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CARAVAGGIO
Raffaele Cimino
Created on November 25, 2021
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Caravaggio
prof. Raffaele Cimino
Caravaggio
Michelangelo Merisi, noto come il Caravaggio (Milano, 25 o 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) formatosi tra Milano e Venezia e attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, è uno dei più celebri pittori italiani di tutti i tempi, assurto a fama universale solo nel XX secolo, dopo un periodo di oblio. I suoi dipinti, che combinano un'analisi dello stato umano, sia fisico, sia emotivo, con uno scenografico uso della luce, hanno avuto una forte influenza formativa sulla pittura barocca. Di animo particolarmente irrequieto, affrontò diverse vicissitudini durante la sua breve esistenza. Data cruciale per l'arte e la vita di Merisi fu quella del 28 maggio 1606, a partire dalla quale, essendosi reso responsabile dell'omicidio di Ranuccio Tommasoni durante una rissa e condannato a morte per lo stesso, dovette vivere in costante fuga per scampare alla pena capitale. Il suo stile influenzò direttamente o indirettamente la pittura dei secoli successivi costituendo un filone di seguaci racchiusi nella corrente del caravaggismo. Nel 1577, a causa della peste, i Merisi lasciarono Milano e tornarono a Caravaggio (Bg) per sfuggire all'epidemia della peste, ma qui morirono sia il padre sia i nonni del pittore. Terminata l'epidemia, nel 1584, Michelangelo Merisi torna nel capoluogo lombardo e viene mandato a bottega da Simone Peterzano.
personaggi influenti nella vita di Caravaggio
I successi a Roma (1594-1606) La sua presenza a Roma nel periodo dal 1592 al 1593 non è sostenuta da fonti storiche certe, tuttavia sappiamo che frequenta per alcuni mesi la bottega di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino. Grazie a Prospero Orsi (meglio noto come Prosperino delle Grottesche), pittore con il quale strinse una forte amicizia, Merisi nel 1597 conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte, grandissimo uomo di cultura e appassionato d'arte che, incantato dalla sua pittura, acquistò alcuni dei suoi quadri; il giovane lombardo entrò quindi al suo servizio, rimanendovi per circa tre anni. Del Monte, secondo gli storici: «ridusse in buono stato Michele e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini». La fama dell'artista cominciò a salire all'interno dei più importanti salotti dell'alta nobiltà romana. L'ambiente fu scosso dalla sua rivoluzionaria pittura, che si pose immediatamente al centro di forti discussioni e accese polemiche. Grazie alle commissioni del suo influente e illuminato prelato, Caravaggio mutò il suo stile, abbandonando le tele di piccole dimensioni e i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse, con gruppi di più personaggi descritti in un episodio specifico. Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe in maniera esponenziale, Caravaggio divenne un mito vivente per un'intera generazione di pittori che ne esaltavano lo stile e le tematiche.
la canestra di frutta
L'opera viene commissionata dal Cardinal Federico Borromeo e mostra una canestra definita con precisione analitica e quasi fiamminga negli incastri del vimini, all'interno del quale ci sono frutti e foglie di ogni genere. La natura morta è assunta a soggetto protagonista, tanto quanto lo sarebbe stato un eroe della mitologia in un quadro di storia. I frutti bacati o intaccati dalle malattie, simboleggiano la vanitas dell'esistenza umana, ovvero il richiamo alla caducità della vita, un bene effimero destinato a svanire nel tempo. Si tratta in realtà di un sipario decontestualizzato, quasi sottratto dal suo reale contesto naturale; anche il realismo è soltanto apparente, poiché sono rappresentati insieme frutti di stagioni diverse. Il cesto di vimini è rappresentato come se si trovasse in alto rispetto allo sguardo di un ipotetico spettatore, come se fosse posto su di una tavola da cui dà l'impressione di sporgere lievemente. La scelta di questo taglio permette alla composizione di far emergere la natura morta attraverso l'uso di uno sfondo chiaro, uniforme e luminoso; la luce sembra provenire da una fonte naturale e svela le gradazioni di colore che differenziano gli acini verdi in primo piano e quelli già molto maturi nel grappolo posto dietro la mela bacata (che simboleggia la precarietà delle cose e il trascorrere del tempo), creando un effetto illusionistico di tridimensionalità dell'immagine. L'artista paragona così la brevità della giovinezza e dell'esistenza umana alla maturazione della frutta e dei fiori.
