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VERBA VOLANT, SCRIPTA MANENT

RAFFAELE LEO

Created on November 15, 2021

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Transcript

verba volant

scripta manent

start

approfondimento a cura di leo raffaele

ORIGINE DEL PROVERBIO

Questo antico proverbio trae origine da un discorso di Caio Tito al senato romano, che insinua la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono sempre formare documenti incontrovertibili. D'altro canto, se si vuole stabilire un accordo, è meglio mettere "nero su bianco" e quindi agendo con i fatti, piuttosto che ricorrere ad accordi verbali facilmente contestabili a posteriori. Tuttavia è da notare che tale proverbio aveva in origine una valenza del tutto opposta. In un'epoca in cui i più erano analfabeti, stava a indicare che le parole viaggiano, volano di bocca in bocca e permettono che il loro messaggio continui a circolare (parole alate), mentre gli scritti restano, fissi e immobili, a impolverarsi senza diffondere il loro contenuto.

Antico proverbio (enunciato anche nella forma inversa: scripta manent, verba volant), con cui si afferma sia la necessità di far documentare per scritto i proprî diritti (equivale in questo caso al proverbio popolare "carta canta e villan dorme"), o più genericamente l’importanza delle testimonianze e dei documenti scritti, sia, al contrario, l’opportunità di non mettere su carta ciò che un giorno potrebbe esserci dannoso.

il Diritto romano

Il Corpus Iuris Civilis in una stampa del XVIII secolo, che raggruppava l'insieme di tutte le leggi romane contemporanee e precedenti alla sua compilazione, avvenuta sotto Giustiniano I (dal 529 al 534)

Con diritto romano si indica l'insieme delle norme che hanno costituito l'ordinamento giuridico romano per circa tredici secoli, dalla data convenzionale della Fondazione di Roma (753 a.C.) fino alla fine dell'Impero di Giustiniano (565 d.C.). L'importanza storica del diritto romano si riflette ancora oggi in una lista di termini legali latini. Infatti, dopo la dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente, il Codice giustinianeo rimase in vigore nell'Impero romano d'Oriente. Il diritto romano definisce quindi un sistema legale applicato nella maggior parte dell'Europa occidentale fino alla fine del XVIII secolo.

le leggi nell'antica roma

Il nome della legge di solito proviene dalla gens del magistrato proponente (qualsiasi magistrato dai questori in poi per la lex comitialis, il tribuno della plebe per gli scita plebis), declinato alla forma femminile, perché in latino legge (lex, legis, nominativo plurale leges) è una parola di genere femminile. Quando una legge è redatta da due consoli, vengono indicati entrambi i nomi, con il nome del più anziano scritto per primo.

il Diritto romano

Il diritto romano viene diviso approssimativamente in tre o cinque differenti stadi evolutivi:

«Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere.» «Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non danneggiare nessuno, dare a ciascuno il suo.» (Eneo Domizio Ulpiano Libro secondo delle Regole dal Digesto1.1.10 principio)

-Dalla fondazione di Roma alle leggi delle XII Tavole (753-451 a.C.) -Diritto repubblicano fino alla seconda guerra punica (451 al 201 a.C.) -Diritto pre-classico (201-27 a.C.) -Diritto classico (27 a.C. - 235 d.C.) -Diritto post-classico (235-565 d.C.)

Edizione del Digesta (XVI secolo), parte del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano I.

la lotta tra patrizi e plebei

445 a.C.

le tappe del diritto romano

ANNO-LEGGE

PROVVEDIMENTO

Lex Canuleia

Abolizione divieto di matrimonio fra patrizi e plebei

494 a.C.

Istituzione dei tribuni della plebe

Secessio plebis

367 a.C.

451 a.C.

Leggi Licinie Sestie

Diritto di accesso al consolato ai plebei

Leggi delle XII tavole

Leggi scritte ed esposte nel foro

287 a.C.

326 a.C.

Abolizione schiavitù per debiti

Lex Ortensia

Plebisciti equiparati a leggi valide per tutti

Lex Petelia-Papiria

300 a.C.

Diritto di accesso alla carica di pontefice massimo ai plebei

Legge Ogulnia

LA SECCESSIONE DELLA PLEBE

494 a.C.

