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PERUGINO & BOTTICELLI

Raffaele Cimino

Created on January 3, 2022

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Transcript

Pietro Perugino

Pietro di Cristoforo Vannucci, noto come il Perugino o come Pietro Perugino (Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, febbraio 1523), fuse insieme la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso i modi gentili della pittura umbra. Fu maestro di Raffaello. A Firenze, dove forse si recò fin dagli anni 1467-1468, l'artista ebbe gli insegnamenti decisivi che condizionarono le sue prime opere. Lavorò nella più importante fucina di giovani talenti allora esistenti, la bottega di Andrea Verrocchio, dove si praticava la pittura, la scultura e l'oreficeria. Qui ebbe modo di lavorare fianco a fianco con giovani talenti quali Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Filippino Lippi e, soprattutto il poco più che coetaneo Botticelli. La formazione artistica a Firenze allora si basava soprattutto sull'esercizio del disegno dal vero, ritenuto un'attività fondamentale a qualsiasi pratica artistica, che richiedeva approfonditi studi anatomici, spesso con lo studio diretto di cadaveri scorticati. A Roma, papa Sisto IV incaricò Perugino di decorare la parete di fondo della Cappella Sistina, venedogli presto affiancati per interessamento di Lorenzo de' Medici, a partire dall'estate del 1481, un gruppo dei migliori pittori fiorentini tra cui Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, coi rispettivi collaboratori. Perugino per la sistina realizzerà il Battesimo di Cristo e la consegna delle chiavi, entrambe nel 1482.

Pietro Perugino, Autoritratto Perugia, Collegio del Cambio

Lo sposalizio della Vergine

La composizione del dipinto richiama la Consegna delle chiavi che Perugino aveva affrescato circa vent'anni prima nella Cappella Sistina: ricorre infatti nello sfondo il grande edificio ottagonale a pianta centrale (simbolo del Tempio di Gerusalemme), alla fine di un pavimento a riquadri prospettici, che amplifica la scena in primo piano secondo un ideale di razionalità geometrica che è diventato tra gli emblemi del Rinascimento italiano, soprattutto dopo che venne ripreso anche da Raffaello in un celeberrimo Sposalizio nella Pinacoteca di Brera (1504). L'edificio si trova alla sommità di una gradinata, ed ha quattro protiri rinascimentali con archi a tutto sesto e cupolette in corrispondenza dei quattro lati principali, dove si aprono verosimilmente quattro portali con timpano triangolare identici. Si tratta di un edificio che richiama l'ideale classico del Rinascimento, come lo immaginavano gli intellettuali dell'epoca basandosi sui trattati di Leon Battista Alberti: in realtà l'architettura dell'antica Roma non ha mai prodotto edifici con tali elementi. Come nella maggior parte delle opere peruginesche, la composizione è impostata a criteri di simmetria, movimentati dal variare ritmico delle pose. Attorno al perno centrale del sacerdote, che sta perfettamente sull'asse dell'edificio centrale e, soprattutto della sua maestosa porta aperta sullo sfondo, sono disposti san Giuseppe, a sinistra vestito di giallo, con dietro il corteo maschile, e la Vergine Maria, a destra, seguita dalle donne. Secondo le storie di Maria infatti ella, appena uscita dal periodo monacale nel Tempio di Gerusalemme, in cui aveva trascorso tutta l'adolescenza, venne destinata alle nozze ma solo con colui che portando un ramoscello fosse stato prescelto da un segno divino. il ramoscello di Giuseppe fiorì, mentre quelle degli altri giovani no, infatti nell'iconografia dell'episodio si vede sempre almeno uno di loro che spezza il ramoscello con una gamba o il ginocchio. L'evidente senilità di Giuseppe era anche un elemento che metteva in risalto l'impossibilità di consumazione del matrimonio, sottintendendo così il dogma della verginità di Maria. I panneggi ricadono pesanti e luminosi come macchie di colore, con quell'effetto "bagnato" che Perugino aveva appreso durante la sua formazione fiorentina nella bottega del Verrocchio. Il paesaggio sullo sfondo mostra dolci colline, punteggiate da esili alberelli, che sfumano in lontananza verso l'orizzonte, dando l'impressione di uno spazio infinitamente vasto e profondo Lo sposalizio della vergine

Lo sposalizio della vergine, 1501-1504 Olio su tavola, 234×186 cm Musée des Beaux-Arts, Caen

Lo Sposalizio della Vergine di Pietro Perugino decorava la cappella del Santo Anello nella cattedrale di Perugia.

