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APPUNTI VOLTA CAPPELLA SISTINA
murgocimihai
Created on March 10, 2021
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Storie della genesi
La scena fa parte del gruppo di tre scene legate alla Creazione del mondo, con la Creazione degli astri e la Separazione delle acque dalla terra. In queste tre scene domina la rappresentazione l'Eterno in volo sopra spazi sconfinati, avvolto dall'ampio mantello rosato. La concezione unitaria delle tre scene ha fatto pensare a un'allusione alla Trinità, ma è più probabile che vi si possa leggere un'allegoria derivata dai testi di sant'Agostino legata rispettivamente all'opera svolta dalla Chiesa nel mondo (acque e terra), alla seconda venuta di Cristo (astri e piante) e al Giudizio finale (tenebre e luce). Nella Separazione della luce dalle tenebre Dio, che da solo riempie la quasi totalità della scena, fluttua impegnato nell'atto generativo che è alla base del mondo. La sua figura è vista dal basso e roteata, con le braccia alzate mentre dà forma al caos, originando onde di luce tra le tenebre incombenti. La gamma cromatica è ridotta, come tipico nelle figure della seconda fase della volta, con le sfumature del viola e le tonalità fredde (bianchi, azzurri, grigi) accordate in passaggi dal chiaro allo scuro di estrema cura. Il viola dopotutto era il colore dei paramenti indossati durante le celebrazioni dell'Avvento e della Quaresima, tra le ricorrenze più solenni celebrate nella cappella. Anche la composizione appare semplificata, con l'unica grande figura divina, che acquisisce così una monumentalità grandiosa. La pennellata, almeno nelle Storie che sono più lontane dello spettatore, diventa più essenziale e scabra, con una lavorazione a tratti intrecciati, simile all'effetto che, in scultura, si ottiene con lo scalpello dentato. Ciò aumenta l'effetto visionario delle storie, soprattutto per contrasto con le figure dei Veggenti e degli Ignudi, pittoricamente più dense e levigate.
La scena fa parte del gruppo di tre scene legate alla Creazione del mondo, con la Separazione della luce dalle tenebre e la Separazione della terra dalle acque. L'ordine sequenziale del testo biblico vedrebbe la Separazione della terra dalle acque come seconda storia, ambientata nella seconda giornata, ma venne riservato alla Creazione degli astri e delle piante (terzo e quarto giorno della creazione) un riquadro maggiore, rompendo quindi la successione "storica". Su uno sfondo di un luminoso cielo Michelangelo raffigurò due scene consecutive della Creazione, con un'essenzialità di grande impatto. Dio è rappresentato due volte mentre, con la tipica "terribilità" michelangiolesca, crea gli astri, spalancando le braccia con un gesto perentorio (a destra) e mentre dà vita alle piante sulla Terra stendendo la mano destra (a sinistra). L'Eterno è colto da un vento impetuoso che gonfia i panneggi e gli scompiglia capelli e barba, simbolo della potenza generatrice divina. Le due immagini sono strettamente complementari e fortemente dinamiche e potenti, alternate in "controcampo", una volta frontale e una da terga. Le due metà non sono esattamente simmetriche, con una preponderanza per la scena a destra, in cui Dio fluttua avvolto da un mantello gonfiato da un vento vigoroso in cui si trova una piccola ma significativa corte angelica (da alcuni identificata come allusione ai quattro elementi). Se da questo lato sembra muoversi impetuosamente verso lo spettatore, a sinistra se ne allontana scorciando. La cromia è tutta giocata sulle tonalità del violetto della veste del Creatore, comune a tutte le tre storie della Creazione del Mondo, e sui colori freddi del grigio e dell'azzurro chiarissimo, con l'unica eccezione dell'intenso sole al centro, rappresentato come un disco dorato, mentre la luna ha la forma di una sfera perlacea. Il viola era il colore dei paramenti sacerdotali durante la Quaresima e l'Avvento, due tra le solennità più importanti celebrate dalla corte papale nella cappella. I contrasti di luce e ombra sono forti e accentuati, con una tensione dinamica che scaturisce dall'effetto di doppia "istantanea" dell'immagine. Tra i vantaggi di una rappresentazione doppia nella medesima scena, oltre a ragioni filosofiche e compositive, c'è anche quello di far intuire una veduta multipla tipica della scultura.
