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PFAS, PFOAS, PFOS - Carotenuto Alessia 3BBS
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Created on May 15, 2021
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PFAS, PFOAS, PFOS
Alessia Carotenuto
3BBS
17 maggio 2021
Chimica organica
PFAS
PFOA
Cosa significa?
Cosa significa?
La sigla PFAS indica Sostanze Perfluoro Alchiliche (acidi perfluoroacrilici): è una famiglia di composti chimici utilizzata prevalentemente in campo industriale. Sono catene alchiliche idrofobiche fluorurate: in estrema sintesi, sono acidi molto forti usati in forma liquida, con una struttura chimica che conferisce loro una particolare stabilità termica e li rende resistenti ai principali processi naturali di degradazione.
Il PFOA, o acido perfluoroottanoico, è un composto utilizzato nella produzione e nella lavorazione di alcuni materiali plastici. Viene utilizzato principalmente per la produzione di prodotti con proprietà idrorepellenti e oleorepellenti come tessuti impermeabili o pentole antiaderenti. Il PFOA è identificato come una "sostanza estremamente preoccupante", poiché è classificato come "PBT", o sostanza persistente, bioaccumulabile e tossica, poiché persiste effettivamente nell'ambiente e può accumularsi in organismi biologici.
Il PFOA è stato collegato a una serie di problemi di salute nell'uomo, tra cui aumento del colesterolo, colite ulcerosa, patologia tiroidea, cancro ai testicoli, cancro al rene e ipertensione indotta dalla gravidanza, inoltre studi sugli animali hanno indicato effetti avversi sullo sviluppo.
QUANDO UN AVVOCATO INCASTRÒ DA SOLO LA DUPONT PER AVER AVVELENATO L’ACQUA DI UN’INTERA CITTÀ
Se oggi sappiamo come il PFOA sia arrivato a contaminare tutti gli animali è grazie dell’avvocato ambientalista statunitense Robert Bilott. La battaglia legale tra la multinazionale del settore chimico DuPont e Robert Bilott inizia nel 1998, quando l’avvocato viene contattato da Wilbur Tennant, un allevatore del West Virginia. Nel 1998 Wilbur e i suoi fratelli possiedono più di 600 acri di proprietà e 200 mucche. Poi all’improvviso le bestie iniziano ad ammalarsi e a morire. Quando Tennant chiama Bilott, gli racconta che più di 153 mucche sono morte nel corso degli ultimi anni. L’allevatore ha raccolto centinaia di fotografie e di video per testimoniare le condizioni di salute deli animali poco prima di morire o subito dopo: molto magre, con le pupille di un innaturale blu brillante, gli zoccoli deformati e altre disfunzioni. La misteriosa moria di animali è iniziata subito dopo la decisione del fratello di Wilbur, Jim Tennant, di vendere 60 acri dei terreni di famiglia all’azienda chimica DuPont. Il colosso chimico vuole utilizzare la terra comprata come deposito di stoccaggio di una parte dei suoi rifiuti, ribattezzato Discarica “Dry Run”, come il corso d’acqua che lo attraversa. Corso d’acqua che raggiunge anche i pascoli dove vengono allevate le mucche dei Tennant. Quando Bilott fa pressione sulla DuPont per avere chiarimenti, l’azienda gli risponde inviandogli 110mila pagine di documentazione, sperando che la mole di lavoro lo faccia desistere dal cercare la verità su quanto accaduto.
QUANDO UN AVVOCATO INCASTRÒ DA SOLO LA DUPONT PER AVER AVVELENATO L’ACQUA DI UN’INTERA CITTÀ
L’avvocato dopo le prime ricerche scopre che la sostanza che sta avvelenando le mucche del suo assistito non è neanche segnalata nell’elenco delle sostanze pericolose stilato e aggiornato periodicamente dall’Environmental Protection Agency (Epa), l’agenzia federale degli Stati Uniti incaricata di tutelare la salute ambientale e umana del Paese. In particolare, i documenti forniti dalla DuPont fanno spesso riferimento al PFOA-C8, meglio noto come Teflon. Scoperto nel 1938 e impiegato in ambito militare durante la Seconda guerra mondiale, questo materiale è stato poi utilizzato su larga scala nell’industria civile, a partire dalla produzione delle padelle antiaderenti. Questo non ha impedito alla DuPont di riversare, tra il 1951 e il 2003, quasi 7100 tonnellate di PFOA-C8 nei corsi d’acqua limitrofi al suo stabilimento di Washington Works, fino a contaminare il vicino fiume Ohio. Grazie al report compilato da Bilott e inviato al Dipartimento di giustizia di Washington e all’Epa, nel 2005 l’ente ambientale multa la DuPont per 16,5 milioni di dollari per aver insabbiato i rischi legati allo smaltimento del PFOA. Dopo la sentenza Bilott decide di non fermarsi,è ossessionato dall’idea che tutti gli abitanti di Parkersburg e delle cittadine nei dintorni dello stabilimento di Washington Works dovranno convivere per il resto della loro vita con le conseguenze di quanto fatto e nascosto per anni dalla DuPont.