Pinacoteca di Brera (Milano) - Maggio/Giugno, 2016

Perugia - Marzo/Giugno, 2023 (dopo 226 anni)

FINALMENTE INSIEME Chissà se il tifoso dell’Atletico Madrid si è reso conto di partecipare a un evento storico. Non mi riferisco alla finale di Champions League, persa ai rigori allo stadio di San Siro contro il Real, nonostante le giocate di Saúl e la generosità di Juanfran (suo il rigore finito contro il palo) la sera di quello stesso 28 maggio in cui lui ha visitato la Pinacoteca di Brera, smentendo inconsapevolmente uno dei luoghi comuni sui tifosi di calcio. Da Maggio a Giugno 2016, il museo milanese ha ospitato l’opera del Perugino, "generosamente" prestata dal Museo di Belle Arti di Caen. Un gradito ritorno in Italia, anche se soltanto temporaneo, dopo oltre due secoli dalla requisizione in epoca napoleonica. STORIA Con le soppressioni napoleoniche, nel 1797, il dipinto fu confiscato durante le spoliazioni napoleoniche. Venne donato successivamente al Museo di Belle Arti di Caen, allora diretto dal pittore Alfred Guillard. Da allora Perugia ne richiede la restituzione ma ogni tentativo del comune di Perugia di riavere l'opera andò fallito.

Per la prima volta dopo duecento anni torna nella città di Perugia un capolavoro del nostro Rinascimento sottratto in epoca napoleonica, che farà rientro temporaneamente a Perugia, alla Galleria Nazionale dell’Umbria. L’esposizione rappresenterà l’apice delle celebrazioni per il cinquecentenario della scomparsa dell’artista. L’esposizione dello Sposalizio della Vergine, che si potrà vedere alla mostra in Sala Podiani alla Galleria Nazionale dell’Umbria dal 4 marzo all’11 giugno, rappresenta uno dei momenti centrali della rassegna. L’opera venne sequestrata nel 1798 dalle armate francesi di Napoleone Bonaparte che la portarono via dalla Cattedrale di Perugia dove era appesa sin dalla sua creazione nel 1504. L’opera aveva un legame particolare col Duomo perugino, dal momento che qui è conservato quello che secondo la tradizione è l’anello nuziale della Vergine. Dunque lo stesso dipinto nell’opera dal Perugino.

La Pietà

1483-1493 circa olio su tavola, 168×176 cm Uffizi, Firenze

La Pietà

La scena è impostata secondo uno schema pacato e piacevole, ordinato secondo le regole della simmetria. Essa si svolge sotto un portico con archi a tutto sesto su pilastri dotati di capitelli molto sporgenti, che a partire dagli ultimi due decenni del XV secolo divenne frequente nella produzione del Perugino. L'architettura è solenne ma semplice e dirige lo sguardo dello spettatore in profondità, con l'ariosa apertura paesistica dello sfondo in cui colline prive di asperità sono punteggiate da esili alberelli e sfumano in lontananza verso l'orizzonte. Lo schema della Pietà riprende quello dominante tedesco, con il corpo di Gesù irrigidito e orizzontale e la Madonna seduta in posizione verticale, che venne rivoluzionato solo pochi anni dopo da Michelangelo con la Pietà vaticana. Il corpo morto di Cristo si staglia chiarissimo e irrigidito in tutta la lunghezza della pala, retto a sinistra da Giovanni evangelista e a destra da Maria Maddalena. Il corpo in primo piano appare quasi sospinto in avanti dalle figure. Chiudono ai lati, in posizioni elegantemente ritmate, un santo giovane con le mani giunte al petto e lo sguardo rivolto in alto (Nicodemo) e un santo anziano con le braccia distese, le mani intrecciate e lo sguardo rivolto in basso (Giuseppe d'Arimatea). Queste due figure torreggiano ai lati facendo da raccordo tra la scena in primo piano e l'equilibrata composizione architettonica, come nella Madonna col Bambino in trono tra i santi Giovanni Battista e Sebastiano del 1493. Le forme sono particolarmente nitide e le espressioni addolorate di Giovanni piangente e della Maddalena non generano una forza drammatica, ma si stemperano nel sentimento pacatemente meditativo dell'opera. La Maddalena presenta un uso del colore con toni bruni e meno soffusi, che rimanda a Luca Signorelli, altro pittore sulla cresta dell'onda a Firenze in quegli anni. A Signorelli rimanda dopotutto anche lo stile della Crocifissione nella stessa serie di tavole.

