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ENEIDE LIBRO XII
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Transcript
Eneide Libro XII
a cura di Elena Carnuccio, Arianna Zamboni, Flavia Golinelli, Kielyn Madayag e Aurora Lenzi
START
statua di Giunone conosciuta come "La Provvidenza", Museo del Louvre
INDEX
TEMI
ANTEFATTI
TRAMA
TESTI
TURNO
RINGRAZIAMENTI
Riassunto delle puntate precedenti...
PUNTATE PRECEDENTI
- Giove proibisce agli dei di intervenire nella guerra tra Latini e Troiani.
- Intanto Enea naviga con le trenta navi degli alleati etruschi.
- Turno, avvistata la flotta, tenta di impedire lo sbarco ingaggiando una terribile battaglia.
- Enea, accompagnato da Pallante, risolleva le sorti della battaglia, ma Turno uccide il ragazzo.
- Enea cerca Turno per ucciderlo, ma Giunone gli sottrae l’avversario: in cambio l'eroe troiano uccide il suo più forte alleato Mesenzio e suo figlio Lauso.
- Sia i Troiani sia i Latini seppelliscono i loro morti, ma il momento della tregua dura poco, perché riprendono i combattimenti: tra i caduti di Turno c'è Camilla.
- Enea e Turno si preparano a uno scontro diretto.
Morte di Pallante, Jacques Sablet, 1778, olio su tela, Accademia di Belle Arti, Parma
Trama
Se vincerà Turno, i Troiani si ritireranno a vivere nella città di Evandro; se invece prevarrà Enea, egli sposerà Lavinia e i due popoli vivranno in città vicine, che costituiranno un unico stato; ci saranno due re, uno troiano e l’altro latino, ma le decisioni sulla guerra spetteranno a quest’ultimo.
TRAMA
- Turno, preoccupato per le grandi perdite e le proteste dei popoli italici, decide di mettere fine alla guerra sfidando Enea a duello.
- Enea accetta: si stabilisce la tregua, si fissano le condizioni dello scontro e si giurano patti sacri.
- Giuturna, sorella di Turno, vuole rimandare la morte del fratello, dunque istiga l’augure Tolumnio a violare la tregua uccidendo un nemico.
- La battaglia si riaccende ed Enea viene ferito, ma subito dopo viene guarito da Venere.
- Tornato in battaglia, Enea vuole affrontare Turno, ma Giuturna lo impedisce.
- Su consiglio di Venere, Enea tenta l’assalto a Laurento. Vedendo l’attacco troiano alle mura, la regina Amata crede che Turno sia morto e, sentendosi responsabile di tanti disastri, s’impicca. I lamenti della figlia Lavinia, del re e del popolo giungono fino a Turno, che Giuturna tiene lontano dalle mura.
- Un cavaliere latino, Sace, informa Turno sulla situazione di Laurento: Turno allora decide di affrontare Enea.
- Il duello finale viene descritto come un momento drammatico: la spada di Turno si infrange contro la potente armatura di Enea, dunque l’eroe rutulo fugge inseguito dall’eroe troiano.
Enea ferito, seconda metà del I sec. d.C. Napoli, Museo Archeologico nazionale
IL DUELLO
- Sull’Olimpo Giove e Giunone si accordano per porre fine alla guerra: i Troiani si stabiliranno nel Lazio mentre i Latini conserveranno lingua e tradizioni.
- Turno, abbandonato anche dalla sorella (allontanatasi per ordine di Giove), sente che ormai la fine è vicina. Tenta di abbattere Enea con un masso, ma l’eroe troiano lo trafigge ad una coscia.
- Si prostra allora ai piedi di Enea e chiede pietà in nome del padre Dauno, ma Enea, dopo aver visto addosso al nemico il balteo di Pallante, lo uccide.
- Il poema si conclude con l’anima di Turno che fugge sdegnosa tra le ombre.
Il duello di Enea e Turno, olio su tela di Luca Giordano.
Turno
Il personaggio di turno
- Turno è il re dei Rutuli e semidio, figlio di Dauno e della ninfa Venilia.
- La sua figura eroica, virile, irruenta, rappresenta un po’ la sintesi delle antiche genti italiche, combattive nei confronti degli invasori.
- Turno punta a conquistare il regno di Latino, sia dimostrando il proprio coraggio, sia sposando Lavinia.
- Per lui il combattimento rappresenta un vero e proprio piacere, l’essenza della vita.
- Negli ultimi libri del Poema Turno grandeggia come campione degli Italici fino a costituire per arroganza un parallelo con l'Achille omerico.
