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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

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Created on May 12, 2021

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Transcript

LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA e la rerum novarum di Leone XIII

Autrice: Pezzuto Maria Elisa

La Chiesa non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. Ma la Chiesa è «esperta in umanità» e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone.

- Giovanni Paolo II

Indice

05. Principio del Bene comune

01. Dottrina Sociale della Chiesa

06. Principio solidarietà e sussidarietà

02. Origini Dottrina Sociale della Chiesa

07. Principio autorità e legalità

03. Rerum Novarum e questione operaia

08. Principio partecipazione alla vita pubblica

04. Principi Dottrina Sociale della Chiesa

La dottrina sociale della Chiesa

Che cos'è la Dottrina Sociale della Chiesa?

La Dottrina sociale della Chiesa Cattolica è l'insieme di principi, teorie, insegnamenti e direttive emanate dalla Chiesa cattolica in relazione ai problemi di natura sociale ed economica del mondo contemporaneo. È strettamente connessa al compito fondamentale della Chiesa: l’EVANGELIZZAZIONE.

La Chiesa non pretende di disporre di soluzioni tecniche ai problemi della società, infatti, quando ne prospetta alcune, non le propone come vincolanti per i credenti. La Dottrina Sociale della Chiesa non è una ideologia, però, ciò non esclude che possa esprimere valutazioni sulle ideologie con cui l’uomo storico e concreto si deve misurare e quindi anche, per esempio, sul liberalismo e sul marxismo.

Quali sono le fonti della Dottrina Sociale della Chiesa?

Gli elementi basilari della dottrina sociale della Chiesa, quali il primato della persona, il carattere sacro della vita, la subordinazione dell’azione politica ed economica alle esigenze della morale, emergono da due fonti principali: 1. la Rivelazione 2. Il diritto naturale

info

LA RIVELAZIONE IL DIRITTO NATURALE

Il diritto naturale Il diritto naturale rappresenta il possibile punto di incontro tra cristiani e non cristiani sui problemi etici. Il presupposto fondamentale è che gli uomini partecipino di un’unica e comune natura umana; infatti, proprio perché fa riferimento alla comune natura umana, la Chiesa può rivolgersi a tutti gli uomini, chiedere il loro ascolto, difendere i diritti umani. La concezione cattolica del diritto naturale, lungi dal ritenere che l’uomo e la società siano determinati astoricamente una volta per tutte, sottolinea come «Dio volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio”» , riconoscendogli la capacità, come essere razionale e spirituale di «diventare, in un certo senso, tutte le cose». Secondo la Chiesa, l'uomo deve governare le sue tendenze profonde di ordine spirituale e biologico responsabilmente, regolandole con la ragione in vista della sua felicità.

La Rivelazione esplicitata nelle Sacre Scritture, in quanto Parola di Dio, è la radice e la linfa vitale di ogni annuncio cristiano. La Bibbia non è un insieme di indicazioni sociali, non vuole proporre ricette risolutive dei problemi della società, ma è, prima di tutto, annuncio della salvezza realizzata in Gesù. Ciò non toglie, però, considerato che Cristo è l’alfa e l’omega della storia, che il messaggio biblico abbia una rilevanza sociale. Il primo aspetto importante è il rapporto con Dio visto come l’unico rapporto nel quale l’uomo può veramente conoscere e realizzare se stesso. Al di fuori di esso, quando l’uomo e la società escludono Dio, tutte le relazioni umane rischiano di essere inquinate dal male. Un secondo tema è dato dalla dignità umana, resa evidente non soltanto dalla consapevolezza che l’uomo è creato «ad immagine e somiglianza di Dio», ma, soprattutto, dal fatto che lo stesso Figlio di Dio si è incarnato ed è diventato un essere umano.

Le origini della Dottrina sociale della Chiesa

Senza alcun dubbio è possibile riconoscere insegnamenti sociali in tutta la tradizione cristiana, non soltanto nella Sacra Scrittura, ma anche nei Padri della Chiesa, nei teologi del medioevo, ed in particolare in Tommaso d’Aquino, nei documenti del magistero.Gli sviluppi più attuali della Dottrina Sociale della Chiesa hanno trovato un mirabile punto di partenza nelle encicliche di papa Leone XIII (1878-1903) e soprattutto nella "Rerum novarum" (15 maggio 1891), intelligente sintesi di un lungo ed intenso lavorio di riflessione all’interno degli ambienti cattolici più sensibili. Da tempo all’interno della Chiesa, si andava avvertendo l’insufficienza del tradizionale assistenzialismo, paternalistico e limitato al piano del volontarismo caritativo, così il papa Leone XIII nella "Rerum novarum" decise di denunciare gli ECCESSI DEL CAPITALISMO e il LIBERALISMO ECONOMICO perché privo di preoccupazioni morali in ambito economico, respingere tutte quelle teorie socialiste e collettivistiche che miravano all’abolizione della proprietà privata e sottolineare l’esigenza che lo Stato, lungi dal mantenersi neutrale, intervenga per promuovere la pubblica utilità e difendere i più deboli.