Pietà,1483-1493 circa olio su tavola, 168×176 cm Uffizi, Firenze

Sacra conversazione

La tavola rappresenta la Vergine che sorregge il Bambino mentre i Santi assistono ai lati. La Sacra Conversazione di Pietro Perugino attiene a un genere iconografico ben preciso che è stato trattato da tanti altri artisti nel Rinascimento. La Vergine si trova al centro con Gesù Bambino sulle ginocchia. Ai lati poi si trovano due Santi, San Giovanni Battista a sinistra e San Sebastiano a destra. San Sebastiano veniva invocato, quindi rappresentato nei dipinti, in occasione di pestilenze. La scena è impostata secondo uno schema ordinato e simmetrico si svolge sotto un portico, con archi a tutto sesto su pilastri dotati di capitelli molto sporgenti, che a partire dagli ultimi due decenni del XV secolo divenne frequente nella produzione del Perugino, riscontrabile ad esempio nella Pietà. In questo caso il portico si limita a due campate di profondità, ma la struttura architettonica, solenne ma semplice, è identica e serve per dirigere lo sguardo dello spettatore in profondità, con l'ariosa apertura paesistica dello sfondo in cui colline sono punteggiate da esili alberelli e sfumano in lontananza verso l'orizzonte. A destra si trova poi san Sebastiano raffigurato durante il martirio mentre seminudo, con un elegante perizoma a righe spesso presente nei dipinti della fine del Quattrocento, si offre alla crivellatura delle frecce con uno sguardo paziente e malinconico che guarda verso il cielo. Il pilastro striato dietro di lui è forse evidenziato per rimarcare l'idea della colonna del suo martirio. Inoltre in questa pala si inizia ad assistere alla trasformazione della figura di Maria, usata dal pittore, che trasformò nella sua produzione matura l'elegante e raffinata giovinetta in una donna più matura, semplice e severa, in linea con il clima spirituale del Savonarola. La luce proviene da destra, adeguandosi alla reale situazione luminosa della cappella originaria, e fa proiettare sul terreno lunghe ombre scure. L'opera venne dipinta per la cappella nella chiesa del convento di San Domenico a Fiesole. Nel 1493 Perugino aveva anche sposato Chiara Fancelli: il ritratto della donna, dalla bocca stretta e il mento affilato, compare nell'effigie della Madonna. Nel 1786 venne acquistata dal Granduca Pietro Leopoldo I (appartenente alla famiglia dei Lorena) per mille scudi, entrando così nelle Regie Gallerie, poi Uffizi. La cappella venne allora decorata da un dipinto di Lorenzo di Credi, mentre nel XX secolo fu fatta una copia della Madonna di Perugino da Garibaldo Ceccarelli, che ancora oggi si trova nella chiesa.

Pietro Perugino, Sacra Conversazione, 1493 tempera grassa su tavola, 178 x 164 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