Michelangelo Merisi da Caravaggio Canestra di frutta,1599 Tecnica olio su tela, 47×62 cm Pinacoteca Ambrosiana di Milano
IL FICO anch’esso è legato al peccato originale in quanto in base alla Genesi (3, 1-7) Adamo ed Eva si fecero indumenti intrecciando delle foglie di fico.
Bacco
Fu commissionato dal cardinal Francesco del Monte, ambasciatore mediceo a Roma e committente e protettore del Caravaggio, per regalarlo a Ferdinando I de' Medici in occasione della celebrazione delle nozze del figlio Cosimo II. L'opera rappresenta Bacco, dio del vino e dell'ebbrezza. Secondo l'iconografia tradizionale è nudo, con una corona di foglie di vite o di edera, con in mano il tirso e un grappolo d'uva o una coppa di vino. Il Bacco del Caravaggio si presenta seduto su di una specie di triclinio, coperto da un lenzuolo in forma di tunica che scopre parte del torso. Il dio offre la coppa di vino appena versato (se ne vedono le bollicine) con la mano sinistra, per cui si pensa che il pittore abbia usato uno specchio in cui si riflette la propria immagine (il volto è più paffuto e colorito, offrendo un'immagine di salute e abbondanza. La mano che versa il vino non sembra sicura, ma incerta (come mostrano la posizione delle dita e le vibrazioni sul bicchiere), ed è probabile che il pittore volesse inserire un indizio di ubriachezza. Non si conosce il modello dell'opera: alcuni sostengono che si tratti dello stesso Caravaggio (seppur molto trasformato) che avrebbe lavorato alla stesura dell'opera con un sistema di specchi; altri, invece, notano la somiglianza di questo Bacco con Mario Minniti, compagno e amico di Caravaggio, che probabilmente aveva posato in altre opere del pittore lombardo. La mano destra del Bacco tiene un fiocco, posto in corrispondenza dell'ombelico. Esso sarebbe da interpretarsi come il nodo che unisce Dio all'uomo, è quindi un Homo copula mundi tipico della filosofia neoplatonica di Marsilio Ficino, che unitamente all'alchimia era ben nota al cardinale. Nel corso di una fase di restauro, le sofisticate analisi utilizzate hanno permesso di scoprire, all'interno della citata caraffa di vino, un volto di uomo, che i ricercatori ritengono essere l'autoritratto dello stesso Caravaggio.
Caravaggio Bacco,1596-1597 olio su tela, 95×85 cm Galleria degli Uffizi, Firenze
dettaglio della brocca
Scudo con testa di Medusa
Esistono due versioni di Medusa realizzate da Caravaggio: la prima è un dipinto a olio su tela, montato su uno scudo convesso di legno di fico (50 x 48 cm), eseguito tra il 1596 e il 1598. L'opera si trova in una collezione privata in Italia. La prima versione è stata sottoposta ad interventi diagnostici che hanno evidenziato vari pentimenti e la presenza di disegni preparatori "a carbone". Ciò che rende eccezionale questa prima versione è il fatto che conserva la firma di Caravaggio, impressa nel sangue che sgorga dalla testa. Una seconda versione si trova agli Uffizi, ispirata dalla prima, è stata commissionata dal cardinal del Monte per Ferdinando I de' Medici. Anche qui si tratta di un dipinto a olio montato su uno scudo convesso di legno di pioppo, e di dimensioni leggermente più grandi rispetto alla prima versione (60 x 55 cm). Questa versione risulta di proprietà dei Medici dal 1598, cioè da quando giunse a Firenze il 25 luglio di quell'anno. Come è noto il tema deriva da Ovidio (Metamorfosi, IV, 769-803). Medusa o Gorgone era un mostro con la testa ricoperta da una capigliatura di serpi sibilanti, il cui sguardo aveva il potere di pietrificare chiunque la guardasse. L'eroe Perseo, grazie all'aiuto di Minerva e Mercurio scovò Medusa e la uccise recidendole il capo. Per poter evitare lo sguardo terrificante, l'eroe non guardò il mostro, ma la sua immagine riflessa su di un lucido scudo di bronzo.
