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Salvatore Quasimodo
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Created on May 24, 2021
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Transcript
Salvatore Quasimodo
Alle fronde dei salici
Uomo del mio tempo
Ed è subito sera
Salvatore Quasimodo
vita
opere
poetica
Alle fronde dei salici
Una poesia intensa , vibrante e sofferta. Il lamento di dolore del poeta che s’immedesima con la sofferenza degli Italiani sotto l’occupazione tedesca. Il dolore per la crudeltà che si stava vivendo era così grande che i poeti non scrivevano più versi. Di fronte a tanto strazio la poesia è impotente. L’arte non può che tacere quando mancano i più elementari sentimenti di pietà ed umanità. Quasimodo prende spunto proprio dal salmo 137 della Bibbia che narra degli Ebrei che avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la voglia di cantare perché schiavi in terra straniera. " La poesia è stata scritta alla fine dell’inverno del 1944 nel periodo più crudele della nostra storia. Nasce da un richiamo a un salmo della Bibbia, precisamente il 137, che parla del popolo ebreo trascinato in schiavitù a Babilonia. È un riferimento culturale. Il poeta non canta, dico io nel primo verso; e questo lo dicevano gli ebrei perché il canto è la rivelazione più profonda del sentimento dell’uomo. “Al lamento / d’agnello dei fanciulli” , da questo sterminio non è stata risparmiata nemmeno l’infanzia. Basta ricordare l’episodio di Marzabotto dove sono stati fucilati e bruciati 1800 italiani. Fra questi, anche bambini di due anni» (Salvatore Quasimodo).
Parafrasi
Testo
E come potevano noi poeti scrivere poesie durante l'occupazione straniera nella nostra amata terra, fra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba resa dura dal ghiaccio, davanti al lamento innocente dei fanciulli, all'urlo straziante della madre che va incontro al figlio impiccato al palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per scelta votiva anche le nostre cetre erano appese, oscillavano leggere in balia del triste vento (del male e del dolore)
E come potevano noi cantareCon il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
Uomo del mio tempo
Uomo del mio tempo è una poesia composta da Salvatore Quasimodo, che compare come ultima nella raccolta Giorno dopo giorno, pubblicata nel 1946. In questa poesia, scritta dopo i bombardamenti sui civili, la scoperta dei lager, il lancio della prima bomba atomica, Quasimodo riflette sull’immutabilità della natura umana. Il progresso tecnico non ha reso migliore l’uomo, che è rimasto quello «della pietra e della fionda»: anzi, la scienza è stata messa al servizio della violenza e dello sterminio. L’appello finale invita le nuove generazioni a cancellare le atrocità commesse dai padri grazie a una rinascita uman perché ciò che è accaduto non debba mai più ripetersi.
Parafrasi
Testo
Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: e loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Uomo del mio tempo sei ancora rozzo e crudele come l'uomo primitivo che cacciava con le fionde e con le pietre. Eri nella cabina di pilotaggio con le ali cariche di bombe, pronto a iniziare il massacro, t'ho visto nei carri armati, al patibolo, nei luoghi di tortura dei tuoi simili. T'ho visto: eri tu, con le tue doti scientifiche volte al solo scopo di massacrare, senza orgoglio e religione. Hai ucciso ancora come sempre, come lo fecero i tuoi antenati e come lo fanno da sempre gli animali che ti videro per la prima volta. (E questo sangue ha lo stesso odore di quello del giorno in cui ) Il tuo comportamento ha la stessa crudeltà di quando Caino disse ad Abele: "Andiamo nei campi". E quelle parole dure e spietate sono arrivate fin nella tua vita. O figli dimenticate le crudeltà che sono state fatte in terra dai vostri padri: le loro tombe sono sommerse dalla cenere dell'oblio e gli uccelli neri e il vento oscurano il loro cuore di rammarico e di dolore.
Ed è subito sera
Ed è subito sera è un testo poetico di Salvatore Quasimodo, apparso per la prima volta nella raccolta Acque e Terre, del 1930, come parte finale della lirica Solitudini, sedicesimo testo dell’opera. L’autore ha in seguito scelto di isolare questi tre versi di straordinaria potenza e di farne una lirica a sé stante, databile intorno al 1936 e confluita nel 1942 nell’omonima raccolta Ed è subito sera, opera che contiene tutte le raccolte precedenti di Quasimodo con l’aggiunta delle Nuove Poesie.
La peculiarità di questa poesia consiste nella capacità dimostrata da Quasimodo di condensare in soli tre versi una profonda riflessione sulla condizione umana, abbracciata nella sua totalità. Il testo, tanto breve nella forma quanto efficace da un punto di vista comunicativo, è passato alla storia come uno dei testi-simbolo dell’ermetismo: per i poeti ermetici la scelta di una parola poetica estremamente essenziale ed enigmatica si rivela infatti indispensabile per dare voce al tormento degli uomini durante il ventennio fascista, periodo durante il quale non era possibile menzionare esplicitamente i fatti storici e politici in letteratura. La poesia ermetica è pertanto caratterizzata da uno stile tragico e solenne e da un linguaggio “puro”, astratto, distante dalla concretezza degli eventi quotidiani: esso è testimonianza di un desiderio di assoluto, di un vano tentativo di elevarsi al di sopra dell’umanità e del suo triste destino. Proprio la tragica sorte dell’uomo rappresenta la tematica portante di Ed è subito sera, che, da un punto di vista dell’interpretazione letterale, sembra descrivere con estrema fugacità il momento del tramonto, che diviene per il poeta occasione di introspezione e riflessione sulla vita umana nella sua complessità.
Testo
Parafrasi
OGNUNO STA SOLO SUL CUORE DELLA TERRA TRAFITTO DA UN RAGGIO DI SOLE: ED È SUBITO SERA.
Il primo verso si apre con un pronome indefinito (“Ognuno”) che è anche un soggetto collettivo: l’io lirico del poeta riconosce in se stesso una condizione di radicale solitudine che lo induce a identificarsi con tutta l’umanità.L'uomo pensa di essere al centro della terra, ma poi si rende conto di essere solo un'inifinitesima parte di un universo sconfinato. Il “raggio di sole” che “trafigge” ogni uomo indica la potenza vitale della luce solare, che illumina la parabola dell’esistenza umana con una gioia improvvisa, ma d’altro canto la ferisce a causa della sua stessa fugacità Con il terzo e ultimo verso irrompe in modo evidente nella poesia la tematica della brevità della vita, della fugacità del tempo e dell’irreparabile finitezza della vita umana, che sempre si conclude con un epilogo di morte.