QUANDO UN AVVOCATO INCASTRÒ DA SOLO LA DUPONT PER AVER AVVELENATO L’ACQUA DI UN’INTERA CITTÀ
Secondo i calcoli in suo possesso, almeno 100mila persone hanno bevuto o sono entrate in contatto per anni con acqua contaminata dal PFOA. Bilott cerca allora di organizzare una class action collettiva; per farlo gli servono dati medici certi da presentare in tribunale come prova: la sostanza chimica, infatti, non è riconosciuta come tossica dal governo e questo impedisce di muovere accuse sulla sua responsabilità legale. La DuPont accetta di finanziare una serie di studi a patto che prima dell’uscita dei risultati non vengano intentate cause individuali contro l’azienda. Allo studio richiesto dall’avvocato partecipano 70mila abitanti del West Virginia, che donano il loro sangue per una serie di test.
La ricerca costa alla DuPont 33 milioni di dollari, ma le fa guadagnare sette anni di tempo, quelli impiegati dagli scienziati per elaborare i dati ottenuti. La tensione di quegli anni costringe Bilott, addirittura, al ricovero in ospedale per un’ischemia. Quando nel dicembre del 2011 arrivano i risultati, i ricercatori hanno pochi dubbi e parlano di “probabili legami” tra il PFOA e l’insorgere di cancro ai reni e ai testicoli, disfunzioni della tiroide, picchi del colesterolo e ulcere intestinali. Ora che il nesso è evidente, la DuPont cerca di limitare i danni portando in tribunale uno alla volta gli oltre 3500 contenziosi intentati nei suoi confronti, tattica giù usata con successo dalle grandi lobby del tabacco: a un ritmo di quattro processi l’anno le cause dovrebbero esaurirsi nel 2890. Dopo la vittoria di Bilott nei primi tre contenziosi e i risarcimenti milionari imposti alla DuPont, nel 2017 l’azienda chimica ha deciso di accettare la class action guidata dall’avvocato e di accordarsi per una maxi multa da 671 milioni di dollari. L’utilizzo a livello industriale e la produzione di PFOA sta venendo progressivamente abbandonato dalla DuPont e dagli altri gruppi chimici, ma tracce di questa sostanza sono ormai presenti nel sangue del 99% delle forme di vita presenti sulla Terra..
Questo problema è arrivato anche in italia?
Durante l’ultima udienza i difensori hanno cercato di smontare le tesi dell’accusa, sostenendosi che non vi siano certezze sugli effetti nocivi delle sostanze perfluoroalchiliche per l’uomo.Il GIP ha invece ritenuto che la tesi dell’accusa, centrata su reati dolosi e non colposi, debba essere rivalutata. In Corte d’assise si aprirà una battaglia non solo giuridica, ma anche scientifica e tecnica per valutare l’entità dei danni causati, oltre alle responsabilità individuali.La Regione ha avviato una campagna di screening sulla popolazione colpita, circa 300mila individuiI PFAS sono finiti nella falda che scorre sotto buona parte del Veneto, in particolare nelle province di Vicenza, Padova e Verona. A vario titolo, i reati contestati sono quelli di avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta per il fallimento della società per azioni, poi acquisita da una proprietà giapponese.