- Non esita, alla fine, ad esporsi al duello fatale, tuttavia non mancano nel personaggio momenti di esitazione, di scoraggiamento, di paura.
Il combattimento di Turno ed Enea, olio su tela, cm. 170 x 132, 1702, collezione privata.
Temi
+ info
Nello Zibaldone di Leopardi
LOREM IPSUM
- In quest’ultimo atto dell’Eneide vengono messi a confronto il protagonista, Enea e l’antagonista, Turno, nel duello finale. La vicenda trasmessa dal mito e il senso della narrazione e in generale il senso della narrazione avevano destinato Turno a morire ed Enea a prevalere.
- Giacomo Leopardi, nello Zibaldone, mette a confronto questo epilogo virgiliano con quello dell’Iliade, mettendo in luce come Omero riuscisse a suscitare l’ammirazione per Achille vincitore e, nello stesso tempo, una compassione per il vinto, non meno eroico e valoroso del suo uccisore.
- L’Iliade termina con il compianto sul corpo di Ettore, l’Eneide si interrompe invece con l’uccisione di Turno. Questo elemento suscita svariate critiche nei confronti di Enea che era detto un “eroe pius”, il quale si macchia dell’uccisione di un supplice.
LOREM IPSUM
Nello Zibaldone di Leopardi
<<E come la vittoria riportata da Achille sopra l'invincibile Ettore, porta al colmo l'ammirazione per colui, così la sventura di Ettore mette il colmo alla sua amabilità e volge l'amore in compassione, la quale cadendo sopra un oggetto amabile è il colmo per così dire del sentimento amoroso. Molte sventure e di greci e di troiani si narrano o fingono nella Iliade, ma quella di Ettore è lo scopo del poema, ad essa tendono tutte le fila del medesimo niente meno e del paro che alla vittoria di Achille, e sempre unitamente: in essa il poema si chiude.>>
Duello tra Ettore e Achille, dipinto su vaso
La pietas e la necessità della vendetta
+ info
- La figura dell’eroe della pietas però è connotata diversamente: a Enea, in quanto congiunto di Pallante, spetta l’ultio, cioè la vendetta, la punizione inflitta per vendetta, il castigo. Tra l’altro, lo stesso Augusto, di cui l’eroe è in qualche modo prefigurazione, non aveva rinunciato a vendicare l’uccisione di Cesare.
La Pietà di Michelangelo 1497-99
- La morte di Turno, dunque, non lascia indifferenti nè i lettori nè l'autore, ma rientra nella necessità imposta dalla stessa cifra eroica di Enea. Pertanto, l'amarezza di Virgilio, non riguarda l'atto di Enea, ma l'aspra e inevitabile necessità del destino.
Enea vince Turno in un dipinto di Luca Giordano
Statua di Zeus, Piazza Navona,Bernini, 1648-1651
il disegno del Fatum
- Come in ogni poema epico, anche nell' Eneide gli dèi interferiscono nelle vicende umane osteggiando o favorendo i personaggi.
- La loro volontà deve tuttavia piegarsi al volere del Fatum (For, faris - φημί) una "voce superiore" che detta lo svolgersi delle vicende umane e divine, di cui Giove si fa portavoce.
- La concezione provvidenzialistica e razionale del Fatum deriva dalla filosofia stoica che influenza l'intero poema e si intreccia con la funzione ideologica dell'opera: il bene supremo a cui tende il Fato è l'Imperium di Augusto.
Statua di Augusto, I secolo a.C., bronzo, Fori Imperiali
Giovane Virgilio, ritratto
IL CONFLITTO
necessità del Fato
volontà personale
συμπάθεια
- tendenza unitaria
- criterio razionale ed oggettivo a cui l'autore fa riferimento per evitare di incorrere nel dramma tragico
εμπάθεια:
- forze disgregatrici,
- Virgilio indaga la complessa psicologia dei personaggi
- prevalgono le loro passioni e i loro sentimenti
Enea prova compassione per il nemico Turno, atterrato e ormai indifeso tant'è che istintivamente vorrebbe risparmiarlo.
Enea è un victor tristis che diventa con la sua pietas uno strumento del Fato in quanto in lui si concretizza il destino di un'intera nazione: resosi conto per caso che Turno indossa il balteo di Pallante, subito compie la sua vendetta (ultio) uccidendo il nemico. Questo porterà alla definitiva vittoria dei Troiani e al loro stanziamento nel Lazio.
Il combattimento di Turno ed Enea, olio su tela, collezione privata.