La scena fa parte del gruppo di tre scene legate alla Creazione del mondo, con la Creazione degli astri e la Separazione delle acque dalla terra. In queste tre scene domina la rappresentazione l'Eterno in volo sopra spazi sconfinati, avvolto dall'ampio mantello rosato. La concezione unitaria delle tre scene ha fatto pensare a un'allusione alla Trinità, ma è più probabile che vi si possa leggere un'allegoria derivata dai testi di sant'Agostino legata rispettivamente all'opera svolta dalla Chiesa nel mondo (acque e terra), alla seconda venuta di Cristo (astri e piante) e al Giudizio finale (tenebre e luce). Nella Separazione della luce dalle tenebre Dio, che da solo riempie la quasi totalità della scena, fluttua impegnato nell'atto generativo che è alla base del mondo. La sua figura è vista dal basso e roteata, con le braccia alzate mentre dà forma al caos, originando onde di luce tra le tenebre incombenti. La gamma cromatica è ridotta, come tipico nelle figure della seconda fase della volta, con le sfumature del viola e le tonalità fredde (bianchi, azzurri, grigi) accordate in passaggi dal chiaro allo scuro di estrema cura. Il viola dopotutto era il colore dei paramenti indossati durante le celebrazioni dell'Avvento e della Quaresima, tra le ricorrenze più solenni celebrate nella cappella. Anche la composizione appare semplificata, con l'unica grande figura divina, che acquisisce così una monumentalità grandiosa. La pennellata, almeno nelle Storie che sono più lontane dello spettatore, diventa più essenziale e scabra, con una lavorazione a tratti intrecciati, simile all'effetto che, in scultura, si ottiene con lo scalpello dentato. Ciò aumenta l'effetto visionario delle storie, soprattutto per contrasto con le figure dei Veggenti e degli Ignudi, pittoricamente più dense e levigate.
Su uno sfondo naturale spoglio e poco caratterizzato, simboleggiante l'alba del mondo sta semidistesa la figura giovane e atletica di Adamo, che da un pendio erboso, quasi sul ciglio di un abisso, fa per sollevarsi da terra, tendendo un braccio verso l'Eterno, che si avvicina in volo entro un nimbo angelico. Dio, con la veste purpurea, è circondato, secondo la tradizione iconografica, da un gruppo d'angeli, ma al posto degli stereotipati serafini e cherubini (sebbene vengano rappresentati in modo diverso dalla Bibbia, infatti i Serafini hanno 6 ali e invece i Cherubini hanno sembianze animalesche), Michelangelo rappresentò delle figure reali, impegnate in uno sforzo come per sollevare il nimbo e composte in varie attitudini e atteggiamenti, con un trattamento differenziato in termini di illuminazione e nitidezza che amplifica, per contrasto, quelle in primo piano. Straordinaria è l'invenzione degli indici alzati delle braccia protese, un attimo prima di entrare in contatto, come efficacissima metafora della scintilla vitale che passa dal Creatore alla creatura forgiata, di straordinaria bellezza che riflette la perfezione e la potenza divina, ridestandola. Tale gesto fu forse ispirato dalla fiorentina Annunciazione di Cestello di Sandro Botticelli. Il momento così immortalato acquistava un valore eterno e universale, sospeso in un trepidante avvicinamento che non avviene, ma è già perfettamente intellegibile. Alcuni pensano che il contatto che non avviene tra le due dita sia voluto, per sottolineare l'irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell'uomo. Dettaglio Adamo, dal corpo definito con notevole perizia anatomica, poggia il braccio sul ginocchio piegato, in un perfetto effetto di risveglio: solleva lentamente il corpo e alza il dito ancora incerto verso quello assolutamente fermo di Dio. La figura del primo uomo presenta morbidi trapassi chiaroscurali, che però, tramite il ricorso a tonalità brillanti, rendono un forte risalto scultoreo. Il suo volto, di profilo e leggermente ruotato all'indietro, è quello di un adolescente, senza un'espressione definita, che si contrappone all'intenso ritratto di Dio Padre, maturo e carico d'energia, con la capigliatura grigia e una lunga barba con baffi fluttuante nell'aria. L'occhio di Adamo non è dipinto, ma è ricavato direttamente "rialzando" l'intonaco ancora fresco, così da creare un gioco di ombre.