il Rinascimento maturo
Il periodo del rinascimento maturo è segnato dalla presenza di tre grandi artisti, quali appunto Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Si tratta di tre personalità molto diverse tra loro: un piccolo confronto tra loro può essere utile per capire anche le diverse anime del rinascimento italiano di quegli anni. Leonardo da Vinci è il modello dell’artista eclettico per antonomasia, colui che riesce ad eccellere in qualsiasi campo, soprattutto perché è dotato di una razionalità eccezionale. Nel campo artistico in fondo ha prodotto molto poco, in quanto la sua inesauribile curiosità lo portava ad affrontare i problemi con appiglio più da scienziato che da artista. In lui l’ansia di conoscere era superiore anche al fare, tanto che rimane più corposa la sua produzione scritta che non quella propriamente artistica. Michelangelo invece è artista completamente diverso: in lui non si avverte quella fredda razionalità di Leonardo, ma una dimensione interiore più drammatica e sofferta. Michelangelo, nelle sue opere, manifesta un senso tragico dell’esistenza, segnato da una sofferenza e una solitudine che forse sola l’attività creativa riusciva a lenire. Michelangelo è il prototipo dell’artista tormentato, prototipo che ebbe, poi, molto seguito nei secoli successivi. Raffaello è diverso da entrambi e rappresenta, potremmo dire, il glamour del rinascimento. Tra i tre è stato quello che ha avuto la vita più breve ma la produzione di gran lunga più vasta, segno di uno straordinario e felice rapporto con la sua arte. Raffaello è solare, luminoso, non conosce tormenti, e la sua arte è la ricerca suprema della bellezza e dell’armonia. Raffaello riusciva a far bene qualsiasi cosa, dimostrando sempre un talento impareggiabile. Un ultimo dato va assolutamente rilevato. L’attività di questi tre artisti così geniali ha profondamente modificato la percezione successiva della creatività artistica: questa non è stata più vista come il prodotto di una professionalità legata ad abilità più o meno manuali, ma come il risultato di una genialità assolutamente individuale. D’ora in poi si afferma sempre più la concezione dell’artista-genio, ossia di un individuo diverso dagli altri perché dotato di qualcosa di unico e irripetibile.
Leonardo da Vinci
Uomo vitruviano, 1490 c. penna e inchiostro su carta, 34×24 cm
Gallerie dell'Accademia, Venezia
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci (Anchiano di Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) è stato un ingegnere, pittore e scienziato italiano. Uomo d'ingegno e talento universale del Rinascimento, incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Si occupò di architettura e scultura, fu disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista, progettista e inventore. È considerato uno dei più grandi geni dell'umanità. Diventando ormai sempre più evidente l'interesse del giovane Leonardo nel "disegnare et il fare di rilievo, come cose che gl'andavano a fantasia più d'alcun'altra", il padre ser Piero mandò il figlio, dal 1469 o 1470, nella bottega di Andrea del Verrocchio, che in quegli anni era una delle più importanti di Firenze, nonché una vera e propria fucina di nuovi talenti. La sua attività, che non è stata esclusivamente artistica, lo ha portato a occuparsi di moltissimi campi, oggi rientranti nell’ambito delle scienze o dell’ingegneria. Uomo eclettico per natura, si è interessato di tutto, sacrificandovi spesso anche la sua attività artistica che, in effetti, è stata abbastanza esigua e limitata ad un piccolo numero di opere pittoriche. Tuttavia la sua grande arte ha prodotto una notevole influenza sull’arte successiva. Molto più importante, per i nostri interessi, sono invece le sue innovazioni stilistiche. I suoi interessi sulla rappresentazione della figura umana, lo portarono a considerare quest’ultimo non come un semplice volume o involucro di una sostanza che restava nascosta. Nacquero preziosi studi di anatomia che, non solo ampliarono la conoscenza del corpo umano, ma diedero agli artisti una nuova percezione di esso: una macchina di cui bisognava conoscere alla perfezione il funzionamento, se si voleva darne una corretta rappresentazione non solo nelle proporzioni ma anche nei gesti, fermati sulla tela o nel marmo. Ma altre grandi innovazioni stilistiche Leonardo doveva suggerire, seppure indirettamente, dall’affrontare un altro problema percettivo oggi ben noto: quello che non esiste una linea di contorno alle figure che noi percepiamo. Abolire la linea di contorno significava far venir meno la razionalità principale dell’immagine che si esprime nel disegno, e ciò per un artista come Leonardo non era assolutamente possibile. Ecco così che egli supera il problema rendendo il contorno impercettibile perché assorbito dal passaggio tra luce ed ombra. L’arte di Leonardo rappresenta di certo il livello più alto raggiunto dallo spirito scientifico del rinascimento italiano: in lui arte e scienza sembrano convivere perfettamente, in quanto entrambe tese alla conoscenza e alla rappresentazione (due termini che per l’ultima volta hanno quasi lo stesso significato).
Leonardo è il traguardo più alto al quale poteva giungere un uomo di formazione medievale nel suo sforzo di conquistare la razionalità. Ma di lì a qualche decennio, arte e scienza avrebbero preso percorsi molto diversi e in pratica inconciliabili, così che, di fatto, un altro Leonardo non poteva più apparire nei tempi successivi.
studi anatomici
prototipi
le tecniche pittoriche
Prospettiva aerea e sfumato
La prospettiva aerea è un tentativo di rappresentare sulla superficie piana di un'opera pittorica la terza dimensione, data da una illusoria profondità di campo. Si tratta della misura delle distanze in profondità secondo la densità e il colore dell'atmosfera interposta.
Lo sfumato è una tecnica pittorica che tende a sfumare, appunto, i contorni delle figure, con sottili gradazioni di luce e colore che si fondono impercettibilmente, abolendo quella fastidiosa linea di contorno tipica della pittura precedente.
il battesimo di Cristo
L'intervento di Leonardo sul corpo di Cristo si riconosce bene in alcuni dettagli minuziosamente naturalistici, come i morbidi peli del pube, molto diversi ad esempio dal lucido e spigoloso perizoma rosso rigato. La mano di Leonardo intervenne anche nelle acque del fiume in primo piano (che con il tempo hanno assunto una clorazione più rossiccia), estese fino a immergere i piedi di Gesù e del Battista. Sul lato posteriore si vede come la tavola sia stata composta da sei assi, escludendo l'ipotesi di uno scorcio sul lato dell'angelo leonardiano. Lo storiografo Giorgio Vasari, alla metà del XVI secolo, racconta che per l’esecuzione del dipinto Andrea del Verrocchio si avvalse della collaborazione del suo giovane allievo Leonardo, che eseguì con straordinaria maestria la figura dell’angelo di sinistra, tanto da indispettire il più anziano Verrocchio. Gli studi odierni sono orientati a ritenere che l’intervento di Leonardo sia stato più ampio e che sia intervenuto anche nell’esecuzione del suggestivo paesaggio fluviale, su cui degrada la luce dorata, e della figura di Cristo. La tavola proviene dalla chiesa del monastero vallombrosano di San Salvi a Firenze, pervenuta nelle raccolte delle gallerie fiorentine nel 1810. Agli Uffizi dal 1919.
Andrea del Verrocchio, Leonardo da Vinci e altri
BATTESIMO DI CRISTO, 1475-1478 Olio e tempera su Tavola, 177×151cm Galleria degli Uffizi, Firenze
l'Annunciazione
20
anni
L'Annunciazione, 1472-1475
circa olio e tempera su tavola, 98×217 cm - Galleria degli Uffizi, Firenze
l'Annunciazione
Leonardo si allontanò consapevolmente dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino all'esterno della casa della Vergine al posto della consueta loggia o della camera da letto di Maria. Secondo la tradizione medioevale l'ambientazione era sempre collocata in un luogo chiuso, almeno per quanto riguardava la Vergine, in modo da inserire elementi iconografici, quali il letto. È tradizionale per altri versi, infatti ritroviamo la collocazione dei due personaggi (la Madonna a destra e l'Angelo a sinistra) come ad esempio nelle Annunciazioni di Beato Angelico. Inoltre, per mantenere la riservatezza dell'incontro Leonardo dipinse la Madonna in un angolo del palazzo, però facendo intravedere il letto dal portale; poi, un muretto delimita il giardinetto, ma con un passaggio. Grande attenzione è riservata infatti alla descrizione botanica dei fiori e delle altre specie vegetali sia nel prato che nello sfondo: si tratta di un omaggio alla varietà e ricchezza della creazione divina. I fiori del prato, in particolar modo, appaiono studiati dal vero, con una precisione incredibile. La luce è chiarissima, come mattutina, e ingentilisce i contorni delle figure, preannunciando lo "sfumato". Leonardo si servì della prospettiva aerea, tecnica che prevedeva una colorazione più tenue e sfumata per i particolari più lontani, come se fossero avvolti in una foschia; egli sapeva infatti che tra l'occhio e un soggetto messo a distanza si sovrappongono molti strati di pulviscolo atmosferico, che rendono i contorni meno nitidi, a volte confusi.Gli oggetti vicini vennero invece raffigurati minuziosamente proprio perché più gli oggetti sono vicini, più li si vede meglio. Si comprende che questa è un'opera giovanile dal fatto che la prospettiva aerea non è resa gradualmente, ma c'è come uno stacco al di là degli alberi più vicini, troppo nitidi rispetto allo sfondo. Di questi alberi, i cipressi sono sistemati come colonne, sembrano dividere matematicamente la scena.