L'APOLOGO DI MENEMIO AGRIPPA

Fu deciso di mandare alla plebe come oratore Menenio Agrippa, uomo facondo e, poiché da essa proveniva, caro alla plebe. Egli, introdotto nell’accampamento, con quel modo di parlare primitivo e disadorno, non raccontò, a quanto si tramanda, altro che questo: nel tempo in cui nell’uomo non tutte le parti del corpo erano armoniosamente concordi verso un unico fine, come ora, ma ogni membro aveva un suo particolare modo di pensare, un suo particolare modo di esprimersi, si indignarono le altre parti che tutto ciò ch’esse si procuravano con la loro attività, con la loro fatica, con la loro funzione andasse a vantaggio del ventre, mentre questo, standosene tranquillo nel mezzo, ad altro non pensava che a godersi i piaceri che gli venivano largiti; giurarono, dunque, insieme che le mani non portassero più il cibo alla bocca, che la bocca rifiutasse quello che le veniva offerto, che i denti non masticassero quello che ricevevano. Per questa ostilità, mentre si proponevano di domare il ventre con la fame, tutte le membra insieme e tutto il corpo si ridussero a un estremo esaurimento. Risultò quindi evidente che anche l’opera del ventre non era inutile e che non era nutrito più di quanto non nutrisse restituendo a tutte le parti del corpo, equamente distribuito per le vene, questo sangue cui dobbiamo la vita e le forze e che si forma con la digestione del cibo. Si dice che, così paragonando la ribellione interna del corpo all’iroso furore della plebe contro i patrizi, egli piegò gli animi di quella gente.

Placuit igitur oratorem ad plebem mitti Menenium Agrippam, facundum uirum et quod inde oriundus erat plebi carum. Is intromissus in castra prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur: tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum consententia, sed singulis membris suum cuique consilium, suus sermo fuerit, indignatas reliquas partes sua cura, suo labore ac ministerio uentri omnia quaeri, uentrem in medio quietum nihil aliud quam datis uoluptatibus frui; conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes quae acciperent conficerent. Hac ira, dum uentrem fame domare uellent, ipsa una membra totumque corpus ad extremam tabem uenisse. inde apparuisse uentris quoque haud segne ministerium esse, nec magis ali quam alere eum, reddentem in omnes corporis partes hunc quo uiuimus uigemusque, diuisum pariter in uenas maturum confecto cibo sanguinem. Comparando hinc quam intestina corporis seditio similis esset irae plebis in patres, flexisse mentes hominum.

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI, II, 32, 8-12

451 a.C.

LE LEGGI DELLE XII TAVOLE

7. Tavola VII (mantenimento delle strade)

8. Tavola VIII (illeciti)

9. Tavola IX (principi del processo penale e controversie)

1. Tavola I (procedura civile)

10. Tavola X (regole per i funerali)

2. Tavola II (procedura civile)

11. Tavola XI (matrimonio)

3. Tavola III (procedura esecutiva)

12. Tavola XII (crimini)

4. Tavola IV (genitori e figli)

5. Tavola V (eredità)

6. Tavola VI (proprietà)

Cicerone narra che nel i sec. i bambini era costratti ad imparare il testo delle XII a memoria; Livio le definisce "fons omnis publici privatique iuris"

NORME SCRITTE MA ARCAICHE

TAVOLA V

Gli antichi vollero che le donne, a causa del loro animo leggero, restassero sotto tutela anche se adulte.

TAVOLA I

TAVOLA VIII

In un processo per un ricco, faccia da garante un altro ricco; per un nullatenente potrà garantire chiunque vorrà.

Se uno rompe una parte del corpo a un altro e non si accordano, gli si faccia altrettanto

TAVOLA VIII

TAVOLA III

Se qualcuno con la mano o con il bastone ha rotto un osso, se lo ha fatto a un uomo libero paghi la pena di trecento assi, se l'ha fatto a uno schiavo ne paghi 150.

Per la restituzione di un debito scaduto c'è una tolleranza di 30 giorni , scaduti i quali , il creditore porterà il debitore in giudizio. Se il debitore non pagherà, il creditore potrà condurlo a casa sua e tenervelo legato con cinghie e con ceppi. Il debitore potrà mantenersi a sue spese, altrimenti il creditore lo dovrà nutrire con una libbra o più, di farro al giorno. Se passati 60 giorni, per tre mercati successivi, nessuno pagherà la somma del riscatto, nel terzo giorno di mercato venga giustiziato o condotto oltre il Tevere per essere venduto.