[2] Per l'Adamo, Michelangelo si ispirò, come fece per la Creazione di Eva, alla formella scolpita da Jacopo della Quercia per la Porta Magna della Basilica di San Petronio a Bologna. La posa di Adamo venne studiata in un foglio a carboncino nero e sanguigna, oggi al British Museum di Londra. Sotto la gamba di Adamo sporge la mano di uno degli Ignudi, i giovani che siedono agli angoli dei pannelli narrativi. Dettaglio Il gruppo divino è inserito in un grande manto rossastro, gonfio di vento, che abbraccia l'Eterno e gli angeli con una curva dinamica, che per alcuni studiosi ricorda la forma di un cervello umano, che sottolineerebbe il concetto di "idea" divina, per altri una conchiglia. Un gruppo di ricercatori italiani, in un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings, ha accostato la sagoma del "mantello" raffigurato nell'affresco con una sezione anatomica di utero post-partum, ottenendo una suggestiva sovrapposizione. La corrispondenza dei dettagli anatomici, sorprendente per l'esattezza, non può essere ritenuta casuale, ma si spiegherebbe solo in virtù della profonda conoscenza anatomica che Michelangelo aveva acquisito attraverso una consolidata esperienza di dissezioni su cadavere praticate durante il periodo trascorso presso la Basilica di Santo Spirito a Firenze.[3]. Già Adrian Stokes nel 1955 aveva parlato di "uterine mantle"[4] e il Professor Andrea Tranquilli aveva intuito che il mantello fosse la rappresentazione di un organo cavo di colore rosso deputato alla "creazione"[5]. Secondo altre interpretazioni l'immagine che comprende il gruppo di Angeli con Dio al centro sarebbe una sezione anatomica dell'emisfero destro del cervello umano [6], [7], tale raffigurazione anatomica potrebbe avere un significato riconducibile alle concezioni neoplatoniche concernenti l'unità dell'uomo con Dio [8], [9].
La Creazione di Eva è il riquadro al centro dell'intera volta, dove per la prima volta Michelangelo dipinse la figura dell'Eterno, poi protagonista di tutte le altre scene verso l'altare. Essa fa parte del gruppo delle tre storie dei progenitori, al centro tra le tre storie della Creazione del mondo e le tre storie di Noè. La preminenza data ad Eva dalla posizione centrale è spiegabile con la lettura simbolica delle scene come prefigurazioni del Nuovo Testamento. Essa era spesso indicata come simbolo di Maria, che a sua volta simboleggiava nella tradizione teologica la Chiesa. La creazione di Eva dal costato di Adamo era quindi paragonabile alla nascita della Chiesa dal sangue del costato di Gesù crocifisso. La centralità di questo messaggio era sottolineata anche dalla raffigurazione vicina di Ezechiele, che parlò della nascita della Vergine, della visione di un tempo contaminato dal peccato e abbandonato da Dio al quale seguirà la costruzione di un nuovo Tempio, e della Sibilla Cumana, che nella IV Egloga di Virgilio predice la venuta di un bambino che avrebbe dato origine a una nuova "Età dell'oro". Della scena fornì una vivace descrizione Giorgio Vasari: «fé il suo cavar della costa della madre nostra Eva, nella quale si vede quegli ignudi l'un quasi morto per essere prigion del sonno, e l'altra divenuta viva e fatta vigilantissima per la benedizione di Dio»[2]. Adamo è disteso nell'angolo inferiore a sinistra, con una posizione diagonale, più o meno perpendicolare a quella del corpo di Eva che si alza, sollecitata da un gesto eloquente dell'Eterno in piedi davanti a lei (nelle altre scene invece Dio è sempre in volo). Dio, avvolto in un ampio mantello violaceo, che lascia appena scorgere la tunica violetto che indossa nelle altre scene, ha uno sguardo intenso e alza il braccio destro, che, come negli altri episodi, è il vero motore dell'azione. Il braccio alzato sembra infatti guidare Eva verso l'alto, mentre essa emerge gradualmente con le mani giunte benedicenti, da Adamo disteso addormentato. La composizione è resa particolarmente efficace da un gioco di linee perpendicolari e parallele: il corpo di Adamo è parallelo allo sporgenza rocciosa e al braccio divino, mentre quello di Eva appare come continuazione del braccio disteso di Adamo, parallelo al tronco secco. Le teste dei protagonisti sono disposte poi su un unico asse che attraversa diagonalmente l'intera scena. I corpi dei progenitori appaiono come quelli di adolescenti, diversi da quelli di atletici adulti nella scena del Peccato originale. Da un punto di vista stilistico, la figura di Dio riprende lo spessore monumentale ed eroico delle figure di Masaccio (nella cappella Brancacci) o di Giotto (nella cappella Peruzzi). Originale è invece la capigliatura e la barba bionda del Creatore, grigia negli altri episodi. La scena della Creazione di Eva ha come precedente iconografico più vicino la formella della Porta Magna nella Basilica di San Petronio a Bologna di Jacopo della Quercia, studiata da Michelangelo anni prima e probabilmente rivista nel 1511, in cui i tre protagonisti hanno una collocazione molto simile. Il paesaggio è spoglio e sintetico: si vede un lembo di mare sotto un cielo azzurro chiaro e un prato verde, mentre il primo piano è composto da un gruppo di rocce digradanti verso destra con un albero secco a cui è appoggiato Adamo. Alcuni piccoli pentimenti sono stati rilevati attorno alla testa di Adamo, nei rami dell'albero secco, nei capelli e nel corpo di Eva.