Michelangelo Merisi da Caravaggio Scudo con testa di Medusa,1598 ca. olio su tela su legno di pioppo, 60×55 cm Galleria degli Uffizi, Firenze
legno di fico, 50 x 48 cm collezione privata
legno di pioppo, 60×55 cm Uffizi - Firenze
Giuditta e Oloferne
In questo quadro Caravaggio rappresenta l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne da parte della vedova ebrea Giuditta, che voleva salvare il proprio popolo dalla dominazione degli Assiri. Giuditta è raffigurata intenta a decapitare Oloferne con una scimitarra, mentre alla scena assiste una vecchia serva che sorregge con le mani il drappo contenente il cesto nel quale va conservata la testa. Lo sfondo è scuro, è presente un panneggio rosso in alto a sinistra e una parte minima del letto su cui giace Oloferne. Lo sguardo vitreo di Oloferne farebbe supporre che sia già morto, ma lo spasmo e la tensione dei muscoli indurrebbero a pensare il contrario. Giuditta, invece, sembra adempiere al suo compito con molta riluttanza: le braccia sono tese, come se la donna volesse allontanarsi il più possibile dal corpo di Oloferne, e il suo volto è contratto in un'espressione mista di fatica e orrore. Accanto a Giuditta Caravaggio ha inserito una serva molto vecchia e brutta, come simbolico contraltare alla bellezza e alla giovinezza della vedova. In questo modo l'autore sottolinea le differenze tra le due figure e fa risaltare maggiormente la prima, che incarna grandi valori morali. Giuditta, presentata come simbolo di salvezza che Dio offre al popolo ebraico, assurge anche a simbolo della Chiesa stessa e del suo ruolo salvifico, ulteriormente testimoniato dal colore bianco della camicia della donna, che evoca la purezza. Tuttavia non va ignorato, sempre in senso simbolico sia il fatto che il volto di Oloferne è un possibile ritratto del pittore, sia l'interpretazione in chiave simbolico-psicologica, in cui l'orrore e l'urlo di spavento e di dolore del generale, sono una rappresentazione, appunto simbolica, della paura e della castrazione, che la decapitazione (spesso presente nell'opera del Caravaggio), evoca in modo drammatico.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1602 circa olio su tela,145×195 cm Galleria nazionale di arte antica, Palazzo Barberini, Roma
Fillide MELANDRONI, verso la fine del 1593 si trasferì a Roma con la madre e con il fratello per ricongiungersi ai familiari paterni. L’inserimento della Melandroni e della sua famiglia nel tessuto sociale non fu immediato. Dopo la morte della madre, il sodalizio con la cortigiana romana Anna Bianchini l’aiutò ad affrontare l’indigenza e l’emarginazione, pur inducendola, appena tredicenne, a esercitare in modo occasionale il meretricio. Il bisogno di esercitare in modo non saltuario il meretricio e la necessità di difesa all’occorrenza dalle autorità romane spinsero la Melandroni, a sedici anni, a cercare la protezione dei fratelli Tomassoni, uomini d’arme che, forti di conoscenze altolocate, esercitavano il controllo e l’organizzazione di un giro di cortigiane per gentiluomini e gente di Curia. Le condizioni di vita della Melandroni migliorarono sensibilmente: smise di frequentare gente modesta e poté anche permettersi una serva. Con uno dei Tomassoni, Ranuccio, che nel 1606 sarà ucciso da Michelangelo Merisi da Caravaggio, la Melandroni intratteneva una relazione. La Melandroni morì a Roma il 3 luglio 1618 e fu seppellita, secondo le sue volontà, nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina.Fillide Melandroni compare in cinque dipinti di Caravaggio: 1 - Ritratto della cortigiana Fillide, 1597 (dipinto disperso.) 