TAVOLA VIII

Se qualcuno recita un malefizio sia punito con la morte. Chi avrà lanciato un incantesimo contro il raccolto altrui, sia punito con la morte

TAVOLA VIII

Un patrono se reca danno a un cliente, sia maledetto

TAVOLA IV

TAVOLA XI

Se un padre ha venduto come schiavo il figlio tre volte, il figlio sarà libero dall'autorità paterna

È vietato il matrimonio tra plebei e patrizi

La legge Canuleia (in latino, lex Canuleia de conubio patrum et plebis) fu una legge proposta dal tribunodella plebe Gaio Canuleio nel 445 a.C., con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei. Taledivieto è risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di Roma ed è codificato dalle Leggi delle XII tavole.Tito Livio riporta che, quando il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò la sua legge, l'effetto fudirompente. Il patriziato romano si oppose. In pericolo era la gestione del potere:«Nam an

445 a.C.

«Infatti all'inizio dell'anno il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò una legge sul matrimonio tra patrizi e plebei in seguito alla quale i patrizi ebbero a temere che il loro sangue fosse contaminato e ne fossero sconvolti i diritti detenuti dalle famiglie del patriziato.» In realtà la lex Canuleia non poteva all'epoca essere definita come una lex, né tanto meno come un vero e proprio plebiscito: infatti, l'iter legis doveva iniziare necessariamente con la proposta (rogatio) da parte di un magistrato maggiore (mentre Canuleio era un tribuno della plebe); non poteva essere nemmeno un plebiscito perché all'epoca dell'emanazione della lex Canuleia, il plebiscito vincolava ancora solo i plebei, mentre questa norma interessava e vincolava necessariamente anche i patrizi. Fu, quindi, più precisamente,un accordo concluso tra i rappresentanti patrizi e quelli plebei.

LEX CANULEIA

La legge Canuleia (in latino, lex Canuleia de conubio patrum et plebis) fu una legge proposta dal tribunodella plebe Gaio Canuleio nel 445 a.C., con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei. Tale divieto è risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di Roma ed è codificato dalle Leggi delle XII tavole.Tito Livio riporta che, quando il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò la sua legge, l'effetto fudirompente. Il patriziato romano si oppose. In pericolo era la gestione del potere: «Nam anni principio et de conubio patrum et plebis C. Canuleius tribunus plebis rogationem promulgavitqua contaminari sanguinem suum patres confundique iura gentium rebantur.»

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad. : G.D. Mazzocato).

LEX POETELIA-PAPIRIA

LEGES LICINIAE SEXTIAE

La Lex Poetelia Papiria de nexis del 326 a.C. era una legge della Repubblica romana che stabiliva e disponeva che i nexi (quindi tutte le persone sui iuris provvisoriamente ridotte sotto il potere assoluto di un creditore insoddisfatto) non fossero da trattare nel modo rigoroso, di ceppi ai piedi sino alla sopportazione del ius vitae ac necis in cui erano trattati o potevano essere trattati i sottoposti a pieno titolo (filii, servi etc.) ma trattati come soggetti momentaneamente sottoposti a potestas altrui, quindi soggetti giuridici limitati. Il nexum, ovvero l'accordo con cui il debitore forniva, come garanzia di un prestito, l'asservimento di se stesso - o di un membro della sua famiglia su cui avesse la potestà (un figlio ad esempio) - in favore del creditore fino all'estinzione del debito.Nel racconto di Tito Livio, questo si deve al caso di Caio Publilio, che si era dato in schiavitù a Lucio Papirio, per il debito del padre. Infatti Lucio, invaghitosi del giovane Caio, lo aveva fatto fustigare, quando questo si era rifiutato di cedere alle sue lusinghe. Il giovane riuscì a liberarsi del creditore, raccontando quanto accaduto alla folla di gente, che in tumulto, obbligò i consoli eletti per quell'anno (326 a.C.), Lucio Papirio Cursore e Gaio Petelio Libone Visolo, a promulgare la legge. Da quel momento soltanto i beni del debitore, potevano essere presi a garanzia del credito.