P. Perugino, dettaglio della Sacra Conversazione degli Uffizi

dettagli

Sandro Botticelli

Botticelli, soprannome del pittore Sandro Filipepi (1445-1510), è l’artista fiorentino che più contribuì alla crescita del Rinascimento, dopo l’eroica stagione di Brunelleschi, Donatello e Masaccio, nei primi decenni del Quattrocento. Quasi tutta la sua attività si è svolta nel capoluogo toscano, all’ombra dei Medici e nel clima neoplatonico che caratterizzò la cultura fiorentina di quegli anni. Firenze è ora una città matura, ricca, consapevole della propria superiorità. L’arte è una affermazione di serena perfezione, e così è anche la pittura di Botticelli, il quale contribuì in maniera determinante anche ad un’altra inversione di tendenza: la pittura diviene ora sempre più di moda rispetto alla scultura che, fino a questo momento, aveva avuto quasi il primato nella produzione artistica figurativa. Dopo un apprendistato condotto probabilmente presso la bottega di qualche orafo, iniziò l’attività pittorica come aiuto di Filippo Lippi. Da quest’ultimo, così come da Andrea Verrocchio e da Antonio del Pollaiolo, subì notevoli influenze nella sua prima attività, ma da subito il suo stile si rivelò per essere superiore a quello dei suoi maestri. Le frequentazioni di Botticelli nella cerchia della famiglia dei Medici furono indubbiamente utili per garantirgli protezione e le numerose commissioni eseguite nell'arco di circa vent'anni. La politica riconciliativa di Lorenzo de' Medici si realizzò in maniera efficace anche attraverso scambi culturali, con l'invio dei più grandi artisti fiorentini nelle corti italiane, quali ambasciatori di bellezza, armonia e del primato culturale fiorentino. Il 27 ottobre 1480, Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e i rispettivi collaboratori partirono per Roma per affrescare le pareti della Cappella Sistina. L'avviata vita artistica di Sandro Botticelli trova una brusca frenata nel 1492, data della morte di Lorenzo il Magnifico (1449 – 1492), suo grande mecenate. Con l'avvento della politica religiosa ostruzionistica del frate Girolamo Savonarola i Medici furono costretti ad abbandonare la città creando di consueguenza il declino culturale/artistico di Firenze. Botticelli fu, insieme a molti altri artisti come Fra' Bartolomeo e il giovane Michelangelo, profondamente influenzato dal nuovo clima. Si infransero le sicurezze fornite dall'umanesimo quattrocentesco, a causa del nuovo e turbato clima politico e sociale. Nel 1497 e 1498 i seguaci di Savonarola organizzarono diversi "roghi delle vanità", che non solo dovettero impressionare molto il pittore, ma innescarono in lui grossi sensi di colpa per aver dato volto a quel magistero artistico così aspramente condannato dal frate.

Presunto autoritratto dall'Adorazione dei Magi degli Uffizi

Simonetta Vespucci

Simonetta Vespucci, nata Cattaneo, chiamata la Sans Par per la sua straordinaria bellezza (Genova o Porto Venere, 28 gennaio (?) 1453 – Firenze, 26 aprile 1476), fu una nobildonna italiana, tra le più note del Rinascimento. Ritenuta dai suoi contemporanei come la più bella donna vivente, venne amata da Giuliano de' Medici, il fratello minore di Lorenzo il Magnifico, e da Sandro Botticelli, che ne fece la sua Musa, rendendola eterna nei suoi più famosi dipinti. La troviamo, infatti, nelle vesti della dea Venere nella Nascita di Venere oppure nell'allegoria della primavera nella Primavera. Nell'aprile del 1469, quando aveva appena sedici anni, andò incontro al giovanissimo sposo Marco Vespucci, un cugino lontano del navigatore Amerigo Vespucci. Dopo il matrimonio, la coppia si stabilì a Firenze, città dei Vespucci. L'arrivo degli sposi coincise con l'assunzione di Lorenzo il Magnifico a capo della Repubblica. I due fratelli Lorenzo e Giuliano accolsero gli sposi nel palazzo Medici di via Larga e in loro onore organizzarono una sontuosa festa nella villa di Careggi. Si susseguirono brevi anni di feste e ricevimenti in una vita sontuosa di cui la corte medicea era il centro. L'apice si raggiunse con il "Torneo di Giuliano", un torneo cavalleresco svoltosi in piazza Santa Croce nel 1475. Qui Giuliano de' Medici, vi vinse un ritratto messo in lizza di Simonetta dipinto dal Botticelli, sul quale era riportata l'iscrizione La Sans Par (La senza paragoni), sottolineando ancora una volta la sua incredibile bellezza, alla quale nessuna donna mortale poteva esservi paragonata. Simonetta venne proclamata "regina del torneo". La sua straordinaria bellezza e la sua grazia avevano ormai conquistato tutti a Firenze, in primis Giuliano. L' esistenza di Simonetta, purtroppo, fu una vera e propria fugace meteora, perché solo un anno dopo, il 26 aprile 1476, moriva di tisi (o peste), all'età di soli ventitre anni. Alla morte di Botticelli, egli lasciò scritto di essere sepolto ai piedi di Simonetta; la tomba del pittore, infatti, si trova nella Chiesa di Ognissanti, patronata dalla famiglia Vespucci, accanto alla sua amata Simonetta.

