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I Giochi Olimpici

Anna Buda

Created on April 5, 2021

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LO SPORT NELLA STORIA DELL'UOMO

I Giochi Olimpici

LE ORIGINI

Sulle origini esiste una fitta rete di suggestivi racconti leggendari, tra i quali alcuni riportati da Pindaro nei suoi epinici.

+info

LE GARE

Dòlichos

Pèntathlon

Stàdion

Dìaulos

Lotta

Pancrazio

Prove riservate ai giovani

Pugilato

Corsa con le armi

Gare Ippiche

La fine dei giochi

+info

La tregua olimpica

+info

Stàdion

Dalla prima edizione (776 a.C.) alla tredicesima (728 a.C.), i Giochi Olimpici ebbero in programma una sola prova: la corsa veloce, che prese il nome di stàdion. Questo dato è storicamente confermato, molto preciso, al riguardo, è il riferimento di Filostrato il quale scrive: "le prove dei giochi olimpici non comparvero contemporaneamente, ma l'una dopo l'altra; fino alla XIII edizione, infatti, le competizioni si limitarono alla corsa veloce". Filostrato narra che la corsa dello stadio originava da una consuetudine religiosa. Era infatti antica usanza a Olimpia che, in occasione di feste dedicate a Zeus, alcuni atleti, partendo da una distanza di 600 piedi dall'altare del dio, gareggiassero per conquistare il privilegio di accendere il fuoco dell'ara sacrificale; Nello stàdion dunque gli atleti scattavano al via verso il traguardo collocato a una distanza di 600 piedi. Poiché nell'antichità né il piede né i suoi multipli erano fissi ma variavano, di conseguenza la distanza era diversa da luogo a luogo. Le ricerche archeologiche hanno, infatti, rivelato che la corsa a Olimpia era lunga 192,27 m.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Dìaulos

LOREM IPSUM

In occasione della XIV edizione, nel 724 a.C., fu aggiunta al programma dei Giochi una seconda gara: il dìaulos, che si correva su una distanza di 1200 piedi (circa 400 m), doppia rispetto a quella dello stàdion e che divenne anch'essa molto popolare. Gli atleti si apprestavano al via in una posizione di partenza identica a quella della prova veloce e quindi percorrevano il primo stadio sino a raggiungere, al termine del rettilineo, un palo o un tronco di colonna; lo doppiavano a sinistra e tornavano indietro sino alla linea di partenza, ove era fissato il traguardo.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Dòlichos

LOREM IPSUM

Con la XV edizione, nel 720 a.C., fu introdotta a Olimpia una terza prova, il dòlichos, corsa di resistenza su una distanza variabile da 7 a 24 stadi (1500-5000 m). Notizie sulla modalità di svolgimento di questa gara compaiono in numerose fonti letterarie. Gli atleti partivano tutti insieme e, dopo aver percorso il primo stadio, giravano attorno a un palo centrale posto alle due estremità del rettilineo e così via fino a tagliare, al termine della competizione, il traguardo che era posto in corrispondenza della stessa linea di partenza.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Lotta

La lotta (pàle) come pratica atletica aveva tradizioni antiche ed era molto diffusa e popolare in tutta la Grecia, come attesta la frequenza con la quale raffigurazioni di lottatori compaiono sulle anfore panatenaiche. La disciplina era ritenuta un esercizio indispensabile non solo per il potenziamento fisico, ma anche per la formazione del carattere dei giovani. Grandissima importanza era data all'abilità: non era sufficiente rovesciare l'avversario, bisognava farlo correttamente, nel pieno rispetto delle regole, avvalendosi soprattutto delle doti di astuzia. Come competizione disciplinata da severe regole, la lotta fece la sua apparizione nei Giochi della XVIII edizione (708 a.C.). Nelle prime edizioni i lottatori disputavano i loro incontri in mezzo allo stadio, in una fossa denominata skàmma. In epoca più tarda gli incontri si svolsero all'interno del ginnasio. Non esistevano categorie in base al peso degli atleti, ma solo distinzioni in relazione all'età, quasi per dimostrare che l'abilità, l'intelligenza e soprattutto l'addestramento potevano prevalere sulla mole dei lottatori.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Pèntathlon

Di Onesimos - MatthiasKabel, own work, 2006-01-28.

