Want to create interactive content? It’s easy in Genially!
MALA
chicalibera
Created on February 26, 2021
Start designing with a free template
Discover more than 1500 professional designs like these:
View
Practical Presentation
View
Smart Presentation
View
Essential Presentation
View
Akihabara Presentation
View
Pastel Color Presentation
View
Modern Presentation
View
Relaxing Presentation
Transcript
LA STORIA NEI MALAVOGLIA
A cura di Federica Fatucchi, Tancredi Liani, Chiara Raccampo
"I Malavoglia" può essere considerato come la descrizione di una società arcaica rappresentata nel momento del cambiamento. Le sventure che colpiscono i personaggi derivano dall’irruzione della storia e della modernità all’interno del loro mondo immobile e fuori dal tempo. Questi eventi sono in particolare: l’Unità d’Italia, la leva militare, l'emancipazione femminile e il progresso economico e tecnologico.
Infatti la storia irrompe in maniera violenta disturbando il quieto vivere degli abitanti di Aci Trezza, che si sono creati un universo chiuso e immutabile le cui coordinate temporali seguono l'andamento delle stagioni, del passaggio delle costellazioni, dei cicli del mare e delle feste religiose, andamento ben diverso da quello del tempo storico del progresso, veloce e irruento. Il primo può essere descritto come mitico, ciclico e sempre uguale a se stesso, mentre il secondo è moderno, lineare e cronologico.
I meccanismi narrativi che troviamo all’interno dei malavoglia definiscono lo spazio e il tempo in maniera particolare. Il romanzo inizia con un rimando ad un tempo al di fuori della storia, ma i luoghi citati subito dopo sono estremamente precisi e creano una sensazione di spazio chiuso, di universo completamente risolto in se stesso, tutto ridotto alla stretta dimensione di Aci-Trezza e dei luoghi vicini. La Napoli dove ‘Ntoni presterà servizio militare è un posto lontano, che si perde nell’indeterminato.Le vicende si svolgono quindi in un tempo in cui tutto ritorna su se stesso e il tempo della storia, della contemporaneità che fa irruzione nel paese. Emerge nel tempo mitico la saggezza di padron ‘Ntoni che vive secondo una concezione di vita semplice e profonda, come si può vedere dall’uso di proverbi. Questi valori si incarnano in luoghi simbolici come la “casa del nespolo” e oggetti emblematici come la “Provvidenza”. La prima indicazione cronologica invece che troviamo di tempo determinato e storico è “Dicembre 1863”, data che segna la partenza per la leva obbligatoria di ‘Ntoni. Ciò provoca una lacerazione violenta sia sul piano pratico sia sul piano psicologico.
la ferrovia
PARTENZA DI 'NTONI
Nel dicembre 1863 ‘Ntoni, il maggiore dei nipoti era stato chiamato per la leva militare, Padron ‘Ntoni era andato dai pezzi grossi del paese per farsi aiutare, come se essi avessero potuto far scomparire la repubblica che obbligava i giovani a farsi soldati. Essi lo presero in giro e durante la visita medica di leva non poterono trovargli difetti per non farlo partire. Si rassegnarono tutti alla sua partenza.
Al momento del congedo La Longa gli dà le ultime raccomandazioni, mentre il nonno non dice nulla. Il giorno seguente andarono tutti alla stazione a vedere il treno che passava portando via i giovani per la leva militare. La Longa salutò il figlio, ma rimase delusa perché per ultimo 'Ntoni salutò la Sara di comare Tudda, e da quel giorno lei non le rivolse più la parola. Quando il treno non si vide più, la Longa era così triste che comare Venera la Zuppidda la consolò dicendole che doveva fare finta che il figlio fosse morto per i seguenti cinque anni.
Quando tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a Messina, e aspettarono più di un’ora, pigiati dalla folla, dietro lo stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti, le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringimento di cuore che si aveva prima.
