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Dialogo di Tristano e di un amico
presti.m
Created on May 23, 2021
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Transcript
Giacomo leopardi
DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO
In questo dialogo è possibile ritrovare una struttura argomentativa. Leopardi, che si identifica con Tristano, finge di appoggiare la visione ottimistica e le scoperte del secolo decimonono. Infatti con tono ironico dice di essere tornato in sè e di aver cambiato opinione, ma in realtà il dialogo si chiude con la riconferma dei suoi principi morali. Il testo si può schematizzare in questo modo:
TESI
La vita è infelice e l'unico modo per porre fine alle sofferenze è aspettare il sopraggiungere della morte.
ARGOMENTAZIONI
CONTROARGOMENTAZIONE
L'uomo si autoconvince di essere felice, ma in realtà non è così.
Con l'ausilio dell'ironia Leopardi afferma che l'infelicità dell'uomo è uno degli errori inveterati dell'intelletto e che la felicità della vita è una delle scoperte del secolo decimonono.
La sua filosofia si ispira ai poeti dell'antichità come ad esempio Omero e Salomone, i quali sono esponenti dell'estrema infelicità umana.
Leopardi non si sottomette alla sua condizione (non ricorre al suicidio), ma ardisce desiderare la morte.
Gli uomini, universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole; e tale credono.
CITAZIONI DAL TESTO
CITAZIONI DAL TESTO
CITAZIONI DAL TESTO
CITAZIONI DAL TESTO
E anche mi ricordai che da quei tempi insino a ieri o all'altr'ieri, tutti i poeti e tutti i filosofi e gli scrittori grandi e piccoli, in un modo o in un altro, avevano ripetute o confermate le stesse dottrine.
E gli uomini sono codardi, deboli, d'animo ignobile e angusto; docili sempre a sperar bene, perchè sempre dediti a variare le opinioni del bene secondo che la necessità governa la loro vita.
Studiando più profondamente questa materia, conobbi che l'infelicità dell'uomo era uno degli errori inveterati dell'intelletto.
Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così contento, come se mai null'altro avessi sperato nè desiderato al mondo.
Commento
Il dialogo, posto a chiusura delle Operette morali, riassume il pensiero dell’autore attraverso le parole di Tristano che avvia una conversazione con un ignoto amico. Quest’ultimo non ha un ruolo fondamentale nel discorso, ma serve solo come “spalla” nel dialogo per poter esporre le argomentazioni di Tristano ovvero l’alter ego di Leopardi. Ciascuno di essi rappresenta due visioni di pensiero differenti:- l'AMICO rappresenta il conformista ovvero colui che appoggia le scoperte del suo secolo; - TRISTANO, dopo aver finto un'apparente ritrattazione delle sue convinzioni, si mostra come un'anticonformista: L'ironia sta alla base della conversazione tra i due personaggi e lo si può notare fin dalle prime battute iniziali, nelle quali Leopardi inverte subito la sua visione riguardo la condizione umana:
E sentendo poi negarmi, non qualche proposizione particolare, ma il tutto, e dire che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere effetto d'infermità, o d'altra miseria mia particolare, da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso, e per più giorni credetti di trovarmi in un altro mondo; poi, tornato in me stesso, mi sdegnai un poco; poi risi.
Tristano: Che v'ho a dire? Io aveva fitta in capo questa pazzia, che la vita umana fosse infelice. (AUTOIRONIA)Amico: Infelice sì forse. Ma pure alla fine... Tristano: No no, anzi felicissima. Ora ho cambiata opinione. Ma quando scrissi cotesto libro, io aveva quella pazzia in capo, come vi dico. (ANTITESI)
Dopo una serie di critiche rivolte alla natura umana, che tende sempre a vedere l'ottimismo nelle vicende che contraddistinguono la vita di ognuno, Leopardi ritiene la sua filosofia veritiera, ma dolorosa poichè mostra agli uomini il deserto della vita:
La quale [la filosofia] se non è utile ad altro, procura agli uomini forti la fiera compiacenza di vedere strappato ogni manto alla coperta e misteriosa crudeltà del destino umano.
Leopardi nell'affermare ciò trova appoggio negli uomini dell'antichità come Salomone e Omero:
i quali tutti sono pieni pienissimi di figure, di favole, di sentenze significanti l'estrema infelicità umana; e chi di loro dice che l'uomo è il più miserabile degli animali; chi dice che il meglio è non nascere, e per chi è nato, morire in cuna; altri, che uno che sia caro agli Dei, muore in giovanezza, ed altri altre cose infinite su questo andare.
Il tema della morte è il punto centrale dell'ultima parte di "monologo" di Leopardi. Un aspetto importante da sottolineare è che la morte deve avvenire in maniera naturale e non indotta dal suicidio. Egli desidera solo una cosa: morire. Tutti i desideri e le illusioni di un tempo non sono altro che un ricordo:
Libri e studi, che spesso mi maraviglio d'aver tanto amato, disegni di cose grandi, e speranze di gloria e d'immortalità, sono cose delle quali è anche passato il tempo di ridere.
Nelle ultime righe, Leopardi si congeda, come se stesse lasciando dietro di sè tutto quello che ha vissuto. Augura il meglio ai posteri e a coloro che hanno ancora una lunga vita davanti ed afferma che egli desidera la morte come nessun altro ha mai desiderato:
Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così contento, come se mai null'altro avessi sperato né desiderato al mondo.
Leopardi rivela la sua visione della vita anche tramite il lessico, che vede la vita come una favola, ovvero una commedia:
[...] così morto come sono spiritualmente, così conchiusa in me da ogni parte la favola della vita
L'autore spiega che non ha più alcuna speranza se non quella di morire, lo fa ponendosi di fronte alla possibilità di ottenere i successi di due condottieri e regnanti dell'antichità, Giulio Cesare e Alessando Magno, dimostrando che non ha alcun interesse nei desideri più comuni degli uomini:
Se mi fosse proposta da un lato la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro netta da ogni macchia, dall'altro di morir oggi, e che dovessi scegliere, io direi, morir oggi, e non vorrei tempo a risolvermi.
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