Testi
Libro xii, vv. 843-855
Hīs āctīs ălĭūd || gĕnĭtōr sēcum īpsĕ vŏlūtāt Iūtūrnāmquĕ părāt||frātrīs dīmīttĕre ăb ārmīs. Dīcūntūr gĕmĭnaē ||pēstēs cōgnōmĭnĕ Dīraē, 845 quās ēt Tārtărĕām|| Nōx īntēmpēstă Mĕgaērām ūno ĕŏdēmquĕ tŭlīt || pārtū părĭbūsquĕ rĕvīnxīt sērpēntūm spīrīs || vēntōsāsque āddĭdĭt ālās. Haē Iŏvĭs ād sŏlĭūm ||saēvīque īn līmĭnĕ rēgīs āppārēnt ăcŭūnt||quĕ mĕtūm mōrtālĭbŭs aēgrīs, 850 sī quāndō ||tēlum hōrrĭfĭcūm || mōrbōsquĕ dĕūm rēx mōlītūr, mĕrĭtās || aūt bēllō tērrĭtăt ūrbēs. Hārum ūnām cĕlĕrēm || dēmīsĭt ăb aēthĕrĕ sūmmō Iūppĭtĕr īnque ōmēn || Iūtūrnae ōccūrrĕrĕ iūssīt. Īllă vŏlāt cĕlĕrī||que ād tērrām tūrbĭnĕ fērtūr. 855
LIBRO XII, VV. 856-866
Nōn sĕcŭs āc nērvō || pēr nūbem īnpūlsă săgīttă, ārmātām saēvī || Pārthūs quām fēllĕ vĕnēnī, Pārthūs sīvĕ Cўdōn,|| tēlum īnmĕdĭcābĭlĕ tōrsīt, strīdēns ēt cĕlĕrēs|| īncōgnĭtă trānsĭlĭt ūmbrās: tālīs sē || sătă Nōctĕ tŭlīt ||tērrāsquĕ pĕtīvīt. 860 Pōstquam ăcĭēs|| vĭdĕt Īlĭăcās || ātque āgmĭnă Tūrnī, ālĭtĭs īn pārvaē || sŭbĭtām cōnlēctă fĭgūrām, quaē quōndam īn būstīs || aūt cūlmĭnĭbūs dēsērtīs nōctĕ sĕdēns sērūm|| cănĭt īnpōrtūnă pĕr ūmbrās, hānc vērsa īn făcĭēm || Tūrnī sē pēstĭs ob ōrā 865 fērtquĕ rĕfērtquĕ sŏnāns || clīpeūmque ēvērbĕrăt ālīs.
LIBRO XII, VV. 867-878
Īlli mēmbra novūs/ solvīt formīdine tōrpor, ārrectaēque/ horrōre comae, ēt/ vox faūcibus haēsit. Āt procul ūt Diraē/ stridōrem adgnōvit et ālas, īnfelīx crinīs/ scindīt Iutūrna solūtos, 870 ūnguibus ōra sorōr/ foedāns et pēctora pūgnis: "Quīd nunc tē/ tua, Tūrne, potēst/ germana iuvāre aūt quid iām duraē/ superāt mihi, quā tibi lūcem ārte morēr? Talīn/ possūm me oppōnere mōnstro? Iām iam līnquo aciēs./ Ne mē terrēte timēntem, 875 ōbscaenaē volucrēs:/ alārum verbera nōsco lētalēmque sonūm,/ nec fāllunt iūssa supērba māgnanimī Iovis. Haēc/ pro virginitāte repōnit?
LIBRO XII, VV. 879-890
Quō vitām/ dedit aēternām,/ cur mōrtis adēmpta estcōndiciō? Possēm/ tantōs finīre dolōres 880 nūnc certe ēt/ misēro fratrī/ comes īre per ūmbras Īmmortalis ego? Haūd/ quicquām mihi dūlce meōrum tē sine, frāter, erīt./ O quaē satis īma dehīscat tērra mihī Manīs/que deām demīttat ad īmos?" Tāntum effāta capūt/ glaucō contēxit amīctu 885 mūlta gemēns et sē/ fluviō dea cōndidit ālto. Aēneās instāt/ contrā telūmque corūscat īngens ārboreum ēt/ saevō sic pēctore fātur: "Quaē nunc deīnde mora ēst/ aut quīd iam, Tūrne, retrāctas? Nōn cursū, saevīs/ certāndum est cōmminus ārmis.