— Addio ’Ntoni! — Addio mamma! — Addio! ricordati! ricordati! — Lì presso, sull’argine della via, c’era la Sara di comare Tudda, a mietere l’erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c’era venuta per salutare ’Ntoni di padron ’Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell’orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che ’Ntoni salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a guardare finchè il treno non si mosse. Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i curiosi si furono dileguati, non rimasero che alcune donnicciuole, e qualche povero diavolo, che si tenevano ancora stretti ai pali dello stecconato, senza saper perchè.
LA FERROVIA
Le origini del trasporto ferroviario risalgono alla rivoluzione industriale, quando si resero necessari mezzi più efficienti per il trasporto delle materie prime ai nuovi stabilimenti e dei prodotti lavorati ai mercati.
La prima ferrovia pubblica in grado di trasportare anche passeggeri, mossa esclusivamente da locomotive a vapore, fu la Liverpool-Manchester, aperta nel 1830. Questa fu progettata da George Stephenson, con l'assistenza del figlio Robert. Il successo commerciale, finanziario e tecnico della Liverpool-Manchester trasformò il concetto di ferrovia, e non solo in Gran Bretagna.
Dipinto di Édouard Manet, 1872-1873 "La ferrovia", National Gallery of Art, Washington DC
Vista fino ad allora come un mezzo di breve percorrenza utile soprattutto per l'industria estrattiva, il sistema ferroviario veniva finalmente considerato in grado di rivoluzionare il trasporto a lunga distanza, sia delle merci, sia dei passeggeri. Dal 1835 in avanti, la costruzione di linee per il collegamento delle città principali fu sviluppata rapidamente in Gran Bretagna e nell'Europa continentale.
il telegrafo
Il telegrafo viene nominato soltanto nel IV capitolo dei Malavoglia dove, passati tre giorni, è ormai chiaro che la barca della famiglia Toscano e il suo carico sono affondati e che Bastianazzo è morto affogato. Alla commemorazione per Bastianazzo tutti si interessano alla sventura dei Malavoglia (per compassione o per interesse).
Inoltre i Malavoglia con la morte di Bastianazzo, il carico di lupini da ripagare a zio Crocifisso e la Mena da maritare, per non parlare dell’infelice annata per colpa dell’assenza di pioggia, si trovano in grandi difficoltà economiche. Alla commemorazione, per cercare di tirare su di morale la Longa, i compaesani iniziano a parlare degli argomenti più svariati, come il telegrafo.
— Colla malannata che si prepara, — aggiunse padron Cipolla, che non pioveva da santa Chiara, — e se non fosse stato per l’ultimo temporale in cui si è persa la Provvidenza, che è stata una vera grazia di Dio, la fame quest’inverno si sarebbe tagliata col coltello!Ognuno raccontava i suoi guai, anche per conforto dei Malavoglia, che non erano poi i soli ad averne. «Il mondo è pieno di guai, chi ne ha pochi e chi ne ha assai», e quelli che stavano fuori nel cortile guardavano il cielo, perchè un’altra pioggerella ci sarebbe voluta come il pane. Padron Cipolla lo sapeva lui perchè non pioveva più come prima. — Non piove più perchè hanno messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via. — Compare Mangiacarrubbe allora, e Tino Piedipapera rimasero a bocca aperta, perchè giusto sulla strada di Trezza c’erano i pali del telegrafo; ma siccome don Silvestro cominciava a ridere, e a fare ah! [p. 51]ah! ah! come una gallina, padron Cipolla si alzò dal muricciuolo infuriato e se la prese con gli ignoranti, che avevano le orecchie lunghe come gli asini. — Che non lo sapevano che il telegrafo portava le notizie da un luogo all’altro; questo succedeva perchè dentro il filo ci era un certo succo come nel tralcio della vite, e allo stesso modo si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lontano, dove ce n’era più di bisogno; potevano andare a domandarlo allo speziale che l’aveva detta; e per questo ci avevano messa la legge che chi rompe il filo del telegrafo va in prigione. Allora anche don Silvestro non seppe più che dire, e si mise la lingua in tasca. — Santi del Paradiso! si avrebbero a tagliarli tutti quei pali del telegrafo, e buttarli nel fuoco! — incominciò compare Zuppiddo, ma nessuno gli dava retta, e guardavano nell’orto, per mutar discorso.