Il caso Miteni
Si tratta di uno dei più gravi disastri ecologici avvenuti a Nordest a causa di scarico di Pfas. I danni riguardano decine di migliaia di persone.La vicenda è diventata di pubblico dominio nel maggio 2013, quando il ministero dell’Ambiente comunicò alla Regione Veneto l’esito di uno studio commissionato al Cnr-Irsa da cui emergevano le concentrazioni preoccupanti di Pfas nelle acque potabili di alcuni comuni veneti. Si decise di intervenire legalmente. Il drappello di imputati è costituito da manager giapponesi della Mitsubishi Corporation, della lussemburghese International Chemical Investors,citati come responsabili civili, per rispondere in solido del danno, e della Miteni stessa, con l’addebito di bancarotta per il mancato accantonamento delle somme necessarie per la bonifica dei terreni e delle acque contaminate. Le parti civili costituite sono oltre duecento, tra loro molte associazioni di tutela della salute e dell’ambiente, quattro società idriche che sono state danneggiate, Ministeri, Comuni e Regione Veneto. Le contestazioni riguardano i comportamenti dei vertici aziendali che avrebbero continuato a sversare le sostanze nelle acque sotterranee e di falda, anche se erano a conoscenza dell’inquinamento in atto e senza adottare le precauzioni richieste dalla legge.
Questo problema è arrivato anche in italia?
Il caso Solvay e la condanna per disastro ambientale
Solvay Solexis è un’industria chimica belga, leader mondiale per la produzione di soda e bicarbonato situata in Piemonte. Questa produce 35 composti chimici, 14 dei quali sono ufficialmente riconosciuti come sostanze chimiche estremamente preoccupanti dall’Ue. Nel 2008 uno studio del suolo vicino allo stabilimento Solvay di Alessandria evidenzia la contaminazione del terreno In pochi mesi l’industria viene portata in tribunale per disastro ambientale e dopo dieci anni, a dicembre 2019, vengono condannati tre dirigenti Nel 2010 nel fiume Bormida, che scorre vicino allo stabilimento, vengono ritrovate tracce di Pfoa Nel 2013 l’industria registra presso il Registro per le sostanze chimiche dell’Echa il cC6O4, in sostituzione del Pfoa. Il nuovo composto, un Pfas a catena corta, in poco tempo diventa uno dei prodotti più importanti dell’azienda e nel dicembre 2019 ne viene chiesto l’ampliamento della produzione, che serve ad assorbire il lavoro non più svolto dalla Miteni fallita.
Nel giugno 2020 la sostanza viene trovata nelle acque dei pozzi di Montecastello, vicino allo stabilimento Solvay, e il sindaco chiude la rete idrica. Attualmente il composto è ancora in attesa dell’esame dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche, per ora quindi il registro Reach contiene solo i dati presentati da Solvay, che descrive il C6O4 come non è biopersistente né bioaccumulabile
Dove vengono utilizzati questi composti?
Prodotti da costruzione
Elettronica
Articoli medicali
Prodotti ad uso domestico
Come materiali di rivestimento resistente agli incendi o agli agenti atmosferici in varie applicazioni relative all'edilizia. Inoltre possono essere utilizzati come additivi (per migliorare le proprietà lucide e antistatiche) miscelati nelle pitture, dove è richiesta una tensione superficiale molto bassa.
Prodotti ad uso domestico: sono utilizzati per rivestire le superfici delle pentole per conferire proprietà antiaderenti, come i detergenti, lucidanti per pavimenti e vernici, applicati per trattare tessuti, rivestimenti, tappeti e pelle
Grazie alle loro proprietà dielettriche e idrorepellente, sono utilizzati in applicazioni come nei circuiti stampati, che sono laminati di rame su uno strato di fluoropolimero rinforzato con fibre.
Il carattere inerte e non adesivo dei fluoropolimeri li rende materiali adatti per impianti/protesi mediche. I tessuti medicali, come teli e camici chirurgici sono trattati al fine di renderli impermeabili e resistenti alle macchie.
Dove vengono utilizzati questi composti ?
Energia
Placcatura di metalli
Prodotti antincendio
I fluoropolimeri (ad esempio film FEP) sono applicati per coprire collettori solari, al fine di migliorare la loro resistenza agli agenti atmosferici.
Utilizzati come placcatura di metalli duri e placcatura decorativa
I PFAS sono utilizzati in schiume antincendio ed equipaggiamenti antincendio.