INFO

"Rerum Novarum" e questione operaia

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Sebbene la posizione della Chiesa restasse molto lontana da quella socialista, criticandone l’impostazione classista, rappresentò comunque la base di un nuovo e più attivo ruolo della Chiesa nell’organizzazione dei movimenti operai. Sancisce:

Rerum Novarum

Enciclica sociale promulgata il 15 maggio 1891 da papa Leone XIII con la quale per la prima volta la Chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale della Chiesa.Il testo tende a tutelare i lavoratori pur riconoscendo le fasce privilegiate e denunciando il pericolo di ateismo e di rivoluzione sociale insito nelle ideologie socialiste e comuniste per la lotta di classe. L’enciclica fornì un’alternativa politica al socialismo e al capitalismo europeo: in tutta Europa si moltiplicarono le società cattoliche e nacquero le prime banche cooperative.

  1. il dovere dei lavoratori di essere laboriosi e di rispettare le gerarchie
  2. il dovere dei proprietari delle aziende di retribuire i propri dipendenti con il giusto salario, rispettando la loro dignità e non accomunando il loro lavoro a una merce da acquistare al minor prezzo.
  3. formazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani (ciò permise in tutta Europa la nascita di associazioni dei lavoratori che ebbero una forte impronta classista e i cui metodi di rivendicazione non differivano molto da quelli delle organizzazioni socialiste).
  4. la classe operaia non doveva mettere in atto forme improprie di difesa attraverso le idee di rivoluzione, di invidia ed odio verso i più ricchi ma, doveva prestare fedelmente l’opera pattuita senza recare danno alla proprietà e alla persona dei padroni
  5. i padroni dovevano evitare di ridurre in condizione di schiavitù gli operai impedendo loro la pratica religiosa mediante orari di lavoro eccessivi, ma dovevano pagare il giusto salario al lavoratore
  6. accordo tra le classi con l’istituzione di organizzazioni miste di padroni e operai escludendo del tutto lo sciopero come strumento di lotta.

Le idee chiave della Dottrina Sociale

Il principio supremo della Dottrina Sociale della Chiesa è il comandamento dell’amore, che da solo Basterebbe a fare la differenza rispetto alle molteplici ideologie dei nostri giorni. Ad esso si legano: 1. Il riconoscimento della dignità dell’uomo (si esprime nel principio del personalismo); 2. Il principio del bene comune; 3. Il principio di solidarietà; 4. Il principio di sussidiarietà; 5. I principi di autorità e legalità; 6. Il principio della partecipazione alla vita pubblica. Tralasciando il comandamento dell’amore, che dovrebbe esser noto a tutti, si possono considerare analiticamente gli altri principi elencati

1) Dignità della persona umana

La nozione di persona, nell’attuale accezione, è di origine medioevale. Per la Chiesa, la dignità della persona umana si fonda sul fatto che essa è oggetto dell’amore di Dio. Essa, assumendo una millenaria tradizione, non soltanto cristiana, afferma che l’uomo «per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti.» L’uomo, come rilevano Aristotele e S. Tommaso, è, fra tutti gli animali, il più comunitario, non soltanto perché ha bisogno degli altri per vivere, ma soprattutto perché fa «uso del linguaggio, mediante il quale l’uno può comunicare totalmente all’altro il suo pensiero»

Il principio del Bene comune

La nozione di Bene comune ha radici molto antiche: dal tempo di Aristotele e da quello di Menenio Agrippa, molti hanno concepito la società come un organismo, subordinando l’interesse individuale a quello della comunità. Nella tradizione cattolica il concetto di Bene comune trova espressione compiuta in S. Tommaso, il quale apporta una significativa correzione alle visioni precedenti, precisando come per gli aspetti che ha comuni con tutti i viventi e con tutti gli animali l’uomo sia subordinato alla comunità politica e debba sacrificare il suo bene individuale alla comunità; mentre per l’aspetto umano (per la ragione) l’individuo ha da realizzare certi valori che non possono essere sacrificati per nessuna cosa al mondo. Il Bene comune deve includere la possibilità della realizzazione di tali valori da parte di ogni uomo. In secondo luogo, il Bene comune richiede il perfezionamento della comunità attraverso lo sviluppo di tutti i settori dell’attività e dei bisogni umani. Tocca, in particolare, all’autorità rendere accessibili «tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso.» (GS 26)