L'Annunciazione, 1472-1475 circa olio e tempera su tavola, 98×217 cm Galleria degli Uffizi, Firenze
l'anamorfismo
Dettagli
Leonardo a Milano (1482-1500)
Leonardo da Vinci arrivò a Milano tra la primavera e l’estate del 1482, probabilmente a seguito di una missione diplomatica inviata da Lorenzo il Magnifico, il quale spesso inviava maestri fiorentini come ambasciatori della cultura e dell’arte fiorentina presso le signorie italiane.
Leonardo approfittò dell’occasione per scrivere una lettera di presentazione, descrivendo i suoi progetti in campo ingegneristico, architettonico e di idraulica, menzionando poi le sue capacità pittoriche e i suoi progetti scultorei.
Leonardo, trentenne, fu subito affascinato da Milano, moderna e aperta alle novità tecnologiche e scientifiche, diversamente da Firenze, un ambiente nel quale non si sentiva affine; dove la filosofia neoplatonica e la letteratura dominavano la scena culturale medicea e le tendenze artistiche più idealizzate divergevano dal realismo della pittura di Leonardo. Deluso ed umiliato dalle esperienze collezionate fino a quel momento, segnato da una situazione familiare che probabilmente gli pesava fin dall’infanzia, colse al volo la possibilità di trasferirsi in un ambiente nuovo dove nessuno lo conosceva e dove poteva ricostruirsi una vita partendo da zero.A Milano riceverà protezione da Ludovico Sforza, duca della città, soprannominato il Moro per il colore olivastro della carnagione e nella città lombarda realizzerà una serie di importanti commissioni
Ludovico Sforza detto il Moro
La Vergine delle rocce
1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La Vergine delle rocce
L'origine iconografica deriva sicuramente dalla lettura di testi e vangeli apocrifi. Nell'opera viene rappresentata la Vergine che, insieme a Gesù, incontra il piccolo san Giovanni Battista, subito dopo la morte della madre santa Elisabetta, in un luogo deserto ove si erano rifugiati a seguito della Strage degli Innocenti voluta da Erode. La Madonna rincuora il piccolo san Giovanni, sul quale poggia la mano destra sulla spalla, mettendolo sotto la protezione dell'arcangelo Gabriele, che appare nella figura a destra. Nel contempo Gesù, seduto in basso e sorretto da Gabriele, volge un gesto di benedizione a san Giovanni bambino. L'originalità di questa immagine, che poi ha determinato il titolo con la quale noi la chiamiamo, è di aver inserito una scena già ampiamente collaudata, quale il gruppo della Madonna con il Bambino e san Giovannino, in un panorama roccioso di grande suggestione. Considerando che l'ambientazione occupa quasi metà dell'opera, il paesaggio ha dunque una sua valenza espressiva di grande effetto. Il gioco di luce e di ombre che crea è sicuramente straordinario, con il particolare sulla sinistra della fuga verso la luce creata con sapiente tecnica sfumata. I quattro personaggi sono disposti a croce e collegati da un sapiente gioco di sguardi, gesti e movimenti: questo crea una sorta di circolo in cui ogni figura è legata all’altra. I corpi umani non sono isolati in forme definite e circoscritte, ma si fondono con l’ambiente circostante: i colori delle vesti di Maria e dell’angelo, infatti, sono uguali al blu delle acque e al marrone-bronzo delle rocce. I quattro personaggi sono disposti a croce e collegati da un sapiente gioco di sguardi, gesti e movimenti: questo crea una sorta di circolo in cui ogni figura è legata all’altra. I corpi umani non sono isolati in forme definite e circoscritte, ma si fondono con l’ambiente circostante: i colori delle vesti di Maria e dell’angelo, infatti, sono uguali al blu delle acque e al marrone-bronzo delle rocce. La caverna rappresenta l'utero materno, il luogo della rinascita ed il passaggio nell'Aldilà. La roccia è strettamente in relazione con la missione di Cristo sulla terra, sorgente e bevanda purificatrice dell'anima. La Vergine è ritratta nella sua funzione protettrice di madre e nutrice. L'angelo indica Giovanni Battista, messaggero della Redenzione, che si compirà attraverso il Battesimo e il sacrificio di Cristo. Il dito rivolto verso l'alto indica la dimensione superiore ed ultraterrena, alla quale Gesù è predestinato. La Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione contestò il dipinto considerandolo incompiuto, o addirittura inadatto poiché eretico.
Vergine delle rocce,1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La grotta
una mano?
utero post parto?
bocca con denti aguzzi?
La primaversione
La secondaversione
Vergine delle rocce, 1494-1499 poi 1506-1508 circa Tecnica olio su tavola National Gallery, London
Vergine delle rocce,1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La mano rapace di Maria
versione della National Gallery
versione del Louvre
La Vergine delle rocceseconda versione
I confratelli dell'Immacolata Concezione di Maria di Milano commissionarono un dipinto al giovane artista giunto da poco da Firenze, Leonardo, per il quale la pala d'altare rappresentava la prima commissione nella città lombarda dove si era stabilito da quasi un anno. La composizione un po' antiquata, con la Madonna tra angeli, profeti e Dio Padre, che in un momento imprecisato venne variata dal pittore, optando per l'incontro tra Gesù e san Giovannino nel deserto, alla presenza di Maria e di un angelo. Il soggetto, che derivava da vari testi apocrifi. La prima versione, quella parigina, venne completata relativamente presto, ma Leonardo e i committenti non si trovarono d'accordo sui pagamenti e, forse, sull'aspetto generale della tavola, che, ha una serie di elementi inquietanti, dall'ambientazione scura e umida, all'ambiguo sorriso dell'angelo che guarda lo spettatore, fino alla mano "rapace" che Maria stende sul Bambin Gesù. Leonardo quindi si rifiutò di consegnare l'opera, e pochi anni dopo, forse dopo aver ricevuto un conguaglio soddisfacente, mise mano a una seconda versione del dipinto, di identiche dimensioni e soggetto, sebbene con alcune varianti stilistiche e iconografiche. Con molta probabilità la versione definitiva dell'opera venne dipinta in due fasi distinte. nel 2005 gli esperti della National Gallery di Londra hanno analizzato ai raggi infrarossi il dipinto trovando sotto di questo un disegno precedente, attribuibile allo stesso Leonardo.
Vergine delle rocce, 1494-1499
poi 1506-1508 circa Tecnica olio su tavola National Gallery, London
La dama e l'ermellino
L'opera è uno dei dipinti simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese, tra il 1482 e il 1499. L'opera, della quale si ignorano le circostanze della commissione, viene di solito datata a poco dopo il 1488, quando Ludovico il Moro ricevette il prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino dal re di Napoli. L'identificazione con la giovane amante del Moro Cecilia Gallerani si basa sul sottile rimando che rappresenterebbe, ancora una volta, l'animale: l'ermellino infatti, oltre che simbolo di purezza e di incorruttibilità, si chiama in greco galḗ, che alluderebbe al cognome della fanciulla, Gallerani. In quest'opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra. Vi è corrispondenza tra il punto di vista di Cecilia e dell'ermellino; l'animale infatti sembra identificarsi con la fanciulla, per una sottile comunanza di tratti, per gli sguardi dei due, che sono intensi e allo stesso tempo candidi. La figura slanciata di Cecilia trova riscontro armonico nell'animale. La dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e al tempo stesso ha l'imperturbabilità solenne di un'antica statua. Un impercettibile sorriso aleggia sulle sue labbra: per esprimere un sentimento Leonardo preferiva accennare alle emozioni piuttosto che renderle esplicite. Grande risalto è dato alla mano, investita dalla luce, con le dita lunghe e affusolate che accarezzano l'animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia. L'abbigliamento della donna è curatissimo, ma non eccessivamente sfarzoso, per l'assenza di gioielli, a parte la lunga collana di perle scure. Come tipico nei vestiti dell'epoca, le maniche sono le parti più elaborate, in questo caso di due colori diversi, adornate da nastri che, all'occorrenza, potevano essere sciolti per sostituirle. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo dello stesso colore dei capelli raccolti. Lo sfondo è scuro, ma dall'analisi ai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era originariamente dipinta una finestra. L'ermellino è dipinto con precisione e vivacità. A un'analisi della morfologia dell'animale, esso appare però più simile a un furetto. Del resto, l'ermellino è un animale selvatico mordace e difficilmente ammaestrabile, di conseguenza sarebbe stato molto difficile poterlo utilizzare come modello, al contrario del furetto che può essere addomesticato quasi alla stregua di un gatto, oltre che relativamente semplice da trovare nelle campagne lombarde dell'epoca. Si consideri inoltre che l'ermellino ha dimensioni molto più ridotte, superando raramente e comunque di poco i 30 cm, mentre il furetto, come nel dipinto, a occhio misura tra i 40 e i 60 cm.
la dama e l'ermellino,1488-1490 olio su tavola, 54,8×40,3 cm Museo Czartoryski di Cracovia
- MODA DEL TEMPO
- DOPPIA ROTAZIONE
- SGUARDO RIVOLTO NELLO SPESSO PUNTO
- SOMIGLIANZA NEI VOLTI
TIPOLOGIA DI RITRATTO PRIMA DI LEONARDO
Furetto
Ermellino
Beatrice d'Este
Divenne moglie di Ludovico Sforza il 16 gennaio 1491 e si ritiene che la sua personalità dominante possa aver determinato l'avanzamento della Regina degli scacchi a pezzo più potente della scacchiera
Loonardo da VinciBeatrice d'Este, 1485 34 x 51 cm Pinacoteca Ambrosiana, Milano
La dama e l'ermellino a Firenze
La Dama con l’ermellino, gioiello della collezione polacca, è considerato un dei più bei dipinti di Leonardo da Vinci. Si tratta di un dipinto a olio su tavola databile intorno al 1488 raffigurante Cecilia Gallerani, una delle amanti di Ludovico Sforza “il Moro”.