L'affresco è diviso in due metà dall'Albero della conoscenza del Bene e del Male, più o meno al centro. A sinistra, entro uno spazio delimitato dalle fronde dell'albero e dalla lieve diagonale creata dalle rocce sul terreno, sullo sfondo di un cielo limpido e luminoso avviene la scena del Peccato originale, in cui il serpente tentatore, qui raffigurato parzialmente trasformato in una figura femminile (sviluppando la tradizione che gli assegnava di solito una testina umana), convince Eva a prendere un frutto proibito, porgendoglielo, mentre Adamo sembra allungarsi per prenderne un altro. I due progenitori sono nudi ed estremamente atletici, compresa Eva che ha, specialmente nelle braccia, quella muscolarità mascolina tipica delle donne michelangiolesche. A destra invece il paesaggio muta bruscamente diventando estremamente spoglio e desolato. Qui l'angelo sta cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, minacciandoli con la spada. I loro corpi appaiono improvvisamente rattrappiti e invecchiati, con drammatiche smorfie di dolore sui loro volti che sviluppano l'espressivismo della Cacciata dei progenitori dall'Eden di Masaccio; anche il paesaggio diventa spoglio e arido, in contrasto col giardino verde e fronzuto dell'Eden. Notevole da un punto di vista compositivo è il gesto complementare e simmetrico del diavolo tentatore e dell'angelo, sull'asse dell'Albero della conoscenza del Bene e del Male. Nella lettura a ritroso degli episodi della Genesi come prefigurazione degli avvenimenti della Settimana Santa, la scena simboleggia la Crocifissione di Gesù, col Lignum vitae dell'Albero, messo non a caso al centro, che fu lo stesso, secondo la tradizione, con cui venne fatta la Vera Croce. Particolarmente efficace è stato il restauro su questa scena, che ha ridato pieno valore ai contrasti tra toni caldi e freddi e ad altri valori pittorici, come le variazioni di modellato, ad esempio morbido e basato su lievi trapassi per Eva prima del peccato, mentre è duro e fitto nel tentatore, particolarmente evidente nelle spire della coda che hanno un effetto a squame cangianti, dal giallo al verde al rosso. Squillante è il manto rosso dell'angelo, mentre l'incarnato dei progenitori dopo la cacciata è ottenuto tramite una base di ocra, terra d'ombra e bianco, su cui sono state applicate velature di terra d'ombra e terra nera.
Il Sacrificio di Noè fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è la terz'ultima della serie, la prima delle tre Storie di Noè, sebbene esso dovrebbe seguire, e non precedere, la scena successiva del Diluvio Universale. Ciò è forse legato a motivi di lettura simbolica delle scene, ma più probabilmente fu innanzitutto legata al desiderio di riservare al Diluvio uno dei riquadri maggiori. Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell'umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall'ingresso cerimoniale arrivava all'altare. La scena mostra il sacrificio che Noè compì dopo essersi salvato con l'arca dal diluvio, riappacificandosi con Dio: si tratta di un momento fondamentale nelle storie della Salvezza, poiché dai discendenti di Noè verranno le generazioni che condurranno il popolo d'Israele fino alla liberazione dalla schiavitù e alla venuta di Cristo. L'affresco, dalla composizione nitida e piuttosto ordinata, riprende lo schema dei rilievi antichi (Suovetaurilia), con il sacrificio al centro verso cui convergono gli inservienti con gli animali al seguito: due arieti, un toro, due cavalli, addirittura un elefante, appena visibili sullo sfondo. Il patriarca indossa la stessa tunica rossa che si vede anche nella scena di fondo dell'Ebbrezza di Noè. A destra si vede l'anziana moglie di profilo, forse opera dei collaboratori, per i contorni più rigidi e un modellato più sommario. Stesso discorso vale per la giovane a sinistra vestita di verde, che sta aiutando ad accendere il fuoco sull'ara con una torcia e si protegge il volto con una mano: si tratta di una citazione di un sarcofago romano con la storia di Melagro. In primo piano si vedono un ragazzo che porta una fascina di legna da ardere e un giovane che, seduto nudo su un ariete appena sgozzato, sta prendendo dalle mani di un altro le interiora di un animale per vaticinare. Un altro giovane invece, pure nudo, è di spalle con la testa rivolta all'apertura col fuoco dentro l'altare, per controllarlo come se fosse una fornace e forse soffiarci per aizzarlo.