Libro xii, vv. 891-902
Vèrt(e) omnìs || tet(e) ìn || faciès || et còntrahe, quìdquid 891 sìv(e) animìs || siv(e) àrte valès; || opt(a) àrdua pènnis àstra sequì || clausùmque cavà || te còndere tèrra." Īlle capùt || quassàns ||: "Non mè || tua fèrvida tèrrent dìcta, feròx || : di mè || terrènt || et Iùppiter hòstis." 895 Nèc plur(a) èffatùs || saxùm || circùmspicit ìngens, sàx(um) antìqu(um) ingèns, || campò || quod fòrte iacèbat lìmes agrò || positùs, || lit(em) ùt || discèrneret àrvis. Vìx illùd || lectì || bis sèx || cervìce subìrent, quàlia nùnc || hominùm || prodùcit còrpora tèllus: 900 Īlle manù || raptùm || trepidà || torquèbat in hòstem àltior ìnsurgèns || et cùrsu còncitus hèros.
Libro xii, vv. 903-912
Sèd neque cùrrentèm || se nèc || cognòscit eùntem tòllentèmque manù || saxùmv(e) inmàne movèntem; gènua labànt, || gelidùs || concrèvit frìgore sànguis. 905 Tùm lapis ìpse virì, || vacuùm || per inàne volùtus, nèc spati(um) èvasìt, || totùm || neque pèrtulit ìctum. Āc velut ìn || somnìs, || oculòs || ubi lànguida prèssit nòcte quiès, || nequìqu(am) avidòs || extèndere cùrsus vèlle vidèmur et ìn || mediìs || conàtibus aègri 910 sùccidimùs; || non lìngua valèt, || non còrpore nòtae sùfficiùnt || virès, || nec vòx || aut vèrba sequùntur:
LIBRO XII, VV. 913-931
síc Turnó, quacúmque || viám virtúte petívit, súccessúm dea díra || negát. Tum péctore sénsus vértuntúr varií. || Rutulós adspéctat et úrbem 915 cúnctatúrque metú || telúmque instáre treméscit; néc quo se éripiát, || nec quá vi téndat in hóstem, néc currús usquám || videt aúrigámve sorórem. Cúnctantí telum Aéneás || fatále corúscat, sórtitús fortúnam || oculís, et córpore tóto 920 éminus íntorquét. || Muráli cóncita númquam tórmentó sic | sáxa fremúnt, || nec fúlmine tánti díssultánt crepitús. ...
LIBRO XII, VV. 913-931
... Volat átri túrbinis ínstar éxitiúm || dirum hásta feréns || orásque reclúdit lóricae ét || clipei éxtremós || septémplicis órbis. 925 Pér mediúm stridéns || transít femur. Íncidit íctus íngens ád terrám || duplicáto póplite Túrnus. Cónsurgúnt gemitú || Rutulí, totúsque remúgit móns circum, ét vocém || laté nemora álta remíttunt. Ílle humilís suppléx || oculós, dextrámque precántem 930 prótendéns: "Equidém merví || nec déprecor" ínquit;
“Ūtere sōrte tuā. || Miserī te sī qua parēntis tāngere cūra potēst, || orō (fuit ēt tibi tālis Ānchisēs genitōr), || Daunī miserēre senēctae ēt me seū corpūs || spoliātum lūmine māvis 935 rēdde meīs. || Vicīst(i), et vīctum || tēndere pālmas Aūsoniī vidēre; tu(a) ēst || Lavīnia coniūnx: ūlteriūs ne tēnd(e) odiīs.” || Stetit ācer in ārmis Aēneās, volvēns || oculōs, dextrāmque reprēssit; ēt ia(m) iāmque magīs || cunctāntem flēctere sērmo 940 coēperat, īnfelīx || umerō cu(m) appāruit ālto bālteus ēt notīs || fulsērunt cīngula būllis Pāllantīs puerī, || victūm quem vūlnere Tūrnus strāverat ātqu(e) umerīs || inimīcu(m) īnsigne gerēbat.
LIBRO XII, VV. 932-944
LIBRO XII, VV. 945-952
Īll(e) oculīs postquām || saevī monumēnta dolōris 945 ēxuviāsqu(e) hausīt, || furiīs accēnsus et īra tērribilīs: “Tun(e) hīnc || spoliīs indūte meōrum ēripiāre mihī? || Pallās t(e) hoc vōlnere, Pāllas īmmolat ēt poenām || scelerāt(o) ex sānguine sūmit." Hōc dicēns || ferru(m) ādversō || sub pēctore cōndit. 950 fērvidus; āst illī || solvūntur frīgore mēmbra vītaque cūm gemitū || fugit īndignāta sub ūmbras.
Thanks!