Tessuti, pelle, tappeti, abbigliamento e tappezzeria
Carte e imballaggi
Petrolio e produzione mineraria
Conferiscono proprietà oleorepellenti e idrorepellenti a prodotti come carta, cartone e pasta di carta, compresi quelli che sono a diretto contatto con gli alimenti
Automotive
Cavi e cablaggi
Aviazione, settore aerospaziale e di difesa
Utilizzati principalmente come fluoropolimeri per migliorare i sistemi di erogazione del carburante e per prevenire infiltrazioni di benzina.
Grazie alle loro proprietà dielettriche, bassa infiammabilità e altre proprietà meccaniche
Utilizzati in vari componenti meccanici o come additivi con un contenuto pari o inferiore allo 0,1% in fluidi idraulici per prevenire evaporazione, incendi e corrosione.
È possibile avere lo stesso risultato delle padelle antiaderenti senza rischiare?
Come scegliere una padella antiaderente in sicurezza?
1 - Diffidare dai prezzi bassi, significa che la qualità dei materiali e lo studio in fase di progetto dello strumento sono estremamente bassi. 2 - Diffidare della leggerezza dello strumento, la qualità e la sicurezza di una padella dipendono dal suo spessore, più è alto e minore è il rischio di surriscaldamento eccessivo. 3 - Rispettare sempre le istruzioni riportate sulla confezione. 4 - Evitare di utilizzare strumenti appuntiti che potrebbero danneggiare il rivestimento. 5 - Evitare le temperature troppo elevate, soprattutto se a secco.
Certo, non tutte le padelle antiaderenti sono cancerogene, ma bansì sono quelle che contengono PFOA. Per questo è importantissimo scegliere pentole antiaderenti con la sigla PFOA FREE. Questo significa che l'azienda di produzione ha scelto dei diversi metodi per realizzare l'ultimo strato dello strumento, direttamente a contatto con il cibo. Ad esempio, tutte le pentole antiaderenti di Pentolpress sono PFOA e NICKEL FREE, 100% Made in Italy, qualità e sicurezza garantita.
Per scoprire ulteriori alternative ai prodotti che contengono PFOA è possibile consultare il sito:https://www.pfasfree.org.uk/current-initiatives/pfas-free-productsChe propone una serie di iniziative che cercano di combattere questo tipo di componenti.
Esistono delle soluzioni?
Contro le aspettative l’analisi dei nuclei di sedimenti dalle acque durante gli anni ’80 ha mostrato che i PCB stavano lentamente perdendo i loro atomi di cloro e trasformandosi in idrocarburi non dannosi. Gli scienziati hanno stabilito che la trasformazione è stata eseguita da microorganismi. Questo ha portato i ricercatori a studiare la possibilità che alcuni ceppi batterici possano trasformare sostanze PFAS.Usualmente, per trattare l’acqua contaminata, i rimedi prima accumulano i PFAS, tipicamente tramite un filtro a carbone attivo, e poi inceneriscono i filtri saturi grazie ad alte temperature. Tuttavia molti studi dimostrano che l’incenerimento è dannoso perché i PFAS invece che degradarsi si possono diffondere nell’atmosfera.
E quali sono quelle possibili?
L'utilizzo di microrganismi potrebbe essere più conveniente per bassi livelli di PFAS in grandi volumi di materiale contaminato. Finora tuttavia non è stato trovato alcun organismo in grado di defluorizzare completamente i PFAS ma gli esperti non si danno per vinti.Per esempio, dopo il disastro ambientale della piattaforma Deepwater Horizon, nel 2009, e la fuoriuscita di petrolio, gli scienziati hanno scoperto che i microorganismi hanno fagocitato la maggior parte dei composti idrocarburici ricchi di energia che si sono riversati nel Golfo del Messico, risolvendo parte del problema in modo naturale. I composti alogenati come i PCB contengono molta meno energia degli idrocarburi, ma i batteri possono ancora usarli
Quali sono state le ipotesi per trovare una soluzione?