2 - Marta e Maria Maddalena, 1598 (Detroit, Institute of Arts) 3-Santa Caterina d’Alessandria, 1598 (Madrid, Museo Thyssen) 4 - Giuditta e Oloferne, 1599 (Pal. Barberini) 5 - Natività con i santi Lorenzo e Francesco, 1600 (rubato)
Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi
Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi , Roma ,1599-1602
Caravaggio arrivò a Roma intorno tra il 1592 e il 1595, abbiamo fonti poco certe sulla data
La cappella, acquistata dal cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli) nel 1565, il quale nel frattempo era morto, era passata in eredità a Virgilio Crescenzi il quale a sua volta aveva affidato la decorazione pittorica al Cavalier d'Arpino, con cui Caravaggio collaborò durante la sua prima permanenza a Roma. La commissione del ciclo pittorico Il lavoro passò nelle mani di Caravaggio, tramite l'appoggio del Cardinal del Monte.
San Luigi dei Francesi
OGGIPalazzo Madama, attuale Senato della Repubblica
NEL '500, PALAZZO FIRENZEResidenza del Cardinal del Monte
San Luigi dei Francesi
Giacomo Della Porta, Domenico Fontana, 1589
Vocazione di San Matteo
La Vocazione di san Matteo è la prima opera, eseguita da Caravaggio, per una destinazione pubblica: è il primo dipinto visto da tutta la popolazione della città di Roma e soprattutto dai pittori suoi colleghi e concorrenti. Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto, occupato solo dalla finestra, mentre quello in basso raffigura il momento preciso in cui Cristo indicando san Matteo, lo chiama all'apostolato. San Matteo è seduto ad un tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del Caravaggio, come in una scena da osteria solo alcuni dei personaggi investiti dalla luce volgono lo sguardo verso Gesù, mentre gli altri preferiscono restare a capo chino, distratti dalle proprie solite occupazioni. Forse non è casuale che uno dei compagni di Matteo porti gli occhiali, quasi che fosse accecato dal denaro. La luce inoltre ha la funzione di dare direzione di lettura alla scena, che va da destra a sinistra e torna indietro quando incontra l'umanissima espressione sbigottita ed il gesto di San Matteo che punta il dito contro se stesso al fine di ricevere una conferma, come se chiedesse a Cristo e a San Pietro: "State chiamando proprio me?". Di grande intensità e valenza simbolica, nella Vocazione, è il dialogo dei gesti che si svolge tra Cristo, Pietro e Matteo. Il gesto di Cristo (che altro non è che l'immagine speculare della mano protesa nella famosissima scena della Creazione di Adamo della Cappella Sistina michelangiolesca, che Caravaggio avrà certo avuto modo di studiare ed apprezzare) viene ripetuto da Pietro, simbolo della Chiesa Cattolica Romana. Questa è una delle prime pitture sacre, esposte al pubblico, in cui compaiono notazioni realistiche.