Il Diluvio fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è la penultima della serie, a metà delle tre Storie di Noè degli ultimi riquadri. Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell'umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall'ingresso cerimoniale arrivava all'altare. In questo sistema di concordanze il Diluvio rappresentava il Battesimo di Cristo: come l'acqua del battesimo cancella i peccati, così l'acqua del diluvio purificò il mondo dai peccatori. L'Arca di Noè era poi simbolo della Chiesa stessa: essa è di legno, come il legno della Croce, e analogamente ad esso è un mezzo di salvezza. A differenza delle scene successive, vi sono raffigurate circa sessanta figure, relativamente piccole. I personaggi spesso nudi, sono, raggruppati e distribuiti lungo direttrici diagonali che accentuano la profondità prospettica. Secondo l'interpretazione dell'episodio fornita da Ugo da San Vittore, l'umanità si divise in tre gruppi umani, ciascuno visibile nell'affresco michelangiolesco. I giusti trovano posto nell'arca (quindi nella Chiesa) e vi trovano la Salvezza; i reprobi tentano di assalirla; il resto delle persone, pur non essendo malvagie, sono perduti per via del loro attaccamento alle cose del mondo, che causeranno la loro fine. Questi ultimi sono la schiera di persone in primo piano che cerca rifugio sulla terra ferma, portando vistosamente i propri beni: alcuni cercano di salire sugli alberi, altri hanno sulle spalle o i propri figli o i familiari. Di essi fanno parte anche le figure sull'isolotto di destra, dove spicca il commovente gruppo dell'anziano genitore che con forza titanica e grande fatica porta in braccio il corpo stremato del figlio. In generale sembra che quest'ultima tipologia di figure abbia la consapevolezza della loro sorte, accettandola dolorosamente ma con rassegnazione, cercando piuttosto di aiutare i più deboli, per quanto possibile. I reprobi invece sono visibili anche sulla barchetta al centro, mentre litigano l'uno contro l'altro per impedire ad altri di imbarcarsi e rischiando l'affondamento; un altro gruppo cerca di dare assalto all'arca, con una scala o con un'accetta per fare a pezzi lo scafo. Ma niente sembra turbare la grandiosa imbarcazione, simile a una cittadella, sulla quale è già discesa la colomba dello Spirito Santo e Noè vi si affaccia, a sinistra, per vedere il segno divino di un raggio di sole, al centro del cielo come un disco dorato. Le prime cinque "giornate" (su un totale di ventinove) riguardarono le figure sull'isolotto a destra, che sono condotte a secco (i due personaggi in primo piano a destra del barilotto) o comunque non a "buon fresco" (il giovane nudo sdraiato al centro). Dopodiché dovettero aver luogo i contrasti con gli assistenti, che vennero licenziati, e l'artista dovette procedere da solo, a "buon fresco". Tra queste parti alcune hanno una maggiore freschezza, eseguite dal maestro, mentre altre sono più impacciate, legate alla preoccupazione di seguire attentamente il disegno del cartone, con un modellato più debole e una minore ricchezza nelle pennellate. Nonostante gli scarti qualitativi, essi non sono sufficienti ad attenuare l'effetto della grandiosa invenzione compositiva.