Le leggi Licinie Sestie furono un insieme di proposte, poi divenute leggi, avanzate dai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano nel 367 a.C.Si ebbero tre rogazioni di queste leggi:• De aere alieno: sosteneva che le usure pagate si computassero a diminuzione del capitale e che i debitori potessero soddisfare i loro creditori in tre rate annue uguali;• De modo agrorum: sosteneva che fosse vietato di possedere più di 500 iugeri di ager publicus e di far pascolare sui terreni pubblici più di 100 capi di bestiame grosso e 500 di minuto, e che ci si dovesse servire di una certa aliquota di lavoro libero;• De consule plebeio: sosteneva la possibilità ai plebei di accedere al consolato. In seguito, poi, ad una insurrezione, nel 342 a.C. i plebei ottennero che uno dei due seggi del consolato, magistratura sino ad allora tipicamente patrizia, fosse riservato alla classe plebea. Al fine di compensare la perdita subita, ai patrizi fu riservata la magistratura del praetor minor con funzioni essenzialmente giurisprudenziali; si stabilì, altresì l'ammissione dei patrizi alla carica plebea degli aediles.Parte della dottrina ha ritenuto che le leges Liciniae Sextiae nascondessero in realtà un vero e proprio accordo politico fra patrizi e plebei.

300 a.C.

LEX OGULNIA

La Lex Ogulnia, promulgata nel 300 a.C., è uno degli esiti della lunga lotta di classe che oppose patrizi e plebei nell'età repubblicana dell'antica Roma. Si ricordi però che già prima del 367 a.C. i plebei erano stati ammessi nel collegio sacerdotale dei decemviri sacris faciundis. Con questa legge, il pontificato massimo e i vari collegi sacerdotali vennero resi accessibili ai plebei, aumentando il numero dei pontefici da cinque a otto, e quello degli organi sacerdotali da cinque a nove. La lunga gestazione di questo provvedimento mostra il rilievo politico e ideologico che era attribuito a tali figure sacerdotali. Il primo pontefice massimo plebeo - che dunque ne beneficiò - fu Tiberio Coruncanio nel 254 a.C.; il suoatto più significativo fu quello di rendere pubbliche le sedute del collegio pontificio, favorendo la "laicizzazione" della figura del giurista.

287 a.C.

LEX HORTENSIA

La Lex Hortensia de plebiscitis (287 a.C.) fu una legge promulgata a Roma ai tempi della Repubblica, dal dittatore Quinto Ortensio a seguito di un ennesimo conflitto tra patrizi e plebei. La legge imponeva che le deliberazioni prese durante il Concilia plebis (concilio della plebe) dovessero vincolare tutto il popolo romano. La diretta conseguenza fu l'equiparazione dei cosiddetti Plebiscita (le decisioni dei concilia plebis tributa), alle leges rogatae, le quali erano le deliberazioni dei comitia centuriata.

GENS OGULNIA

434 a.C.

LEX DE POTESTATE CENSORIA

LEX DE BELLO INDICENDO

Legge emanata dal dittatore Mamerco Emilio intorno al 434 a.C. Molto probabilmente fu questa legge a fissare a 18 mesi il termine massimo per la durata in carica dei censori. Fino a quel momento, i censori, dovendo assolvere ad un compito specifico, rimanevano in carica per un tempo indeterminato finché non si provvedeva ad eleggere una nuova coppia di censori.

La Lex de bello indicendo dava ai comizi centuriati l'autorità di decidere a chi Roma dichiarasse guerra.La Roma repubblicana era governata da una serie di istituzioni, vale a dire: Senato, Magistrature e Comitia. Mentre le relazioni estere erano condotte dal Senato e dai consoli (magistrati supremi), la decisione finale di dichiarare guerra a un nemico di Roma era presa dal popolo romano, che esprimeva la sua decisione attraverso i Comitia Centuriata con voto collegiale.Questo sistema, che potrebbe essere descritto come democratico, era in realtà di natura oligarchica. Poichè la metà delle centurie apparteneva alle classi patrizie (senatori ed equestri) e spettava a loro, votando per primi in assemblea, decidere se fare o meno la guerra contro i nemici di Roma.

politica estera FOEDUS CASSIANUM

Il Foedus Cassianum fu un trattato di pace stipulato nel 493 a.C. tra Romani e Latini. A seguito della battaglia, nel 493 a.C., viene stipulato il foedus Cassianum, così chiamato dal nome del console romano che lo sigla, Spurio Cassio. Con questo accordo, i Romani e i Latini si impegnano a mantenere la pace e, in caso di attacco da parte di terzi, a prestarsi reciproco aiuto: all’occorrenza ognuna delle due parti deve fornire lo stesso numero di soldati che si riuniscono in un unico esercito, comandato da Romani e Latini ad anni alterni; inoltre, il bottino di guerra viene equamente suddiviso. Nell’ambito dei rapporti quotidiani, il foedus Cassianum sancisce la concessione di tre fondamentali diritti:1. ius connubii: il diritto di contrarre matrimoni legittimi tra Romani e Latini;2. ius commercii: il diritto di effettuare liberi scambi commerciali tra Roma e le città del Lazio che vanno a formare una comunità economica;3. ius migrationis: il diritto di spostare la residenza da Roma ad una città del Lazio e viceversa e, con questo, di ottenere i pieni diritti civili.