Vocazione di San Matteo, 1599-1600 olio su tela 322×340 cm San Luigi dei Francesi, Roma
Martirio di San Matteo
La scena si sviluppa concentricamente intorno alla figura di un carnefice nell'atto di colpire il futuro martire. La scena è rappresentata all'interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa (ciò si deduce dalla presenza di un altare con la croce e di un fonte battesimale) e quindi si atterrebbe alla Legenda Aurea per cui S. Matteo sarebbe stato assassinato dopo una messa. I personaggi sono stati disposti su una sorta di piattaforma inclinata, alla maniera teatrale, che ha l'effetto di avvicinarli allo spettatore e aumentare il pathos della raffigurazione. Al centro del quadro vi è San Matteo che giace a terra dopo essere stato colpito dal suo carnefice, il personaggio seminudo che gli blocca il braccio La posizione delle braccia di San Matteo, aperte, richiama la croce, tuttavia egli non è illuminato totalmente quanto lo è il carnefice, perché egli è già in Grazia Divina. Il vero protagonista-peccatore è dunque il sicario inviato da Re Irtaco, è su di lui che deve agire la luce salvifica di Dio. Il Santo venne assassinato perché si rifiutò di far sposare la principessa Ifigenia che aveva fatto voto di castità. In alto a destra un angelo di ispirazione tardo-manierista, elegantissimo e raffinato anche nella postura sinuosa, si sporge da una nuvola per tendere a San Matteo la palma del martirio. Attorno, in tutto lo spazio figurativo disponibile, Caravaggio inserisce i fedeli presenti alla messa: due personaggi di fronte, uno volto in avanti e l'altro presentato con uno scorcio ardito, un bimbo che scappa, altri uomini scomposti in gesti e posture dalle quali traspare tutto l'orrore e la tensione per essere testimoni di una scena simile. È da notare un autoritratto di Caravaggio in fondo a sinistra, nel personaggio che osserva. Come spesso è accaduto anche in quest'opera, nella quale Caravaggio decide di rappresentare il martirio del santo come se si trattasse di un assassinio brutale lungo una strada, vi è la testimonianza della sua inventiva per l'aver trasferito un episodio della storia sacra nella vita di ogni giorno, per conferire realtà, veridicità e una forte componente emotiva.
Martirio di San Matteo, 1600 - 1601 olio su tela 323 × 343 cm San Luigi dei Francesi, Roma
San Matteo e l'angelo
Due anni dopo aver dipinto le tele laterali per la cappella Contarelli, Caravaggio fu chiamato a concludere l'opera dipingendo anche la pala centrale raffigurante San Matteo e l'Angelo, da porre sopra l'altare della Cappella Contarelli e che faceva seguito alle due committenze laterali della Vocazione di San Matteo e del Martirio di S. Matteo, la prima versione del dipinto fu rifiutata, perché non rientrava nelle richieste della committenza, la composizione, bellissima, svolgeva il tema con una certa libertà. La seconda versione del dipinto, tuttora in loco, emula i canoni dell'epoca: San Matteo, ispirato da un angelo apparso alle sue spalle, ha l'aspetto di un dotto e scrive di suo pugno il Vangelo, ispirato ma non più materialmente condotto dall'angelo che, con un gesto, sembra elencargli i fatti che dovrà narrare nel testo. L'unico accenno di "spregiudicatezza" dell'opera è la posa del santo, che si appresta a scrivere imbevendo la penna nel calamaio stando appoggiato con le braccia al tavolo, e con la gamba ad uno sgabello in equilibrio precario, quasi a sottolineare l'incertezza sul cosa scrivere.