Pedro J. J. Alvarez, un ingegnere ambientale presso la Rice University, aveva lavorato con batteri in grado di produrre abbondanti quantità di superossido al di fuori delle loro cellule. Alvarez ha letto che il superossido generato dalla decomposizione del perossido di idrogeno potrebbe abbattere i PFOA quindi ha proposto che i batteri che generano superossido potrebbero forse degradare i PFAS. Di conseguenza egli e i suoi colleghi hanno scoperto, tuttavia, che il superossido generato chimicamente o enzimaticamente non è in grado di abbattere il PFOA ma, allo stesso tempo hanno scoperto che anche un’altra sostanza studiata per la degradazione del PFOA, i radicali idrossilici, non poteva degradarlo. Ma Alvarez non si scoraggiò: batteri sono efficaci anche quando è presente ossigeno, questo potrebbe farli competere con il TCE come accettore di elettroni. Poiché il TCE è un co-contaminante comune con i PFAS, Alvarez pensa che i batteri che generano superossido potrebbero ancora rivelarsi utili eliminando altri inquinanti che possono interferire con i processi di bonifica che prendono di mira i PFAS. Inoltre crede nell’ipotesi dell’infallibilità microbica, sostenendo che un batterio troverà un modo per utilizzare anche composti resistenti come i PFAS.
Quali sono state le ipotesi per trovare una soluzione?
Liu studia la biotrasformazione di composti polifluorurati chiamati fluorotelomeri da oltre un decennio. I fluorotelomeri come l’acido 6:2 fluorotelomero solfonico, che viene utilizzato nelle schiume antincendio, contengono un tale punto suscettibile all’azione microbica. I batteri aerobici del genere Gordonia compiono una ben nota trasformazione sui fluorotelomeri: consumano la parte solfonata, lasciando un acido carbossilico perfluorurato altamente persistente. Liu ha osservato prodotti di biotrasformazione perfluorurati che sono uno o due atomi di carbonio più corti, suggerendo che Gordonia sarebbe anche in grado di tagliare la coda fluorurata un carbonio alla volta. Tuttavia, il gruppo di Liu ha osservato che la rimozione di solito si interrompe dopo due cicli. I ricercatori stanno lavorando per capire perché la defluorizzazione si arresta e come spingere i batteri a ripetere la rimozione fino a quando tutti gli atomi di fluoro non saranno scomparsi.
Jinxia Liu, ingegnere ambientale presso la McGill University, afferma che un fattore chiave per la facilità con cui un microorganismo può abbattere un composto fluorurato è che la molecola contenga un punto vulnerabile agli attacchi, come un legame carbonio-idrogeno.
Gordonia bronchialis
Quali sono state le ipotesi
per trovare una soluzione?
Yujie Men, dell’Università della California a Riverside, ha incubato una coltura microbica, disponibile in commercio, che viene solitamente utilizzata per la declorazione e che include i batteri Dehalococcoides, con lattato e una varietà di molecole perfluorurate. I microorganismi hanno degradato il 100% di una molecola perfluorurata insatura, dopo 70 giorni, rispetto a nessuno dei composti perfluorurati saturi Men sta lavorando per identificare i batteri specifici responsabili delle reazioni e degli enzimi coinvolti.
Per quanto riguarda il PFOA e PFOS un batterio originario delle zone umide del New Jersey potrebbe essere in grado di defluorurarli. Peter Jaffé e il suo gruppo dell’Università di Princeton hanno studiato A6, un ceppo del batterio Acidimicrobium, scoprendo che il microorganismo esegue una reazione chiamata Feammox, in cui trasferisce gli elettroni dagli ioni ammonio agli ioni ferro nel terreno acido. Il team ha quindi deciso di vedere cosa succede quando ad A6 viene somministrato solo PFAS come unica fonte di carbonio. Dopo oltre 100 giorni di incubazione con PFOA o PFOS i ricercatori hanno riscontrato una scomparsa fino al 60% dei composti, con un conseguente aumento del carbonio organico disciolto e degli ioni fluoruro.
Acidimicrobium
Dehalococcoides
Questi processi possono avvenire in natura?
In laboratorio, i ricercatori possono creare le condizioni ideali affinché i batteri si nutrano di PFAS o addirittura costringerli a farlo. La distribuzione di microbi nell’ambiente, tuttavia, presenta sfide significative. Gli studi di Jaffé e Men hanno utilizzato alte concentrazioni di PFAS, ma nell’ambiente reale, anche se i PFAS sono presenti in alcuni luoghi a livelli pericolosi per la salute delle persone, esistono in generale a concentrazioni di parti per miliardo. Inoltre, ci sono molte altre sostanze nell’ambiente con cui i batteri possono nutrirsi ed è difficile controllare ciò che scelgono. I ricercatori hanno notato i microbi nella cultura commerciale KB1 passare dal consumo di PFAS al consumo di un’alternativa come TCE quando è presente. Un altro parametro chiave è la velocità con cui l’acqua trasporterà i PFAS da un particolare sito a un altro luogo: se la migrazione è lenta, può avvenire un lento processo di degradazione microbica, ma se il tasso di migrazione è veloce, è meglio cercare una soluzione più aggressiva e più rapida. Proprio per questo un’opzione più fattibile è la bonifica ex situ, in cui il materiale contaminato viene pompato via e trattato in un bioreattore isolato in condizioni controllabili. In un impianto di trattamento, la bonifica biologica può anche essere abbinata alla bonifica chimica.