PADRON FORTUNATO CIPOLLA
Rientra nel gruppo degli “vincitori“ di Acitrezza: è infatti un benestante proprietario terriero, possiede numerose vigne e terreni e anche una barca. I suoi interessi sono tutti concentrati sulla propria roba. All’inizio è d’accordo con padron ‘Ntoni Sul matrimonio tra Brasi, suo figlio, e Mena. Ma quando, in seguito alla crisi economica dei malavoglia, la Mena non gli pare più un buon partito, non esita a rompere il fidanzamento.
Infine, per salvare la sua roba, minacciata dalla sciagurata Mangia Carrube che si era maritata con Brasi, decide, essendo vedovo, di sposare Barbara Zuppida. Padron Cipolla interpreta anche lui la mentalità più autentica della gente di Aci Trezza per quel suo attaccamento ai beni privati e per la sua più volte ripetuta avversione al progresso, inteso da lui come insidiosa intrusione in un mondo di affetti e valori consolidati
Il telegrafo
nel mondo
La rivolta per il dazio sulla pece
RIVOLTA DELLA PECE
Si tratta della rivolta della donne contro il dazio sulla pece che l’amministrazione comunale volle imporre e che riguardava tutti i proprietari di barche, poiché la pece era indispensabile per ricoprire gli scafi e riparare le imbarcazioni.
Il dazio sulla pece e sul sale avrebbero danneggiato la già magra economia di Acitrezza e le donne si ribellano. Gli uomini lasciano fare e non partecipano.
Nell’episodio si delineano due tendenze: quella di coloro che hanno beni da perdere e vogliono pertanto difendere la propria roba e quella dei poveracci che sanno di essere comunque poi quelli che pagheranno le conseguenze della sommossa..
Nel villaggio successe una casa del diavolo quando volevano mettere il dazio sulla pece. La Zuppidda, colla schiuma alla bocca, salì sul ballatoio, e si mise a predicare che era un’altra bricconata di don Silvestro, il quale voleva rovinare il paese, perchè non l’avevano voluto per marito: non lo volevano nemmeno per compagno alla processione, quel cristiano, nè lei nè sua figlia!
— Tutto perchè è tornato ’Ntoni di padron ’Ntoni, — seguitava comare Venera, — ed è sempre là, dietro le gonnelle di mia figlia. — Ora gli danno noia le corna, a don Silvestro. Infine se non lo vogliamo, cosa pretende? Mia figlia è roba mia, e posso darla a chi mi pare e piace. Gli ho detto di no chiaro e tondo a mastro Cola, quand’è venuto a fare l’ambasciata in persona, l’ha visto anche lo zio Santoro. Don Silvestro gli fa fare quel che vuole, a quel Giufà del sindaco; ma io me ne infischio del sindaco e del segretario. Ora cercano di farci chiudere bottega perchè non mi lascio mangiare il fatto mio da questo e da quello! Che razza di cristiani, eh? Perchè non l’aumentano sul vino il loro dazio? o sulla carne, che nessuno ne mangia?
La rivoluzione delle donne, capitolo VII
barbara zuppida
E la figlia di compare Turi "Zuppido" e comare venera "Zuppida".
Il soprannome di "Zuppiddi", dato a tutti i componenti della famiglia, deriva dall'andamento zoppicante di un loro avo
Vanitosa e leggera, Barbara si compiace nel farsi corteggiare, in particolare da Don Michele. Poi amoreggia con 'Ntoni Malavoglia e si mostra opportunista e cinica nel rifiutarlo quando la famiglia di lui è caduta nel debito economico. Infine sua madre la promette in sposa al ricco e vecchio Padron Fortunato Cipolla
DON SILVESTRO
È il segretario comunale di Acitrezza. Astuto e intrigante, detiene di fatto il potere politico del paese, manovrando a suo piacimento l’inetto sindaco, “Giufà”.