Caravaggio, San Matteo e l'angelo, 1602 olio su tela 295x195 cm San Luigi dei Francesi, Roma
le due versioni
A detta di Giovanni Baglione e di Giovanni Pietro Bellori, la prima versione di questo dipinto fu rifiutata dalla congregazione, e Giovanni Pietro Bellori («[…] terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l'altare, fu tolto via dai preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di Santo […]»)
Caravaggio, San Matteo e l’angelo (prima del 1602; olio su tela, 223 x 183 cm; già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum; distrutto durante l’incendio del Flakturm Friedrichshain), 5 Maggio 1945
S. Maria del popolo - Roma
S. Maria del popolo - Cappella Cerasi, 1600 - 1601
Caravaggio Conversione di San Paolo
CaravaggioCrocifissione di S.Pietro
A. Carracci Assunzione
Crocifissione di S.Pietro
San Pietro si fa crocifiggere a testa in giù per umiltà nei confronti di Cristo. Tutte le figure concorrono a formare una x con le assi della croce e con i corpi degli aguzzini, dunque anche questi ultimi sono accomunati col santo dal senso della fatica. Lo sfondo cupo contribuisce a far risaltare le figure mettendo in evidenza la tensione drammatica dei corpi che balzano verso l'osservatore. La composizione è estremamente dinamica e realistica e vi è una solida definizione dei volumi. La presenza di alcune parti della composizione che vengono "tagliate" (si notino, ad esempio, il piede sinistro dell'aguzzino rappresentato nella porzione inferiore della tela, oppure la parte terminale della croce, in corrispondenza dei piedi del santo) permette di dilatare idealmente lo spazio rappresentato, che prosegue oltre la tela stessa. Spettacolare è, oltre all'illuminazione, la resa dei particolari: le venature del legno della croce, il piede nero dell'aguzzino chino, le rughe sulla fronte dell'aguzzino di sinistra, il riflesso della luce sulle unghie del Santo e dell'aguzzino che tende la corda.
Crocifissione di S.Pietro 1600-1601,olio su tela - 230×175 cm
confronti
Michelangelo crocifissione di San Pietro, 1546–1550 affresco Musei vaticani, Roma
Masaccio, crocifissione di San Pietro, 1426 predella del Polittico di Pisa tempera su tavola, 30,5×21 cm Musei statali, Berlino
luogo della crocifissione di San Pietro
Bramante, Tempietto di San Pietro in Montorio, 1502 Colle Gianicolo, Roma
Conversione di San Paolo
La scena ritrae il momento topico della conversione di Paolo quello in cui a Saulo, sulla via di Damasco, appare Gesù Cristo in una luce accecante che gli ordina di desistere dal perseguitarlo e di diventare suo ministro e testimone. Sono presenti nella scena un vecchio e un cavallo, il quale, grazie all'intervento divino, alza lo zoccolo per non calpestare Paolo. Caravaggio adotta l'iconografia della luce accecante e l'assenza di Cristo. Secondo alcuni studiosi l'artista lombardo decise di non dipingere Gesù perché non voleva che nei suoi quadri ci fossero figure divinizzate (Cristo era già risorto quando San Paolo si converte) perché ciò sarebbe andato contro il realismo a cui Caravaggio mirava. La tradizione artistica successiva ha immaginato la caduta a terra come una caduta da cavallo ma il particolare è assente da tutti e tre i resoconti, sebbene rimanga possibile e verosimile poiché l'evento si verificò durante il viaggio. Dopo questa folgorazione-rivelazione-chiamata Paolo si recò a Damasco e ricevette il battesimo da un giudeo-cristiano. Secondo i testi biblici, Paolo (Saulo) era un ebreo, che godeva della cittadinanza romana. Non conobbe direttamente Gesù, e, com avversava la neo-istituita Chiesa cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente. Sempre secondo la narrazione biblica, Paolo si convertì al cristianesimo mentre, recandosi da Gerusalemme a Damasco per organizzare la repressione dei cristiani della città, fu improvvisamente avvolto da una luce fortissima e udì la voce del Signore, che gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Reso cieco da quella luce divina, Paolo vagò per tre giorni a Damasco, dove fu poi guarito dal capo della piccola comunità cristiana di quella città. L'episodio, noto come "conversione di Paolo", diede l'inizio all'opera di evangelizzazione di Paolo. Alcuni critici hanno ironicamente soprannominato il dipinto, la "Conversione del Cavallo". Infatti il cavallo occupa una parte rilevante del dipinto delineando anche in questa scelta il carattere innovatore della pittura caravaggesca.