É possibile abbattere questo limite?
Bruce Rittmann ha dimostrato con successo i sincoli passaggi della bonifica ex situ e ora sta lavorando per collegarli in una configurazione a due fasi. Nella strategia di Rittmann, i PFAS passano prima attraverso una reazione di idrogenazione con un catalizzatore al palladio, che sostituisce alcuni degli atomi di fluoro con idrogeno. Quindi, il materiale parzialmente defluorizzato viene somministrato a un gruppo eterogeneo di microbi che completano il lavoro di defluorizzazione.Indipendentemente dal fatto che i microbi siano o meno in grado di eliminare i PFAS, la maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che l’uso dei PFAS dovrebbe essere limitato. Nonostante l’eliminazione graduale volontaria e persino i divieti internazionali su alcuni PFAS, circa 1.400 PFAS vengono ancora utilizzati in 200 applicazioni, in quasi tutti i settori. Alcune applicazioni, come apparecchiature mediche e membrane di cloroalcali, potrebbero giustificare l’uso di PFAS. Ma i PFAS potrebbero non essere richiesti per altri prodotti, come erba sintetica, corde di chitarra o giacche impermeabili per bambini. Dobbiamo esaminare più a fondo ciò che è veramente necessario e ciò che non lo è.
L’Agenzia per l’Ambiente US-EPA e i Dipartimenti per la Salute e i Servizi alla persona degli Stati uniti, l’Istituto per la Salute e Ambiente olandese RIVM, e l’Agenzia per le Sostanze Chimiche della Unione Europea ECHA, si sono occupate del profilo tossicologico del 2,3,3,3-tetrafluoro-2-(eptafluoropropossi)-propanoato di ammonioo e in particolare del suo sale di ammonio che con il nome commerciale di Gen X ha progressivamente sostituito il PFOA nella produzione dei fluoro-polimeri, come il teflon.Già nel 2016 US-EPA aveva indicato nella lista dei composti da ricercare nelle acque i nuovi PFAS come il Gen X e l’Adona, per i quali risultano da tempo disponibili i relativi standard analitici di riferimento.
Esistono composti alternativi?
La presenza di tale composto nelle acque, nell’aria, nei vegetali e negli alimenti raccolti in prossimità degli stabilimenti di produzione, e la tutela della salute delle persone stanno spingendo le agenzie a individuare i livelli guida tossicologici per l’uomo.Considerando che le evidenze scientifiche riguardo alla tossicità del composto sono limitate il Dipartimento per la Salute e servizi alla Persona della Carolina del Nord, in via provvisoria, ha indicato una Dose tossica di Riferimento (RfD) di 100 ng/kg/giorno
Gli GenX
2,3,3,3-tetrafluoro-2-(eptafluoropropossi)-propanoato di ammonio
alle restrizioni comunitarie nell’Europa
Dal Green deal europeo
A metà ottobre 2020 gli stati europei hanno concordato la nuova strategia per attuare gli accordi del Green deal, la nuova politica ambientale europea. Uno dei punti di questa strategia è limitare le sostanze chimiche inquinanti prodotte nel mondo e presenti nel 99 per cento del pianeta. Molto pericolosi perché, tra l’altro, abbassando anche la risposta ai vaccini, dato particolarmente allarmante in questo periodo di pandemia da Covid-19, come ha denunciato il professor Philippe Grandjean. Ad aprile 2021 sono stati dunque ristretti tutti i Pfas a catena lunga, dopo un lungo lavoro di analisi fatta dalla maggior parte dei paesi membri dell’Ue, Italia inclusa, anche se dal nostro governo non è mai partita la richiesta di restrizione per uno di questi composti, nonostante il Paese sia il più grande inquinamento europeo da Pfas: Gli Stati membri possono infatti presentare alla Commissione europea una proposta di restrizione della produzione di determinate sostanze, se ritenute estremamente preoccupanti. Nonostante questo molti paesi a livello mondiale, come ad esempio la Cina, non hanno norme che limitano l’utilizzo alcuni tipi di sostanze tossiche, in più, i limiti europei riguardano solo i Pfas a catena lunga, per questo Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia hanno chiesto di restringere tutti i Pfas, anche quelli a catena corta.
