONI,NE' I CICLOPI, NE' IL DIO NETTUNO, MA IL BENE E IL MALE CHE SONO DENTRO IL SUO ANIMO. SULLA SCIA DELL'ESEMPIO DANTESCO, L'ULISSE DI KAVAFIS, GIA' INGEGNOSO, EMBLEMATICO E STRAORDINARIO PERSONAGGIO, SI ELEVA A SIMBOLO DELL'UOMO DALLE MOLTE ESPERIENZE, INESAUSTO INDAGATORE DELLE COSE DEL MONDO.

L' ASCOLTA LA POESIA DI KAVAFIS (TRATTA DA "I PIANETI DELLA FORTUNA")

E fu finalmente pace...

ΕΥΧΑΡΙΣΤΩ

τέλοςFINE

GRAZIE

Dedico questo modesto lavoro sull'Odissea ai miei alunni della 4A e 4C. Maestra Maria