Conversione di San Paolo, 1600-1601 olio su tela - 230×175 cm
Cappella Cerasi
visitatori a San Luigi dei Francesi
S. Maria del Popolo
1606 - l'anno cruciale
1606 - omicidio di Ranuccio Tommasoni zona adiacente Piazza Firenze, Roma
la fuga di Merisi
ROMA > NAPOLI > MALTA
NO
Capodimonte
sala di Caravaggio
Caravaggio a Malta
Antonio Martelli (Firenze, 1534 – 5 novembre 1618) è stato un condottiero italiano, esponente della famiglia fiorentina dei Martelli e cavaliere di Malta dal 1558. Suo padre Pandolfo (1504-1568) aveva avuto dei dissapori con Cosimo I de' Medici quando prese il potere su Firenze, per questo venne esiliato da Firenze
Ritratto di Antonio Martelli, Cavaliere di Malta 1608-1609 olio su tela, 118,5×95 cm Galleria Palatina, Firenze
Ritratto di Alof de Wignacourt
L'artista ha ritratto Alof de Wignacourt, Gran Maestro dei Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, vestito con l'armatura. Sulla destra un giovine, anch'esso fregiato con la stella dei cavalieri, gli porge l'elmo a completamento della vestizione. Il quadro in armi, anche se da parata, vuol quindi essere un elogio della vita attiva del Wignacourt che lotta per la Fede, di cui l'Ordine dei Cavalieri di Malta era garante. Il quadro fu presto spedito in Francia, poiché nel 1670 comparirà nelle collezioni di Luigi XIV. Conformemente alla regola, la tela sarebbe dovuta passare in eredità all'Ordine stesso; il fatto che invece il proprietario abbia voluto sbarazzarsene, conferma l'imbarazzo del Wignacourt per l'espulsione di Caravaggio, che avvenne pochi mesi dopo per aver preso parte a una rissa in cui un altro cavaliere rimase ferito.
Ritratto di Alof de Wignacourt, 1607-1608 olio su tela, 195×134 cm Musée du Louvre, Parigi
La decollazione del Battista
Grazie a questa opera Caravaggio ottenne l'onore della Croce di Malta. Compaiono nella tela il carceriere imperterrito, il boia che s'appresta a vibrare il colpo finale, una giovane che porta un bacile su cui raccoglierà la testa del Battista e una vecchia con le mani al volto per l'orrore; sulla destra due carcerati assistono da una grata al martirio. In questo quadro il rapporto figure-spazio è rovesciato a vantaggio di quest'ultimo, tanto da creare ampie zone di vuoto, mentre attenuando i contrasti luministici, l'artista immerge la scena nella penombra. Il Santo è colto negli ultimi spasmi di vita, con le mani legate dietro le spalle, e veste l'abituale veste di peli di cammello intrecciati (suo emblema), ed una tunica rossa. Al centro della composizione è il corto pugnale, detto "misericordia", col quale il boia s'appresta a spiccare la testa dal busto; al di sotto del Santo la spada con cui era stato vibrato il primo colpo, mentre una corda recisa e fissata ad un anello sulla parete a destra fa intuire cos'era successo qualche istante prima, quando il Santo era stato slegato e portato avanti. Il muro vuoto della prigione interrotto dalle inferriate, i due prigionieri che osservano la scena ed il tono cupo dell'opera rimandano ad una spietata esecuzione, eseguita alle prime luci dell'alba.