Chiesa di Ognissanti - Firenze

Venere e Marte

Venere e Marte, 1482-1483 - tecnica mista su tavola, 69×173 cm - National Gallery, Londra

Venere e Marte

L'opera viene in genere datata a dopo il ritorno dal soggiorno romano (1482), per gli influssi classicheggianti che l'autore avrebbe potuto studiare sui sarcofaghi antichi della città eterna. Essa viene inoltre messa in relazione con gli altri grandi dipinti della serie mitologica, commissionati forse dai Medici: la Primavera e la Nascita di Venere. La presenza delle vespe nell'angolo in alto a destra fa pensare che si trattasse di un'opera commissionata dai Vespucci, già protettori di Botticelli, magari in occasione di un matrimonio. Il formato orizzontale farebbe così immaginare la decorazione di un cassone o di una spalliera di un letto. La scena raffigura Venere mentre osserva, consapevole e tranquilla, Marte dormiente, distesi su un prato e circondati da piccoli fauni che giocano allegri con le armi del dio. I satiri sembrano tormentare Marte disturbando il suo sonno, mentre ignorano del tutto Venere, vigile e cosciente: uno ne ha l'elmo che gli copre completamente la testa mentre, con un altro, ruba furtivo la lancia del dio; un altro suona addirittura un corno di conchiglia nell'orecchio del dio per svegliarlo, senza successo; un quarto fa capolino dalla corazza sulla quale il dio è adagiato. Nonostante il contorno scherzoso dei fauni, nel dipinto serpeggiano anche elementi di inquietudine, come il sonno spossato e abbandonato di Marte o lo sguardo lievemente malinconico di Venere. Un errore dell'artista si riscontra nella gamba destra di Venere, che, smaterializzata dalle pieghe delle veste setosa, va quasi a scomparire. L'opera potrebbe essere stata realizzata per il matrimonio di un membro della famiglia Vespucci (protettrice del pittore), come dimostrerebbe l'inconsueto motivo delle vespe in alto a destra, anche possibile però che gli insetti simboleggino semplicemente le "punture", cioè le spine dell'amore.

Venere e Marte,1482-1483 tecnica mista su tavola, 69×173 cm National Gallery, Londra

L'iconografia quindi sarebbe stata scelta come augurio nei confronti della sposa. Nell'opera sono leggibili alcune caratteristiche stilistiche tipiche dell'arte di Botticelli. La composizione è estremamente bilanciata e simmetrica, che può anche sottintendere la necessità di equilibrio nell'esperienza amorosa. Il disegno è armonico e la linea di contorno tesa ed elastica definisce con sicurezza le anatomie dei personaggi. La ricchezza dell'oro e l'attenta disposizione delle pieghe rimandano alla formazione da orafo di Botticelli, che in questo caso usò una tecnica mista di tempera a uovo e colori a olio per dare un aspetto più tondeggiante e realistico ai volti.

La Primavera

La Primavera, 1482 circa Tempera su tavola, 203×314 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

La Primavera

Il dipinto venne eseguito per Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici (1463-1503), cugino di secondo grado del Magnifico di circa quindici anni più giovane, non sempre in ottimi rapporti con il cugino maggiore, incaricato de facto di governare Firenze. In un ombroso boschetto, che forma una sorta di semi-cupola di aranci colmi di frutti e arbusti sullo sfondo di un cielo azzurrino, sono disposti nove personaggi, in una composizione bilanciata ritmicamente e fondamentalmente simmetrica attorno al perno centrale della donna col drappo rosso e verde sulla veste setosa. Il suolo è composto da un verde prato, disseminato da un'infinita varietà di specie vegetali e un ricchissimo campionario di fiori. L'opera è, secondo una teoria ampiamente condivisa, ambientata in un boschetto di aranci (il giardino delle Esperidi) e va letta da destra verso sinistra, forse perché la collocazione dell'opera imponeva una visione preferenziale da destra. Zefiro, vento di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa Clori, mettendola incinta; da questo atto ella rinasce trasformata in Flora, la personificazione della stessa primavera rappresentata come una donna dallo splendido abito fiorito che sparge a terra le infiorescenze che tiene in grembo. A questa trasformazione allude anche il filo di fiori che già inizia a uscire dalla bocca di Clori durante il suo rapimento. Al centro campeggia Venere, inquadrata da una cornice simmetrica di arbusti, che sorveglia e dirige gli eventi, quale simbolo neoplatonico dell'amore più elevato. Sopra di lei vola il figlio Cupido, mentre a sinistra si trovano le sue tre tradizionali compagne vestite di veli leggerissimi, le Grazie, occupate in un'armoniosa danza in cui muovono ritmicamente le braccia e intrecciano le dita. Chiude il gruppo a sinistra un disinteressato Mercurio, coi tipici calzari alati, che col caduceo scaccia le nubi per preservare un'eterna primavera.