Nel 708 a.C., in occasione della XVIII edizione dei Giochi, comparve, per la prima volta, una prova multipla, il pèntathlon, che combinava cinque diverse discipline. La gara premiava gli atleti più completi e in possesso di doti polivalenti quali la velocità, agilità, la forza, la resistenza e il coraggio. I concorrenti si misuravano in tre prove definite "leggere": la corsa, il salto in lungo, il lancio del giavellotto, e in due dette "pesanti": il lancio del disco e la lotta. Delle cinque prove indicate, tre (il salto, il lancio del disco e del giavellotto) non venivano mai praticate separatamente, ma si svolgevano unicamente nel contesto del pèntathlon. Al termine della quinta competizione, si compilava la classifica finale.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

SALTO IN LUNGO

CORSA

LANCIO DEL GIAVELLOTTO

LANCIO DEL DISCO

LOTTA

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Corsa

La corsa si disputava sulla stessa distanza dello stàdion e con le stesse regole.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Salto in lungo

Invece il salto in lungo, disciplina più recente delle altre e con origini esclusivamente agonistiche, presentava caratteristiche particolari, di cui la principale era costituita dagli haltères, speciali attrezzi che gli atleti impugnavano durante l'esercizio.Gli atleti, stringendo saldamente gli haltères, compivano una breve rincorsa su una pista in terra battuta partendo con le braccia aderenti ai fianchi. Al termine della corsa procedevano allo stacco da una soglia, detta batèr, posta su una piccola pedana rialzata. Durante la traiettoria le braccia venivano proiettate in avanti, mantenendole il più possibile parallele, poi un attimo prima di ricadere venivano riportate indietro. La chiusura avveniva a piedi uniti nella skàmma riempita di sabbia, il cui fondo veniva accuratamente livellato in modo da lasciare visibili le impronte dei saltatori. Il salto veniva misurato partendo dalla pedana di battuta sino al punto di caduta dell'atleta più vicino alla linea di stacco, esattamente come avviene nelle gare di oggi.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Lancio del Giavellotto

Il giavellotto, prima di essere un attrezzo da competizione, era un'arma di uso corrente per la guerra e la caccia. L'attrezzo era costituito da un'asta di legno appuntita, protetta alla estremità da una capsula di metallo. L'atleta nel lancio utilizzava un'impugnatura costituita da un laccio di cuoio, che veniva girato più volte attorno all'asta. L'atleta vi inseriva l'indice e il medio della mano e lo utilizzava per conferire all'attrezzo una rotazione intorno al proprio asse, assicurandone così la stabilità lungo la traiettoria e aumentando la spinta data dal braccio. Il lanciatore effettuava una rincorsa tenendo il giavellotto sopra la spalla, all'altezza della testa, poi portava il braccio indietro e verso il basso; infine, esercitando la massima azione delle dita sul laccio, proiettava il braccio verso l'alto, scagliando l'attrezzo. Il lancio doveva essere eseguito al di qua di una linea di pedana, segnalata da una colonna, posta di fronte o di lato al giavellottista. Pindaro, nella prima ode pitica, fornisce notizie anche sul campo di gara e precisa che l'attrezzo doveva cadere all'interno di un settore delimitato da linee laterali, regola in vigore anche oggi.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Lancio del Disco

Le numerose raffigurazioni su rilievi, pitture e statue che ci sono pervenute e le molteplici citazioni letterarie testimoniano che questa disciplina era molto popolare tra i greci che la consideravano l'esercizio per eccellenza di forza e di agilità. La tecnica è descritta da Filostrato: "l'atleta, dopo aver cosparso l'attrezzo con sabbia per aumentare la presa, si portava su una pedana, delimitata davanti e ai lati, ma aperta posteriormente, cosicché il lanciatore aveva la possibilità di prendere l'avvio per darsi lo slancio". Un'iscrizione rinvenuta presso lo stadio di Rodi informa che ogni atleta poteva effettuare cinque lanci. Successivamente i giudici, in base alle migliori misure segnate sul terreno, stilavano la graduatoria. Il lancio era misurato partendo dalla linea frontale della balbìs, sino al punto in cui il disco cadeva. L'atleta non poteva superare i settori laterali di lancio sotto pena di squalifica. Il punto di caduta dell'attrezzo veniva contrassegnato con un piolo. Le conoscenze sulla tecnica di lancio si basano anche su testimonianze dell'arte figurativa, la più celebre è il Discobolo di Mirone, opera del 5° sec. a.C. di cui è andato smarrito l'originale in bronzo, ma esistono varie copie in marmo

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Lotta

Esaurite le prime quattro prove del pèntathlon, l'ultima competizione era la lotta, che si svolgeva con le stesse modalità previste nell'analoga prova individuale.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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Pugilato