Michelangelo Merisi da Caravaggio Decollazione del Battista, 1608 olio su tela, 361×520 cm C attedrale di San Giovanni, La Valletta
La morte del Battista
Erode fece arrestare e mettere in carcere Giovanni su istigazione di Erodiade, la quale avrebbe voluto che fosse ucciso, ma Erode temeva Giovanni, considerandolo uomo giusto e santo, preferiva vigilare su di lui e l’ascoltava volentieri, anche se restava molto turbato. Ma per Erodiade venne il giorno favorevole, quando il re diede un banchetto per festeggiare il suo compleanno, invitando tutta la corte ed i notabili della Galilea. Alla festa partecipò con una conturbante danza anche Salomè, la figlia di Erodiade; la sua esibizione piacque molto al re ed ai commensali, per cui disse alla ragazza: “Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”; Salomé chiese alla madre consiglio ed Erodiade prese la palla al balzo, e le disse di chiedere la testa del Battista. A tale richiesta fattagli dalla ragazza davanti a tutti, Erode ne rimase rattristato, ma per il giuramento fatto pubblicamente, non volle rifiutare e ordinò alle guardie che gli fosse portata la testa di Giovanni, che era nelle prigioni della reggia. Il Battista fu decapitato e la sua testa fu portata su un vassoio e data alla ragazza che la diede alla madre. I suoi discepoli saputo del martirio, vennero a recuperare il corpo, deponendolo in un sepolcro; l’uccisione suscitò orrore e accrebbe la fama del Battista.
Salomè,1607 circa olio su tela, 114 x 137 cm Palazzo reale, Madrid
La Concattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta
la fuga di Merisi
MALTA (1608) > SIRACUSA > NAPOLI (1609)>PALO LAZIALE > PORTO ERCOLE (1610)
David con la testa di Golia
Gli ultimi mesi di vita Caravaggio li passa a Napoli, dove l'artista si è trasferito nella speranza che gli venga presto accordata la grazia. Il David con la testa di Golia viene dipinto forse alla fine del 1609, e accluso alla domanda di grazia che Caravaggio invia al papa Paolo V. E a riprova dell'estremo atto di contrizione formulato dall'artista, sulla lama che il giovane stringe in pugno si leggono le lettere "H-AS OS", sigla che riassume il motto agostiniano "Humilitas Occidit Superbiam" (l'umiltà uccise la superbia). È un quadro assai violento e sconvolgente, dove David incarna la fredda virtù che trionfa sui malvagi. È noto che già i biografi seicenteschi individuano nella fisionomia del gigante sconfitto un autoritratto di Caravaggio, fatto questo che ha fornito lo spunto a numerose letture del quadro in chiave psicoanalitica. Il confronto con gli altri supposti autoritratti dell'artista sembrerebbe avvalorare questa ipotesi. Caravaggio appare ora invecchiato e stanco, con pesanti segni sotto gli occhi e la fronte percorsa da rughe. Il dipinto sarebbe in realtà un doppio autoritratto, anzi più precisamente una doppia autoidentificazione: il Merisi si rappresenta cioè sia nei panni di Golia che in quelli di David, sorta di immagine idealizzata del pittore adolescente. In sostanza, secondo questa interpretazione, il David-Caravaggio non ancora toccato dal peccato uccide il Golia-Caravaggio ormai peccatore incallito secondo un'ottica espiativa che ben si accorda con il carattere del dipinto, molto probabilmente inviato a Roma al cardinale Scipione Borghese a supporto della domanda di grazia che, paradosso dei paradossi, raggiungerà in effetti Caravaggio proprio insieme alla morte. Il buio che inghiotte la spalla di David ha la profondità delle tenebre dell'inferno, a stento rischiarate dalla luce della grazia che colpisce violentemente i tratti stravolti di Golia. Alla metà di luglio del 1610 Caravaggio si imbarca su una feluca che lo depositerà a Porto Ercole, ultima tappa delle sue tormentate peregrinazioni.
Michelangelo Merisi da Caravaggio 1609-1610 olio su tela,125×100 cm Galleria Borghese, Roma
Caravaggisti
Caravaggisti italianiOrazio Gentileschi Artemisia Gentileschi Mattia Preti Giovanni Baglione Caravaggeschi spagnoli Jusepe de Ribera Francisco Ribalta Diego Velázquez
Autoritratto di Mattia Preti. Dettaglio della Predica del Battista (1684 circa, Chiesa di San Domenico, Taverna)
Mattia Preti - San Sebastiano, 1656-57