Il dipinto è stato acquistato nel 1800 dal principe Adam Jerzy Czartoryski entrando così a far parte della collezione privata della famiglia nobile polacca dei Czartoryski. Il dipinto fu trasferito più volte per motivi di sicurezza: a Parigi durante l’insurrezione polacca del 1830, nel 1939 in seguito all’occupazione tedesca di Cracovia il dipinto fu utilizzato come decorazione nella residenza di Hans Frank e successivamente trasferito dai nazisti in Germania per poi essere restituito nel 1946.
Nel 2016 la Dama con l’ermellino è stato ceduto dalla Fondazione dei Principi Czartoryskida al governo polacco per la cifra di 100 milioni di euro.
Per lungo tempo il dipinto è stato ammirato presso il Castello di Wawel.
Dal gennaio 2020 l’opera è stata trasferita ed è esposta presso il Museo Czartoryski di Cracovia.
L'ultima volta a Firenze dal 16 dicembre al 24 gennaio 1998
L'ultima cena
Ultima cena (cenacolo vinciano), 1495-1498 tempera grassa su intonaco, 460×880 cm Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano
L'ultima cena
L'Ultima Cena è una pittura murale a tempera grassa (e forse altri leganti oleosi) su intonaco (460×880 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1495-1498 e conservato nell'ex-refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Si tratta della più famosa rappresentazione dell'Ultima Cena, capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale. Nonostante ciò, l'opera, a causa della singolare tecnica sperimentale utilizzata da Leonardo incompatibile con l'umidità dell'ambiente - versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, che è stato almeno fermato e per quanto possibile migliorato nel corso di uno dei più lunghi e capillari restauri della storia, durato dal 1978 al 1999 con le tecniche più all'avanguardia del settore. Nel 1494 Leonardo Da Vinci era deluso dall'abbandono forzato del progetto del monumento equestre a Francesco Sforza, a cui aveva lavorato quasi dieci anni. Ricevette però quell'anno un'altra importante commissione da Ludovico il Moro, il quale aveva infatti eletto la chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie a luogo di celebrazione della casata Sforza. Il duca di Milano aveva finanziato importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento di tutto il complesso; Donato Bramante aveva appena finito di lavorarvi, quando si decise di procedere con la decorazione del refettorio. Come è noto Leonardo non amava la tecnica dell'affresco, la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima che l'intonaco asciughi imprigionandoli, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche. Scelse di dipingere quindi su muro come dipingeva su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico; prima di stendere i colori l'artista interponeva un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. In seguito venivano stesi i colori a secco, composti da una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando all'uovo oli fluidificanti. Questa tecnica permise la particolare ricchezza della pittura, con una serie di piccole pennellate quasi infinite e una raffinata stesura tono su tono, che consentì una migliore unità cromatica, una resa delle trasparenze e degli effetti di luce, e una cura estrema dei dettagli, visibili solo da distanza ravvicinata; ma fu anche all'origine dei problemi conservativi, soprattutto in ragione dell'umidità dell'ambiente, confinante con le cucine.
Il segno particolare è Il perimetro di quella che un tempo era una porta fatta aprire nella parete (e nel dipinto) dagli stessi frati, durante il 1600.
176 cm
gli anni della seconda guerra mondiale
Giuda, Pietro e Giovanni
Masaccio, crocifissione, 1426 tavola, 83×63 cm Museo nazionale di Capodimonte, Napoli
Giotto, il bacio di Giuda 1303-1305 circa Affresco, 200×185 cm Cappella degli Scrovegni, Padova
il Codice da Vinci
Una diversa lettura del dipinto è richiamata dal popolare romanzo giallo Il codice da Vinci dello scrittore Dan Brown. Secondo tale ipotesi, che vuole dare un significato esoterico al dipinto, il discepolo alla destra di Gesù Cristo sarebbe da interpretare come una donna, con cui Leonardo avrebbe voluto rappresentare Maria Maddalena. Nella narrazione alcuni particolari del dipinto, quali l'opposta colorazione degli abiti di Gesù e della presunta Maria Maddalena, l'assenza dell'unico calice citato nel Nuovo Testamento, la mano posata sul collo della presunta donna e infine la presenza di un braccio con la mano che impugna un coltello e che si dice non appartenga ad alcun soggetto ritratto nel quadro, sono utilizzati per cercare di dimostrare che Maria Maddalena fosse la possibile amante di Gesù, ipotesi respinta dalla Chiesa, in quanto priva di alcuna prova o fondamento. Questa interpretazione del dipinto è confutabile attraverso un'attenta analisi dell'opera, basata sull'episodio dell'Ultima cena narrato nel vangelo di Giovanni. Il coltello è infatti impugnato da Pietro, così come in innumerevoli altri dipinti rinascimentali con questo stesso soggetto (Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jaume Huguet, Giovanni Canavesio, solo per citarne alcuni) in diretto rapporto con la scena successiva, in cui l'apostolo taglierà l'orecchio a Malco, il servo del Gran Sacerdote (Gv 18:10). In questo caso Pietro tiene il braccio piegato dietro la schiena, col polso appoggiato all'anca, posa riscontrabile in tutte le copie dell'Ultima cena e in uno schizzo dello stesso Leonardo. Del calice col vino non si fa parola nel vangelo di Giovanni, nel quale non è neppure narrata l'istituzione dell'Eucaristia; la mano di Pietro posata sulla spalla di Giovanni è il gesto narrato nello stesso quarto vangelo, in cui si legge che Pietro fa un cenno all'apostolo più giovane e gli chiede chi possa essere il traditore (Gv 13:24). L'aspetto di Giovanni infine fa parte dell'iconografia dell'epoca, riscontrabile in tutte le "ultime cene" dipinte da altri artisti tra il XV e il XVI secolo, in cui si rappresentava l'apostolo più giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci. In particolare ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome "significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della castità del suo stato virginale".
prima edizione, novembre 2003
la melodia nascosta
“Una ‘sinfonia celestiale’, ‘un sublime inno a Dio’ composto da Leonardo Da Vinci e nascosto tra le pieghe della tovaglia dell’Ultima Cena. Note di una musica segreta rimaste sempre criptate, ma ora pronte per essere ascoltate dal mondo”. La notizia di un componimento scoperto e decifrato da Gian Mario Pala e Loredana Mazzarella, marito e moglie che vivono a Ozieri in provincia di Sassari i quali “nella celeberrima Ultima Cena di Leonardo, hanno scoperto un inno mimetizzato nel dipinto”.
“Abbiamo guardato per ore quel capolavoro ognuno per proprio conto quando ancora non ci conoscevamo – hanno spiegato i coniugi a ‘Il Giornale’ – poi abbiamo continuato a fissarla insieme da fidanzati e sposi arrivando finalmente a ‘vedere’ con gli occhi e a ‘sentire’ con le orecchie quanto finora avevamo avvertito solo con l’anima”. Secondo il quotidiano “i coniugi Pala dicono di aver individuato nella tovaglia rappresentata nel dipinto un pentagramma che ribaltato sui personaggi presenti, Gesu’ e i discepoli, restituisce miracolosamente un rigo musicale, una partitura”.
Ecco chi ha scoperto il Pentagramma nascosto nel cenacolo” La musica – ha spiegato la coppia – e’ stata poi sintetizzata simulando con un computer un organo a canne ed e’ saltata fuori una sinfonia celestiale. Basta ascoltarla per rendersi conto che si possa trattare di un inno a Dio. L’adagio e’ infatti, solenne e austero, da’ i brividi”.
il ritorno a Firenze, 1501
Nell'aprile 1501 tornò a Firenze, dove non metteva piede da vent'anni. Trovò accoglienza presso il canonico Amadori a Fiesole, nonostante suo padre Piero fosse ancora vivo; probabilmente l'artista si sarebbe trovato a disagio nella casa piena dei fratellastri che non conosceva nemmeno e che si rivelarono poi a lui ostili dopo la morte del padre, riguardo all'eredità.
Durante la sua assenza, Firenze era cambiata sia sul piano politico sia sulla scena artistica. Morto il Magnifico e cacciato suo figlio Piero nel 1494, si era restaurata la piena Repubblica, con a capo dal 1502 il gonfaloniere a vita Pier Soderini. Nuove "stelle" erano salite alla ribalta, tra cui quella di Michelangelo, di oltre vent'anni più giovane di Leonardo, con il quale non corse mai buon sangue.
la Gioconda
Quadro celeberrimo oltre ogni plausibile ragione, la Gioconda di Leonardo è divenuta un feticcio di se stessa. Il quadro, secondo le notizie storiche, sarebbe il ritratto di Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo, da cui il suo doppio titolo di Monna Lisa o di Gioconda. In realtà Leonardo, dopo averlo realizzato, non si è mai separato da questo quadro, portandolo con sé a Milano, a Roma e infine in Francia, dove fu acquistato da Francesco I, forse solo alla morte dell'artista. Questo suo non volersi separare dall'opera ha generato una serie di ipotesi tra cui è difficile riconoscere la verità. Di certo Leonardo dava grande importanza a quest'opera, al punto da ritenere che per lui, forse, rappresentava il vertice della sua arte. Analisi ai raggi X hanno dimostrato che quella che noi vediamo è solo la terza o quarta versione del quadro, ed anche questo ci rimanda l'idea del grande significato che essa ebbe per l'artista. Sappiamo anche che egli non la ritenne mai completa del tutto, anche se a noi appare assolutamente conclusa. Tutto ciò ha contribuito a costruire un alone di mistero intorno quest'opera, i cui significati, quindi, trascendono da un discorso solo storico-artistico. A questi misteri si unisce uno dei più famosi che l'opera genera: l'enigmaticità del sorriso della Gioconda. È indubbio che una bocca così perfetta in pittura, per chi sa quanto sia difficile rappresentare questo particolare, non si era mai vista. Per ottenere ciò, Leonardo fece ricorso ad una quantità infinita di velature, per cui questo sorriso ha una morbidezza non interrotta da alcuna linea. Ma questo sfumato così preciso ha avuto anche un effetto inaspettato: quello di far cambiare l'espressione del sorriso a secondo di come il quadro viene guardato. Stesso discorso avviene per lo sguardo, anche esso soggetto alla variabilità dell'occhio dell'osservatore, così che questa immagine può assumere espressioni diverse, con un risultato mai visto in altri quadri.