L'Ebbrezza di Noè fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è l'ultima della serie, che conclude anche le tre Storie di Noè degli ultimi riquadri. Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell'umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall'ingresso cerimoniale arrivava all'altare. L'Ebbrezza di Noè era infatti letta, fin da sant'Agostino, come immagine profetica del Cristo deriso, inoltre la piantagione della vigna, visibile nella parte sinistra, era un simbolo dell'Incarnazione. Il racconto biblico racconta come Cam vide il padre Noè ebbro per i frutti della vite, che giaceva nudo e scomposto, avvisandone i fratelli. Sem e Iafet allora giunsero per coprirlo usando un mantello e camminando a ritroso per non essere costretti a vedere le sue nudità. Michelangelo ambientò la scena in una capanna di legno, col corpo del patriarca, ebbro e assopito, in posizione distesa su un giaciglio leggermente rialzato da assi lungo il margine inferiore. Vicino a lui si trovano due citazioni del quotidiano, una brocca e una ciotola. La metà destra è occupata dai suoi figli che si accorgono dell'accaduto e fanno per coprirlo, nonostante essi stessi siano nudi. Al centro, sotto la capanna, campeggia un grosso tino. Per il gesto di derisione compiuto da Cam, che lo indica col dito, Noè, al suo risveglio, ne maledirà la stirpe: questa condizione di reprobo è legata anche all'aspetto molliccio e arrotondato del suo corpo, mentre i suoi due fratelli hanno corpi atletici e intonati a gesti eroici. All'esterno, sulla sinistra, ha luogo la scena precedente, dove si vede Noè di nuovo al lavoro per dissodare la terra dove pianterà la vigna. La sua figura, nell'episodio sullo sfondo, ha una tunica rosso sangue, che venne dipinta nell'ultima delle "giornate" e di getto, senza ricorso al cartone, con il ricorso a leggerissime velature di colore.
Medaglioni
I medaglioni sono dieci, di cui uno non istoriato, ed hanno un diametro variabile tra i 130 e i 140 cm. Essi simulano l'effetto del bronzo, con un uso dell'ocra e della terra bruciata di Siena come toni medi, il tratteggio nero a tempera per le ombre e l'oro zecchino per le lumeggiature, applicato a secco tramite un mordente a base di resine naturali. Sono sostenuti, tramite nastri, dalle rispettive coppie di Ignudi e sono decorati con storie bibliche, di interpretazione non sempre chiarita e in connessione con le storie principali dei riquadri della Genesi e con i rispettivi valori simbolici. Ad esempio, vicino alla scena della Separazione della luce dalle tenebre, che allude alla fine dei tempi e il Giudizio Universale, si trovano il Sacrificio di Isacco, prefigurazione della Passione e Crocifissione di Gesù, ed Elia che ascende al cielo su un carro di fuoco, una profezia sull'ascensione. Dalla parete di ingresso a quella dell'altare si incontrano: Uccisione di Abner da parte di Joab (2 Samuele 3,27) - Joab è della mano di un aiuto Bidgar che getta il corpo del deposto re Ioram nella vigna di Nabat (2 Re 9,21) - Ioram è della mano di un aiuto Uccisione di Uria (2 Samuele 11.16-27) - opera di un aiuto, forse Giuliano Bugiardini Distruzione del simulacro del dio Baal (2 Re 10,25) - mano di un aiuto David davanti al profeta Nathan (2 Samuele 12,1) o Alessandro Magno davanti al gran sacerdote di Gerusalemme Distruzione della tribù di Acab, seguace di Baal (2 Re 10,17) o Morte di Nicanor Morte di Assalonne (2 Samuele 17,9) Medaglione non istoriato Sacrificio di Isacco (Genesi 22,9) Elia che ascende al cielo su un carro di fuoco (2 Re 11)
Ignudi
Celebre è la serie degli Ignudi sulla volta della Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo tra il 1508 e il 1512. Essi decorano, a gruppi di quattro, gli spazi tra i riquadri minori delle Storie della Genesi. Essi siedono su plinti che, a differenza della cornice superiore dei troni dei Veggenti, non sono scorciati dal basso, assecondando l'andamento curvilineo della volta. Gli Ignudi, che hanno un'altezza variabile dai 150 ai 180 cm, sostengono festoni con foglie di quercia, allusive allo stemma dei Della Rovere, e dei nastri che reggono i medaglioni che simulano l'effetto del bronzo. Gli Ignudi sono caratterizzati da pose riccamente variate, impostate a complesse torsioni, con un'indiscutibile bellezza fisica e anatomica. Nelle prime coppie, più vicine alla parete d'ingresso da dove iniziò la decorazione, venne usato uno schema simmetrico, ricorrendo quasi sicuramente a un medesimo cartone ribaltato. Le coppie seguenti hanno una maggiore scioltezza, fino alle ultime, vicine all'altare, che presentano una massima libertà compositiva e la tendenza marcata a invadere i riquadri delle Storie. Sono stati interpretati come cariatidi, ma non sostengono niente, o come prigioni, ma non sono legati o incatenati. Vasari li indicò come simboli dell'età dell'oro, mentre la critica moderna ha parlato di simboli neoplatonici, o comunque teologici: l'interpretazione più convincente è che siano figure angeliche, nell'accezione di figure intermedie "tra gli uomini e la divinità" (Charles de Tolnay)[1]. Essi inoltre hanno quella bellezza che, secondo le teorie rinascimentali come la famosa Oratio de hominis dignitate di Giovanni Pico della Mirandola, è unita all'esaltazione delle facoltà spirituali e pone l'uomo al vertice della Creazione, fatto "a immagine e somiglianza" di Dio[2].