Decide, scommettendo bravamente alla Don Rodrigo, di sposare Barbara Zuppida. Perciò elimina con una oscura manovra i suoi dichiarati rivali, ‘Ntoni e Don Michele. Di lui si viene anche a sapere chi è invischiato nei giri del contrabbando come ricettatore. Infine fallisce nel suo prepotente progetto matrimoniale, perché comare Venera, madre di Barbara, promette in sposa sua figlia a padrone Fortunato Cipolla.
La gente del paese interpreta la decisione risolutiva della Zuppiida contro il segretario come la vittoria di Acitrezza contro l'ostile e minacciosa presenza di quel forestiero, che “farà meglio ad andarsene”
DON MICHELE
É il brigadiere delle guardie doganali. Il tipico bellimbusto, fa il “bel mestiere” di andarsene in giro in cerca di contrabbandieri, fermandosi spesso all’osteria della Santuzza , di cui è amante, e corteggiando le belle ragazze del paese.
Prima tenta invano con Barbara Zuppida, poi con Lia Malavoglia. Proprio lui avverte Lia dei pericoli che correva il fratello nel giro del contrabbando, ma non si sa fino a che punto lo faccia per il bene di 'Ntoni o piuttosto per assumersi il ruolo del “bel salvatore“ agli occhi della ragazza che desidera.
confronto con la rivolta del pane
Renzo è arrivato a Milano e si accorge che in città c’è un tumulto, ma ancora non ha chiaro di cosa si tratti. In città e nei paesi limitrofi c’è mancanza di approvvigionamenti, un po’ a causa della guerra, quella di successione al ducato di Mantova, fronte secondario della guerra dei Trent’anni, e un po’ per negligenza degli uomini, che senza accortezza hanno sciupato le risorse. Così ci dice Manzoni, introducendo la situazione che affliggeva tutto il milanese.
Siamo nel periodo del dominio spagnolo e chiaramente viene indicato che il governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova non è in città, perché si trova al comando dell’assedio di Casale del Monferrato, ed al suo posto a Milano governava il cancelliere Antonio Ferrer, che decide di fissare il prezzo del pane alla metà di quanto sarebbe giusto. La gente così accorre subito ai forni “a chieder pane al prezzo tassato” e lo chiede con così tanta risolutezza e minaccia, animati dalla “passione, la forza e la legge riunite insieme“. Si assiste ad un vero e proprio assalto ai forni, ma ovviamente i fornai iniziano a lamentarsi, ma il cancelliere resta irremovibile nella sua scelta. Sono i decurioni “(un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso)” che informano per lettera il governatore, il quale nomina una giunta alla quale conferisce l’autorità di stabilire il prezzo del pane ad un prezzo che fosse equo per entrambe le parti in causa. “I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì“.
La rivolta del pane nei promessi sposi averrà a causa del rialzamento del prezzo del pane, una conquista per i fornai ma non per il popolo.
Con la rivolta della pece (“rivolta delle mogli”) si capisce però come qualsiasi rivolta non sia utile: a prevalere sono sempre gli interessi personali ed utilitaristici.
Renzo vide tutto questo e attraverso le sue parole espresse una riflessione e disse che se avessero distrutto tutti i forni, avrebbero fatto il pane nei pozzi. Attraverso questa espressione Manzoni espresse il suo giudizio negativo nei confronti delle ribellioni del popolo in quanto ha sì delle buone motivazioni, ma dovrebbe però raggiungere i suoi obbiettivi attraverso la ragione, attraverso trattative e organizzazione. Altrimenti avrebbe distrutto quello che c’era e tutto ciò avrebbe determinato un aumento della povertà.