Ritratto di Monna Lisa, 1503-06 olio su tavola di pioppo, 77×53 cm Parigi, Louvre
Il pannello posteriore della Monna Lisa è una parte meno conosciuta ma affascinante di questa iconica opera d'arte. Anche se la maggior parte dell'attenzione si concentra sul sorriso enigmatico e sulla maestria del ritratto sul fronte, il retro del pannello di legno su cui è dipinta la Monna Lisa mantiene anche il suo interesse storico.
Il pannello di legno su cui Leonardo dipinse la Monna Lisa è realizzato con pioppo, una scelta comune in Italia durante il Rinascimento per la sua durata e morbidezza. Nel tempo, il pannello è stato rinforzato e restaurato per garantire la conservazione della vernice.
Sul retro del pannello, conservatori ed esperti hanno trovato marche, iscrizioni e francobolli che aiutano a tracciare la storia del dipinto. Queste marche includono francobolli di proprietà ed etichette di inventario che documentano il trasferimento e la proprietà dell'opera nel corso dei secoli. Queste iscrizioni e marche testimoniano il viaggio che la Monna Lisa ha fatto dal laboratorio di Leonardo alla sua attuale casa al Museo del Louvre a Parigi.
Inoltre, il retro del pannello rivela il lavoro dei restauratori nel corso degli anni, che hanno rinforzato il legno e garantito la stabilità della pittura affinché possa continuare ad essere ammirata per generazioni future.
In breve, il pannello posteriore della Monna Lisa è un aspetto meno visibile ma altrettanto importante di questo capolavoro, fornendo preziose informazioni sulla sua storia e conservazione.
il Paesaggio
Le Balze del Valdarno. Quando il mare che copriva gran parte della Toscana si ritirò e i sedimenti colmarono lentamente il lago, l'Arno e suoi affluenti scavarono e levigarono quelle che oggi chiamiamo Balze.
Ponte Buriano (1277) è ponte romanico che attraversa l'Arno verso nord
il furto della Gioconda
Il furto avvenne verso le sette del mattino di lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Louvre. Peruggia si era nascosto in una cameretta buia del Louvre e alla chiusura tolse la Gioconda dalla cornice e poi scappò da una porta sul retro che aprì con un coltellino. Il giorno dopo gli impiegati pensarono in un primo tempo che il quadro l'avesse con sé il fotografo ufficiale, ma poi dovettero informare la polizia, che immediatamente cercò senza esito all'interno del museo, impiegando un certo tempo data la sua vastità. Dopodiché si diffuse la notizia del furto e i giornali francesi si scatenarono in merito alle ipotesi sulla scomparsa del quadro. Dopo circa due anni si trovò il colpevole: Peruggia avrebbe voluto vendere la Gioconda alla Galleria degli Uffizi per qualche milione di lire. Affermò che la sua era stata un'azione patriottica e che l'Italia avrebbe saputo valorizzare maggiormente l'opera. Nell'autunno del 1913 il collezionista d'arte fiorentino Alfredo Geri ricevette da Parigi una lettera nella quale veniva proposta la vendita della Gioconda a patto che il capolavoro tornasse in Italia e fosse lì custodito. La lettera inviata da Vincenzo Peruggia era firmata dal fittizio Monsieur Léonard V. Geri fissò un incontro con Monsieur Léonard l'11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze. Si presentò con il direttore della galleria degli Uffizi che dopo aver visto il quadro lo prese in custodia per esaminarlo. Peruggia fu arrestato il giorno seguente dai carabinieri, i quali lo prelevarono direttamente dalla sua stanza di albergo.
Vincenzo Peruggia
La Gioconda agli Uffizi
Un angolo degli Uffizi rimasto memorabile! La foto datata 1913 e ritrae contemporaneamente tre capolavori di Leonardo da Vinci: l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi, tutt’ora agli Uffizi, e la Gioconda. Il celebre ritratto rubato al Louvre il 21 agosto 1911, fu recuperato a Firenze l’11 dicembre 1913 dal direttore degli Uffizi Giovanni Poggi e un gallerista fiorentino, insospettiti dall’offerta di un anonimo che intendeva vendere loro proprio la Gioconda. Fissato l’incontro nella camera d’albergo di Vincenzo Peruggia, i due ritrovarono il dipinto e denunciarono il rocambolesco furto dell’imbianchino varesotto che, mosso a suo dire da spirito patriottico, volle sottrarre ai francesi, per vendetta, un capolavoro rubato da Napoleone. Peccato che, al di là di tutto, la Gioconda non fosse neanche tra il bottino dell’Imperatore essendo stata portata in Francia dallo stesso Leonardo!
The earlier Mona Lisa
si tratta di un dipinto attribuito a Leonardo da Vinci, che rappresenta una variante della più nota Gioconda del Louvre. Di dimensioni leggermente inferiori e dipinta su tela anziché su tavola, è stata oggetto di un vivace dibattito sull'attribuzione al maestro, e si trova in una collezione privata svizzera. Secondo alcuni studi accademici, questo dipinto potrebbe essere un’opera realizzata da Leonardo una decina di anni prima del dipinto del Louvre. L'attribuzione a Leonardo ha suscitato un vivace dibattito internazionale, che, come spesso accade per opere di alto valore in collezioni private, è stato supportato da ampie indagini documentarie, comparative e scientifiche. I risultati non hanno tuttavia portato a conclusioni unanime tra gli esperti: sebbene un grande numero di studiosi abbia pubblicato un giudizio positivo sull'attribuzione a Leonardo, alcuni di quelli che sono considerati come i maggiori esperti internazionali di Leonardo (come Kemp) non hanno sciolto i loro dubbi. Tra le prove storiche a sostegno dell'esistenza di due versioni della Gioconda c'è una lettera del fiorentino Agostino Vespucci, che nell’ottobre 1503 scrisse che Leonardo da Vinci stava lavorando al ritratto di Lisa. Ciò sarebbe confermato anche da Giorgio Vasari, che fa risalire il dipinto al ritorno di Leonardo a Firenze intorno al 1503. Sarebbe dunque possibile che esistano due versioni dello stesso soggetto, una riferibile al 1503 circa, e una al 1517; oppure potrebbe trattarsi di una rilavorazione da parte di Leonardo dello stesso dipinto, cosa confermata dalle analisi sul dipinto de Louvre, che presenta almeno tre strati pittorici.
Leonardo da Vinci (attr.) olio su tela, 86×64,5 cm collezione privata, Svizzera
la battaglia di Anghiari
La Battaglia di Anghiari era una pittura murale di Leonardo da Vinci, databile al 1503 e già commissionata per il Salone dei Cinquecento (allora detto "Sala del Gran Consiglio") di Palazzo Vecchio a Firenze. A causa dell'inadeguatezza della tecnica il dipinto subì dei danni e non si sa se i suoi resti fossero stati lasciati in loco, incompiuti e mutili; circa sessant'anni dopo la decorazione del salone venne rifatta da Giorgio Vasari; non si sa se all'epoca fossero ancora presenti i frammenti leonardiani e se l'architetto aretino li abbia distrutti. Alcuni sostengono che li abbia nascosti sotto un nuovo intonaco o una nuova parete: ricerche e 'saggi' finora condotti non hanno sciolto il mistero. Nell'aprile del 1503 la Repubblica fiorentina, affidò a Leonardo, da qualche anno tornato in città dopo il lungo e prolifico soggiorno milanese, l'incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Si trattava di un'opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi, e che l'avrebbe visto faccia a faccia con il suo collega e rivale Michelangelo, a cui era stato commissionato un affresco gemello su una parete vicina, la Battaglia di Càscina (29 luglio 1364, contro i Pisani). La scena affidata a Leonardo invece era la battaglia di Anghiari, cioè un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440; Leonardo iniziò a progettare il grande dipinto murale che, come per altre sue opere, non sarebbe stato un affresco, ma una tecnica che permettesse una gestazione più lenta e riflessiva, compatibilmente col suo modus operandi. Dalla Historia naturalis di Plinio il Vecchio recuperò l'encausto, che adattò alle sue esigenze. Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, né si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.
Copia di Paul Rubens della parte centrale del dipinto
La battaglia di Anghiari venne combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi dei Visconti ed una coalizione guidata dalla Repubblica di Firenze
Salone dei Cinquecento
Palazzo Vecchio, Firenze
Giorgio Vasari: la battaglia di Scannagallo
G. Vasari, Palazzo Vecchio, 1571
Gli ultimi anni di vita in Francia, 1517-1519
Nel 1517, Leonardo partì per la Francia, dove arrivò nel mese di maggio e alloggiato dal re nel castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise, e onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5.000 scudi. Francesco I era un sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti (Francesco Primaticcio, Rosso Fiorentino, e Benvenuto Cellini).
Gli anni passati in Francia furono sicuramente il periodo più sereno della sua vita, assistito dai due fedeli allievi e, sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizzò la mano destra, poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche.