Nella XXIII edizione (688 a.C.) fu introdotta un'altra prova che contese alla lotta il favore popolare: il pugilato. Agli inizi i contendenti si affrontavano a mani nude; ben presto, però, si passò all'uso di particolari protezioni che presero il nome di imàntes. Contrariamente ai guantoni usati dai moderni pugili, che tendono a ridurre i danni all'avversario, gli imàntes erano strutturati in modo da rendere la massima offesa ai contendenti. Il combattimento risultava, pertanto, violento e talora persino mortale. La storia del pugilato può essere ripartita in tre grandi periodi, descritti con precisione da Filostrato: connessi appunto alla tipologia dei guanti utilizzati. Il primo, quattro delle cinque dita della mano s'introducevano in una specie di guanto e ne sporgevano in modo da risultare unite come in un pugno: venivano tenute ben strette da una striscia di cuoio, che in funzione di sostegno scendeva lungo l'avambraccio. In un secondo periodo, verso il 4° sec. a.C., i lacci furono resi micidiali con l'aggiunta di fasce di cuoio duro attorno alle nocche delle dita: questi speciali rivestimenti, chiamati sfairài, coprivano le prime falangi della mano e si avvolgevano lungo il braccio, tenuti insieme da pesanti e duri nastri di cuoio, stretti ai polsi.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Pugilato

Gli sfairài restarono in uso sino al periodo romano, ma poiché indossarli era piuttosto complicato, nel terzo periodo, vennero poi sostituiti dagli imàntes òxeis, formati da un guanto imbottito, che ricopriva anche l'avambraccio con un doppio strato di pelliccia a scopo protettivo.L'incontro di pugilato, come quello di lotta, non conosceva intervalli e non aveva limiti di tempo prestabiliti. Si andava avanti sino a quando uno dei due contendenti veniva abbattuto o alzava il braccio in segno di resa. Non esistevano categorie in base al peso e solo a partire dalla XLI edixioze (616 a.C.) fu riconosciuta una distinzione, in rapporto all'età. Gli incontri si svolgevano con il sistema dei gironi eliminatori ai quali si veniva ammessi per sorteggio.

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(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Gare Ippiche

Furono introdotti nel programma della XXV edizione dei Giochi Olimpici, nel 680 a.C. La prima gara, ospitata in un impianto costruito appositamente, l'ippodromo, consistette nel téthrippon, corsa di carri con quattro cavalli. La competizione si svolgeva su 12 giri della pista, i carri dovevano girare per 12 volte intorno a un tronco di colonna interrato. Nelle prime edizioni dei Giochi i carri, numerosi non essendo previsti turni eliminatori, prendevano il via schierati su un'unica linea di partenza. Ovviamente il carro che si trovava sulla perpendicolare della mèta era avvantaggiato percorreva una distanza minore rispetto agli altri. Nel 5° sec. a.C. per risolvere il problema fu introdotto un complicato marchingegno che consisteva in una barriera mobile, triangolare, disegnata come la prua di una nave. Lungo i due lati, che si raccordavano ai bordi della pista, vi era un certo numero di stalli disposti a coppie, dove prendevano posto i carri, bloccati da una fune. Con tale sistema coloro che non si trovavano sulla perpendicolare della mèta e che perciò dovevano percorrere una distanza maggiore per raggiungerla, avevano il vantaggio della velocità nel momento in cui aveva inizio effettivamente la corsa.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Gare Ippiche

Il segnale di partenza veniva dato in modo suggestivo. All'estremità della pista, su un altare era posto un delfino di bronzo, su un altro era collocata una grande aquila meccanica con le ali spiegate. Quando le trombe degli araldi squillavano, un giudice faceva cadere il delfino e innalzava l'aquila di bronzo che, battendo le ali, dava il via. Il traguardo invece era contrassegnato da una linea tracciata con calce o creta. A partire dal 648 a.C. iniziarono le competizioni riservate ai cavalli montati (kèles), sulla lunghezza di 6 giri dell'ippodromo, gare che in pratica potrebbero essere considerate un'anticipazione delle nostre corse al galoppo; Nel 500 a.C. fu inserita nel programma la corsa dei carri tirati da muli, forse per l'influenza esercitata dai coloni siciliani, essendo la Sicilia rinomata per l'allevamento di questi animali; la gara non incontrò il favore degli elei, che la soppressero nel 452 a.C. Nel 496 fu la volta della corsa con giumente (kàlpe); la prova prevedeva che dopo un certo numero di giri dell'ippodromo percorsi al trotto, i concorrenti dovessero smontare dall'animale e percorrere di corsa l'ultimo giro; fu disputata poche volte.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Gare Ippiche

Nel 408 a.C. comparve un'altra specialità, quella delle bighe, con due cavalli attaccati al carro. Infine, nel 3° sec. a.C., le competizioni equestri si moltiplicarono e si cominciò a gareggiare con quadrighe e bighe tirate da puledri e, successivamente, con puledri montati da cavalieri. Quest'ultima prova non fu mai molto popolare e venne tolta dal programma dopo poche edizioni.Un'originalità delle corse ippiche era costituita dal fatto che la corona d'alloro spettante al vincitore non era consegnata all'auriga o al cavaliere, dei quali non si conosceva nemmeno il nome, ma al proprietario del cavallo. I conducenti ricevevano come riconoscimento solo una benda di lana, con la quale si cingevano la fronte.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Pancrazio