Giuditta e Oloferne
Giuditta e Oloferne fa parte dei quattro pennacchi con storie del Vecchio Testamento, legate alla protezione del popolo d'Israele da parte di Dio. La scena è divisibile in tre zone di diversa larghezza, che si ritrovano anche in uno studio a carboncino oggi al Museo Teylers di Haarlem, nei Paesi Bassi, sebbene con una diversa disposizione delle figure. Al centro si vedono Giuditta e l'ancella stagliarsi in primo piano e in piena luce contro una parete bianca disposta in obliquo. Esse hanno già completato la loro missione di uccidere il tiranno Oloferne, infatti ne portano la grossa testa su un vassoio metallico sulla testa dell'ancella (Giuditta fa per coprirlo con un panno), mentre a destra si vede, nell'oscurità, la tenda del generale che giace nudo nel letto, ancora in preda agli spasmi: se il braccio sinistro appare già morto, quello destro si leva minaccioso e la gamba sinistra punta con forza contro il letto facendo increspare le lenzuola. L'eroina biblica non mostra il proprio viso, ma sembra guardare all'orrida visione del corpo decapitato in frenetica agitazione. A sinistra infine, nell'oscurità, riempie l'angolo una guardia addormentata con la veste verde e uno scudo rosso su cui è adagiato un braccio. Le due donne vennero accuratamente trasferite da un cartone preparatorio, con lo spolvero, mentre la figura di Oloferne, dipinta in una sola "giornata", fu riportato con la tecnica dell'incisione dei contorni sull'intonaco fresco; il soldato infine venne dipinto di getto, senza alcuna preparazione. Notevole è il contrasto tra la parte centrale in piena luce e la penombra degli angoli, che asseconda la forma triangolare e concava del pennacchio, generando un senso di straordinaria profondità spaziale. Le due donne inoltre sono evidenziate da squillanti contrasti cromatici: nelle loro vesti si possono contare due tonalità di azzurro, due di giallo, un verde chiaro, un rosa, un rosso acceso, un violetto spento. Nella testa di Oloferne alcuni hanno voluto riconoscere un autoritratto di Michelangelo. La scena è da mettere in relazione, da un punto di vista iconologico, con l'altro pennacchio di Davide e Golia: in entrambi i casi due figure che non sembrerebbero brillare per forza - una donna e un giovanetto - riescono a liberare il popolo d'Israele da terribili nemici, prefigurando il trionfo della Chiesa. I due pennacchi alludono anche all'"umiltà vittoriosa", e il tema dell'"umiliazione" si trova anche nella vicina storia dell'Ebbrezza di Noè, che prefigura il Cristo deriso.
Davide e Golia
Davide e Golia fa parte dei quattro pennacchi con storie del Vecchio Testamento, legate alla protezione del popolo d'Israele da parte di Dio. La scena è ambientata in notturna, con le figure dei protagonisti al centro che però sono rischiarati da una luce chiara e forte. Davide e Golia sono avvinghiati nel duello mortale, col gigante già caduto a terra e il giovane che gli è già sopra, prendendolo per i capelli per tagliargli la testa con la grande spada che tiene già alzata nella destra. La testa di Davide venne riportata con un accurato spolvero e mostra un forte scorcio con una fitta tessitura di pennellate. In primo piano si vede il frombolo, abbandonato a terra. Sullo sfondo si vede una tenda chiara con riflessi violacei e, ai lati, spuntano in lontananza e nell'oscurità volti di soldati che assistono con apprensione al duello. La composizione è accuratamente studiata in modo da attenuare l'irregolarità della superficie, forzando lo scorcio audace dei due protagonisti al centro, con il perimetro della tenda che è visto da molto in alto, generando un'accelerazione prospettica lungo l'asse centrale, come se le figure stessero rovesciandosi sullo spettatore. La scena è da mettere in relazione, da un punto di vista iconologico, con l'altro pennacchio di Giuditta e Oloferne: in entrambi i casi due figure che non sembrerebbero brillare per forza - una donna e un giovanetto - riescono a liberare il popolo d'Israele da terribili nemici, prefigurando il trionfo della Chiesa. I due pennacchi alludono anche all'"umiltà vittoriosa", e il tema dell'"umiliazione" si trova anche nella vicina storia dell'Ebbrezza di Noè, che prefigura il Cristo deriso.