La Germania, in particolare, presenta diversi siti inquinati, sia per utilizzo di Pfos in zone militari e aeroportuali sia perché ha riciclato in ambito agricolo materiale contenente Pfas. Nella regione di Baden-Wuerttemberg era stato utilizzato come fertilizzante del materiale ottenuto dal riciclo di carta impermeabilizzata mediante Pfas, questi hanno resistito alla lavorazione e sono arrivati ai fanghi destinati all’agricoltura. Dopo aver iniziato una fase di bonifica dei terreni il Paese ha deciso di portare agli organi europei una proposta per restringere tutti i Pfas non essenziali. Si tratta di un percorso chiamato Call for evidence e finalizzato a costruire una mappa di prodotti necessari e quindi a restringere la produzione mondiale di Pfas. Tale richiesta ha provocato una reazione delle società chimiche che hanno chiesto di specificare i materiali considerati “essenziali”. L’italiana Federchimica, associazione che rappresenta le industrie nazionali, tra cui Solvay, ai tavoli europei, definisce il termine “essenziale” come non specifico e quindi evidenzia non sia possibile registrare un composto utilizzando questo criterio. Federchimica parla di un’ulteriore difficoltà, infatti questo criterio di restrizione rappresenterebbe un ostacolo all’ innovazione, per esempio per applicazioni che potrebbero affrontare il problema del riscaldamento globale.
Possiamo aiutarci da soli
Zhanyun Wang, professore al dipartimento di chimica dell’Istituto di scienza e tecnologia di Zurigo che da oltre vent’anni si occupa di Pfas si sta dedicando alla possibilità di sostituire i Pfas con sostanze non impattanti, così da rispettare il protocollo di Madrid del 2015, che dichiara i Pfas emergenza mondiale per l’ambiente. Il problema è la mancanza di alternative economicamente simili ai Pfas, per questo finora solo pochi Paesi hanno spinto per prodotti Pfas-free.
Nonostante questo la possibilità di trovare una via di scampo alla contaminazione esiste ma dipende ancora dalla volontà del singolo cittadino: Il progetto inglese Fidra, nato nel 2018, aiuta il consumatore a controllare la presenza, o meno, di Pfas nei prodotti che acquista. Nel sito della ong si può trovare una lista sempre aggiornata, divisa per prodotti, in cui compaiono le marche che non utilizzano Pfas. L’italiana Benetton ha deciso un paio di anni fa di studiare e produrre materiale Pfas free, realizzando tessuti biologici. Le grandi battaglie di alcune mamme americane hanno obbligato Mc Donald’s a sostituire i contenitori dei panini con materiale senza Pfas e i cittadini olandesi hanno ottenuto analisi del sangue gratuite per capire se nella cittadina di Dordrecht la Chemours abbia contaminato di GenX i loro figli.
Sitografia
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/27/pfas-15-persone-e-societa-rinviate-a-giudizio-a-vicenza-per-avvelenamento-delle-acque-disastro-colposo-e-inquinamento-ambientale/6179172/amp/
https://thevision.com/cultura/cattive-acque-film/
https://irpimedia.irpi.eu/pfas-inquinamento-europa/
https://ilblogdellasci.wordpress.com/2021/05/12/alcune-specie-di-batteri-potrebbero-degradare-i-pfas/
https://www.lifegate.it/pfas-limiti-leggi-italia-europa
https://www.sivempveneto.it/aggiungi-un-pfas-a-tavola-il-gen-x-sostituto-del-pfoa-nel-mirino-degli-istituti-di-salute-pubblica-per-le-implicazioni-alimentari/
http://www.pentolpress.it/blog-it/Cosa-significa-pentole-antiaderenti-PFOA-FREE-182.html
https://www.marionegri.it/magazine/pfas
https://thevision.com/cultura/cattive-acque-film/