Il principio di solidarietà e di sussidarietà

Di antiche origini giuridiche, la nozione di solidarietà comporta l’idea dell’impegno morale di prestarsi reciproco aiuto, che nasce dalla consapevolezza di una comunità di interessi. Il concetto è stato ulteriormente precisato da Giovanni Paolo II che ha visto nella solidarietà una virtù sociale di primaria importanza che trova la sua prima applicazione «nella ripartizione dei beni e nella remunerazione del lavoro» (CCC 1940) e comporta l’impegno per costruire un ordine sociale più giusto, capace di riassorbire le tensioni attraverso la negoziazione. Esistono diverse forme di solidarietà: «solidarietà dei poveri tra loro, dei ricchi e dei poveri, dei lavoratori tra loro, degli imprenditori e dei dipendenti nell’impresa, solidarietà tra le nazioni e tra i popoli» (CCC 1941). La solidarietà, infine, «attua la condivisione dei beni spirituali ancor più di quelli materiali (CCC 1948), ma esiste il rischio concreto che persone o gruppi cerchino di sfruttare a proprio vantaggio l’impegno solidaristico degli altri, trasformandosi in veri parassiti della società, reclamando dagli altri, come cosa dovuta, anche ciò che potrebbero fare da soli. Per questo esso trova il suo logico complemento nel principio di sussidiarietà.

PRINCIPIO DI SUSSIDARIETà

Il principio di sussidiarietà implica l’esigenza di offrire un aiuto, a chi ne ha bisogno, senza sostituirlo in ciò che può fare autonomamente. Il principio si applica soprattutto allo Stato ed alle istituzioni, che hanno il dovere di sostenere i singoli e gli organismi sociali di grado inferiore senza sostituirsi ad essi.Il principio di sussidiarietà serve anche per tutelare la famiglia: le istituzioni hanno il dovere di sostenerla, ma non debbono sostituirsi ad essa.

INFO

I principi di autorità e legalità

Si chiama autorità il titolo in forza del quale delle persone o delle istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano obbedienza da parte loro. Secondo la Chiesa, l'autorità ha il suo fondamento nel carattere intrinsecamente comunitario della natura umana. Infatti, come sosteneva S. Tommaso, se non vi fosse qualcuno incaricato di prendersi cura del Bene comune, "la società si dissolverebbe; così come si dissolverebbe il corpo dell’uomo o di ogni altro animale, se non ci fosse in essi una forza direttiva in funzione del bene di tutte le membra." Ogni comunità umana ha dunque bisogno di un’autorità che la regga. In questo senso, si può dire che l’autorità viene da Dio e che, pertanto, le si deve obbedienza (Rom. 13,1-2). L’autorità è esercitata legittimamente solamente se mira al Bene comune e lo fa servendosi di mezzi moralmente leciti. Leggi ingiuste e provvedimenti contrari alla morale non sono vincolanti per le coscienze perché norme simili «sono piuttosto violenze che leggi» (S. Th. I-II, q. 96, a. 5). Quale poi debba essere il tipo di autorità, la Chiesa non lo stabilisce: «la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini»

Il principio della partecipazione alla vita pubblica

Perché la società funzioni nel modo migliore, non è sufficiente che l’autorità persegua il Bene comune: è indispensabile che ciascuno faccia la sua parte, non soltanto compiendo il proprio dovere secondo il posto che occupa ed il ruolo che ricopre, ma contribuendo, nei limiti delle sue possibilità e capacità per «suscitare e sostenere istituzioni che servano a migliorare la vita degli uomini» (CCC 1926). Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «I cittadini, per quanto è possibile, devono prendere parte attiva alla vita pubblica.» (CCC 1915) Ovviamente, ciò richiede istituzioni politiche e strutture costituzionali che agevolino la partecipazione, come sottolinea la Gaudium et spes: «È da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe della gestione della cosa pubblica in un clima di libertà.» (GS 31).

Grazie per l'attenzione!