La tomba di Leonardo ad Amboise
LEONARDO
Raffaele Cimino
Created on November 29, 2021
realizzato dal Prof. Raffaele Cimino
Start designing with a free template
Discover more than 1500 professional designs like these:
View
Memories Presentation
View
Pechakucha Presentation
View
Decades Presentation
View
Color and Shapes Presentation
View
Historical Presentation
View
To the Moon Presentation
View
Projection Presentation
Explore all templates
Transcript
il Rinascimento maturo
Il periodo del rinascimento maturo è segnato dalla presenza di tre grandi artisti, quali appunto Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Si tratta di tre personalità molto diverse tra loro: un piccolo confronto tra loro può essere utile per capire anche le diverse anime del rinascimento italiano di quegli anni. Leonardo da Vinci è il modello dell’artista eclettico per antonomasia, colui che riesce ad eccellere in qualsiasi campo, soprattutto perché è dotato di una razionalità eccezionale. Nel campo artistico in fondo ha prodotto molto poco, in quanto la sua inesauribile curiosità lo portava ad affrontare i problemi con appiglio più da scienziato che da artista. In lui l’ansia di conoscere era superiore anche al fare, tanto che rimane più corposa la sua produzione scritta che non quella propriamente artistica. Michelangelo invece è artista completamente diverso: in lui non si avverte quella fredda razionalità di Leonardo, ma una dimensione interiore più drammatica e sofferta. Michelangelo, nelle sue opere, manifesta un senso tragico dell’esistenza, segnato da una sofferenza e una solitudine che forse sola l’attività creativa riusciva a lenire. Michelangelo è il prototipo dell’artista tormentato, prototipo che ebbe, poi, molto seguito nei secoli successivi. Raffaello è diverso da entrambi e rappresenta, potremmo dire, il glamour del rinascimento. Tra i tre è stato quello che ha avuto la vita più breve ma la produzione di gran lunga più vasta, segno di uno straordinario e felice rapporto con la sua arte. Raffaello è solare, luminoso, non conosce tormenti, e la sua arte è la ricerca suprema della bellezza e dell’armonia. Raffaello riusciva a far bene qualsiasi cosa, dimostrando sempre un talento impareggiabile. Un ultimo dato va assolutamente rilevato. L’attività di questi tre artisti così geniali ha profondamente modificato la percezione successiva della creatività artistica: questa non è stata più vista come il prodotto di una professionalità legata ad abilità più o meno manuali, ma come il risultato di una genialità assolutamente individuale. D’ora in poi si afferma sempre più la concezione dell’artista-genio, ossia di un individuo diverso dagli altri perché dotato di qualcosa di unico e irripetibile.
Leonardo da Vinci Uomo vitruviano, 1490 c. penna e inchiostro su carta, 34×24 cm Gallerie dell'Accademia, Venezia
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci (Anchiano di Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) è stato un ingegnere, pittore e scienziato italiano. Uomo d'ingegno e talento universale del Rinascimento, incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Si occupò di architettura e scultura, fu disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista, progettista e inventore. È considerato uno dei più grandi geni dell'umanità. Diventando ormai sempre più evidente l'interesse del giovane Leonardo nel "disegnare et il fare di rilievo, come cose che gl'andavano a fantasia più d'alcun'altra", il padre ser Piero mandò il figlio, dal 1469 o 1470, nella bottega di Andrea del Verrocchio, che in quegli anni era una delle più importanti di Firenze, nonché una vera e propria fucina di nuovi talenti. La sua attività, che non è stata esclusivamente artistica, lo ha portato a occuparsi di moltissimi campi, oggi rientranti nell’ambito delle scienze o dell’ingegneria. Uomo eclettico per natura, si è interessato di tutto, sacrificandovi spesso anche la sua attività artistica che, in effetti, è stata abbastanza esigua e limitata ad un piccolo numero di opere pittoriche. Tuttavia la sua grande arte ha prodotto una notevole influenza sull’arte successiva. Molto più importante, per i nostri interessi, sono invece le sue innovazioni stilistiche. I suoi interessi sulla rappresentazione della figura umana, lo portarono a considerare quest’ultimo non come un semplice volume o involucro di una sostanza che restava nascosta. Nacquero preziosi studi di anatomia che, non solo ampliarono la conoscenza del corpo umano, ma diedero agli artisti una nuova percezione di esso: una macchina di cui bisognava conoscere alla perfezione il funzionamento, se si voleva darne una corretta rappresentazione non solo nelle proporzioni ma anche nei gesti, fermati sulla tela o nel marmo. Ma altre grandi innovazioni stilistiche Leonardo doveva suggerire, seppure indirettamente, dall’affrontare un altro problema percettivo oggi ben noto: quello che non esiste una linea di contorno alle figure che noi percepiamo. Abolire la linea di contorno significava far venir meno la razionalità principale dell’immagine che si esprime nel disegno, e ciò per un artista come Leonardo non era assolutamente possibile. Ecco così che egli supera il problema rendendo il contorno impercettibile perché assorbito dal passaggio tra luce ed ombra. L’arte di Leonardo rappresenta di certo il livello più alto raggiunto dallo spirito scientifico del rinascimento italiano: in lui arte e scienza sembrano convivere perfettamente, in quanto entrambe tese alla conoscenza e alla rappresentazione (due termini che per l’ultima volta hanno quasi lo stesso significato).
Leonardo è il traguardo più alto al quale poteva giungere un uomo di formazione medievale nel suo sforzo di conquistare la razionalità. Ma di lì a qualche decennio, arte e scienza avrebbero preso percorsi molto diversi e in pratica inconciliabili, così che, di fatto, un altro Leonardo non poteva più apparire nei tempi successivi.
studi anatomici
prototipi
le tecniche pittoriche
Prospettiva aerea e sfumato
La prospettiva aerea è un tentativo di rappresentare sulla superficie piana di un'opera pittorica la terza dimensione, data da una illusoria profondità di campo. Si tratta della misura delle distanze in profondità secondo la densità e il colore dell'atmosfera interposta.
Lo sfumato è una tecnica pittorica che tende a sfumare, appunto, i contorni delle figure, con sottili gradazioni di luce e colore che si fondono impercettibilmente, abolendo quella fastidiosa linea di contorno tipica della pittura precedente.
il battesimo di Cristo
L'intervento di Leonardo sul corpo di Cristo si riconosce bene in alcuni dettagli minuziosamente naturalistici, come i morbidi peli del pube, molto diversi ad esempio dal lucido e spigoloso perizoma rosso rigato. La mano di Leonardo intervenne anche nelle acque del fiume in primo piano (che con il tempo hanno assunto una clorazione più rossiccia), estese fino a immergere i piedi di Gesù e del Battista. Sul lato posteriore si vede come la tavola sia stata composta da sei assi, escludendo l'ipotesi di uno scorcio sul lato dell'angelo leonardiano. Lo storiografo Giorgio Vasari, alla metà del XVI secolo, racconta che per l’esecuzione del dipinto Andrea del Verrocchio si avvalse della collaborazione del suo giovane allievo Leonardo, che eseguì con straordinaria maestria la figura dell’angelo di sinistra, tanto da indispettire il più anziano Verrocchio. Gli studi odierni sono orientati a ritenere che l’intervento di Leonardo sia stato più ampio e che sia intervenuto anche nell’esecuzione del suggestivo paesaggio fluviale, su cui degrada la luce dorata, e della figura di Cristo. La tavola proviene dalla chiesa del monastero vallombrosano di San Salvi a Firenze, pervenuta nelle raccolte delle gallerie fiorentine nel 1810. Agli Uffizi dal 1919.
Andrea del Verrocchio, Leonardo da Vinci e altri BATTESIMO DI CRISTO, 1475-1478 Olio e tempera su Tavola, 177×151cm Galleria degli Uffizi, Firenze
l'Annunciazione
20
anni
L'Annunciazione, 1472-1475 circa olio e tempera su tavola, 98×217 cm - Galleria degli Uffizi, Firenze
l'Annunciazione
Leonardo si allontanò consapevolmente dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino all'esterno della casa della Vergine al posto della consueta loggia o della camera da letto di Maria. Secondo la tradizione medioevale l'ambientazione era sempre collocata in un luogo chiuso, almeno per quanto riguardava la Vergine, in modo da inserire elementi iconografici, quali il letto. È tradizionale per altri versi, infatti ritroviamo la collocazione dei due personaggi (la Madonna a destra e l'Angelo a sinistra) come ad esempio nelle Annunciazioni di Beato Angelico. Inoltre, per mantenere la riservatezza dell'incontro Leonardo dipinse la Madonna in un angolo del palazzo, però facendo intravedere il letto dal portale; poi, un muretto delimita il giardinetto, ma con un passaggio. Grande attenzione è riservata infatti alla descrizione botanica dei fiori e delle altre specie vegetali sia nel prato che nello sfondo: si tratta di un omaggio alla varietà e ricchezza della creazione divina. I fiori del prato, in particolar modo, appaiono studiati dal vero, con una precisione incredibile. La luce è chiarissima, come mattutina, e ingentilisce i contorni delle figure, preannunciando lo "sfumato". Leonardo si servì della prospettiva aerea, tecnica che prevedeva una colorazione più tenue e sfumata per i particolari più lontani, come se fossero avvolti in una foschia; egli sapeva infatti che tra l'occhio e un soggetto messo a distanza si sovrappongono molti strati di pulviscolo atmosferico, che rendono i contorni meno nitidi, a volte confusi.Gli oggetti vicini vennero invece raffigurati minuziosamente proprio perché più gli oggetti sono vicini, più li si vede meglio. Si comprende che questa è un'opera giovanile dal fatto che la prospettiva aerea non è resa gradualmente, ma c'è come uno stacco al di là degli alberi più vicini, troppo nitidi rispetto allo sfondo. Di questi alberi, i cipressi sono sistemati come colonne, sembrano dividere matematicamente la scena.