Il pancrazio, introdotto alla XXXIII edizione dei Giochi Olimpici nel 648 a.C., rappresentò senza dubbio la competizione più dura e brutale non solo del programma dei Giochi, ma di tutta la storia degli antichi confronti atletici.La prova nacque dalle continue infrazioni che si verificavano durante le gare di lotta, i cui regolamenti vietavano pugni, testate e altri colpi che potessero ledere gravemente l'integrità fisica dei contendenti. Con il tempo le irregolarità e le scorrettezze erano divenute così frequenti che si pensò di consentirle, dando vita al pancrazio, un combattimento a oltranza che consisteva in una combinazione tra la lotta e il pugilato, senza esclusione di colpi. Era vietato soltanto mordere e introdurre le dita negli occhi dell'avversario. L'incontro prevedeva anche il proseguimento del combattimento a terra. Fra tutte le discipline olimpiche, il pancrazio, che esprimeva una violenza così brutale, è stata l'unica ad avere caratteristiche estranee agli ideali religiosi e alle tradizioni sacrali collegate all'agonismo dell'antica Grecia. A causa della crudeltà dei combattimenti, ai giovani fu consentito di disputare questa gara solo in poche edizioni; in seguito la prova fu cancellata dal programma e riservata unicamente agli adulti.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

La Corsa con le Armi

Con la LXV edizione dei Giochi Olimpici (520 a.C.) si ebbe un'importante innovazione: l'inserimento dell'oplitodromìa, la corsa con le armi, che si disputava sulla distanza di 2 o, forse, 4 stadi e si svolgeva al termine delle altre competizioni, chiudendo il programma delle gare, quasi a dimostrare che si trattava di una prova a sé stante rispetto alle altre.La corsa degli opliti, rispondeva pienamente al precetto dell'atleta soldato. L'efficacia preparatoria della corsa armata viene esaltata da Erodoto nel suo racconto sulla battaglia di Maratona (490 a.C.), ove descrive i persiani sbigottiti di fronte ai soldati ateniesi i quali, evidentemente ben addestrati, li avevano affrontati, correndo armati di scudo e lancia, con un'agilità mai vista sui campi di battaglia. La gara, nonostante non raggiungesse il prestigio delle altre, fu molto popolare e divenne soggetto prediletto di molti artisti, scrittori o pittori. Dalle loro opere si rilevano molti dettagli tecnici: gli atleti dovevano percorrere la distanza in assetto di guerra, indossando un elmo di metallo e gli schinieri alle gambe, e imbracciando un pesante scudo di bronzo, talora ricoperto di cuoio e una lancia.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

Prove riservate ai giovani

In origine nei giochi panellenici gli atleti erano distinti per età in due sole categorie: giovani e adulti. Rispettando questo criterio, a Olimpia, a partire dalla XXXVII edizione (632 a.C.), furono organizzate competizioni riservate ai giovani con un programma che prevedeva unicamente gare di corsa e di lotta. Nell'edizione successiva e solo in tale occasione, fu inserito il pentathlon, poi soppresso in quanto ritenuto specialità troppo faticosa per i ragazzi.Nella XLI edizione (616 a.C.) i giovani furono ammessi a gareggiare, in una categoria a loro riservata, anche nel pugilato. Il programma delle prove per i giovani fu completato con l'inserimento del pancrazio, in occasione della CXLV edizione (200 a.C.); questo però fu in seguito cancellato dai Giochi, per la pericolosità dei combattimenti che recavano danni irreversibili ai contendenti. Non fu, invece, mai consentito ai giovani di gareggiare nella estenuante corsa con le armi. Sebbene la regola generale stabilisse che il giovane fosse da considerare tale sino al compimento dei 18 anni, la discrezionalità dei giudici era totale. A loro giudizio l'atleta, indipendentemente dall'età, poteva essere escluso dalle competizioni se non era considerato sufficientemente robusto per sostenere la fatica delle gare, oppure poteva essere ammesso direttamente alla categoria degli adulti, nel caso avesse una costituzione fisica idonea. Il mondo greco attribuì un grandissimo valore alle vittorie conseguite dai giovani, ritenendole, simbolicamente, un benaugurante auspicio per il futuro delle genti e delle pòleis alle quali essi appartenevano.

(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").

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(Tratto da "Treccani. Enciclopedia dello sport 2004. Mario Pescante").