La protesta si esaurisce in una difesa affranta in cui non arriva a penetrare nessuna prospettiva vera e propria di tipo civile o politico. La posizione pessimistica e disincantata di Verga nei confronti del progresso sociale della civiltà rurale si osserva attraverso l'ironia e la rappresentazione grottesca: già la definizione della protesta come rivoluzione delle mogli, palesemente esagerata rispetto agli eventi, mette in ridicolo la portata e le motivazioni della protesta. A questo si aggiungono la banalità e la visione strettamente personale delle argomentazioni che sostenono la protesta, in cui non si forma l'immagine coesa di un popolo in grado di rendersi protagonista della storia. La protesta è inoltre descritta attraverso L'utilizzo della tecnica della coralità.
LA CORALITà NEI MALAVOGLIA
La scena della “rivoluzione delle donne“ mostra in modo esemplare la dimensione “corale“, collettiva della narrazione. Verga riesce a raccogliere e accostare le voci di tutti i personaggi coinvolti nella scena, dunque complessivamente di tutto il paese, e ciascuna è presentata con il proprio punto di vista, in una prospettiva davvero complessiva.
Emergono quindi insieme sia le personalità dei vari personaggi, con le loro visioni e persino il modo caratteristico di parlare, sia la mentalità complessiva di Acitrezza, la dimensione collettiva in cui tutto si svolge.
Uno degli strumenti utilizzati per creare questo effetto corale è l’uso del discorso sia diretto che indiretto libero. Quest’ultimo in particolare, permette al lettore di entrare nella psicologia dei personaggi e contemporaneamente crea una distanza, in cui può formarsi una valutazione della scena.
La pluralità di punti di vista e di posizioni e infatti organizzata e orchestrata dal narratore che, pur rimanendo impersonale, conferisce alla scena un tono particolare, sospeso tra l’ironico e il grottesco
EMANCIPAZIONE DELLE DONNE
Le donne iniziarono a far sentire la loro voce a fine Ottocento. Non era la prima volta che ciò avveniva: già nella Francia rivoluzionaria del Settecento era stata avanzata la richiesta di parità fra uomo e donna .
Fra i pochi intellettuali uomini, il pensatore John Stuart Mill, verso la metà dell’Ottocento, aveva sottolineato l’ingiusta condizione di subalternità e la mancanza di diritto della donne, escluse da numerose professioni e sottomesse all’uomo all’interno dell’istituzione matrimoniale; frutto di iniziative perlopiù individuali, i suoi tentativi di modificare lo stato delle cose non erano stati in grado di mutare la realtà
Tra Ottocento e Novecento, si potrà assistere tuttavia alla presa di coscienza da parte di un numero crescente di donne delle propria condizione: si costituirono così, sopratutto nel mondo anglosassone, movimenti femminili guidati da precisi obbiettivi.
Le richieste avanzate non erano però sempre le stesse poiché variavano a seconda della provenienza sociale. Le donne borghesi rivendicavano il diritto di accedere a tutte le professioni, anche a quelle tradizionalmente considerate maschili: in particolare non accettavano più di non potersi laureare e non poter svolgere mestieri come quello di avvocato, medico, insegnante di scuola superiore e giornalista. Le donne operaie invece contestavano il fatto che nelle fabbriche, come compenso per lo stesso lavoro, le donne venissero pagate meno degli uomini e chiedevano che venisse stabilita la parità salariale.
Le donne rivendicavano il diritto di suffragio, cioè di voto. Il movimento suffragista fu particolarmente attivo in Gran Bretagna grazie all’azione della Women’s Social and Political Union, nata nel 1903 e guidata da Emmeline Pankhurst.
Le suffragette, come erano chiamate con un certo disprezzo le donne che ne facevano parte, si distinguevano per la combattività e per la loro capacità di far discutere l’opinione pubblica: oltre a tenere comizi in piazza, facevano scioperi della fame e arrivavano ad incatenarsi ai lampioni per non essere arrestate dalla polizia durante le manifestazioni.