L'Annunciazione, 1472-1475 circa olio e tempera su tavola, 98×217 cm Galleria degli Uffizi, Firenze
l'anamorfismo
Dettagli
Leonardo a Milano (1482-1500)
Leonardo da Vinci arrivò a Milano tra la primavera e l’estate del 1482, probabilmente a seguito di una missione diplomatica inviata da Lorenzo il Magnifico, il quale spesso inviava maestri fiorentini come ambasciatori della cultura e dell’arte fiorentina presso le signorie italiane. Leonardo approfittò dell’occasione per scrivere una lettera di presentazione, descrivendo i suoi progetti in campo ingegneristico, architettonico e di idraulica, menzionando poi le sue capacità pittoriche e i suoi progetti scultorei. Leonardo, trentenne, fu subito affascinato da Milano, moderna e aperta alle novità tecnologiche e scientifiche, diversamente da Firenze, un ambiente nel quale non si sentiva affine; dove la filosofia neoplatonica e la letteratura dominavano la scena culturale medicea e le tendenze artistiche più idealizzate divergevano dal realismo della pittura di Leonardo. Deluso ed umiliato dalle esperienze collezionate fino a quel momento, segnato da una situazione familiare che probabilmente gli pesava fin dall’infanzia, colse al volo la possibilità di trasferirsi in un ambiente nuovo dove nessuno lo conosceva e dove poteva ricostruirsi una vita partendo da zero.A Milano riceverà protezione da Ludovico Sforza, duca della città, soprannominato il Moro per il colore olivastro della carnagione e nella città lombarda realizzerà una serie di importanti commissioni
Ludovico Sforza detto il Moro
La Vergine delle rocce
1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La Vergine delle rocce
L'origine iconografica deriva sicuramente dalla lettura di testi e vangeli apocrifi. Nell'opera viene rappresentata la Vergine che, insieme a Gesù, incontra il piccolo san Giovanni Battista, subito dopo la morte della madre santa Elisabetta, in un luogo deserto ove si erano rifugiati a seguito della Strage degli Innocenti voluta da Erode. La Madonna rincuora il piccolo san Giovanni, sul quale poggia la mano destra sulla spalla, mettendolo sotto la protezione dell'arcangelo Gabriele, che appare nella figura a destra. Nel contempo Gesù, seduto in basso e sorretto da Gabriele, volge un gesto di benedizione a san Giovanni bambino. L'originalità di questa immagine, che poi ha determinato il titolo con la quale noi la chiamiamo, è di aver inserito una scena già ampiamente collaudata, quale il gruppo della Madonna con il Bambino e san Giovannino, in un panorama roccioso di grande suggestione. Considerando che l'ambientazione occupa quasi metà dell'opera, il paesaggio ha dunque una sua valenza espressiva di grande effetto. Il gioco di luce e di ombre che crea è sicuramente straordinario, con il particolare sulla sinistra della fuga verso la luce creata con sapiente tecnica sfumata. I quattro personaggi sono disposti a croce e collegati da un sapiente gioco di sguardi, gesti e movimenti: questo crea una sorta di circolo in cui ogni figura è legata all’altra. I corpi umani non sono isolati in forme definite e circoscritte, ma si fondono con l’ambiente circostante: i colori delle vesti di Maria e dell’angelo, infatti, sono uguali al blu delle acque e al marrone-bronzo delle rocce. I quattro personaggi sono disposti a croce e collegati da un sapiente gioco di sguardi, gesti e movimenti: questo crea una sorta di circolo in cui ogni figura è legata all’altra. I corpi umani non sono isolati in forme definite e circoscritte, ma si fondono con l’ambiente circostante: i colori delle vesti di Maria e dell’angelo, infatti, sono uguali al blu delle acque e al marrone-bronzo delle rocce. La caverna rappresenta l'utero materno, il luogo della rinascita ed il passaggio nell'Aldilà. La roccia è strettamente in relazione con la missione di Cristo sulla terra, sorgente e bevanda purificatrice dell'anima. La Vergine è ritratta nella sua funzione protettrice di madre e nutrice. L'angelo indica Giovanni Battista, messaggero della Redenzione, che si compirà attraverso il Battesimo e il sacrificio di Cristo. Il dito rivolto verso l'alto indica la dimensione superiore ed ultraterrena, alla quale Gesù è predestinato. La Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione contestò il dipinto considerandolo incompiuto, o addirittura inadatto poiché eretico.
Vergine delle rocce,1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La grotta
una mano?
utero post parto?
bocca con denti aguzzi?
La primaversione
La secondaversione
Vergine delle rocce, 1494-1499 poi 1506-1508 circa Tecnica olio su tavola National Gallery, London
Vergine delle rocce,1483-1486 olio su tavola, 199×122 cm Musée du Louvre, Paris
La mano rapace di Maria
versione della National Gallery
versione del Louvre
La Vergine delle rocceseconda versione
I confratelli dell'Immacolata Concezione di Maria di Milano commissionarono un dipinto al giovane artista giunto da poco da Firenze, Leonardo, per il quale la pala d'altare rappresentava la prima commissione nella città lombarda dove si era stabilito da quasi un anno. La composizione un po' antiquata, con la Madonna tra angeli, profeti e Dio Padre, che in un momento imprecisato venne variata dal pittore, optando per l'incontro tra Gesù e san Giovannino nel deserto, alla presenza di Maria e di un angelo. Il soggetto, che derivava da vari testi apocrifi. La prima versione, quella parigina, venne completata relativamente presto, ma Leonardo e i committenti non si trovarono d'accordo sui pagamenti e, forse, sull'aspetto generale della tavola, che, ha una serie di elementi inquietanti, dall'ambientazione scura e umida, all'ambiguo sorriso dell'angelo che guarda lo spettatore, fino alla mano "rapace" che Maria stende sul Bambin Gesù. Leonardo quindi si rifiutò di consegnare l'opera, e pochi anni dopo, forse dopo aver ricevuto un conguaglio soddisfacente, mise mano a una seconda versione del dipinto, di identiche dimensioni e soggetto, sebbene con alcune varianti stilistiche e iconografiche. Con molta probabilità la versione definitiva dell'opera venne dipinta in due fasi distinte. nel 2005 gli esperti della National Gallery di Londra hanno analizzato ai raggi infrarossi il dipinto trovando sotto di questo un disegno precedente, attribuibile allo stesso Leonardo.
Vergine delle rocce, 1494-1499 poi 1506-1508 circa Tecnica olio su tavola National Gallery, London
La dama e l'ermellino
L'opera è uno dei dipinti simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese, tra il 1482 e il 1499. L'opera, della quale si ignorano le circostanze della commissione, viene di solito datata a poco dopo il 1488, quando Ludovico il Moro ricevette il prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino dal re di Napoli. L'identificazione con la giovane amante del Moro Cecilia Gallerani si basa sul sottile rimando che rappresenterebbe, ancora una volta, l'animale: l'ermellino infatti, oltre che simbolo di purezza e di incorruttibilità, si chiama in greco galḗ, che alluderebbe al cognome della fanciulla, Gallerani. In quest'opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra. Vi è corrispondenza tra il punto di vista di Cecilia e dell'ermellino; l'animale infatti sembra identificarsi con la fanciulla, per una sottile comunanza di tratti, per gli sguardi dei due, che sono intensi e allo stesso tempo candidi. La figura slanciata di Cecilia trova riscontro armonico nell'animale. La dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e al tempo stesso ha l'imperturbabilità solenne di un'antica statua. Un impercettibile sorriso aleggia sulle sue labbra: per esprimere un sentimento Leonardo preferiva accennare alle emozioni piuttosto che renderle esplicite. Grande risalto è dato alla mano, investita dalla luce, con le dita lunghe e affusolate che accarezzano l'animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia. L'abbigliamento della donna è curatissimo, ma non eccessivamente sfarzoso, per l'assenza di gioielli, a parte la lunga collana di perle scure. Come tipico nei vestiti dell'epoca, le maniche sono le parti più elaborate, in questo caso di due colori diversi, adornate da nastri che, all'occorrenza, potevano essere sciolti per sostituirle. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo dello stesso colore dei capelli raccolti. Lo sfondo è scuro, ma dall'analisi ai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era originariamente dipinta una finestra. L'ermellino è dipinto con precisione e vivacità. A un'analisi della morfologia dell'animale, esso appare però più simile a un furetto. Del resto, l'ermellino è un animale selvatico mordace e difficilmente ammaestrabile, di conseguenza sarebbe stato molto difficile poterlo utilizzare come modello, al contrario del furetto che può essere addomesticato quasi alla stregua di un gatto, oltre che relativamente semplice da trovare nelle campagne lombarde dell'epoca. Si consideri inoltre che l'ermellino ha dimensioni molto più ridotte, superando raramente e comunque di poco i 30 cm, mentre il furetto, come nel dipinto, a occhio misura tra i 40 e i 60 cm.
la dama e l'ermellino,1488-1490 olio su tavola, 54,8×40,3 cm Museo Czartoryski di Cracovia
TIPOLOGIA DI RITRATTO PRIMA DI LEONARDO
Furetto
Ermellino
Beatrice d'Este
Divenne moglie di Ludovico Sforza il 16 gennaio 1491 e si ritiene che la sua personalità dominante possa aver determinato l'avanzamento della Regina degli scacchi a pezzo più potente della scacchiera
Loonardo da VinciBeatrice d'Este, 1485 34 x 51 cm Pinacoteca Ambrosiana, Milano
La dama e l'ermellino a Firenze
La Dama con l’ermellino, gioiello della collezione polacca, è considerato un dei più bei dipinti di Leonardo da Vinci. Si tratta di un dipinto a olio su tavola databile intorno al 1488 raffigurante Cecilia Gallerani, una delle amanti di Ludovico Sforza “il Moro”. Il dipinto è stato acquistato nel 1800 dal principe Adam Jerzy Czartoryski entrando così a far parte della collezione privata della famiglia nobile polacca dei Czartoryski. Il dipinto fu trasferito più volte per motivi di sicurezza: a Parigi durante l’insurrezione polacca del 1830, nel 1939 in seguito all’occupazione tedesca di Cracovia il dipinto fu utilizzato come decorazione nella residenza di Hans Frank e successivamente trasferito dai nazisti in Germania per poi essere restituito nel 1946. Nel 2016 la Dama con l’ermellino è stato ceduto dalla Fondazione dei Principi Czartoryskida al governo polacco per la cifra di 100 milioni di euro. Per lungo tempo il dipinto è stato ammirato presso il Castello di Wawel. Dal gennaio 2020 l’opera è stata trasferita ed è esposta presso il Museo Czartoryski di Cracovia.