Il serpente di Bronzo
Il Serpente di bronzo fa parte dei quattro pennacchi con storie del Vecchio Testamento, legate alla protezione del popolo d'Israele da parte di Dio. Gli Israeliti, colpevoli di aver mormorato contro Dio e contro Mosè, vengono puniti con l'invio di serpenti velenosi a uccidere i peccatori. Mosè però, impietosito e pentito del suo accesso d'ira, forgia un serpente di bronzo (Necustan): chiunque, morsicato dai serpenti velenosi, si sarebbe potuto salvare solo guardando verso esso. La scena delle punizione occupa gran parte del pennacchio a destra, con un indescrivibile tumulto di corpi intrecciati, reso ancora più espressivo dalla cromia violenta e dal frequente uso di cangianti, soprattutto nei toni rossi e gialli. Violente sono le torsioni, i volti sono trasformati in maschere urlanti di terrore e vorticosi sono gli scorci, come quello dell'uomo seminudo in primo piano, del quale si vedono le gambe piegate e lo scorcio della testa dal basso. Al centro torreggia il serpente bronzeo issato e a sinistra si trova il gruppo degli scampati, che implorano, con gli sguardi e ampi gesti, l'immagine salvifica. Molto ammirato da Vasari, l'affresco fu un prezioso exemplum per un certo filone dei Manieristi, soprattutto da Giulio Romano fino allo stesso Vasari. In questa scena, come nelle altre immediatamente vicine, l'artista insistette particolarmente sugli scorci, in rapporto a una lettura degli affreschi che prevalentemente doveva avvenire lungo l'asse centrale, dalla porta cerimoniale verso l'altare. Da un punto di vista iconologico la scena è una prefigurazione della crocifissione di Gesù: si legge nel Vangelo di Giovanni «come Mosè innalzò il serpente di bronzo nel deserto, così il figlio dell'uomo sarà innalzato» (3,14). Alcuni rettangoli scuri testimoniano lo stato delle pitture prima del restauro.
La punizione di Aman
La Punizione di Aman fa parte dei quattro pennacchi con storie del Vecchio Testamento, legate alla protezione del popolo d'Israele da parte di Dio. Aman è raffigurato tre volte: a destra il sovrano Assuero lo invia a prendere gli abiti regali per Mardocheo, che è seduto sulla soglia; a sinistra Ester rivela ad Assuero la congiura di Aman e al centro Aman è punito, issato su una sorta di croce con un vertiginoso scorcio che lo proietta fuori dalla rappresentazione, verso lo spettatore. Aman è sempre riconoscibile per l'abito giallo, che compare come un panno volante nella scena del martirio, dove il corpo è nudo. Il corpo che taglia diagonalmente la scena domina drammaticamente l'intera rappresentazione, ed è rafforzato dalla parete bianca in scorcio della parete della stanza di Assuero, in cui si apre una porta che è attraversata, con notevole virtuosismo compositivo, da Aman in movimento. Michelangelo, scegliendo il supplizio della crocifissione invece dell'impiccagione riportata nel testo biblico, sottolineò il tema del parallelismo con la redenzione operata tramite l'incarnazione e il sacrificio di Cristo. In questa scena, come nelle altre immediatamente vicine, l'artista insistette particolarmente sugli scorci, in rapporto a una lettura degli affreschi che prevalentemente doveva avvenire lungo l'asse centrale, dalla porta cerimoniale verso l'altare. Buonarroti impiegò ventuno "giornate" per dipingere la scena, di cui ben tre per la sola figura di Aman: il disegno venne prima predisposto su un cartone e poi trasferito mediante incisione diretta, con una cura estrema per via dello scorcio particolarmente complesso. Esistono due fogli a sanguigna che studiano la sua figura, uno al British Museum e l'altro al Museo Teylers di Haarlem. Alcuni rettangoli scuri testimoniano lo stato delle pitture prima del restauro.