Le conseguenze del foedus Cassianum

foedus casianum

Le clausole di questo trattato dimostrano che si tratta di un foedus aequum, un accordo equo che pone su un piano paritario le due parti contraenti. Questa parità di condizioni stride con la testimonianza delle fonti antiche a proposito della vittoria di Roma sui Latini: se così fosse stato, il foedus conseguente sarebbe stato iniquum, non equo.Gli studiosi hanno ritenuto, pertanto, che la battaglia del lago Regillo si sia in realtà conclusa con un sostanziale pareggio, senza che nessuna delle due parti sia riuscita effettivamente a superare l’altra. La tradizione storiografica romana ha poi costruito l’episodio dell’apparizione dei Dioscuri per giustificare lo stato di superiorità di Roma.

Il foedus Cassianum ha avuto un grande importanza per le relazioni romano-latine: esso, infatti, è riuscito aregolare e rendere pacifici i rapporti tra Roma e le città latine per più di 150 anni, fino al 338 a.C., quando aseguito della cosiddetta Grande Guerra Latina Roma sconfigge le città del Lazio, scioglie la Lega e questavolta stipula con ognuna di loro un foedus iniquum (che le vincola strettamente a Roma in ambito di politica estera, obbligandole a fornire, in caso di guerra, un contingente militare proporzionale alla consistenza demografica).L’importanza che il sostegno della Lega Latina ha per la stabilità del potere di Roma si rende in particolar modo evidente all’indomani del sacco del Campidoglio da parte dei Galli (390 a.C.): gran parte delle città vicine, infatti, approfitta del momento di debolezza dei Romani per ribellarsi a loro e attaccarli; le città della Lega, invece, si mantengono fedeli, permettendo a Roma di riprendersi dall’assalto gallico con una rapidità tale che, nel giro di trent’anni, la porterà ad ingaggiare un lungo conflitto con i Sanniti, abitanti dell’attuale Campania, per estendere il proprio dominio nella parte meridionale della penisola italiana.

I DISCORSI DI POLITICA

Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XV, 20, 74-75) e Plutarco (Vita di Catone maggiore, 27) narrano che la prima volta che con queste parole Catone pubblicamente manifestò il desiderio di voler distrutta Cartagine, egli estrasse dalla tunica un cesto di fichi, dimostrando così che se il fico, tra i frutti più delicati, riusciva a conservarsi intatto lungo il viaggio da Cartagine, allora voleva dire che la città punica era troppo vicina a Roma e pertanto era necessario che fosse distrutta. Per sua sfortuna Catone, l’uomo che voleva distrutta Cartagine, non potè assistere alla spedizione contro Cartagine che i romani intrapresero nel 149 a.C.: morì infatti qualche tempo prima, nello stesso anno.

Carthago delenda est (in latino “Cartagine dev’essere distrutta”) è un famoso motto latino che, data la frequenza con cui soleva essere pronunciato da un illustre uomo romano, lo rese celebre come l’uomo chevoleva distrutta Cartagine: l’uomo in questione è Marco Porcio Catone, altrimenti noto come Catone il censore. Costui, profondamente sfiduciato rispetto alla possibilità di stipulare una pace duratura con isecolari nemici di Roma, strenuamente voleva distrutta Cartagine e, proprio per questo motivo, era solito chiudere tutte le sue pubbliche orazioni in Senato con il sopracitato motto.

Cesto di fichi – Villa di Poppea – Oplontis

Dura lex sed lex

È un modo per affermare la supremazia della legge rispetto sia alle ragioni del singolo cittadino, sia al concetto di giustizia sostanziale, da cui la prima a volte si discosta nell’interesse della certezza dei rapporti giuridici e dell’interesse collettivo.

https://www.romanoimpero.com/2020/07/le-leggi-romane.html

grazie per l'attenzione