L'ultima volta a Firenze dal 16 dicembre al 24 gennaio 1998
L'ultima cena
Ultima cena (cenacolo vinciano), 1495-1498 tempera grassa su intonaco, 460×880 cm Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano
L'ultima cena
L'Ultima Cena è una pittura murale a tempera grassa (e forse altri leganti oleosi) su intonaco (460×880 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1495-1498 e conservato nell'ex-refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Si tratta della più famosa rappresentazione dell'Ultima Cena, capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale. Nonostante ciò, l'opera, a causa della singolare tecnica sperimentale utilizzata da Leonardo incompatibile con l'umidità dell'ambiente - versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, che è stato almeno fermato e per quanto possibile migliorato nel corso di uno dei più lunghi e capillari restauri della storia, durato dal 1978 al 1999 con le tecniche più all'avanguardia del settore. Nel 1494 Leonardo Da Vinci era deluso dall'abbandono forzato del progetto del monumento equestre a Francesco Sforza, a cui aveva lavorato quasi dieci anni. Ricevette però quell'anno un'altra importante commissione da Ludovico il Moro, il quale aveva infatti eletto la chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie a luogo di celebrazione della casata Sforza. Il duca di Milano aveva finanziato importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento di tutto il complesso; Donato Bramante aveva appena finito di lavorarvi, quando si decise di procedere con la decorazione del refettorio. Come è noto Leonardo non amava la tecnica dell'affresco, la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima che l'intonaco asciughi imprigionandoli, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche. Scelse di dipingere quindi su muro come dipingeva su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico; prima di stendere i colori l'artista interponeva un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. In seguito venivano stesi i colori a secco, composti da una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando all'uovo oli fluidificanti. Questa tecnica permise la particolare ricchezza della pittura, con una serie di piccole pennellate quasi infinite e una raffinata stesura tono su tono, che consentì una migliore unità cromatica, una resa delle trasparenze e degli effetti di luce, e una cura estrema dei dettagli, visibili solo da distanza ravvicinata; ma fu anche all'origine dei problemi conservativi, soprattutto in ragione dell'umidità dell'ambiente, confinante con le cucine.
Il segno particolare è Il perimetro di quella che un tempo era una porta fatta aprire nella parete (e nel dipinto) dagli stessi frati, durante il 1600.
176 cm
gli anni della seconda guerra mondiale
Giuda, Pietro e Giovanni
Masaccio, crocifissione, 1426 tavola, 83×63 cm Museo nazionale di Capodimonte, Napoli
Giotto, il bacio di Giuda 1303-1305 circa Affresco, 200×185 cm Cappella degli Scrovegni, Padova
il Codice da Vinci
Una diversa lettura del dipinto è richiamata dal popolare romanzo giallo Il codice da Vinci dello scrittore Dan Brown. Secondo tale ipotesi, che vuole dare un significato esoterico al dipinto, il discepolo alla destra di Gesù Cristo sarebbe da interpretare come una donna, con cui Leonardo avrebbe voluto rappresentare Maria Maddalena. Nella narrazione alcuni particolari del dipinto, quali l'opposta colorazione degli abiti di Gesù e della presunta Maria Maddalena, l'assenza dell'unico calice citato nel Nuovo Testamento, la mano posata sul collo della presunta donna e infine la presenza di un braccio con la mano che impugna un coltello e che si dice non appartenga ad alcun soggetto ritratto nel quadro, sono utilizzati per cercare di dimostrare che Maria Maddalena fosse la possibile amante di Gesù, ipotesi respinta dalla Chiesa, in quanto priva di alcuna prova o fondamento. Questa interpretazione del dipinto è confutabile attraverso un'attenta analisi dell'opera, basata sull'episodio dell'Ultima cena narrato nel vangelo di Giovanni. Il coltello è infatti impugnato da Pietro, così come in innumerevoli altri dipinti rinascimentali con questo stesso soggetto (Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jaume Huguet, Giovanni Canavesio, solo per citarne alcuni) in diretto rapporto con la scena successiva, in cui l'apostolo taglierà l'orecchio a Malco, il servo del Gran Sacerdote (Gv 18:10). In questo caso Pietro tiene il braccio piegato dietro la schiena, col polso appoggiato all'anca, posa riscontrabile in tutte le copie dell'Ultima cena e in uno schizzo dello stesso Leonardo. Del calice col vino non si fa parola nel vangelo di Giovanni, nel quale non è neppure narrata l'istituzione dell'Eucaristia; la mano di Pietro posata sulla spalla di Giovanni è il gesto narrato nello stesso quarto vangelo, in cui si legge che Pietro fa un cenno all'apostolo più giovane e gli chiede chi possa essere il traditore (Gv 13:24). L'aspetto di Giovanni infine fa parte dell'iconografia dell'epoca, riscontrabile in tutte le "ultime cene" dipinte da altri artisti tra il XV e il XVI secolo, in cui si rappresentava l'apostolo più giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci. In particolare ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome "significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della castità del suo stato virginale".
prima edizione, novembre 2003
la melodia nascosta
“Una ‘sinfonia celestiale’, ‘un sublime inno a Dio’ composto da Leonardo Da Vinci e nascosto tra le pieghe della tovaglia dell’Ultima Cena. Note di una musica segreta rimaste sempre criptate, ma ora pronte per essere ascoltate dal mondo”. La notizia di un componimento scoperto e decifrato da Gian Mario Pala e Loredana Mazzarella, marito e moglie che vivono a Ozieri in provincia di Sassari i quali “nella celeberrima Ultima Cena di Leonardo, hanno scoperto un inno mimetizzato nel dipinto”. “Abbiamo guardato per ore quel capolavoro ognuno per proprio conto quando ancora non ci conoscevamo – hanno spiegato i coniugi a ‘Il Giornale’ – poi abbiamo continuato a fissarla insieme da fidanzati e sposi arrivando finalmente a ‘vedere’ con gli occhi e a ‘sentire’ con le orecchie quanto finora avevamo avvertito solo con l’anima”. Secondo il quotidiano “i coniugi Pala dicono di aver individuato nella tovaglia rappresentata nel dipinto un pentagramma che ribaltato sui personaggi presenti, Gesu’ e i discepoli, restituisce miracolosamente un rigo musicale, una partitura”. Ecco chi ha scoperto il Pentagramma nascosto nel cenacolo” La musica – ha spiegato la coppia – e’ stata poi sintetizzata simulando con un computer un organo a canne ed e’ saltata fuori una sinfonia celestiale. Basta ascoltarla per rendersi conto che si possa trattare di un inno a Dio. L’adagio e’ infatti, solenne e austero, da’ i brividi”.
il ritorno a Firenze, 1501
Nell'aprile 1501 tornò a Firenze, dove non metteva piede da vent'anni. Trovò accoglienza presso il canonico Amadori a Fiesole, nonostante suo padre Piero fosse ancora vivo; probabilmente l'artista si sarebbe trovato a disagio nella casa piena dei fratellastri che non conosceva nemmeno e che si rivelarono poi a lui ostili dopo la morte del padre, riguardo all'eredità. Durante la sua assenza, Firenze era cambiata sia sul piano politico sia sulla scena artistica. Morto il Magnifico e cacciato suo figlio Piero nel 1494, si era restaurata la piena Repubblica, con a capo dal 1502 il gonfaloniere a vita Pier Soderini. Nuove "stelle" erano salite alla ribalta, tra cui quella di Michelangelo, di oltre vent'anni più giovane di Leonardo, con il quale non corse mai buon sangue.
la Gioconda
Quadro celeberrimo oltre ogni plausibile ragione, la Gioconda di Leonardo è divenuta un feticcio di se stessa. Il quadro, secondo le notizie storiche, sarebbe il ritratto di Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo, da cui il suo doppio titolo di Monna Lisa o di Gioconda. In realtà Leonardo, dopo averlo realizzato, non si è mai separato da questo quadro, portandolo con sé a Milano, a Roma e infine in Francia, dove fu acquistato da Francesco I, forse solo alla morte dell'artista. Questo suo non volersi separare dall'opera ha generato una serie di ipotesi tra cui è difficile riconoscere la verità. Di certo Leonardo dava grande importanza a quest'opera, al punto da ritenere che per lui, forse, rappresentava il vertice della sua arte. Analisi ai raggi X hanno dimostrato che quella che noi vediamo è solo la terza o quarta versione del quadro, ed anche questo ci rimanda l'idea del grande significato che essa ebbe per l'artista. Sappiamo anche che egli non la ritenne mai completa del tutto, anche se a noi appare assolutamente conclusa. Tutto ciò ha contribuito a costruire un alone di mistero intorno quest'opera, i cui significati, quindi, trascendono da un discorso solo storico-artistico. A questi misteri si unisce uno dei più famosi che l'opera genera: l'enigmaticità del sorriso della Gioconda. È indubbio che una bocca così perfetta in pittura, per chi sa quanto sia difficile rappresentare questo particolare, non si era mai vista. Per ottenere ciò, Leonardo fece ricorso ad una quantità infinita di velature, per cui questo sorriso ha una morbidezza non interrotta da alcuna linea. Ma questo sfumato così preciso ha avuto anche un effetto inaspettato: quello di far cambiare l'espressione del sorriso a secondo di come il quadro viene guardato. Stesso discorso avviene per lo sguardo, anche esso soggetto alla variabilità dell'occhio dell'osservatore, così che questa immagine può assumere espressioni diverse, con un risultato mai visto in altri quadri.