La Primavera, 1482 circa Tempera su tavola, 203×314 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

Le tre Grazie

Talia (la Prosperità) Aglaia (lo Splendore) Eufrosine (la Gioia)

A. Canova, le tre Grazie

La nascita di Venere

Nascita di Venere, 1483-85 ca., tempera su tela, 172×278 cm - Galleria degli Uffizi, Firenze

La nascita di Venere

Opera iconica del Rinascimento italiano, spesso assunta come simbolo della stessa Firenze e della sua arte, faceva forse anticamente pendant con l'altrettanto celebre Primavera sempre di Botticelli, con cui condivide la provenienza storica, il formato e alcuni riferimenti filosofici. Rappresenta una delle creazioni più elevate dell'estetica del pittore fiorentino, oltre che un ideale universale di bellezza femminile. La Nascita di Venere è da sempre considerata l'idea perfetta di bellezza femminile nell'arte, così come il David è considerato il canone di bellezza maschile. Poiché entrambe le opere sono conservate a Firenze, i fiorentini si vantano di possedere i canoni della bellezza artistica all'interno delle mura cittadine. Contrariamente al titolo con cui l'opera è nota, essa non raffigura la nascita della dea, ma il suo approdo sull'isola di Cipro. Venere avanza leggera fluttuando su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde, in tutta la sua grazia e ineguagliabile bellezza. Viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato alla ninfa Clori. Sulla riva una fanciulla, una delle Ore che presiede al mutare delle stagioni, in particolare la Primavera, porge alla dea un magnifico manto rosa ricamato di fiori per proteggerla. La posa della dea, con l'equilibrato bilanciamento del "contrapposto", deriva dal modello classico della Venus pudica (cioè che si copre con le braccia il seno e il basso ventre). Il volto pare che si ispirasse alle fattezze di Simonetta Vespucci, la donna dalla breve esistenza (morì a soli 23 anni) e dalla bellezza "senza paragoni" cantata da artisti e da poeti fiorentini mentre lo sfondo sembrerebbe ispirarsi al Golfo dei Poeti (ampia e profonda insenatura della costa del Mar Ligure) dove il pittore avrebbe conosciuto la sua musa ispiratrice.

Nascita di Venere, 1483-85 ca., tempera su tela, 172×278 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

Botticelli e gli "attivisti ambientali"

12 febbraio 2024

23 luglio 2022

feb 2015

La calunnia

La Calunnia, 1496 tempera su tavola, 62×91 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

La calunnia

La complessa iconografia riprende fedelmente l'episodio originale, inserendolo all'interno di una grandiosa aula, riccamente decorata di marmi e rilievi dorati e affollata di personaggi; il quadro va letto da destra verso sinistra: re Mida (riconoscibile dalle orecchie d'asino), nelle vesti del cattivo giudice, è seduto sul trono, consigliato da Ignoranza e Sospetto; davanti a lui sta il Livore (cioè il "rancore"), l'uomo con il cappuccio nero, coperto di stracci che tiene per il braccio la Calunnia, donna molto bella, che si fa acconciare i capelli da Insidia e Frode, mentre trascina a terra il Calunniato impotente e con l'altra mano impugna una fiaccola che non fa luce, simbolo della falsa conoscenza; la vecchia sulla sinistra è il Rimorso e l'ultima figura di donna sempre a sinistra è la Nuda Veritas, con lo sguardo rivolto al cielo, come a indicare l'unica vera fonte di giustizia. L'architettura, che anticipa i modi cinquecenteschi, mostra un ampio loggiato composto da pilastri con nicchie e archi a tutto sesto con lacunari; fregi dorati corrono sui plinti, nei lacunari, sulle basi delle nicchie e sopra di esse, con varie scene mitologiche; dentro le nicchie si trovano statue a tutto tondo di figure bibliche e dell'antichità classica: si riconoscono una Giuditta con la testa decapitata di Oloferne dietro il trono di Mida e un cavaliere, forse Re Davide, nella nicchia centrale. Questa sintesi tra mondo classico e mondo cristiano rimanda alle meditazione umanistiche dell'Accademia neoplatonica. Oltre gli archi si vede solo un cielo lontano e cristallino.

La Calunnia, 1496 tempera su tavola, 62×91 cm Galleria degli Uffizi, Firenze

Sala del Botticelli

Uffizi - firenze

La Calunnia