Ritratto di Monna Lisa, 1503-06 olio su tavola di pioppo, 77×53 cm Parigi, Louvre
Il pannello posteriore della Monna Lisa è una parte meno conosciuta ma affascinante di questa iconica opera d'arte. Anche se la maggior parte dell'attenzione si concentra sul sorriso enigmatico e sulla maestria del ritratto sul fronte, il retro del pannello di legno su cui è dipinta la Monna Lisa mantiene anche il suo interesse storico. Il pannello di legno su cui Leonardo dipinse la Monna Lisa è realizzato con pioppo, una scelta comune in Italia durante il Rinascimento per la sua durata e morbidezza. Nel tempo, il pannello è stato rinforzato e restaurato per garantire la conservazione della vernice. Sul retro del pannello, conservatori ed esperti hanno trovato marche, iscrizioni e francobolli che aiutano a tracciare la storia del dipinto. Queste marche includono francobolli di proprietà ed etichette di inventario che documentano il trasferimento e la proprietà dell'opera nel corso dei secoli. Queste iscrizioni e marche testimoniano il viaggio che la Monna Lisa ha fatto dal laboratorio di Leonardo alla sua attuale casa al Museo del Louvre a Parigi. Inoltre, il retro del pannello rivela il lavoro dei restauratori nel corso degli anni, che hanno rinforzato il legno e garantito la stabilità della pittura affinché possa continuare ad essere ammirata per generazioni future. In breve, il pannello posteriore della Monna Lisa è un aspetto meno visibile ma altrettanto importante di questo capolavoro, fornendo preziose informazioni sulla sua storia e conservazione.
il Paesaggio
Le Balze del Valdarno. Quando il mare che copriva gran parte della Toscana si ritirò e i sedimenti colmarono lentamente il lago, l'Arno e suoi affluenti scavarono e levigarono quelle che oggi chiamiamo Balze.
Ponte Buriano (1277) è ponte romanico che attraversa l'Arno verso nord
il furto della Gioconda
Il furto avvenne verso le sette del mattino di lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Louvre. Peruggia si era nascosto in una cameretta buia del Louvre e alla chiusura tolse la Gioconda dalla cornice e poi scappò da una porta sul retro che aprì con un coltellino. Il giorno dopo gli impiegati pensarono in un primo tempo che il quadro l'avesse con sé il fotografo ufficiale, ma poi dovettero informare la polizia, che immediatamente cercò senza esito all'interno del museo, impiegando un certo tempo data la sua vastità. Dopodiché si diffuse la notizia del furto e i giornali francesi si scatenarono in merito alle ipotesi sulla scomparsa del quadro. Dopo circa due anni si trovò il colpevole: Peruggia avrebbe voluto vendere la Gioconda alla Galleria degli Uffizi per qualche milione di lire. Affermò che la sua era stata un'azione patriottica e che l'Italia avrebbe saputo valorizzare maggiormente l'opera. Nell'autunno del 1913 il collezionista d'arte fiorentino Alfredo Geri ricevette da Parigi una lettera nella quale veniva proposta la vendita della Gioconda a patto che il capolavoro tornasse in Italia e fosse lì custodito. La lettera inviata da Vincenzo Peruggia era firmata dal fittizio Monsieur Léonard V. Geri fissò un incontro con Monsieur Léonard l'11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze. Si presentò con il direttore della galleria degli Uffizi che dopo aver visto il quadro lo prese in custodia per esaminarlo. Peruggia fu arrestato il giorno seguente dai carabinieri, i quali lo prelevarono direttamente dalla sua stanza di albergo.
Vincenzo Peruggia
La Gioconda agli Uffizi
Un angolo degli Uffizi rimasto memorabile! La foto datata 1913 e ritrae contemporaneamente tre capolavori di Leonardo da Vinci: l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi, tutt’ora agli Uffizi, e la Gioconda. Il celebre ritratto rubato al Louvre il 21 agosto 1911, fu recuperato a Firenze l’11 dicembre 1913 dal direttore degli Uffizi Giovanni Poggi e un gallerista fiorentino, insospettiti dall’offerta di un anonimo che intendeva vendere loro proprio la Gioconda. Fissato l’incontro nella camera d’albergo di Vincenzo Peruggia, i due ritrovarono il dipinto e denunciarono il rocambolesco furto dell’imbianchino varesotto che, mosso a suo dire da spirito patriottico, volle sottrarre ai francesi, per vendetta, un capolavoro rubato da Napoleone. Peccato che, al di là di tutto, la Gioconda non fosse neanche tra il bottino dell’Imperatore essendo stata portata in Francia dallo stesso Leonardo!
The earlier Mona Lisa
si tratta di un dipinto attribuito a Leonardo da Vinci, che rappresenta una variante della più nota Gioconda del Louvre. Di dimensioni leggermente inferiori e dipinta su tela anziché su tavola, è stata oggetto di un vivace dibattito sull'attribuzione al maestro, e si trova in una collezione privata svizzera. Secondo alcuni studi accademici, questo dipinto potrebbe essere un’opera realizzata da Leonardo una decina di anni prima del dipinto del Louvre. L'attribuzione a Leonardo ha suscitato un vivace dibattito internazionale, che, come spesso accade per opere di alto valore in collezioni private, è stato supportato da ampie indagini documentarie, comparative e scientifiche. I risultati non hanno tuttavia portato a conclusioni unanime tra gli esperti: sebbene un grande numero di studiosi abbia pubblicato un giudizio positivo sull'attribuzione a Leonardo, alcuni di quelli che sono considerati come i maggiori esperti internazionali di Leonardo (come Kemp) non hanno sciolto i loro dubbi. Tra le prove storiche a sostegno dell'esistenza di due versioni della Gioconda c'è una lettera del fiorentino Agostino Vespucci, che nell’ottobre 1503 scrisse che Leonardo da Vinci stava lavorando al ritratto di Lisa. Ciò sarebbe confermato anche da Giorgio Vasari, che fa risalire il dipinto al ritorno di Leonardo a Firenze intorno al 1503. Sarebbe dunque possibile che esistano due versioni dello stesso soggetto, una riferibile al 1503 circa, e una al 1517; oppure potrebbe trattarsi di una rilavorazione da parte di Leonardo dello stesso dipinto, cosa confermata dalle analisi sul dipinto de Louvre, che presenta almeno tre strati pittorici.
Leonardo da Vinci (attr.) olio su tela, 86×64,5 cm collezione privata, Svizzera
la battaglia di Anghiari
La Battaglia di Anghiari era una pittura murale di Leonardo da Vinci, databile al 1503 e già commissionata per il Salone dei Cinquecento (allora detto "Sala del Gran Consiglio") di Palazzo Vecchio a Firenze. A causa dell'inadeguatezza della tecnica il dipinto subì dei danni e non si sa se i suoi resti fossero stati lasciati in loco, incompiuti e mutili; circa sessant'anni dopo la decorazione del salone venne rifatta da Giorgio Vasari; non si sa se all'epoca fossero ancora presenti i frammenti leonardiani e se l'architetto aretino li abbia distrutti. Alcuni sostengono che li abbia nascosti sotto un nuovo intonaco o una nuova parete: ricerche e 'saggi' finora condotti non hanno sciolto il mistero. Nell'aprile del 1503 la Repubblica fiorentina, affidò a Leonardo, da qualche anno tornato in città dopo il lungo e prolifico soggiorno milanese, l'incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Si trattava di un'opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi, e che l'avrebbe visto faccia a faccia con il suo collega e rivale Michelangelo, a cui era stato commissionato un affresco gemello su una parete vicina, la Battaglia di Càscina (29 luglio 1364, contro i Pisani). La scena affidata a Leonardo invece era la battaglia di Anghiari, cioè un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440; Leonardo iniziò a progettare il grande dipinto murale che, come per altre sue opere, non sarebbe stato un affresco, ma una tecnica che permettesse una gestazione più lenta e riflessiva, compatibilmente col suo modus operandi. Dalla Historia naturalis di Plinio il Vecchio recuperò l'encausto, che adattò alle sue esigenze. Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, né si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.
Copia di Paul Rubens della parte centrale del dipinto
La battaglia di Anghiari venne combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi dei Visconti ed una coalizione guidata dalla Repubblica di Firenze
Salone dei Cinquecento
Palazzo Vecchio, Firenze
Giorgio Vasari: la battaglia di Scannagallo
G. Vasari, Palazzo Vecchio, 1571
Gli ultimi anni di vita in Francia, 1517-1519
Nel 1517, Leonardo partì per la Francia, dove arrivò nel mese di maggio e alloggiato dal re nel castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise, e onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5.000 scudi. Francesco I era un sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti (Francesco Primaticcio, Rosso Fiorentino, e Benvenuto Cellini). Gli anni passati in Francia furono sicuramente il periodo più sereno della sua vita, assistito dai due fedeli allievi e, sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizzò la mano destra, poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche.
La tomba di Leonardo ad Amboise